ENRICHETTA USUELLI-RUZZA

Versi
CON PREFAZIONE
di
FRANCESCO FLAMINI
Prof. di lett. ital. nell' Università di Padova

PADOVA-FRATELLI DRUCKER-VERONA
LIBRAI-EDITORI
1906

Tipografia all'Università Fratelli Gallina

ALLE NIPOTINE
ENRICA e NEDDA
ULTIMA DOLCEZZA DELLA MIA VITA

Dono di plausi mutuo fugge la casta musa ad inchinar non usa; fugge l' accento di mendace affetto che sfiora il labbro e non infiamma il petto; fugge l' imbelle gemito delle anime servili, che impotenti a virili sensi, belan mentiti disinganni o balbettan di schiavi e di tiranni. E quando essa alle armoniche corde affida del cuore il segreto dolore, non dell' intime pene si fa vanto, nè di livida bile asperge il canto. Occulta dalle lagrime sa che virtú germoglia, quasi tenera foglia che l' involucro sforzi e s' incolori, se dell' umido april pioggia l' irrori. Ad un mazzo di rosei palloncini somiglia alcun poetico cervello: si spezza un filo, strillano i bambini, il globo se ne va lucente e bello. La folla ride battendo le mani, e con l' occhio lo segue curïosa, mentre si volge lieve in giri strani come lo porta l' aura capricciosa. Cosí talvolta via sbriglia un poeta qualche pensiero dalla fantasia, che vagolando con ala inquïeta sale e si perde per l'incerta via, e un istante lui pur la folla acclama, e plaude a quell' iridescente volo. Ma piú proficua cura a sé la chiama: resta il poeta derelitto e solo. Per l' infinito tramite passa, gigante splendido, l' astro e scintilla, quasi viva pupilla: lungo i silenti rivoli va intrecciando la lucciola, a notte estiva, la sua danza giuliva. Disse l'Eterno al tremulo astro: delle mie glorie l' alto mistero narra all' uman pensiero; disse all' insetto: in umile piaggia il tuo giorno termina, del tenero fanciullo innocente trastullo. Ed astro e insetto compiono, come due note unisone, per varia via l' universa armonia. Rompe l' alta quïete il lento e grave tocco di mezzanotte, e, quasi arcana favella, scote mestamente il cuore di chi vegli solingo meditando il fuggir della vita. Ecco, un anello della rosea catena, onde la speme intesse l' avvenir, si spezza e piomba nell' abisso dei secoli. Travolte cadono seco, come fior dispersi dalla bufera, cento larve e cento, che in sua fervida brama un dì ci pinse l' illusa fantasia. Così nell' arso pian del Sahara, tremulo, azzurrino, l' errante Beduin scerne da lungi un zampillar di fonti. Ahi! che dilegua quant' ei procede il bel miraggio, e prima che il labro accosti alle sognate linfe, conscio del vero omai, su l' infocata sabbia abbandona il corpo affranto e spira! Placida intanto sul guancial tu posi la bionda testa, o mia bambina, e dormi, poi che non sai di che tremendi affanni, di che paure alla tua madre il cuore per te si gonfi e tremi. Oh, s' io potessi nell' infanzia serbarti, o almeno, a prezzo d' ogni martirio, deprecar l' avverso fato dal tuo cammino. È vana speme! Tu crescerai, nè ignote a te saranno le aspre lotte del dubbio, il lento strazio dei disinganni. Alle anime gentili eterno il duolo s' accompagna: a noi sol resta erger la fronte e la nemica sorte mirar con immutato ciglio. Ma in petto muliebre è raro pregio questa virtù: non già che ad alti sensi angusto sia, come suonò bugiardo grido; ma perchè a noi questa presente età contende pur le meditate carte de' Sofi, paurosa forse che del pensier pei liberi orizzonti erri sviato il non esperto ingegno, o mal s' accheti alla modesta cura dei domestici lari e della culla. Troppo adulata, o disprezzata troppo, la donna ancor se stessa ignora. Oh, sorga sorga, e di vani omaggi o di meschine gare sdegnosa, in più severi ludi tenti sue forze: insegni al mondo ingiusto come nutrir si possa in molle fibra intelletto virile e cuor di madre! Bella è la donna, se, suffusa il volto d'amabile rossor, si stringa al petto di lui che primo e solo amò; soave, se al sen materno, carezzando, serri il pargoletto; ma sublime e santa, se nella pace di solinga stanza, si circondi dei figli, e le infantili menti dischiuda a' primi rai del vero. Piú celeste armonia non han le sfere, non ha l' april piú grato effluvio, il sole splendor non ha che adegui la dolcezza di quell' ora serena. E poi che in cuore l' infurïar della procella irrompe, o grave sullo spirto incombe il tedio, e squallida ci appar la vita, ancora, quel dí lontano rimembrando, un raggio di conforto ne brilla. Lo smarrito affranto pellegrin cosí novella forza rincora, se da lungi il vento l' eco gli porti di notturna squilla. Ma piú languida luce in su le carte piove la lampa, nell' azzurro spazio imbiancano le stelle, e il corso affretta contro i baci del sol la nostra sfera. Poi che le piazze son deserte, e mute le stridenti officine, e la notturna quïete avvolge ogni vivente cosa; sola co' miei pensier, vengo e m' assido su questo poggio aprico. Illuminate dalla luna imminente le vetuste torri, stromento già di feudale paventata possanza, in lunga riga projettan l' innocente ombra sui campi ove mista la terra alle disciolte ossa di mille forti, in empia strage fratricida caduti, ai lieti prandi or la vite matura e i fior soavi. In mezzo ai rami, il molle capo ascoso sotto l' ala tutrice, al dolce nido pensa l' augello; dormono nel chiuso il bue lento e il cavallo: al novo giorno, dell' antica fierezza e della cara libertà delle selve ignari, il dorso incurveranno alle fatiche usate. Dormono intanto; e niuna del domani cura li punge, o rimembranza acerba. Sol la titania prole, a cui fu dato, funesto dono, il ricordar, né paga esser mai del presente, e all'avvenire, sempre ingannata, sospirar pur sempre; in quest' ora di pace, ahi, quante volte pace non trova! E irrequïeto il fianco sulle piume affatica; o veglia intenta, fra dotte carte, a procacciarsi il vuoto e tardo premio della fama; o, curva di povera lucerna al fioco lume, l' aspro lavoro affretta onde non manchi domani ai figli, al padre infermo, un pane. Ed io pur veglio: non che avara brama d' oro punga il mio petto, o speri un lauro su la mia fossa. A me nel cheto albergo, quanto lice a mortal ride il presente, di cari figli giocondato; ond' io men tristamente guardo alla suprema ora che nel gran tutto si disciolga questa fragil mia creta. Ma con lungo infaticato volo ecco la mente torna alla prima età, quando nissuna doglia maggior che puerili sdegni conturbava il mio cuore, o quando, ai primi dell' anima tumulti, inesplicata malinconia mi pervadea pensosa. Eri tu meco allor, mia Clelia, e unite ne trovava il mattino: unite ancora ne trovava la bruna ora del vespero, pei viali odorati o sotto i chioschi del giardino paterno. Ancor rammento gl' innocenti colloqui ed i compresi lunghi silenzi. Era la vita un sogno! Ma venne il giorno che una tomba il primo Vero m'aperse e del dolor la scuola. Or che mi rechi tu, notturna brezza, sovra l' ala lievissima! Che suono discende, quasi cognita favella, nel mio cuore materno! Egli é un vagito flebil d' infante. Per le schiuse imposte d' un modesto veron concessa al guardo m' è una povera stanza: ivi una donna l' ore del sonno aggiunge all' indefessa opra del giorno. Ma per chi quei drappi serici e quelle trine e quei sí ricchi veli, che la tua man leggiadramente dispone e intreccia! Non per te; ché troppo contrasta quella pompa alla gramaglia di che tutta ti cingi, allo squallore della tua cameretta, onde ornamento unico è il biondo cherubin, che, tolto dalla misera culla, al bianco petto ti stringi in amoroso atto soave. Nelle fulgide sale, ove il profumo di peregrini fiori e il magistero di note sapienti i sensi punge, forse di te meno leggiadra e forse meno pura di te, superba dama brillerà sotto quelle vesti, ignara o noncurante, se d'ascoso affanno una stilla vi cadde. Oh, mille volte piú che le gemme onde a Golconda volge l' avida prora il mercatante, oh mille volte piú prezïosa la romita perla che trema sul tuo ciglio, o donna! Ma ignorata essa cade. Per l' oscura virtú che soffre e non patteggia a prezzo di vergogna il suo pane, o inonorata cade sui campi del lavoro, o dona i verdi anni alla patria e insieme il pianto dell' orbata famiglia, un plauso, un fiore oggi il mondo non ha. Passa ed oblia…. Ma dal petto materno il bambinello stacca le rosee labbra e la manina che mollemente vi premea: col guardo già natante nel sonno, il noto volto cerca, e par che sorrida, e poi con lungo sospiro s' addormenta. In lui s' affisa ancor la madre un breve istante, e quasi temendo di destarlo, appena appena sfiora col labbro delle fascie il lembo. Indi cauta l' adagia, e all' interrotta opera torna, ché in quell'ora il triste bisogno ella non sente, e non l'acuto strale d' invidia. Non cosí serena forse dalle lucenti inclite sale torna l' altera gentildonna. Il piede, affaticato dalla danza, è schivo della remota soglia, ove alla casta e vigil cura delle ancelle affida, con previdente senno, i dolci figli…. Pallida e fredda sotto un niveo manto giace natura; e tu cosí giacevi: pallida e fredda sotto il bianco velo che la mia man trapunse. Ora t'accoglie questo marmo, su cui siedo e sospiro. Fin che il sole d'autunno alle morenti zolle concesse un fiore, io di ghirlande questo sasso adornai: squallide anch'esse, quasi un ultimo addio, le disseccate foglie intreccian fra loro. A te la madre, poi che fior piú non ha, consacra un carme. Ma quando alfine mollemente il lene soffio d'april risveglierà, con lungo palpito di desio, la terra amante, te né il materno bacio, né la cara voce d' amore scoterà dal sonno! Sett' anni son trascorsi, eppur m' adduce, o mia dolcezza, qui sempre un eguale dolore, e mai non vi ritorno senza che pei commossi visceri non senta scorrere un brividío, come nei giorni che presaga di te mi fece il dolce fremito ascoso. È forse arcana questa corrispondenza d' amorosi sensi! O sia che d' altri mondi pellegrino erri il tuo spirto, e, memore del caro nativo albergo, a confortarmi il volo inchini; o sia che ne' siderei campi d' un astro in seno mi contempli, al tutto morta per me non sei! Sento che insieme noi rivivremo. Questo marmo, altare sacro al mio cuore, me vedrà nell' ora triste del dí che muore, co' miei figli tornar sovente, e le infantili inchieste appagando, ripetere il fugace tuo passar nella vita, il tuo vanire qual sogno del mattino! Oh te felice che ignote cose abbandonasti! Innanzi a te mai non sorrise la speranza bella e fallace, e all' atterrita mente non dardeggiò lugubri lampi il Vero! Mosso dal cenno dell' Eterno, scende l' angelo della morte, e pass, e tocca. Io nel silenzio della tomba ascolto. È un indefesso lavorío: tramuta parvenze alla materia, ed opra, e vive la natura. E lo spirito, il pensante spirito sol più non esiste! Quella potenza di voler che alla materia detta le leggi; quell' immenso ardore di scïenza, di gloria, che già tutta mutò la faccia della terra, e incalza l' avvenire, cosí, come una bolla di sapone, vanisce allor che un soffio d' aria maligna, un microbio disgiunge la fragile compage che lo chiude! E di sí gran desio, di tante cure il premio è questo? Un breve istante, un lampo, e poi l'oblio, la cieca notte, il nulla? Ah no, no, non è questo! Ultima dea non è la Speme, nè i sepolcri fugge: siede compagna della Fede, e addita oltre il gran mar dell' essere l' eterno. 1) Invano! Questa poesia fu scritta in morte della giovinetta Maria Brillo. Sì come affida maggio i freschi odori all' aura mite e l' errabondo polline, tu diffondevi angelici tesori nel caro eloquio. Ed or taci per sempre! Allor che molle schiude il grembo la terra, e il cielo è limpido, e di mandorli in fior biancheggia il colle, e i campi odorano, ora invano per te fulgon le rose, invano i nidi garruli bisbigliano, a liete danze invan le desïose fanciulle corrono! Nella mia festa in amorosa gara m'offron doni gentili, e se n' abbella la mia povera stanza, e nel guardarli si conforta il cuore! Sopra tutti m' è caro un cilestrino vaso di vetro dal dorato labbro, dono materno. Io vi dispongo i fiori molli ancor di rugiada, ed ogni sera sento venirmi incontro il lor sottile olezzo, quasi voce d' amor che mi saluti. E quando a tarda notte m' indugio negli studi, in quel profumo s' inebria il senso, in una pace stanca il combattuto spirito si posa. Come gelosamente nutro in quel vaso i fiori, cosí tu, madre, la mia giovinezza pura serbavi nel tuo fido amplesso; cosí nel cuor m' alimentavi il germe della virtù, che poi soave incenso per la tranquilla mia casa spandeva. Ma quando piegan vizze le corolle i fiori del mio vaso, io li rinnovo. Or chi rinnova, o madre, le speranze? chi l' antica mia fede, che il mondo reo malignamente estinse? O vaga dello spazio pellegrina che i secoli trascorri in tuo vïaggio, che fia di questa polvere meschina su cui sí dolce piove il tuo bel raggio? Chi ti sospinse per l' immensa via? Ove tende il tuo corso, o stella mia? Invan ti segue l' avido pensiero! su la porta del Ver scritto è: Mistero. O mammola che su la zolla erbosa t' incolori ed olezzi amabilmente, la fragile corolla serba ascosa, temi il ritorno della notte algente! Vedi! laggiù s' infosca l' orizzonte, e sulla cima ancor biancheggia il monte. Ah, non ode! Ecco il nembo: intirizzita, appena schiusa le manca la vita! O de' silenzi amica, fra le tombe t' aggiri, e una pietosa illusïone ancor teco vi coglie questa superba vanità d' un giorno a cui meta è la morte, E tu, tu sei l' unico Vero della vita, forse! Velocemente fugge la Speme, e in suo cammino semina il Disinganno: Amore è un sogno tormentoso, e passa lasciando vuoto il cuore. Fin lo stesso Dolore consunto vanirà, se non lo nutra la tua virtù gentile. Tutto cangia, o s' invola a noi d' attorno. E tu ci resti sola! Dolce dei giovenili anni miei confidente, o pianoforte antico, con l' imbrunir del giorno ancor mi vedi tornare a te. Deh, quanto quanto diversa un tempo! Allor diffuso per l' aere sonoro il fremito s' udia di gioconda armonia. O se per lieve affanno flebili suoni ripetean le corde, era soave voluttà quel pianto. Così nel mite aprile la tenerella foglia s' ingemma e si notrica della stilla, che poi, gelida e lenta, presso il verno l' incurva e l' affatica. Pur mi rivedi ancora con dissüeta man cercar le note onde, bianca le gote e il petto anelo, per geloso furor Norma imprecava; quasi uu' eco di cielo mi giunge ancor di Polïuto il canto; e nel materno pianto scordo la Borgia e con Lucrezia piango. Ma da lunga vergogna e lungo danno s' io redenta saluto di Tell la patria, se incalzare io sento nella fuga precipite il tiranno, educatrice estimo questa dei suoni armonica favella, che il fremito dell' ira sola pur valse a suscitar nei petti, quando ogni altro linguaggio tacea vietato da crudel servaggio. Ma dove e quando avesti culla? Certo l' uomo dir non lo sa. Forse t'apprese nel primo spiro d' aleggiante auretta tra il fremer dei canneti? O in una blanda sera di maggio l' usignol destava al primo amante in cuore il novo inno d' amore? Favoleggiar gli antichi di Siringa ritrosa ai talami silvani, e del palustre rivo che l' incalzata vergine accolse nel mutato aspetto. Volle un Dio della cara ninfa serbata la memoria, e primo dalle canne congiunte trasse rustici suoni. Forse un alto concetto asconde in sè questo leggiadro errore, chè per la via del cuore più lieve approda il vero all'intelletto. Ma te, Diva, non cerca nei lucenti teatri il volgo illustre che di sè fa pompa. Nè te la giovinetta che procace nella danza trasvola, e il sen di rosa sente sfiorar da un alito frequente. Te nel solingo pianto cerca ed ama chi soffre, E tu sorridi alla fanciulla ancor tutta suffusa di pudico rossore nel segreto sospir del primo amore. Il tedio del cammino ed i foschi pensieri dilegui al pellegrino che ansïoso s' affretta con dubbio cuore per ignota via, se gli giunga improvvisa un' eco di lontana melodia. E quante volte l' artigian sospese la man su l' opra, e stette del lavoro oblioso se di gaio strumento o di cantor girovago la voce risuonò dalla strada. E quante vol te dei combattuti campi alle corrusca luce ti confondesti! Ei già ti sente in su l' alba il soldato, e balza, e l'armi veste, e ruina al cozzo delle irrompenti squadre, e tu l' infiammi; tu che sull' arpe dei criniti bardi pei gotici castelli, eternando dei forti le geste, ai ferrei ludi eccitasti le nordiche coorti. Dolce dei giovenili anni miei confidente, o pianoforte antico, ecco la notte il suo velo distende, e per la stanza vaga un raggio di luna. Addio! Nella fortuna varia degli anni, a te venire io possa con fermo cor! Prima di te disciolta in vivi atomi andrà la man che desta dall' inerte tua mole lo spirto armonïoso; ma non spenta sarò tutta con te! Chè il pensier mio varca il mar dell'oblio, e libero s' aderge in volo ardito altre mete a cercar per l' infinito. È linfa che di vivida sorgente sgorga perenne, e si devolve cheta, il verso onde al pensier serenamente parli, o Poeta; e fra tanto ronzio di morituro sciame, che, sorto di palude infetta, stende per l' aere il suo nugolo oscuro, torni alla schietta arte d' Italia, torni alla vitale arte onde un giorno, col pensier gigante, aquile eccelse, dispiegaron l' ale Virgilio e Dante. Ben rigermoglia in te l' alta semenza che lauri eccelsi a questa terra diede, o nobil cantor della scïenza stretta alla Fede! Trascorrere pel ciel presaghi suoni udisti, e incontro all'infiammata mente ti vennero divine visïoni dall' orïente: onde, qual faro ai naviganti scorta, irradïato dall' eterno lume, molta luce di vero a noi riporta il tuo volume. E noi, tua schiera, noi, cresciuti al grande esempio tuo, come ad altar votivo, rechiam su la tua pietra le ghirlande del mite olivo. 2) Ricordando Erminia ed Arnaldo Fusinato. Questa poesia fu scritta nell'occasione che Castelfranco Veneto poneva una lapide sulla casa abitata già dai due poeti. Sul mar degli anni l'ala faticosa batte, e lontan risale, il pensier mio. Batte l'ala, e rievoca, riscuote un popolo di sogni e di figure: aurei sogni d' un dí, sembianze note, ombre vaganti per quell' ombre oscure, dalla magia d'Amor tolte alle dure soglie vietate dell' eterno oblio. Ecco m' arride un cenno: Oh! siete voi, meco vissuti nell' età serena, voi, tanto pianti e desiati poi che degli eventi vi rapí la piena? A questa Terra chi mai vi rimena che un giorno fu nostro dolce desio? Voi, come figli, una Città gentile, donna di prodi e sapïenti, onora; e voi, commossa, in dissüeto stile, oggi la musa mia saluta ancora; la vecchia musa che l'odierno ignora, che dell' orpello ignora il luccichio. Sparvero ad uno ad uno quasi tutti color che meco impresero il vïaggio sul mattin della vita. Ahi, quanti lutti segnan degli anni il veloce passaggio! Di promettenti fior che scarsi frutti! Lo stanco vïator, poi che il miraggio svaní, si getta su la sabbia ardente, e venir meno la vita si sente. Pur nell' anima mia, che si confonde al gran mistero, e lotta in dubbio atroce, una quïete santa si diffonde, o mia buona, prostrata a questa croce; e mentre in pianto il mio dolor s' effonde, « Ci rivedrem » bisbiglia arcana voce, ed una luce che dall' alto viene tutta m' esalta in visïon serene. O madri, vi sovvien l' ora che udiste un vagito sonar nella segreta stanza, e dei lunghi affanni obliose, al tepor delle materne labbra e del seno riparaste il primo frutto d' amore? Intanto, insazïato il guardo dello sposo la mamma e il fantolino con muto eloquio accarezzava. Il cuore virtù nova commosse: è viva fonte d' ogni virtude amore! Voi saluta il mattino e voi ritrova Espero ancora su l' adorna culla. Deh, non scordate, nell' immensa gioia d' un sognato avvenir tutto di rose, le tristi sorti d' altri figil! Udite? Echeggian per le vie strepiti alterni di trombe e di voci, e scoppiano festanti grida, e accorre la plebe ovunque passi la funambola pompa: in sul paterno braccio levati i bimbi curïosi ammirano le vesti arabescate e i docili cavalli. Ahi, ma lo sguardo nostro, che sa, sotto l' orpello scopre e ne' scarni sembianti palesi indizi di miseria e pianti! Qual ramo che, divelto da salice o da pioppo, il buon cultore alla vite colleghi, effimero vigore trae da fecondi succhi in primavera, ma fulminato da gagliardo sole i teneri germogli al suol disperde; così si strugge invano, orba dci primi affetti in cui radice hanno l' opere belle, la giovinezza sterile di questi giocolieri infelici, chè niun veglia sovr' essi, ed il materno seno, l' asil più fido, non han che li ricovri! Entro gl' impuri ricetti dove pullula lo stuolo a cui negata è la dolcezza santa del casalingo foco, entriamo a sera. Vedi in tenere membra il lividore di cadute recenti e della sferza; mira, costretta a vïolenti moti vendicarsi natura, e la bella armonia di cui stupende plasmò l' umane forme, disdegnosa turbare, o ne' meandri sottili della vita precoci insinuar germi di morte. Vedi sparito dalle labbra smorte il mentito sorriso e le smorfie per cui proruppe intorno al languente di fame lo sghignazzar della pasciuta folla. Ecco una donna il fianco greve di prole a perigliar costretta, ignara ove ripari almen dai primi insulti del destino la creatura nel dolor concetta! Popol non è codesta vagabonda caterva; invan per essa dal servaggio risorse la cara terra che gemeva oppressa; patria non ha: raminga va per il mondo e muore, seminando per la sua lunga via l' ossa incompiante. È sterile fatica quella che lor disfiora la breve giovinezza, e da' lor giochi il mondo avido beve un malsano diletto che gli discende insidïoso in petto. Ah, non vider per questo i campi elèi la vigorosa gioventù ne' fieri giochi mischiarsi, il grave disco trattare e l' arco, o dei corsieri proni sui dorsi, ruinar tra i plausi! Sol quando, esperti di mollezze, il giogo accettaron di Roma, alla superba di schenobati e mimi detter gioconda folla. Allor, deposti i pepli decorosi, le greche danzatrici donavan filtri e voluttà di baci, ricercate sirene, alle lascivie di nefande cene. Itale madri, a voi ritorna il canto: Nel profondo Oceàno vive una vita portentosa, e avanza pel suo fatal cammino infaticata. Sovra le morte spoglie la vicenda dei secoli dispiega i piani sconfinati ove famose città sorgono poi. Così nascose voi ne' lari domestici, le sorti preparate alla patria. Vostra mercè cadran le miserande reliquie d' ignoranza: e non d' Alcidi o di procaci Amazzoni i portenti avran plausi e corone, ma l' opre sole onde l' umano ingegno le reluttanti forze di natura volge costrette ad alto e nobil segno. D' un gaudio altero e santo oggi il mio cuor trabocca, oggi per te la bocca che prima ti baciò discioglie il canto. Sei la dolcezza mia, il mio orgoglio tu sei: per te ne' versi miei fulge una fiamma ancor di poesia. Il tuo nobil sembiante, così dolce e severo, la luce del pensiero, ch' entro ti ferve, illumina raggiante, e m' arresta pensosa su la declive strada a mirarti, qual rosa ch' avida beva l' ultima rugiada. Ecco, sen viene a te l' anima mia: ma serena non è come vorria. Sul mio giardino passò la tempesta, non vi rimase più fronda nè fiore; curvò il dolore la mia bianca testa, in queste vene s' è spento ogni ardore solo mi resta, ahimè! vigile il core per più soffrir nella lenta agonia. Sei leggiadra, o fanciulla, e buona tanto, hai sopra tutte di modestia il vanto, e d' ogni vezzo agli occhi tuoi più vale il tuo nero grembiale. Tu l' indossi il mattin quand' esci fuori sul tuo verone a salutare i fiori; tu lo deponi a sera accanto al letto, quel grembiale diletto. Util compagno della tua giornata, se a' domestici uffici è consacrata, quel grembiale dell' opra femminile è divisa gentile; e se allo studio intendi, o la matita cantando tratti con l' agili dita, vien testimone d' ogni tuo pensiero quel tuo grembiale nere. Come i fior che n' adornan la cintura è la tua vita ancor semplice e pura; ma sotto quel grembiale batte il cuore…. Deh! non lo turbi amore! Attonita e di te quasi gelosa, al tocco animator delle tue dita dalla creta vedea balzar l' ascosa testa di Teresita. Le vedea tutta l' anima gioconda irradïarle dolcemente il viso, e ne' begli occhi la luce profonda del suo sorriso. Ma poi ch' io lessi sulla fronte pura, come in ispecchio, il virginal pensiero, involato credetti alla natura l' alto mistero! Ricordi quando con pietosa cura la mamma il velo bianco a me scingeva, e trepida paura mi si effondea sovra la guancia pallida? Giovine, bello e ricco di speranze, tu, baldo in vista e franco, sfavillavi dagli occhi l' esultanza per il possesso dell' ambita vergine. Ancor nel cuore quella pia scintilla, ch' ardeva in noi sì forte, negli anni tardi vivida sfavilla, e all' occaso volgiam securi e placidi. Non prevarrà contro di noi la possa temuta della morte; però che un giorno la congiunta fossa i nostri figli onoreran di lagrime. Bello è il sole, se fulgido prorompa all' orïente e, raggiando, dal solio balzi la notte algente: come cupido sposo, la terra ancor sopita bacia, e all' amplesso invita con fremito amoroso. Bello è il sole, se sfolgori nei meriggi fiammanti, quando le messi piegano sui campi biondeggianti; se con l' ardor fecondo imporpori i vigneti onde, fra nappi lieti, il cor si fa giocondo. Ma piove arcano fascino ei nel tramonto ancora, quando la vampa occidua l' ultime vette indora: vien per la cheta sera una voce sommessa, una gentil promessa che dice all' alma: spera! Cosí splende sul tramite di nostra vita Amore, che con mano benefica terge e ritempra il cuore: vaporoso e gentile sogno di giovinezza, negli anni ardenti ebbrezza, pace in età virile. Oh, beato chi 'l pelago varcando insidïoso, mira la sponda e il placido porto del suo riposo, e, sorridente in faccia, una donna diletta, che palpitando aspetta, e gli tende le braccia! Ribelle invano al facile invito di natura che lei chiama pel tramite sorriso dall' amor, tenta la donna il culmine superbo ove frondeggia il sacro allor. Meglio per lei nel placido asilo della casa aprir la mente ingenua ai semplici pensier, sacra all' altar domestico al ministero casto del dover! A lei ridon le grazie nelle pudiche forme, ed ha negli occhi il giubilo che dal cuore le vien, mentre a' suoi nati prodiga almo vigore dal turgido sen.

Nelle nozze di mio figlio

Torna, e sorridi alla tua casa antica, o Teresita mia, dolcezza mia! Dacché sei morta, qui giacque ogni cosa alla polvere, al tarlo in abbandono: dentro il bicchiere languiva la rosa; i passi lenti davan cupo suono; e tosto il cuore ti chiedea perdono, se a breve riso il mio labbro s' apria. Torna oggi e vedi: la tua casa antica d' un tratto si rifà lucente e bella, e salve par ch' alla fanciulla dica che il focolar diserto rinnovella; e tu sorridi alla nova sorella che in vista se ne vien soave e pia. Per lei rifulge alla mia stanca sera ancora un raggio, ancor per lei la vita mi ripromette un fiore, e al cuor che spera torna dell' opre la virtú smarrita. In dolce errore dirò: Teresita! pur sospirando; ed ella: oh mamma mia!

Nella nascita della mia prima nipotina

Si schiudono del ciel le porte d' oro, e cantan gli angioletti in lieto coro. Cantano in coro gli angioletti: addio, dolce sorella, che l' eterna festa e delle stelle il vivo scintillio lasci per indossar terrena vesta! Perché abbassi cosí la bruna testa, e ti fai velo delle alucce d' oro? Oh, non piangere! va, laggiú t' aspetta il bacio dalla mamma ch' ogni pianto rasciuga; e il babbo in suo pensier t'affretta ché de' tuoi vezzi egli anela l' incanto. Ma per la nonna, ch' ha sofferto tanto, pace sarai, sarai dolce ristoro. Oh, va contenta! e teco porta il riso della candida fede e dell' amore. Angel sarai laggiù di paradiso, benedetto nel gaudio e nel dolore; e per te sulla tua casa il Signore verserà delle grazie il pio tesoro!

Nella nascita della mia seconda nipotina

Vien dolce olezzo dalla siepe in fiore, e bisbigliano i nidi in suon d'amore. Oggi ci è nata una cara sorella, dicono i fiorellini, e fanno festa; sarà come la rosa altera e bella, oppur come la mammola modesta? Deh, non la colga giammai la tempesta, e il ciel la nutra di fecondo umore! Dicono nel giocondo cinguettio gli uccelli: Amici, un altro nido è pieno, benignamente lo protegga Iddio, e gli sian miti l' aure, il ciel sereno, sí ch' alla nova pargoletta appieno, siccome a noi, scorrano gaie l' ore! Ride un angelo, e dice: O fiorellini, sarà un tenero fior la pargoletta, e lieta come voi, lieti uccellini; ma non è vostra, è mia suora diletta: io sciorrò le sue labbra, io la perfetta fiamma d' amor le nutrirò nel cuore. Vien dolce olezzo dalla siepe in fiore e bisbigliano i nidi in suon d'amore.

Al medico Matteo Ceccarel

Rammenti il dí che me pensosa e muta per le sale guidasti ov' ha sua stanza multiforme il dolore? I mal frenati sospiri ti svelaron la profonda mia pietà. Quante e quante al mondo ignote arcane storie di virtú, di colpe! Quanti qui dai palagi incerta vece di fortuna balzó, che, disperando placar l' infaticata, ricordanza, bagnan di pianto l' origliere, e chiedono alla morte pietosa un tardo oblio. Più che lasciar la cara luce è triste mirarsi intorno sconosciuti volti e niun che possa raccoglier la sacra eredità dell' ultimo sospiro! Ma conforta un pensier: No, derelitto il povero non muore! Arde possente nell' umana progenie, arde una fiamma che la sublima! Carità lo accoglie come sorella, e non gli chiede il nome nè la fè, nè la patria. Ad ogni morbo un farmaco provvede, e, poi che indarno usò scïenza il suo poter dinanzi al fato indeprecabil di natura, d' una parola allieta almen la tomba. All' impero del mal ceda chi solo dubita e nega. Insane voglie il mondo inondano di sangue: irrefrenata libidine d' impero, inconscia fede di servil greggia….. Oh, ma fia breve errore! Amaro frutto al vincitore e al vinto matura il sangue! In mezzo al furïoso cozzar delle passioni, in suo cammino lenta e sicura Civiltà procede.
Triste fra tutte, al memore pensiero s' apre una stanza. Trepidante il piede vi s' inoltró, ché novo e doloroso spettacol vi appariva. Torvi aspetti o stupidi mirai; l' umana traccia ben sui volti scorgea, ma la vitale fiamma dell' intelletto, ahi! n' era spenta. Solo un bagliore vi splendea lugubre, come di lampo in negra notte, o come fosforato vapor che da palude sorga, s' incenda, tremuli e vanisca. Stridule risa e pianti e di preghiere discorde suono. - Or ecco, mi dicesti, ecco i reietti dal civil consorzio. Torto n' è il senno per ambagi vane; ancor non valse l' amorosa cura che li circonda a penetrar l'arcano nesso che avvince la spirtal favilla alla materia. S' inchinâr pensosi d' un Dio celato in queste menti i volghi: ma poi che il correr dell' età disperse cotesta almen pietosa fola, immite sorte li colse: da tenaci nodi faticati, scontarono con lungo strazio l' ignota colpa. Or sono oggetto di pietá, né lontano è forse il giorno che ardita mente penetri i difesi confini del mistero, e un' altra forza, conquistata a Natura, ancella guidi di Scïenza al dominio. E tu, Matteo, tu che d' Igea nell' util ministero secondi l' opra generosa, accetta che in te il mio canto onori la fraterna schiera animosa, cui la gloria è data de' più ardui cimenti, e vasto il campo a future vittorie. Oh, come ammiro l' ardore onde a strappar con dïuturna lotta i segreti di natura intende! Sconfitta, non s' arretra; il fuggitivo vero persegue indomita. Procombe talun sul campo; e a lui l' ignaro mondo nega la palma e i lauri ond' è sì largo ai vincitor cruenti! Ma l' ingrato mondo non curi tu, poi che si bella, sí radïosa immagine t' arride. Una Diva ti appare, e nel pudico amplesso ti rinfranca: essa l' eterno libro t' addita, ove leggendo, chiaro fu Vesalio, che primo il dotto ferro osò vibrar nella compage umana, ai cadaveri in seno interrogando della vita le leggi; e Acquapendente che dell' alterno circolar del sangue modo e ragion svelava; e quei che vide, alle chimiche storte ignota un tempo, la diffusa nel cerebro sostanza altrice forse del pensier. Di scherno invidïosi e increduli sorrisero alle nove dottrine; ma di viva fiamma splendono ancor, sì che ne scorge a rintracciar più ascose maraviglie.
Nobile patria! Dalle antiche mura parli di ferrea gente e d' alte imprese, parli di re guerrieri a cui la dura forza del tempo il nome non offese. Nè tu però, giacendo in ozi ignavi, sogni, ammantata di cenciosa boria! Ben la superba eredità degli avi ne' monumenti additi e nella storia ma ridesta coi tempi a novi studî, ma balda il sen di vigoria novella. nelle industri officine alacre sudi, mattiniera operaia e non ancella. Ferve la vita, urge il lavoro, immenso rombo d' opre si leva, e in larga spira, quasi colonna di votivo incenso, per l' aria il fumo si torce ed aggira. E tu pur, vecchio Lambro, ch' ai silenti chiostri d' intorno nell' oscuro letto solo accoglievi sitibondi armenti, ora inconscio ti pieghi all' uom soggetto. Deh, non ti gravi la mutata sorte! E l' onde esercitate, ad altre rive narrino, o mio bel fiume, che la forte longobarda virtude ancor qui vive! 3) S˙ Gerardo. Questo Santo, vissuto nel secolo XII, apparteneva alla nobile famiglia monzese de' Tintorii. Nella notte dei foschi anni s' inalba la visïone radïosa e pura, Ardean feroci amori, odii feroci, ferreo diritto possedea la terra, contaminata da delitti atroci, insanguinata da fraterna guerra. Porte di luce, or chi mai vi disserra a stenebrare la caligin dura? Fiamma di carità, per cui la sposa povera piacque al Poverel di Dio; fiamma di carità, tu d' animosa fede Gerardo accendi, e, nell' oblio di sè, con indomabile desio l' incalzi là dove gridi sventura. Passan le umane glorie: le disperde l' ala del tempo; ma non la divina fronda il tempo giammai spoglia del verde. Involge troni e scettri una ruina; e a te, Gerardo, il mondo ancor s' inchina, e salda, intatta, la tua gloria dura. 4) Sul Grappa. La più alta cima delle prealpi bassanesi, su cui s'innalza un tempietto alla Vergine. Dall' Alpi al mare, quanto il pian s'adima tra le fontane di Brenta e di Piave, il tuo si stende da quest' ardua cima occhio soave. Dall' Alpi al mare a te mattina e sera si rivolge una gente umile e pia, e dai cuori t' inalza la preghiera: Ave, Maria! Ave, Maria! In te nella distretta d' ogni sventura è dolce confidare…. Deh, il tuo popolo guarda, o benedetta, dall'Alpi al Mare!

Il giorno del perdono d' Assisi

Il vento infurïò tutta la notte: ecco, ora cede, e il raggio del mattino l' ultime nubi dissipa che, rotte, s' aggroppano qua e là sul giogo alpino. Torna a sorrider placido il Sebino: in cadenze melodiche interrotte s' alternan squille, per l' erto cammino salmodiando vien la gente a frotte. Salgon devote al tempio ove, pietoso, schiude un tesoro promesso di pace il Fraticel ch' a Povertà fu sposo. Tal dalla vita sul mar tempestoso ad un raggio di fede il nembo tace, e il cuore, stanco, trova in Dio riposo.

Il castello di Monte Isola

O fantasma d' un dì, vana è la sfida delle tue brune torri: in sulle mura non è più scolta, nè canna omicida, che di lontano incuta altrui paura. Minuscola famiglia in te s' annida di rosicanti, e nella notte oscura solo il gufo con sue funeree grida minaccia da' tuoi ruderi sventura. Que tuoi ferrei Signor son polve; è muto il suono della caccia; il trovatore non canta più sul tenero liuto. Ma in cima al poggio, sentinella pia, sta la Chiesetta antica: il pescatore passa e mormora il tuo nome, Maria.
O tu che sfidi i secoli, vecchio gigante immane, che dentro, nelle viscere, celi vicende arcane, dinanzi ti passarono come fuggevol onda le umane schiatte, e sparvero nella notte profonda; ma tu contendi agli uomini dell' esser tuo l'arcano: la curïosa indagine tenta scrutarlo invano. Eppur del credulo volgo il pensiero di cento immagini ti circondò, e il vuoto gelido del tuo mistero di vive immagini si popolò. Ritrosa e bella come fior di cardo crebbe una bruna vergin montanina: né giovine alpigian degno d' un guardo, né a molli cure ebbe la mente inchina; ma su pei gioghi dell' orrido monte solitaria vagava il giorno intero, all' ardua vetta la sua pura fronte fissa levando e l' avido pensiero. Sedea la notte all' umile verone dei ghiacci eterni a rimirar l'albore, cantando un' amorosa sua canzone, che dolce al labbro le fluía dal cuore. Ma un dí fu vista con accesa faccia su per le impervie balze palpitante, come se alfin, d' ignoto gaudio in traccia, volasse in seno a desiato amante; né piú conparve. L' alpigiano addita su l' alte rupi al cader della sera una bianca vagar forma romita, e recita devoto una preghiera. É la sposa del Pelmo, che all' amato amplesso ascende, su quell' ora bruna; e, pronubo, sul talamo gelato ride sereno il raggio della luna. Là dove, spettro pauroso, il forte castello ergevasi cinto di sgherri le ferrate porte, ora in devota gara il dí di festa le donne ascendono, chiuse nel bianco velo, in gaia vesta; e, fra il dir del raccolto e degli armenti, le vecchie narrano strane leggende di remoti eventi. Narrano di fantasimi nella notte vaganti, di sibili, di gemiti, di suon d' armi cozzanti; narrano che dovizie il tiranno celò, ma che preda al demonio fu chi cercarle osò. Quivi una donna sul costume atroce tacita pianse della sua famiglia, levando al cielo con supplice voce l' umide ciglia; mentre nell' alte stanze alla dolente del banchetto salian l' ebbre canzoni, o su dai valli un tempestar frequente d'aspre tenzoni. E cadde anch' ella nella sorte ria de' congiunti travolta, ella innocente: ma di lei parla con memoria pia quell' umil gente. Tra i castagneti foschi della valle umile sgorghi da un alpestre masso, e mormorando via fra sasso e sasso discendi al pian per tortüoso calle. Un dí dall' empia sanguinosa pugna che d' incendii voraci arse il paese, stanco quaggiú l' armigero discese per tergere al cavallo il morso e l' ugna; mentre giacean, sui rovi, insanguinati corpi, e fra rotti gemiti la nera notte scendeva, e invece di preghiera s' udian dei cani i funebri ululati. Or nell' alta quïete odo la pia preghiera e un lieto squillo di campane: benedicendo passan le Letane, e il popolo ripete: Ave Maria! Or tu inviti al lavoro: un forte aiuto provvidamente il tuo corso dispensa: domi l' industre ferro, ed alla mensa di franto grano prodighi il tributo. Nella grande afa il sole tormenta la campagna, che dell' ardor si lagna: ecco, una lieve effusa nube via via s' annera, e s' addensa in bufera. La sentono i cavalli sbandati alla pastura per la gialla pianura; la fiutan di lontano, le nari dilatate e l' orecchie agitate: poi tutti si raccolgono in atto di carezza, par che chiedan salvezza: s' aggruppano, si stringono (par che chiedan collo intrecciato a dorso. [soccorso!) Perchè cosí t' involi, o animaletto che guizzi come folgore sul muro? Oh, non temere! un popolar concetto te contro ad ogni insidia fa securo. Pure allegra non è quella tua bruna tinta, e nell' ombra la tua vita celi; passi e scompari al par della fortuna, e di mistero come lei ti veli. Forse a punto per questo il volgo t'ama, e presago ti vuol di ciò che brama; chè l' uomo, illuso da mutevol sorte, varca sperando ai regni della morte. Precoce, nel tepor di ricca stanza, tu schiudi il grembo, o mammola gentile, e spiri intorno una cara fragranza che ci trasporta ai giorni dell' aprile. Ma fitte brine copron la campagna, il cielo è grigio, e l' aëre gelato; vola pei tetti il passero, e si lagna, perchè non trova, o scarso, il cibo usato. Felice il ricco, che in tepida stanza gode ozïoso della tua fragranza! Ma triste è il verno, o mammola gentile, al povero che invoca il sol d' aprile! Ricco d' umor ne' lidi tuoi beati di vaghi orti decoro, tu diffondevi i petali arricciati simili a ciocche d'oro. Dall' angusta finestra ora la breve luce che assente il dí la tua corolla avidamente beve, ma il tuo fulgor perí; nè più del vento i fremiti odorosi nelle tiepide sere soavi compiran furti amorosi sulle tremule antère. Anch' io sospiro i liberi sereni del mio bel suolo amato! Penso limpidi laghi e poggi ameni, e risogno il passato; e curvo io pure questa bianca testa all' avverso destino, che mi sospinge rassegnata e mesta per doglioso cammino. Figlio dei monti, fui tolto ai liberi baci del sole; dei venti il fremito non più sentirò fra le chiome, quasi una dolce carezza, blando. Oh, de' miei poggi lene declivio, freschi oliveti, villette candide specchiantisi a gara nell' onde terse ed azzurre del mio Benaco! Invan fiorisce la terra, e ai vividi raggi, stridendo nei voli, rapide salutan le rondini il nido: nella diffusa letizia, io piango. Qui l' aria è greve; lenti pei calami da ingrato suolo gli umori ascendono: io penso, io penso i lavacri fecondi, e l' aure del mio bel cielo! Là, meglio l' urto delle onde e l' impeto cieco dei venti, se infurii il turbine, e sotto ad oscura procella tetra la notte sul lago cali. Come la mammola al soffio algente sembra che irrida, poi ch' a dischiudere l' impazïente grembo s' affida, inconsapevole la giovinetta cosí nel cuore lieti fantasimi facile alletta d' un primo amore. Di maggio ai tepidi baci, festosa come regina, il lembo fulgido scioglie la rosa, forma divina; ma più che il fascino della bellezza onde s' ammira, è cara all' anima quella dolcezza che da lei spira. Baldo alla fervida vampa del sole il capo altero leva il garofano sopra le aiuole, valido, intero; pur cede a Borea quando la brina soffia dal monte, e all' erba i gracili steli declina, e aggela il fonte. Ma nello squallido orto un pudico fiore perdura: sta solitario come un amico nella sventura. È sacro ai tumuli il crisantèmo, ultimo fiore, perchè rammemora l' addio supremo dell' uom che muore. Ridono i fior novelli, e nella cuna, come un fiore, il bambino: si gioconda il cuor che tutte sue speranze aduna sovra una testa bionda. Ma c' è uno strazio ch' ogni strazio avanza: vedere un bimbo da lento malore languir consunto nella chiusa stanza, come appassito fiore! Non posar su quei fili; è funesto a' mal cauti dell' uomo l' ingegno: fino ai campi del fulmin rubesto egli stese possente il suo regno. Su quei fili, ministri al pensiero, può colpirti improvvisa la morte. T' allontana: del verno foriero Orïone fiammeggia dal Norte. Io dogliosa vedrò dal balcone dipartirsi la schiera giuliva: sarà muta la dolce canzone che di gioia ora il tetto ravviva. Se di nave ti posi all' antenna, il nocchiero clemente ti sia: rondinella, ti regga le penne sovra i mari propizia Maria! Sprizza, guizza di repente su dal trepido orïente una luce porporina; palpitante la marina gonfia il seno alla carezza della brezza. Alba d' oro, alba rosata d' una fulgida giornata, o fanciulla, è il tuo mattino. Orsu! presto! Nel cammino non t' indugino le rose rugiadose; chè su in alto, al colle in vetta, sta il trionfo che t' aspetta. Orsú, presto! Fugge l' ora: sali sali, nell' aurora, e alla meta ti riposa radïosa! Quando sorser giganti e templi ed archi e fòri, e si cingean d' allori i togati mercanti, in santa costumanza la preghiera e il lavoro alla libera stanza crescean forza e decoro. Al suon della campana scopriasi il volgo pio, ed invocava Iddio a benedir la lana; ma se la martinella dal carroccio chiamava, fiera coorte e bella, la gioventù s' armava. Oggi non più dall' erte guglie tendenti al cielo, ma, tra fumido velo, da negre canne aperte vien l' appello. È gravoso, ferreo suon di lamento: par gemito ansïoso d' un' anima in tormento; o d' improvviso stride aspro sibilo acuto, qual beffardo saluto di dèmone che ride; e le plebi rimena, inauspicate e grame, all' usata catena ed all' usata fame. Oh, in alto in alto i cuori! Torni a chiamar l' arcana voce della campana! Orsù, lavoratori, sollevate la fronte: viene dall' alto un raggio, nè più la fame e l' onte vi saranno retaggio. Intatto avanzo d' un' età famosa, su la gotica fronte di questa casa, o mio veron, da cinque secoli vedi l' onda passar del fiume e rinverdir la sponda Forse qui dove siedo mirando lo stellato ed ascoltando il mormorio dell' acque, innamorata vergine posava sulla rigida pietra il molle braccio, ed in candida veste, effusa il crine, alla vigile scolta parea fantasma d' una pia leggenda. Oh, se memoria avessero e parola questi anneriti marmi, che misteri direbbero di quella età grande e feroce! Ma dal ferreo costume Italia sorse, e, cinta il peplo, cinta di Grecia le dorate bende, fu regina dell' arte. E forse allora queste tacite sale udiron canti di gentile poeta a cui l' austera dama non disdegnò piegar benigna l' orecchio e il cuore; ma per sempre mute ora son quelle voci. A rinnovati tempi, novi pensieri. Ecco, tra la ruina delle vetuste mura, sul cupo azzurro disegnarsi io vedo una torre; ma spettro pauroso più non incombe sulle plebi. Il dotto indagator dei cieli specula di lassú sostanza e forma d' altri mondi vaganti e d' altri soli, e ne sorprende la prescritta norma. Per cento campi omai secura stende l' ali sue la scïenza. Eccelse cime tenti anch' esso il poeta! A lui dischiude gl' inaccessi suoi talami Natura, a lui le ignote terre, a lui gli abissi e del mare e del cielo interminati. Se per monti e per selve più non vagano ninfe e satiri a frotte, e se celesti messagger più non finge al suo pensiero una nube che passa, una stella che cade; nel calice d' un fiore, nelle viventi fibre d' un insetto, negli atomi vibranti, nel variopinto scintillio degli astri, rapito l' intelletto l' alto Mistero trepidando adora, e pensa, e canta! O poesia, celeste arcano spirto, in queste ore ben io ti sento. Freme una vita occulta nel grembo dei pistilli, alle gioconde nozze vola la lucciola, ed il grillo sotto un suo padiglion di fili d' erba le brune aluzze dibattendo, esulta. Quando calano l' ombre, e tace intorno ogni suon di viventi, odo sommessa la tua voce, Natura: sento che si fa pura, sento che d' ogni affetto che l' adima l' anima si deterge, e si sublima! Là dove Monte Baldo di festosi pampini adorna e d' uliveti il fianco, talor godo fermarmi, e in quella pace della natura assaporar la dolce voluttà del pensiero. Escono intanto dalle sparse capanne all' opre usate i coloni, e d' un ilare saluto m' allegrano passando. Era un mattino di maggio, blando, e qui dall' erta io vidi scendere un vecchio, che sentir degli anni non parea la gravezza, ma guardingo moveva il pié, qual chi proceda in mezzo a tenebre, ed a sè dinanzi i torti avvolgimenti del sentier tentava col ferrato bastone. Avea la testa serenamente incontro al ciel levata, ed avida lo spazio interminato la pupilla scrutava. Ahi, la vaghezza di quel mattin sentia nel cuor profondo, ma non vedeva, il misero: negato gli era il verde dei campi, il vasto azzurro del firmamento, il noverar da lungi le note ville biancheggianti al piano. Da riverenza e da pietà sospinta, gli mossi incontro: - A te non giunga ingrata, buon vecchio, una preghiera: or che t'adduce per via cosi difficile? — Sorrise dolcemente, e mi disse: - A palmo a palmo questi sentier conosco; alcun timore non ti prenda di me. Vuoi ch' io riviva negli antichi ricordi? Ascolta: io sempre non vissi qui; lontane terre scorsi e in altre spoglie. Vedi tu quel piano ondulato laggiú? Fanciullo ancora, pascolando le capre alla montagna, su la valle di Rivoli famosa figgea lo sguardo, e nella notte ancora io sognavo battaglie. Il giorno venne d' appagar quel desio, ma già fortuna volgea le spalle al Bonaparte. Alfine questi colli rividi, e benedissi la mia marra e la greggia. A me d' intorno crebbero i figli de' miei figli, e molti laggiú ne copre l' erba del sagrato. Solo restai; ma fin ch'io vidi a sera illuminata dall' occiduo sole l' umil chiesetta del villaggio, al tutto non mi sentia deserto! Ora che notte eterna mi sta sopra, ora ben sento la tomba! — Ei più non disse, ed io pen sosa partii di là. Nel limpido sereno luceva il Garda, e si scorgean la torre di Solferino e i vertici nevati. Ma il mio cuore era triste: io meditavo sulla sorte di quei ch' anzi la tomba vel di tenebre avvolse. Al prigioniero entro il carcere oscuro un fil di sole parla di campi e fior, di tutto un mondo che per lui forse ancor vivrà. Non gaudi, non più pel cieco mai dalle rotanti sfere il linguaggio arcano, e non dei marmi, non delle tele i fulgidi portenti!

Alla signora F˙ F˙

O dolce amica, allor che sarà sciolta in polve questa mano, e il nome mio co' meditati versi, onde talvolta qualche lode sperai, copra l' oblio; leggendo questi fogli a cui gran parte di me fidai con lungo e saldo amore, pensa: Se le fallí l' ingegno e l'arte, non le fallí, povera donna, il cuore.

Arte sincera Pag. 1

Voli d' Icaro Pag. 5

Conjurant amice Pag. 9

Vegliando Pag. 13

All' amica d' infanzia Pag. 21

Sulla tomba della mia bambina Pag. 31

Vita vivet et non morietur Pag. 37

Invano! Pag. 41

Il mio vaso di fiori Pag. 45

Altair Pag. 49

Ad una mammola precoce Pag. 53

Alla memoria Pag. 57

Alla musica Pag. 61

Ricordando Giacomo Zanella Pag. 71

Ricordando Erminia ed Arnaldo Fusinato Pag. 75

Sulla tomba di mia zia Pag. 79

I saltimbanchi Pag. 83

A mio figlio Pag. 93

Il grembiale di Teresita Pag. 99

A Serafino Ramazzotti Pag. 103

Nozze d' argento Pag. 107

Amore Pag. 111

La donna Pag. 117

Trilogia domestica Pag. 121

Una visita all' Ospedale Pag. 129

Monza Pag. 137

San Gerardo Pag. 141

Sul Grappa Pag. 145

Sul lago d' Iseo Pag. 149

La sposa di Pelmo Pag. 155

Il castello di S˙ Zenone Pag. 161

Alla sorgente del Muson Pag. 167

Temporale vicino Pag. 171

Ad un miriapode Pag. 175

Ad una mammola d' inverno Pag. 179

Ad un crisantemo Pag. 183

Un alloro in esilio Pag. 187

I fiori Pag. 191

Bimbi malati Pag. 197

Ad una rondine che parte Pag. 201

Ad una giovinetta Pag. 205

L' appello al lavoro Pag. 209

Dal mio verone Pag. 215

Il cieco Pag. 121

Commiato Pag. 227