COMPONIMENTI POETICI
DI
GIACINTA CALINI

BRESCIA
TIPOGRAFIA APOLLONIO
1870.

A TE
MADDALENA
DOLCE SORELLA MIA
CHE
QUESTO LAVORO
DE' TUOI SUGGERIMENTI ABBELLIVI
E IL DUBITOSO ANIMO CONFORTAVI
DALL' AFFETTO SOSPINTA
TAL CHE TUTTORA
ALL' ADORATO TUO NOME
PIÚ CHE OFFRIRLO
L' AFFIDO.

Se gran parte di bellezza nell' arte viene dall' ispirazione ingenua e dal sentimento che affina come fuoco i pensieri prima di darli alla luce, se la coscienza e l' amore ci fanno essere diligenti nel fare una cosa, io potrei lusingarmi che in questi pochi versi, benchè incolti per innumerevoli mancanze ed imperfezioni, potesse un lettore benevolo ed indulgente che li riguardasse come tentativi, non oso dire promesse, vi potesse trovare un picciolo, ma gentil rivo di quella divina fonte che è il bello. Lo studio fu sinora l' occupazione geniale ed il trastullo della mia vita, ma non ebbe direzione od assiduità, e più che tirocinio d' arte era amor del sapere, era soave ed irresistibile desiderio di quanto è grande ed intimo quaggiù. Ciò ch' io sentiva od amava avrei voluto render duraturo, avrei voluto onorare, per quanto era in me, e se io non seppi ottenere ciò che volli, non potei mai, per niuna considerazione, menomamente riuscire quando il cuore dissentiva o taceva, nè tacermi quand' egli dettava.

La limitata facoltà poetica ed il cuore fedelmente ed esclusivamente commosso dagli stessi affetti non erano atti a dare a'miei scritti la varietà e lo splendore d'opere elette; ma loro dànno un umile valore, non certo pregiudizievole all' umana felicità e virtù, il culto per la bontà vera e gli amorevoli e retti principii de'quali anelai ed ambii rapire i casti dettati. Internandomi in questi pensieri ed in altri simili io sento scemare la mia confusione e crescere la speranza possa essere l'operetta non inutile nè mal gradita; ed, ove sia cortese il giudizio, la tapina mia Musa, intatta forma dell' anima, ed ascosa sua forza, con più allegrezza, come sole fecondatore, continuerà a modularmi i suoi concenti nella dolorosa e cara vicenda della vita.

Brescia, dicembre 1869.

Giacinta Calini.

Oh il sai, Sorella, il bene che ti porto, Sai con qual gaudio ti contempla il core, Come t' ammira e loda in tutte l' ore Nella bellezza de' tuoi pregi assorto? Da te, Sorella, questo core è scorto, Ne' giorni del contento o del dolore, A te mi affido, dolce stella e porto, Che mi proteggi e inspiri nell' amore. È un dolce accordo nelle nostre tempre, Ma in te più bello è il mio pensiero espresso, Della mia vita l' idëal tu sei. Nel suo secreto il core prega sempre, Che a te Dio serbi il gaudio, a me il tuo amplesso' O bella tanto e cara agli occhi miei! Il genio appar nel mondo eccelso e forte, E degli umani irresistibil duce; Nel fervor d' immortali atti la morte Lo spegne, e Dio raccoglie quella luce. La ria novella uno sgomento adduce Negli italici cor: la patria sorte È dubbia ancor, se a sperder la cöorte De' nemici il suo spirto non traluce. Deh compisci dal ciel l' opera audace, Degna dell' alto cor, dell' alta mente, E ti sorrida nella nova pace, E ti segua l' amor d' esto soggiorno, Colomba fida al nido, angiol potente, D' indipendenza intera affretta il giorno! Io v' amo, o fiori, arcana un' amicizia, E simpatia gentile a voi mi lega; Sia lieto il core o pianga di mestizia Il suo saluto giammai non vi niega. Dinanzi all' ara dove l' alma prega Siete simbol di pace e di letizia, Ogni del cor movenza si collega A voi, e ogni dolce amor da voi s' inizia. Quand' io vi bacio e il vostro olezzo aspiro Parmi che in voi pur si trasfonda il mio Pensier segreto e il fervido sospiro. E, raccogliendo allor da que' colori Recondite armonie, ringrazio Dio Che la varia creò beltà de' fiori. Salve, o cara, gentil canzon, che il core A salutar tacitamente è avvezzo, E a custodir con gelosia d' amore, Più che non pregi avar gemmato vezzo. Tu di baci e di pianto asperso fiore D' un tramontato di serbi l' olezzo, Come un rubino alle vïole in mezzo In te c' è un gaudio che per duol non muore. Angelico profil d' una memoria, Tu il ciel rifletti, o canzonetta, ancora, Monumento gentil di muta storia. Non cangi tu per varïar di cose, D' un sol che non verrà perenne aurora, Spargo per te de' miei pensier le rose. L'agile ingegno e la gentil persona, Le grazie e i pregi che alla nova sposa Fanno corteggio e genïal corona, Non pinge o loda l'eco affettüosa Della mia voce. L' arpa mia risuona Del casto effluvio di cotesta rosa, Di quella luce che nell' alma ascosa, Somiglianza cogli angeli le dona. È la virtude un' armonia di cielo, D' eroica tempra è un misto, e di gentile, È un dolce intorno al cor virgineo velo. Riverente ogni ciglio a lei s' inchina, E la donna formata a quello stile Fatta è agli occhi del suo sposo divina. Perchè il pietoso nome vuoi sbandito? Fu il cor dell' uom che scelse il nome Santo: Cerchi il Signor sotto qualunque rito Duopo gli era avvivar d' un raggio il pianto; Ed al deluso amor, sostituito Volle il rispetto, volle il dolce incanto D' una speme che varca il tetro lito, Trasfigura l' avel con divo ammanto, E il duol passato adorna e pone in trono. Santo è il silenzio sepolcrale e il gelo, E l' aer che manda di memorie un suono. Deh segui, o nome, ad abbellir la terra Che copre a guisa di pietoso velo L' ossa de' tolti alla terrena guerra! Egli è un' arcana musica gentile Che innebria e scuote dal profondo il core; Egli è un ridente di del vago aprile; Ha il foco del meriggio, e dell' albore Ha il mattinal candor. Stupendo fiore Cui non produce il ciel altro simile; Ei cresce in questa stanza del dolore, E imparadisa il reo cammino e vile. Furtivo egli s' innoltra ospite caro, E i volti ingiglia e l' alme fa pensose, D' ogni gioir preferto gaudio amaro. Più molle d' aure placide e tranquille, Più terribil dell' onde tempestose, Lagrime son di questo mar le stille. Te vidi sorridente fanciullina Ardita e cara come la speranza, Piena d' amore e di gentil baldanza Scuoter quest' arpa com' aura divina. O povera ed ingenua pellegrina Ove n' andò la tua natia sembianza!.. Muta, d' un simulacro a somiglianza, Le tue pallide gote il pianto affina. I vezzi tuoi spariro e le lusinghe, Gracile fior che all' acquilon non dura: De' tuoi profumi l' ore mie solinghe Più non farai beate. Senza gioia Del mio pensier stagnossi l' onda pura, Io te saluto quasi tu mi muoia. Padre, da te la vita e ogni serena Dolcezza io m' ho; sorride ogni memoria, E mi ripete una soave storia Di baci, cure e d' alti esempi piena. Oh i pregi tuoi sospetta il mondo appena, Nè sa qual merti schietta, ingenua gloria, Qual cor tu hai, qual saper scevro da boria, Quanta nel ben fidanza e in farlo lena! Lucido e bello arriderammi il fato, Anco il duol fiami lieve al par d' un gioco, Se quella fronte consolar m' è dato. Nè mai, nè mai desio m' assalga il tetto Paterno di lasciar: dell' alma il foco Tutto lo ponga in questo santo affetto.

Nome caro e altamente riverito da me e da' miei
quest' umile Sonetto consacro.

No, tu non sei bugiarda e lusinghiera Speme infida, nè arridi e t' allontani, Come d' amore i rei fantasmi e vani, Ma una celeste cosa ingenua e vera Sei tu, salda colonna e fè sincera, Che i turbini terreni acqueti e appiani, E ogni ferita medichi e risani, Progenie della fulgida preghiera. Sei tu che imparti dignità e bellezza Al duolo umano ed all' uman diletto; Tu serbi all' alma eterna giovinezza; E il core anelo con materno affetto Raccogli sotto all' ale di salvezza, Ineffabil mistero e benedetto.
Sposa e madre sarai, mia dolce Amica, Nomi che lieta fan la vita amara, Scorta dall' aura dell' amor pudica Agile va la navicella cara, Non ha timor di scogli o di fatica; Core e virtù la van reggendo a gara; Contro lei non preval forza nemica; V' è sempre un lume in ciel che la rischiara. Il domestico asil regno è del core, De' figliuoletti è la gioconda stanza, È la famiglia vita dell' amore. Ivi s' asside lieta la speranza, Ha il balsamo de' baci ogni dolore, E n' esce una virtù che l' altre avanza. Talor de' miei pensier m' assal disprezzo, E la nota che vibra in cor non curo, Si che a ripulse è il mio pensiero avvezzo, Giacchè mostrarlo men che bel m'è duro. Ma quando ei ferve in preda ad alto e puro Entusïasmo allor l' affetto apprezzo, O a farlo ammutolir non trovo mezzo, E l' esil cetra manda un suon sicuro. Ora al tuo nome l' inspirato petto Plaude e d' umile allor l' adorna e abbella, E va gridando al nobile intelletto: Tu sei dell' arte luminosa stella, Che tal ti mostri in suo verace aspetto, Quando al pensiero presti atto e favella.
Lo splendido pensiero è un fatto, ascrivi A tua gloria, o progresso, questo novo Conquisto, e sfida ardito chi rinega Le celesti orme del cammino tuo. Decisïon potente che ne attesta, O patria mia, de' tuoi destini il segno, Ognor precorritrice d' alte idee. De' tuoi costumi a nobiltà cresciuti Irrefragabil prova; indubbia norma, Misura più fedele dello Stato D' un popol vi sarà delle sue leggi? Oh bando al vil timor che il saggio e mite Decreto abbia a tornar di scorno e danno! Quando sarà che la ferocia induca L' amor della virtù? L' odio, il livore E la vendetta, l' aspide fatale Dell' umano fraterno amor, che forse Non avean nel patibolo il sinistro Loro eco? La virtù, simbol di pace, Figlia della ragion, forse dovea Germogliar da un calpesto e infranto dritto? Oh va, ti cela in cupo abisso, o truce Feral congegno, macchina di morte, Frutto non già della saggezza umana, Ma ritrovato infame e miserando A far palese come l' inventore E l' uom coperto di misfatti figli Fossero dell' istessa aimè perversa Natura! L' ombre meste ed agitate Di quei che i mal sicuri tuoi gradini Saliro, o palco, l' ultimo commiato Esse ti diano! Il pentimento e alcuna Volta purtroppo, l' innocenza a quei Miserrimi irradiò le fronti, mentre Ottenebrava i volti esterrefatti De' spettatori la barbarie cieca. Ma un' opra vi sarà che sia lavacro Per te, per te, carnefice? Oh t' affretta E una squisita cercane e la compi Onde in te, emblema e tipo della forza, Risusciti l' umano senso estinto! L' Italo cielo si beato e lieto, D' ora innanzi la bieca alba nefasta A contristarlo non verrà; le madri Senza timor che l' ordine civile Dia loro una smentita a' figliuoletti Instilleranno la pietà e il perdono. E tu, santo vangel, codice immoto, Che mutar non ti puoi, perchè perfetto, Luce divina che le vie del core Ricerchi pria d' illuminar la mente, T' allegra dell' error che va perduto, Che lascia dietro a sè mar si crudele. Ogni giorno, ogni giorno la commossa Umanità si velge un fallo antico Ad emendar, l' offesa e compromessa Sua dignità ristora e rinovella. Altri, pur altri error cadranno inani, Ch' or han sostanza e vita e qualche raggio Pur di bellezza e d' util la sembianza. Dell' umane battaglie il fine anela In dolce rapimento assorto il core: Questa pur sempre, aimè, fraterna lotta Che lo scopo talor fe' bella e santa, Che riceve suggel d' eroica fiamma Qual è il valor, di lagrime infinite Pura sorgente che il venturo tempo Ad altri intenti volgerà che avranno In lor congiunti l' utile ed il buono, E frutti arrecheran di guadio e pace, Nè d' armi ignite più sarà parola. Ma a te, mio tema, a te ritorno afflitta D' essermi un solo istante dilungata Da te, da te che liberal d' affetti Mi fosti al primo ravvisarti, appena Al mio pensiero balenasti, o bello Nobil subbietto, degno d' altra musa: Tu m' invadesti fibre, core e mente, E al principiar pareami che trattato T' avrei con inusata valentia; La letizia e l' amor di cui t' ammanti Faceano invito all' amorosa penna, Chè là ove chiuso è il varco alla pietade Contaminato è il guardo della donna, Ma se a uno spirto di sublime amore, Se a un impulso di fede e di speranza S' informa il mondo irrompe un plauso, un dolce Plauso dal femminile cor pietoso. Se negli altri trasfondere potessi Quel che dinanzi io provo e penso, a questo Pensier d' irrevocabile condanna, Più dubbio alcun non sorgerebbe allora Sulla giustizia e l' eccellenza vera Del penal mutamento; che il castigo Eccedeva il poter dell' uom chiarito Allor sarebbe, e che il delitto ancora Col delitto emendar giammai potrassi. Tremendo lutto ed immortal rimorso Di questa nostra società, che il sole Della scïenza illumina, e il sorriso Divino delle lettere consola, Che d' agi e di conforti il più tapino Veder vorrebbe attornïato, sorge Nera macchia il patibolo, simile Al rogo, al rogo esizïal d' un tempo; Che se diverso appar, perch' egli contro S' alzava al vol dell' intelletto, e il lampo Spegneva, inceneriva il vivo e caldo Lampo del genio, in sè, nella natura Sua, la punizïon simìle è al tutto. Indegna, nequitosa, inefficace Per ogni fallo dall' inferma e incerta Giustizia umana pur chiarito tale; Indegna nequitosa inefficace Se punitrice fassi d' un' idea, Se a rapirla dal cor s' usa la scure. Oh se tal verità con ala tanto Breve d' ingegno e piccioletto ajuto Di studi a me traluce luminosa, Quanto bella e felice negli effetti Suoi spiegherassi all' occhio penetrante Del genio, visïon quasi divina, Largo orizzonte che il lontano punto Scopre e commenta! Oh in fluidi e cari versi Con pellegrini immagini, ed esempi Che non crollan perchè all' istoria attinti, Che non m' è dato ornare, e armar di forza Questo saluto al di novello mondo Di fredda strage e d' assassinio vile, Che circoscrive nelle man de' soli Scellerati le turpi opre di sangue! Giorno novello apportator d' un vero; Che incrudelir deturpa la giustizia, E che la civiltà a sè stessa è speglio. È sconoscer, schernire il cor dell' uomo Dargli a teatro la mortal condanna. Strappato il velo del pudor, declivio Precipitoso non si schiude al vizio? Tal succede se vincesi l' orrore. Se colassù ne' cieli impera un Dio, Che all' uom concesse palpiti e pensieri, E mortale anco il volle, quale insania Sforzarne il pieno ed arbitro volere! Se poi la vita tiene a un filo arcano, E il sen di Dio non han gli spirti a sede, Perchè, perchè gittarlo allor nel nulla? Dell' esistenza prezïoso è il lampo Se loco altro all' amor non v' è che in terra. Ma vanne lungi infausto, tetro e mesto Pensier del dubbio, sciorre enigmi credi E null' altro che tosco amar ne mesci! Religïon d' affetti a me ritorna, E il cor credente tornerà pur anco. Non s' avvisò finor, l' uman giudizio Che l' esterminio del colpevol altri, Nella caduta, seco lui traeva? Quest' uom che muor di vïolenta morte, Avea una madre, ciò che suona amore. Oh del duolo invisibile catena! Oh infelice, infelice man dell' uomo Se ove ti posi schianti e non redimi! Se il fren che imponi al non retto sentiero È fonte d' ineffabili sciagure! Oh necessaria, provvida e pietosa Cura d' alleggerir quelle catene! Oh benedetta coscïenza e a bene Sperar conforto, che le pene e i falli Indaghi e esplori novamente, e getti Qual cosa vieta, la sinor, difesa Valevol troppo a disumani strazi, A vilipendi e a dispietata morte, Della necessità invocata ognora, Necessità, fatal parola, veste Ipocrita che copre l' onta e il male! Mia musa, or basta, t' ascoltai già troppo: Rustica musa cui negato ho sempre D' oltrepassar la soglia della casa, Cui prediletti temi fur sinora Il fanciullin che scherza sui materni Ginocchi, o l' alba d' un novello affetto Che di vaghi pensieri inonda un' alma, Siccome il maggio orna di fiori il campo; Che tu abbi lode di beltà desìo, Non già, non già per fregio all' umil fronte, Che tal brama sarebbe orgoglio anch' essa, Ma sol, perchè l' omaggio fosse omaggio E non disdoro al grande e nobil tema. Se pure una gentile simpatia Provocasse la semplice canzone, O madre mia, sarebbe tua la gloria; Dalla tua bocca primamente appresi Gli argomenti e i pensier, che fan nemici E odïator della mortal condanna! Incorporea bellezza, arcano spiro Che nell' uman cerèbro hai sede e regno, Che di là parti, e spazi in ogni dove, E l' universo abbracci e il mondo avvivi, Favilla che patente oppure occulta Ti spieghi ed ardi a Dio, visibil sempre, A te consacro riverente un canto, A te che la mia vita poveretta Vesti ed abbelli d' un celeste raggio. Se non mi posso glorïar di beni, La tua presenza mi rinfranca e baldo Sento un orgoglio in me possente e giusto, Se delle amiche io movo in compagnia E la grazia del lor sorriso io guardo, La mia bellezza, il mio tesoro e il gaudio Anch' io ricerco, e nel pensier ritrovo. Tu mi fecondi l' ore giornaliere, E m' intrattieni teco ancor la notte. Purchè la cara tua luce mi brilli Interamente afflitta io mai non sono, In te compendïata è l' esistenza, Senza di te la morte. Intempestivo E adulto amico dell' infanzia mia, Azzurro cielo che si spesso imbruni, Gioiel medesmo che la varia luce Di differenti aspetti ognora impronta! Ma que' tuoi lampi, que' baglior soavi, Quelle fogliette colorate in verde Dalla speranza o in ôr dalla memoria, Io le lasciai smarrirsi nell' oblio; Adunate potean comporre un serto, Ma una gran parte, e la miglior sovente Se ne porta il ruscel del pianto mio: L' afflitto core è in pieno tuo potere, E tu il balestri ove ti piace e pare; In ogni cosa docile io ritrovo La mia natura, invalida del tutto A debellar la tua possanza io sono. Più t' affatichi, giovin più diventi, Rugosa fronte più bel ti ricetta, Della fresca beltà nemico sei. Ma ch' io, pensier, non t' oda è doveroso Quando m' interni nella selva oscura Del dubbio; dove m' addurresti ignoro, Nè giammai il vo' saper; siccome quando Disamorato pur di te medesmo, Spirante una mortal malinconia, Desolate, iraconde idee raccogli Dalla congerie di sventure e duoli, E una beffarda hai pronta ad ogni cosa Risposta, ricco ed avido di fiele; Oh allora, allora infausto don ti credo! Quanto più dolce il sonno della fede Della magica tua veglia loquace! Ma in tai momenti non fallia la grazia Che promette il Signore a quei che pii Vittorïosi uscir cercan dal limo: E dall' onda del mio pensier, simile A dolce imago che rinvia lo speglio, S' innalza un' iri che discioglie il nembo. Forse lassù nel cielo inutil freno Per te sarà la coscïenza e lieto E vasto inonderai le plaghe eterne. Ma donde or vieni, e quale essenza sia La tua chi dir potrà? dell' alma sei Progenie tu? o sei tu medesmo l' alma? Quand' io ti veggo su dilette fronti Trapassar fuggitivo e lampeggiante Di conoscerti anelo, e piango allora Ch' io ti debbo ignorar. In questa vita Quel che più mi lusinga e attrae tu sei, O genio del pensier, origin abbi Ne' caldi rivi d' amoroso core, O le tue fila ordisca ne' recessi Della ragion più pura ed elevata. Oh l' amabil cöorte delle idee! Oh interno d' ogni cosa e d' ogni core! Misterïose ancor son le tue vie, Recondite le tue leggi, o pensiero, Tu il positivo e l' idëal congiungi. Ma taccian l' opre e i fatti, nessun vanto Che i tuoi pareggi agli occhi miei non hanno; Materïali l' opre e i fatti sono, Tu più di lor sublime quanto e come L' etereo soffio che s' appella vita Maraviglia e tesor più grande sia Dell' involùcro che l' alberga. L' arte, L' abitatrice più gentil del mondo, Nacque dal seno del tuo mar di luce: Nel suon che l' aria cangia in armonia Tu palesi ineffabili misteri, Con linee e tinte eterni i sogni tuoi, Sculta imago t' accoglie la parola, Ala or di cigno or d' aquila possente. Pur nel felice tuo brillar facella Cara discopri ognora e additi il vero? O forse il vero lo riserba Iddio A pascolo del suo pensier divino?… Schietto e bello germoglia, o mio pensiero, T' inchina ove arrivar non t' è concesso, Poichè io t' adoro avventurosa io sono, Tu sei la scala di beata vista Per cui saliano gli angioli lucenti, Tu contieni l' amore e guidi a Dio. Impetüoso, candido ed ardente Fiume d' affetto che m' ingombri l' alma Sgorga, trabocca, ed in sonori versi Celebra la pietà del core, e spargi Sul memorabil nome l' onda cara E glorïosa d' un compianto amaro. E mentre fai di perle e gemme incetta Onde in auro legar quella memoria, Vibra l' acuto stral dell' anatema, E ad esacrare incita l' opra infame Che i sofismi, i rancori e le procelle Di perturbati popoli non ponno Scusare o allevïar; ma dalla mente, Dalla ragion, dell' uom sol degna scorta, Io non trarrò argomenti al mesto canto: Al sentimento, alla pietà del core S' affida il volo dell' ingegno mio. A quest' altar consacro incenso e fiori. E nel millantator secol di dritti Dolente voce elevo anch' io, e del core Propugno le ragioni, e la clemenza Qual necessaria legge dell' umana Giustizia e dignità. Deh! posti alfine Siano tai dritti sovra alle bilance Del senno umano, nè s' attenti l' uomo Con sacrilega mano iniqua ed empia, Con fero cor brutale del fraterno Sangue macchiarsi, e sperdere per sempre Dalla faccia del mondo un' alma umana! Di quest' alta speranza di due mondi Che cadde estinta nel maggior suo fiore, Ostia gentile, vittima al macello Di furibondi spirti destinata, Sen rese conto il mondo, o ne fremette? Diero una stilla alcuni, e la sentenza Chiamaron tuttavia dovuta a' regi Usurpatori; stolti, ingrati, ignari Di quanto faccia all' uom velame e al vero La trista ira di parte e le sommosse Torbide passïon d' inferme genti. Atterriti dal lor crudele incarco Gli uomini d' arme che squarciargli il petto Invitto, generoso, buono, altero, Aimè dovean, tremâr compresi e vinti Da rimorso e dolor per quella colpa. Ma vile è l' uomo in tai frangenti, e il peso Di quel delitto si gittâr da tergo. Ma ch' io mi volga al tribunal, repente Sorto e adunato dal furor civile, E della spenta vita lo richiegga, Non s' aspetti da me, torcendo il guardo Dalle bieche adunanze ove trïonfa L' obbliquo di ribaldi intendimento: Il diritto leal, la fè giurata Eran frali ragioni, e all' aura sparse, O idee contorte dalla lor perfidia. Che in qualche lito, in qualche asil remoto Si protraesse il fil de' giorni suoi, Il dolce sonno ed il destarsi lieto, Il pascersi e spirar l' aura vitale Di quest' uno infelice, a quei supremi Amatori di patria parve troppo Ad essa esizïal periglio! oh invero Incontrastabil pregio della morte Rapidamente a tor l' inciampo d' uno! Dissero alcuni: e a che, menar si grande Luttüoso dolor per tale evento? La vita umana egual non è per tutti? Vale il principe al par dell' uom del volgo. O inetta legge d' eguaglianza e assurda Che d' ogni bel dispogli il core e attuti Del duolo e dell' amor gli immensi affetti! A me deriva dall' opposta idea Più potente ragion di pianto: esempio Di non comune affanno e di sventura, Se nato in mezzo alle grandigie e al fasto, La penosa ed insolita trafila D' acerbi casi trapassar dovette: E acuto senso a assaporare intera La coppa del dolor, non dànno forse L' arti squisite onde s' adorna e s' apre L' intelligenza e il cor dell' educato? Dice un altro: e perchè del regio nome Arsegli cupidigia, e star contento Non volle ai primi onori? ma onde al sole Costui non si rivolge a dir che muti L' ufficio suo, e in quel d' altro astro lo scambi? Obbligo eragli il suo grado eminente. E il sereno intelletto, il cor da eroe, La dignitosa coscïenza e pura Tutto in lui cospirò miseramente A darlo in preda a' lupi infelloniti D' una barbara terra. Deh concesso Al riverente affetto ond' io l' onoro, Sia penetrar negli intimi recessi Di quel dolente moribondo core, E adombrarne i pensier, e ricercarne Con ansia dilicata i patimenti Onde abbian que' fuggenti ultimi istanti Picciol ricordo, è ver, dalla mia penna; Pur lor non mancherà del pianto mio Il balsamo sincero e la rugiada. Sofferente e pacato ei giace e pensa In duro carcer chiuso, e invigilato Da squadre al cenno suo poc' anzi ligie: La sua ruïna, il suo destin contempla Malcauto lottator d' avversa sorte. E la sua vita nel sovrano arbitrio D' altrui commessa palpita vivace. Ed or l' assorbe del passato il sogno, E le geste, gli sforzi, l' ardue imprese, Gli errori, le imprudenze, e i mille inganni Ond' ei fu oppresso, alla commossa mente Sí schierano dinanzi, e tutta indaga Di que' lugubri eventi l' atra tela. Rïanda i brevi concitati giorni; E l' impotenza de' disegni umani E la fallacia, quell' oprar gli attesta. E allor gli sorge dal disprezzo acuto Della vita un rammarco inopinato Di perderla volando il suo pensiero Alle tenaci, lusinghiere e fide Dolcezze dell' amor de' suoi diletti. Rivede il volto pallido, ma bello, Dell' affralita sua consorte e pargli Co' baci ritornarle il senno e il gaudio, O in nodi sovrumani di letizia Esser nelle materne braccia accolto, E nell' avita sua magion regale, E in mezzo a' suoi fedeli esser gli pare E consiglio e soccorso lor domanda. Oh d' apportargli il gaudio ed il ristoro D' insperata novella e le ritorte Spezzare, e libertà recargli in dono A niun raggirator di quegli eventi Sorrise nel pensier, nè prospettiva D' aurea mercè sedusse i subalterni: Incorrotto, a salvar, si mostra l' uomo! Crescea frattanto, pari alla sventura, Nell' indole magnanima il coraggio, E di gentil fierezza adorno il volto E sfavillante intrepido ei parlava, Ne' riguardanti amor, pietà destando. E pago, qual chi un fier desio compiuto Vedere alfin si speri, la presente Morte liberatrice ei salutava. Ahi troppo prezïoso e ingiustamente Tesor carpito e spento ne' civili Clamor, nelle civili infruttüose Discordie, amaro lacrimabil frutto De' furori fanatici onde è ingorda La fera umanità! Deh quando i suoi Trofei di strage fia ch' ella rimuti, E di supplizi e di legali eccidi Stanca s' adagi in epoca innocente? Sorgea l' estrema notte al prigioniero E il raccapriccio e la crescente angoscia Oblïando vergò linee d' amore Per la madre e la sposa, ahi duro addio! Avean celeste impronta le parole Di vivi affetti e di tranquilla luce, Note all' ombra d' un carcer modulate Che nelle reggie avrebber desto un eco Di lamentosi gemiti e singulti. Nella fede de' padri suoi ritempra La nobil alma e pia, il Signor riceve Nell' ostia umil, disceso a noi dal cielo, Prostrato sul terren piangea pregando, E l' onda delle lagrime scorrenti Prevenia l' onda di sanguigne stille. Due ciglie allora, in quel medesmo punto Di più cruccioso pianto erano molli, Terribil, venerando duol materno Che paragone ha sol nel proprio amore. Oh di sua madre spesa invano ambascia! Trasognata, gentil, qual nova Ofelia, Della sua vita la fedel compagna, Fantasticava d' aspro calle ed erto Pel qual senza di lei, salia lo sposo, E in una val profonda in giù riverso Il mirava cader, dal duol conquisa. Oh della donna amante ria tortura Sè in salvo e in reo periglio o a morte in braccio Il figlio od il fratel, lo sposo o il padre Sapere o preveder! Smarrita e mesta Anche quest' alma ad un conforto anela, E le debili vele dell' ingegno Raccor vorrebbe in un pensier di pace. Dall' orrido apparato, dall' iniqua Indegna morte, dal martir supremo Involo gli occhi. Nequitoso fatto Che pose in piena luce la barbarie Degli uomini, e l' angelica natura D'un infelice, che lasciò morendo Mansüete e magnanime vestigia, E che salito al ciel, verace patria, Equo premio, e non scarsa lode e il gaudio Che i desideri avanza or ha da Dio, E l' alma adorna d' immortal sorriso. A me che mesta e sensitiva ho l' anima Chiedon de' versi per offrirli al duolo, Genio dell' arpa mia, del mio core ospite Fior del mio suolo. Il dolor la parola è d' ogni pagina Dell' universo, è il fin che appare in tutto, La natura è un mister, la vita un gemito, L' amore un lutto. Ah dimmi quando accarezzavi l' angelo Che poc' anzi posava a te dallato, Non pensasti che acerbo sul tuo gaudio Pesava un fato? Ah no, tu nol pensasti: vaghi e improvidi Erano i tuoi pensier, ai sogni cari Pieni di festa della bimba ingenua Erano pari! Allor brillava della speme l' iride, In que' di era un incanto, era la vita, Ora è la morte, ora dell' arbor l' edera È inaridita. Ove era il riso nacquero le lagrime, Ove un giardino v' era, ora è una landa, Dove cantava l' usignol funerea È una ghirlanda. Così travolge e muta il reo fantasima Del dolore ogni cosa ov' ei si posa, Così il dolore infrange il core e il turbine Sperde la rosa. Pur da questi pensier tremendi e lugubri, Di tal morire ad ogni uman contento, Per legge arcana vuole Iddio ne germini Un sentimento, Così profondo e bello che degli angeli L' invidia forma, sacrificio ha nome, E a quei che fan pietà superba aureola Cinge le chiome. Di questa terra, campo sol di triboli, Unica messe si riserba Iddio Degli infelici il lungo pianto e il palpito D' un core pio. Canzon, non tacquesi D' amico vale, Di bell' augurio Quel di che uguale Rifulse onor1. Si allude ad alcuni versi del distintissimo giovine dott. Angelo Bargnani offerti a Carlo Calini laureando. Non men spontanea Se pur men bella Per te, mio Gezio, D' una sorella Favelli il cor. E adombri il cantico Il dolce affetto, L' ansia ed il gaudio Che ognora il petto Prova per te, Riveli il giubilo Che apporta un lieto Fatto domestico, Placido e queto Per quanto egli è. Siccome a muovere Basta una brezza, Basta d' un zeffiro Molle carezza, Tranquillo mar. Così di palpiti È donatore Evento facile Se tocca un core Forte in amar. I tuoi t' accolgono Con plauso e orgoglio, Te benedicono, E ogni cordoglio, Senton sparir, Pensando al giovine Caro ed eletto, Ch' or vien qual rondine L' umile tetto Ad abbellir. Oh i mesti e trepidi Giorni d' assenza Alfin volarono, Nè mai partenza Più vi sarà! Nè sogno lugubre, Nato da tema, In pene avvolgere D' angoscia estrema Potere avrà. Commossa or l' anima Pel tuo redire, Pensosa interroga Dell' avvenire Il dubbio cal! Deh come il vivere Sogna sereno, E senza il menomo Racchiuso in seno Dolente stral! Il ciel propizio Compia, fecondi I voti fervidi, E a te giocondi Conceda i dì. Al sol che splendido Sicuro, altero Le tetre nuvole, E l' aër nero Sperde, così Ad esso simile Governi amori, Distorni ed eviti Duoli ed errori La tua virtù. E intatta fiaccola, Fiore immortale, Pensier benefico Sceso sull' ale Di Dio quaggiù, La fede ingenua Fedel ti trovi, Tesor recondito Cui nulla giovi Arte a rapir. Modesto ed umile, A brame amare Rimanti estraneo, Solingo e care Sol gioie ambir. Il resto è tedio Od aspra guerra; L' uomo integerrimo Il porto afferra Di sicurtà Se all' ombra placida Della sua casa Un' ara elevasi Immune e rasa Da vanità. Nel dolce vincolo Che unisce i cori Affanni e battiti, Speranze e ardori Comuni son. Soave indizio Di tal virtude, Impressa e vivida D'amor, si chiude La mia canzon. Di quelle stille onde ti bagna l' alba Che ne fai tu, fiorello dell' amore? Alla rosa l' avello chiese; ed ella Di rimando rispose: d' ambra e miele Arcanamente vien da me composto Di matuttine lagrime un profumo, E tu, sinistro avello, che ne fai Di quanto si precipita e scompare Nel dïuturno tuo baratro aperto? L' avel rispose: o fior, che ti lamenti; Quando novella a me sen viene un' alma Angiol novello al paradiso io creo.

Victor Hugo.

Silente luna è il tuo splendor pur caro, Percorri i monti o in sull' erbetta dormi, O infra nevosi ramoscelli tremi, O insieme all' alcïon sull' onde nuoti! Ma a che ti svegli quando tutto dorme? Inutil astro all' uom; mister tu sei: Non sua lucerna, al raggio imbelle tuo Di sue fatiche non matura il frutto, Nè cosa alcuna a computar gli giovi; Non ei t' invita a illuminar sue veglie, Chiudendo, invola alle notturne lampe Il proprio albergo e industre lume adopra. All' annottar cominci il corso umile, E chiusi occhi ritrovi, indifferente, Al tuo mesto redire, il mondo è freddo Come gli avelli a' quai ponesti amore! Tu in ciel conduci a mano a man la notte, Eppur chi solo al tuo passar vi bada? Tranne meschino pescador, bramando Al porto d' onde l' allontana il vento, Che a te richiede quell' ostel biancheggi Ove del suo tardar si duol la prole! O te un misero affisa che ad ignoto Mondo va al par di me fantasticando. Ma se al cor deggio fede e a quel che inspiri Di quïete, silenzio e sogni amante, Tu sol pei corporali occhi non sorgi; Ma dell' esser morale arcana luce, Allor ch'è oppressa del dormir la terra, Giorno, te, Iddio creava dell' idea, Giorno in cui nasce e pullula il pensiero. Tu inverso l' alte cose attrarlo sai, E nel lontano interminato azzurro, Del pensier l'infinito spazio sveli: Infra il pensiero e Dio sei faro eterno. Simìle al foco ch' Israël guidava La mente elevi di portento in altro Insino al folgorante ermo recesso, Ove colui pel qual falli ogni nome, Benchè il dicon le sfere in lingua ardente, Al fulgorar centuplicando i veli Archi di stelle nevigossi intorno! E tu, astro pio, rifulgi al suo cospetto E se tu il vedi il fonte di tua luce Dì, che in un punto de' ferali globi, Il lor bujo solventi a' raggi tuoi Lontani, ignoto un atomo, il suo nome Al tuo chiaror, fra l' ombre, mormorava!

Lamartine.

Dedica Pag. 5

Prefazione Pag. 7

SONETTI

A mia Sorella Pag. 11

In morte di Cavour Pag. 12

I Fiori Pag. 13

Ad una poesia scritta in un albo Pag. 14

Ad Adele Franchetti nell' occasione delle sue Nozze col dottore Giuseppe Musatti Pag. 15

Ad un tale che voleva che il Cimitero non si chiamasse più Campo Santo Pag. 16

L' Amore Pag. 17

Alla mia Musa Pag. 18

A mio Padre Pag. 19

La fiducia in Dio. A D˙ Carlo Angelini Abate di Pontevico Pag. 20

Alla nobile signorina Fausta Capello pel giorno delle sue Nozze Pag. 21

L' Ammirazione. Ad Ernesto Rossi Pag. 22

CANTI

Per l' abolizione della pena di morte Pag. 25

Il Pensiero Pag. 33

In morte di Massimiliano Pag. 37

ODI

Per un vedovo Padre a cui morì l' unica figliuoletta Pag. 47

A mio Fratello Gezio pel dì della sua Laurea. Pag. 49

TRADUZIONI

La Rosa e l' Avello (Victor Hugo) Pag. 55

La Luna (Lamartine) Pag. 56