SULLA TOMBA
DELLA CONTESSA
ALBERTA SANVITALE
PAROLE
DI
CATERINA PIGORINI

Oh! in passasti Gracile pellegrina in sulla terra Come passa un gentile impeto pio Pel cor di un tristo. E gli anni tuoi passaro Quasi divelti petali di rose Gittati su rapace onda di fiume, Rapidissimi.

ALEARDI.

Ed era nata fra le felici della terra, e la età sua non era grave, e il suo viso, quasi ancor giovanile, ornato di quella splendida e bionda capellatura, ne prometteva lunghi anni di sua presenza fra noi.… ed è morta. Oh! come è vorace il sepolero!

Ella è sempre dura cosa e triste l' udire il lugubre rintocco d'una campana che suona da morto, l' echeggiare delle meste salmodìe pe' defunti, lo scorgere la terra smossa di recente sepolcro; ma se ci accade sapere che quel rintocco, quelle salmodie, quel sepolcro sono per alcuno il cui nome suona benedetto sul labbro di tutti, se ci accade aver sacro e onorato questo nome, se ci accade di aver conosciuto e venerato la persona che lo portava, oh! come s' accresce la doglia del cuore, la mestizia dell' animo, come ci pare terribile questa morte che ci semina intorno vittime scelte fra la eletta de' nostri cari, come desideriamo che lagrime benefiche vengano a sciogliere il groppo che ci grava sul cuore!… E allora piangiamo, e quelle lagrime scendono come un mistico lavaero a puriticarci per poter piegare le ginocchia davanti a quelle tombe per pregare, contemplare e piangere di nuovo. E preghiamo! Oh! non ci venga tolto la religione del sepolcro: ci si lasci il mesto tesoro delle ricordanze..… e quell' erba del cimitero, quel fiore che spunta sul tumulo dei nostri poveri morti, quell' albero che li difende da' raggi cocenti del sole non siano svelti!… essi parlano a noi un sacro e misterioso linguaggio, e mestamente ci rivelano i pensieri e gli affetti di coloro che più non sono.

Colla religione del sepolero, con quella delle ricordanze, non avremo perduta del tutto la Contessa Alberta Sanvitale: prostrati davanti al freddo marmo che ora la copre, ne parrà sentirei alitare intorno il suo profumo di santa, e da esso attingeremo di che sopportare l' angoscia della sua dipartita da noi, com' Ella sapea sopportare, e l' esempio suo ei sarà guida per vivere, com' Ella sapea vivere, e perdonare di quella guisa ch' Ella aveva perdonato.

A egregie cose il forte animo accendono
L'urne de' forti..…… e bella
E santa fanno al pellegrin la terra
Che le ricetta.…….

Se non che nel riandare col pensiero le virtù singolarissime di Lei, nel rammentarne le doti del cuore e della mente, le beneficenze e le generosità, ci assale un doloroso tremito… Oh! quel posto non sarà più occupato! — troppo, troppo ci resta da imitare, perocchè la Contessa Alberta Sanvitale era una di quelle benedette le quali hanno intorno a sè quasi un'aureola luminosa che ci abbaglia, e le cui orme non si possono seguire se non si hanno anime e cuori simili ad esse. Oh! quel posto non sarà più occupato! Non la vedremo più, non ci allegrerà più quel viso placido e sorridente, non udremo più il fruscio della sua veste, quando camminando toccava appena la terra, e l'onda della sua voce non scenderà più a noi che come un'armonia de' celesti… Ella è morta!

Ed ora perchè mai una specie di terrore superstizioso ci ricorda, che il giorno in cui fu detto, è ammalata, il primo movimento fu una lagrima? — Perchè mai questo importuno pensiero ci ricorda che, ne' discorsi tenuti nella stretta cerchia di domestica intimità col figlio suo, non si parlava che di morti? — Era forse un arcano presentimento della vicina tomba per questa diletta? — Egli è un mistero; ma ritorna davanti alla mia mente che io mi sentii quella che chiamano la voce del cuore parlarmi sventura; che i sogni di quella notte furono agitati e terribili.…; e si avverarono le predizioni della voce, e i sogni doventarono realtà, e la morte inesorata ce la rapi per sempro.

Ella è morta!

E mi rammento di averla veduta lieta e superba de' suoi due figli, e del giorno in cui strinse fra le sue braccia il consorte reduce dall' esilio, e quando rivide il figlio che ritornava dal campo delle patrie battaglie! Allora come le lagrime versate da Lei e per Lei erano soavi! — Come le sue gioie e i suoi dolori erano divisi da tutti!

Come era amata! — Niuno la vedea, ma tutti sapeano che nella tranquilla cameretta d'un palagio o d'un castello, vegliava un angelo pel bene comune.… e bastava. Lo sventurato, il povero, il malato, erano sicuri, erano forti, erano meno infelici, perchè Ella era là che li attendeva, e taluna volta non era paga di attenderli, li preveniva, e il conforto unito al soccorso pioveva come benefica rugiada nella casa di tutti.

Se tu incontravi per la via un poverello e che, nello stendergli il tozzo o il quattrino di elemosina, lo richiedevi di qual paese foss' egli, e ti rispondeva essere di Fontanellato, tu il guardavi con una compassione commista di tenerezza, pensando fra te, che v'era per questo paesello una donna privilegiata, la quale scendeva laddove vi aveva una lagrima da tergere, un dolore da lenire, e lungo le vie che ti conducono attorno tutta la provincia nostra tu restavi commosso da insolita e reverente meraviglia, perchè il nome di codesta donna tu lo udivi ricordare da tutti benedicendo, e l'eco che lo ripeteva ti giungea cara e soave, perchè ti apprendeva come l'immagine della virtù non si fosse ancora dispersa su questa terra troppo calunniata.

Era invero grande, severa, immutabile la virtù della Contessa Alberta Sanvitale; era splendida, regale la sua generosità; era maschia e gentile la tempera del suo animo, e il suo cuore era uno specchio su cui non poteva riverberarsi che l'amore e la carità più santa, e il suo ingegno era uno di que'che, versatili in tutto, in tutto riusciva perfetto, siccome le corde d'un arpa che ciascuna ha un suono, il quale aiuta l'armonia dell'altro.

Il viso avea leggiadro, aperto, intelligente, se non che tu vi scorgevi un certo pallore diafano, tal che eri portato a credere non l'avesse a spartir nulla col mondo di quaggiù; era un'idea o un soffio che aveva persona, ma una di quelle idee e di que' soffii che lasciano dietro di sè una striscia luminosa a sollevare la mente umana a concetti grandiosi, e a guarire le genti fiacche dalla viltà.

Atta ad uguagliare, a vincere forse nella palestra delle beneficenze qualunque più splendido donatore, nella famiglia in cui entrò, una delle poche che potesse comprenderne e dividerne gl'intimi e generosi pensamenti, non lasciò passar giorno in cui non pensasse alla sorte de'poverelli, del beneficare i quali Ella si era fatta (quasi nol dissi) una religione; ad arricchire i pubblici e privati istituti di beneficenza; a fondare spedali se epidemie desolavano le nostre contrade; a sovvenire coloro che, ricchi d'ingegno ma poveri di fortuna, volevano e non potevano incamminarsi nella difficite carriera delle arti e delle scienze; a concorrere col pingue soccorso nelle soscrizioni a pio vantaggio, sì che non potè mai dire al tramonto del sole —, Ho perduto la mia giornata, — Ma la sua non era di quelle carità che pompeggiano ne'comitati di beneficenza, e che richiedono le vane larve d'una pubblicità che umilia chi dà e chi riceve; la sua era quella del Vangelo, sceverata da ogni forma terrena, era quella in cui la mano destra ignorava ciò che donava la sinistra. La limosina che veniva da Lei non era limosina; la dignità umana, quella dignità del povero vergognoso che trema, che non s'attenta di sporgere la mano, che geme, che com batte tra la necessità e l'alterezza istintiva di chi rispetta sè stesso, quell' alterezza, la Dio mercè non ancor spenta, non restava punta menomamente: Ella trovava mille modi e tutti gentili per giustificare quell'elemosina e, quando non lo avesse potuto, ti avrebbe detto: io ho il dovere di regalare il mio; cristiana non ho dimenticato il comando del Cristo, padre e fratello dei poveri e più povero di essi.

All' Italia, che dopo Dio era il suo primo pensiero, non diede il giuramento bugiardo, nè la ostentazione d'un' entusiasmo non sentito, ma, dopo l'esilio del marito, diede il figlio suo primogenito che volontario partiva cogli altri pe'campi lombardi; e le sofferenze sue niuno seppe, imperciocchè quella donna, in cui non poteva ombra di egoismo, le nascondeva e le teneva tutte per sè, e gentile Cireneo col sorriso sul labbro, quando nel cuore battagliavano le angoscie, le teme, le speranze di moglie e di madre, aiutava gli altri e colla parola dell'amore e della rassegnazione gli consolava.

Dotta al punto di rivaleggiare con uomini prestanti, non menava attorno il suo sapere, mostrandolo con quella pedantesca baldanza, nelle donne facile troppo, anche in quelle che dal comune si discostano, ma col lampo dell' ardito pensiero, con una facondia rara nell' uomo, nella donna presso che unica lasciava ammirati coloro che la udivano.

Nelle lettere famigliari e intime, e di queste lasciò moltissime, balena il raggio d'un ingegno gagliardo, e in ogni tratto ti seduce il guizzo dell'affetto il più soave e talvolta il più passionato, che si sposa alle fantasie leggiadre di cui la mente sua andava adorna; ma in esse non trovi parola che passata pel crogiuolo del più fine criterio non sia e calcolata da una soda e sana ragione. In Lei trovi la donna co'suoi mille palpiti d'amore, ma trovi altresì la regina colla rigida e severa sovranità sovra sè stessa e sovra gli altri.

Conoscitrice del dolce idioma materno e di altri non pochi, nel favellare, nello serivere tu la vedevi servirsi di quello che più acconcio all'uopo tornasse, e nella guisa di chi è maestro in tutti; ma quando scendeva a parlare coll' operaìo, col colono o col povero, Essa aveva la parola umile come la loro, e facendosi piccina li aiutava a sollevarsi fino a Lei per essere compresa…e infatti era compresa e benedetta.

Esperta nel maneggio degli affari, con un'amministrazione di quelle di cui oggi sembrano perdute le norme, accrebbe splendore al suo casato, e quando le difficili circostanze della giornata incominciarono a gravare sulla penisola tutta, per accrescere le sue generose beneficenze a sè sola volle tôrre il superfluo; la gran dama non esitò ad abbandonare anche le apparenze del lusso, e di molte famiglie ebbero sul desco meno scarso il nutrimento.

Un venerando Veglio, che doveva precederla di qualche mese nella, tomba (1) Il Conte Jacopo Sanvitale, morto il 3 ottobre 1867 in Fontanellato presso Parma, nel castello stesso in cui circa dodici settimane appresso moriva la Contessa Alberta Sanvitale., dicea avere Ella la più bella testa di regina ch'egli avesse visto o udito mai commendare; elogio che li comprende tutti, e che venuto da lui grande, illustre, temperante di lode cogli estranei, co'suoi parco e quasi avaro, ci rende più fulgido ancora, se è possibile, il nome della Contessa Alberta Sanvitale.

Le civili virtù non erano minori delle domestiche; a noi lasciati a piangerla per le une e per le altre darebbe l'esempio della donna in ogni stato, se la eccezionalità della posizione in cui fortuna la collocò, della sua mente e della educazione ricevuta, non l'avesse resa troppo difficilmente imitabile.

Le invide armi de'nemici si spezzarono davanti a quella illibata indipendenza come sopra una corazza d'acciaio; le calunnie, se pur ve ne furono, non ebbero maggior effetto che un legger vento d'aprile sovra una montagna di marmo; le persecuzioni, le confische, la trovarono forte, mansueta e rassegnata; l'esiglio, a brevi intervalli, del ma rito e de' suoi umici più cari la lasciarono isolata, non sola, perocchè aveva con Lei l'amore di tutti e il pensiere incessante del bene altrui.

Beato chi può dire come Lei: io vissi più per gli altri che per me stessa; non odiai, non maledii; quando alcuno mi percosse in sulla destra guancia, gli rivolsi ancora l'altra, e perdonai, e amai, e obliai.…… A' miei figli non insegnai lo sprezzo per gl'inferiori, l'invida gelosia per quelli che stan loro dissopra, ma posi nel loro cuore il germe dell'uguaglianza evangelica, e mostrai loro la drittura del cammino della virtù. — Beato chi, come Lei, entrando in quella sede tranquilla

Che nè i venti commovono, nè bagna
La pioggia mai, nè mai la neve ingombra

può dire: io lascio qui eterno tesoro di affetti; la mia tomba non racchiude che le membra infralite, ma lo spirito mio rivive in coloro che io ammaestrai, come il seme che fa verdeggiare le glebe cui l'aratro aveva solcato, e le benedizioni e le lagrime che cadranno sulla mia fossa, saranno come la rugiada che feconda e abbella l'opera dell' agricoltore. — E lagrime bevè la terra in cui fu sepolta, e benedizioni innumerevoli caddero sulle zolle, in cui il mesto cipresso, col verde perenne, come la memoria del suo nome, ne segna la tomba, e Dessa, presso alla sua Maria cui la fredda morte la ricongiunse, avrà sorriso d'ineffabile compiacenza ((2) Una figlia della defunta, leggiadrissima fanciulletta morta a sei anni. — Sulla morte di essa il Conte Jacopo Sanvitale compose un sonetto, diretto alla madre, che qui piacemi riportare:
Un angelo dal viso radïante Fiso pendea sovra dorata cuna, Maravigliando come fosser tante Le bellezze mortali accolte in una.

E dicèa: O bellissima di quante N' ha questa valle che la colpa imbruna, Desìa ti nasca di tornarti avante A quel Signor che intorno a Sè ne aduna.

Prima che il pianto oscuri occhi sì béi, Vientene in ciel con me, sorella mia, Chè del goder si geme ove tu sei.

E la nòva angioletta se ne gìa Tra mesta e lieta; e'rivolgeasi a Lei: Quella, non pianger più, era Maria.
).

Nell' istante di por fine al mio dire, mi ritorna più che mai viva nel pensiero la sua immagine venerata; parmi di vederla protendermi ambo le mani in atto di materna amorevolezza e di udire dal labbro di Lei parole affettuose, consigli magnanimi; parmi vedere il vivido azzureggiare del suo occhio e l'alterna vicenda dell'impallidire e dell' arrossare del viso, indizio del palpito frequente del suo cuore sensibilissimo.

Oh! chi mai avrebbe pensato che ciascuno di que'rossori era una ritorta del fuso delle Parche, e che ancora un lampo, ancora un soffio e le forbici fatali avrebbero tagliato il filo della sua vita?

Ella era paga ora, e come il nocchiero che ha scampato la vita dall'imperversare de'flutti, i quali sbattevano la sua fragile navicella, tranquillo entra nel porto in cui l'attendono le placide notti e di riposi non conturbati e la quiete, cosi Ella al passato rivolgeva solo un ricordo di mestizia, e consolavasi della pace del presente e delle speranze di ancor più lieto avvenire. Era giunta l'ora del raccolto da Lei preparato con tante veglie e tanti sudori: il campo della sua vita era ondeggiante di spiche dorate, più non mancava che la mietitura per unirle in manipoli e ricoverarle al sicuro d'ogni male arrivata intemperie. Oh! non sarebb'ella stata follia da gente di poca fede il pensare che l'uragano dovesse scendere a schiantare le spiche, a dibarbicarle dal campo, e a spargervi in quella vece la gragnuola sterminatrice?

Eppure così era scritto e così fu.

Ed ora quando risalirò le scale del suo castello, muto, vuoto di quegli affetti di cui Ella sola poteva riempirlo, dove baciai la sua mano fredda di morte, dove chinai i ginocchi davanti a Lei, io che non li curvai quand'Ella era sfolgoreggiante per ricchezza e per nome, mi parrà udirla dirmi:

, Qui abitai; qui ebbi momenti di crudele ansietà, di gioia ineffabile noti a pochi in terra e che non dissi, poichè non volli mai che molli o vanamente queruli suonassero gl'intimi sentimenti dell'animo. Ebbi una sola guida, la virtù; una sola legge, la carità; un solo voto, il bene di tutti; un destino fin sotto le coltri della mia dorata cuna, patire e perdonare.

, Pace non ebbi mai; solo ora ricongiunta col padre dei mei figli stavo per raggiungerla e rivivere in essi la vita de'miei giovani anni..…Come Mosè non potei toccare la terra promessa, e il ramoscello d'ulivo della colomba giunge troppo tardi nell'avello in cui io mi giaccio; ma ebbi fede costante e sperai.

, A coloro che di me ti chiederanno, di quale io fui; alle donne addita la mia tomba, e invitale a considerare la mia vita mortale; a' grandi della terra mostra l'eloquente marmo che mi copre, il quale tutti ci uguaglia, e sotto di cui non restano le vane illusioni d'una fugace grandezza, e indica qual uso io abbia fatto delle ricchezze; ai poveri insegna come non abbiano a disperare, perocchè Iddio nutrisce l'uccello dell'aria e colora il giglio delle convalli. Di che io cercai seguire la via tracciata dal Nazareno, e che fin sotto pietra un pio consiglio de'miei cari volle mettermi fra le mani il sapiente suo legno, da cui si apprendono virtù eccitatrici d'opere gagliarde e generose; e se taluna delle tue parole sarà ascoltata, io di quassù, sotto il sole che non ha tramonto, manderò uo raggio di gioia ad irradiare la terra.