NUOVI VERSI
DI
FELICITA MORANDI

Offerti dall' Autrice a profitto della Scuola tecnica
femminile di Parma

PARMA
DALLA TIPOGRAFIA GOVERNATIVA
Agosto 1862.

Ahi misero colui che circoscrive Sè di questi anni nell' angusto giro, E tremante dell' ore fuggitive Volge solo al passato il suo sospiro. Principio e fine a noi d' ogni dimora Nell' esser, crede il feretro e la culla; Simili a bolla che da morta gora Pullula un tratto e si risolve in nulla.

Giuseppe Giusti.

ALLE PIETOSE ANIME
CHE IMAGINARONO E SCHIUSERO
ALIMENTANO E REGGONO
LA SCUOLA TECNICA
PER LE FANCIULLE POVERE
IN PARMA
QUESTI CANTI
PUBBLICATI
PER SOLO AFFETTUOSO SENTIMENTO
DI CUORE AMMIRATO E PLAUDENTE
SONO OFFERTI
DALL' UMILE AUTRICE

Di pace nunzia e apportatrice eletta, Sublime figlia del Pensier superno, Bacio la polve ove la tua diletta Orma discerno. Diva Pietade! Tu dal ciel natio Sul misero mortal spiegando i vanni, Dalla culla al sepolcro, ove è l' oblio De' crudi affanni. Sempre lui vegli e tempri o sperdi i guai Che gli avvolgon la vita in tristo velo, E additi assidua a' suoi dimessi rai L' iride in cielo. Del mondo al novo cittadin piangente Queti il vagito, e nel suo debil seno Si rinnovi il vigor, che di languente Il fai sereno. Tu sollecita madre a tutti sei, Ma il petto schiudi con amor più forte All' orfanello cui d' eventi rei Grava la sorte. Giovinetto, stranier come in deserto, S' innoltra ei nella vita, e a te s' affida; E tu al suo passo vacillante, incerto, Sei luce e guida. Tu di posar giammai non tieni a vile Nell' umil tetto ove il tuo pane apporti, E per lui spiri il tuo desir gentile Ai ricchi e forti. Oh! sol per te, di Provvidenza ancella, Una gioia ha quaggiuso anco il tapino, Cui l' affetto de' figli non abbella L' aspro cammino. Se morbo il coglie, alle sue coltri voli, Tergi il sudor dal suo squallido viso, Sei dittamo a sue piaghe e lo consoli Del tuo sorriso. E allor che, affranto dall' angoscia estrema, Accusa di fortuna alto la rabbia, La santa croce, di salvezza emblema, Porgi a sue labbia. Tu vegli al suo morir: l' ultimo vale Ei dona al mondo rassegnato e pio, Poichè gli hai detto che al dolor mortale È premio Iddio. E mentre preghi che l' eterno riso Splenda a quell' alma dell' esiglio uscita, Un angelo la reca in Paradiso D' onde è partita. Pietà sovrana! Come all' abbagliante Splendor del Sole il ciglio uman declina, Così vinta mi curvo a Te d' innante Figlia divina! Italiana!.. Alfin comprendo Questo nome un dì sì strano! Ho una Patria! Alfine apprendo Ciò che a lei deve il mio cor: Alma e mente io non ho invano Se le scalda il Patrio amor. Oh l' Italia! Oh nome santo Che ogni fibra mi riscuote! Io per te provo un incanto Che spiegare a me non so; Te invocando, ecco, le gote Il piacer m' imporporò. Chi mi strappa all' ignoranza, E del Vero a me favella, E indirizza mia speranza Dove mai non può fallir, M' insegnò che Italia bella Ancor io deggio servir. M' insegnò che puro il core, Forte spirto e attiva mano Dee serbar cui diè il Signore L' aure Italiche spirar; Che il bel nome d' Italiano Senza macchia dee serbar. Noi fanciulle non siam nate Per trafiggere nemici; Dita lievi ci fur date Le ferite a medicar: Siam sorelle agli infelici, Nostro vanto è perdonar. Alla Patria dunque anch' io, Cui conosco ed amo tanto, Consacrar vo' il viver mio Adempiendo al mio dover: Di seguir sarà mio vanto Di Virtù l'arduo sentier. Se tentata io fossi mai D' ascoltar tristo consiglio, Quel che a Italia mia giurai Questo cor rammenterà: Ed un cor d' Italia figlio Mai spergiuro non sarà! Nel silenzio, nell' ombra e nel mistero Sepolto è l' emisfero Cui tanta vita diè poc' anzi il Sole. È muta l' aura; e il bel disco d' argento, Gemma del firmamento, Anch' esso è spento. Tornato parmi nel gran nulla il mondo, Tant' è grave e profondo Il silenzio che a me d' intorno regna; Il mio solo alitar che più s' incita Dall' alma mia romita Parla di vita. Eppur non tremo io, no, fra tanta morte: Anzi, più lieta e forte Me stessa trovo; e su gagliarde penne Volando oltre le sfere il pensier mio, Disfoga il suo desio E parla a Dio. Ora che tutto ciò che esiste assonna Alfin di me son donna. È mia quest' ora! … e in essa ancor io trovo Il gaudio arcano ai liberi sol noto: Il giogo mio riscuoto E l' estro arroto. Invan sorte crudele a me fa guerra! Spine mi dà la terra, Ma un fior celeste i sensi miei conforta! Il carme sgorga dal mio labbro insieme Coll' anima che freme Fra duolo e speme. E fra il passato e l' avvenir mi getto Coll' avido intelletto: Del gaudio e dell' affanno i dì rimembro, Lacrimo e rido, e questa terra sprezzo Di che a me sempre il lezzo Pur fa ribrezzo. Evoco i morti dal gelato avello E seco lor favello; E colla voluttà de la speranza Mi stringo a loro con ferventi amplessi, Come se gir volessi Anch' io con essi. E ben domando di seguirli in cielo Cui sospirando anelo! Perchè tremar solo di morte al nome Alba di vita io chiamerò la morte Se spezza le ritorte Dell' aspra sorte! — « — Morir?.. Morir tu brami dunque, e noi Lieta lasciar tu puoi? Dunque non pensi al nostro amaro pianto Se ai nostri amplessi fossi tu rapita? Cara, per noi la vita Sostieni ardita! —» Così suonar odo i soavi accenti Dell' anime ferventi Cui stretta io sono in questo amaro esiglio. Ed il tumulto di un supremo amore Fugando ogni dolore M' invade il core. Oh! benedette Voi, genti amorose Che in vincoli di rose Strette soavemente ancor mi siete! Per voi mio spirto da sventura afflitto Esce più saldo e invitto Dal gran conflitto. All' amor di mie povere fatiche E alle speranze antiche Nel desio di piacervi ancor ritorno; E risospiro alla difficil meta Che anima di poeta Possa far lieta. Puro, gentil, simpatico È il mio diletto fiore Che più d' ogni altro è simbolo Di grazia e di pudore. Quanto è vezzoso e semplice! All' anima è simìl Che di virtude il balsamo Solinga accoglie e umil. Altri cantò la mammola In sua beltà modesta, E il fiorellin che all' anima Una memoria desta, Ma il ciclamino … Misero! Nasce, fiorisce e muor Senza l' onor d' un cantico, Senza un sospir d' amor! T' abbi il mio carme! È povero Ma pur sincero è almeno! Chè ben soave è il battito Che mi commove il seno Quando il tuo puro effluvio Ti svela a me vicin, Se di te in cerca aggiromi Fra i boschi, o ciclamin! Perchè ti celi, e incognito Fra i triboli del bosco, Tu preferisci vivere Ove dell' ombre è il fosco? Se la Natura provvida Tanto gentil ti fe', Perchè ne vuoi nascondere I pregi che ti diè? Qual pudibonda vergine Che fidanzata a un core Paventa in altri il palpito Destare dell' amore, All' alïar d' un zefiro Tu pure, o ingenuo fior, Chini il tuo capo roseo Qual preso da terror. Ma quel che di delizia Spiro tu versi intorno Al solitario attraemi Oscuro tuo soggiorno, E fra gli sterpi e l'edera Che ti fan ombra e vel Il color tuo rivelasi Al guardo mio più bel. T' ho colto! … Il bacio imprimere Ti lascia dell' amore; E qui sul petto posami Emblema di pudore; Di te fregiata accorrere Or voglio alla città … Ivi il mio fior vaghissimo Ciascuno ammirerà! Ma che? sul verde petalo Ti curvi impallidito? Ah, tu ripiangi il cespite A cui fosti rapito? Povero fiore! Un' utile Pietà per te non ho, Chè la mia mano renderti Al cespo tuo non può! Di possederti, ahi! l' ansia Crudel mi rese teco… Io non pensai che svellerti Dal tuo solingo speco Fosse al tuo giorno toglierti, Nè lo vedresti più. Funesto, ahimè, l' improvvido Affetto mio ti fu! Tu muori! … ma il balsamico Olezzo ancor mi dài! Ah, sebben vizzo, o misero, Quì sul mio sen starai, E d' umiltà memoria Mi serberai nel cor, Chè di pudor sei simbolo O mio diletto fior! Trista landa è la vita ove non brilla Che fuggitiva e rapida, Come guizzo di lampo, la favilla Che fra le dense tenebre Ci allieta il mesto cor. Nascemmo al duol, ma ancora alla speranza, E questa, ahimè! dileguasi Col tempo inesorabil che s' avanza. Il duol rimane, ed arbitro S' alterna col timor. All' uom ripete ogni ora che trapassa: « Polve animata, affrettati; « Non posar benchè sia tua salma lassa! « La terra dell' esiglio « Per poco ancor t' avrà! » Noi della guerra sul fatale campo Deh non gettiam le fulgide Armi chiedendo come vili scampo; La palma è pei magnanimi … Iddio con noi sarà. Su! colle pene battagliam da forti! La gloria non acquistasi Che diffidando impavidi le sorti; Fede ed amor ci guidino Al nostro eterno dì. O Amore e Fè, del Ciel duplice raggio, Misterïosa e provvida Luce che in petto all' uom nutri coraggio. L' aspro cammin rischiaraci, Salvi n' andrem così. Ave Maria! Tu che patito hai tanto, Che di Madre provasti affanno, e amor, Guarda pietosa chi ti piange accanto E versa in te sperando il suo dolor. Ave Maria! Povera Madre io sono Orba dell' uom che meco Iddio legò, Obblïata da tutti, in abbandono, Io tanta guerra sostener non so! Ave Maria! Per quell' immenso affetto Che tu portasti al figlio tuo divin, Pel duol che dal suo nascere il tuo petto Offese sin del Golgota al cammin. Dammi che anch' io, disconosciuta al mondo, Tanta angoscia del cor valga a soffrir, E in Te sempre, o Maria, trovi giocondo Effondere dell' anima il sospir. Ave Maria! Questo mio bel bambino Che ride e piange ed il perchè non sa. È il mio solo conforto, e a lui vicino Provo speme e timor, gioia e pietà. Guarda, o Maria, come in Te figge gli occhi, Come schiude il sorriso innanzi a Te! Par che l' anima pura in Te trabocchi E meco implori il Tuo favor su me! Quando l' uom del mio cuor sentì la vita Fuggirgli innante, mi parlò così: « Nulla ti lascio al mondo, o dolce Rita, Chè sol miseria il cielo a noi sorti. Ma ben ti resta eredità d' amore Ch' ogni altra vince colla sua virtù; L' onor ti resta, un pargoletto, un core Che t' amerà, te 'l giuro, anche lassù. Sempre al cader del giorno, o Rita mia. Della Vergin ti prostra al santo altar: Là piangi e prega … Quella madre pia Nessuna grazia ti saprà negar.« Ave Maria! Nel tuo beato nome L' ali raccolgo al mesto mio pensier; In Te m' affido, a Te sospiro, come Sospira al porto il pavido nocchier. O Madre mia! Sempre ha sperato e spera Quest' anima dolente a Te fedel. Deh mi soccorri, chè una tua preghiera Pe' figli tuoi divien comando in Ciel! Fu un sogno! …. Eppur nell' anima esaltata Sento riflesso della gioja il lume; Ancor la voce che mi fè beata Sento di un caro Nume. E l' avido pensier s' inoltra ancora Nel suo vaneggiamento e l' accarezza, Chè gli protragge di delizie un' ora La volontaria ebbrezza. Sola mi stavo in una landa oscura, D' affanno e di terror tutta commossa. Arido il labbro avea per lunga arsura E i brividi nell' ossa. E per l' aer deserto udia lontano Cupe sonar misterïose grida Cui risponder tentai: ma sempre invano Spinsi la voce infida. In fra i triboli indarno ond' ero cinta Io movea lento e periglioso il passo, E s' infrenava qual da ceppi avvinta Fossi ad immane sasso. Ma come brilla a pellegrin smarrito Insolito astro che la via gli indice, Ed ei con gaudio arcano, indefinito L' affisa e benedice, Presa così da giubilo repente Mirai venirmi incontro una facella. E più in essa io tenea le luci intente, Ella si fea più bella. E s' ingrandiva come il mite raggio Del sol che d' Orïente s' allontana. Poscia con rapidissimo passaggio Forma prendeva umana. Umana forma?.. Ah no! la fantasia Che alle celesti cose unqua non giunge D' umane voci e forme l' armonia Fino ai celesti aggiunge. Ma in quell' estasi allor, più che non puote Giovane mente imaginar, commisti Caratteri divini a cifre note Chiari da me fur visti. Era Colui che mi veniva appresso Tal che ridir non sa mortal parola, Poi che l' imago che invan seguo adesso Al mio pensier s' invola. Ricordo sol che di tremolo argento Le sue sembianze avean cerchio, e di vago Allóro un dïadema era ornamento A sua beata imago. Candor, pietade, sapïenza, affetto Sfavillavan dal guardo e dal sorriso; Ond' io nova sentii fiamma dal petto Imporporarmi il viso. Ei m' alitò tre volte in sulla fronte, Ed oh! qual lampo m' abbagliò il pensiero! All' intelletto mio l' ampio orizzonte Si dispiegò del Vero. Ed in quel punto i duri ceppi miei Disciolti andar io vidi infranti al suolo, Si ch' io sclamai pregando: « Oh tu qual sei Che sì mi togli al duolo? Angelo o genio sei? Deh, chi t' invia, O creatura che ministra vieni Di libertà, di luce, d' armonia E di pensier sereni? — » Ed ei, com' uom che l' altrui ben disia: « — Qual ch' io mi sia, figliuola, in me t' affida: A quella che vagheggi eccelsa via Ti verrò scorta e guida. Segui i miei passi; alla propinqua fonte Vien, ti disseta e nove forze avrai; Poi t' addurrò sopra il difficil Monte …. Un lauro ivi côrrai. — » Io libo! … Ah fora il nettare men dolce Dell' onda pura che nel sen mi scende; Ogni mia fibra essa accarezza e molce … Vigor novel mi rende. Qual per arcano senso a chiuso ciglio Uom corre obbedïente ove il conduce L' altrui pensier, senza temer periglio, Tal io seguo il mio Duce. Non si favella … Eppur continüato È ricambio tra noi d' alti concetti: E armonizzando in un accordo grato Si levan gli intelletti. Passiam colli e vallate e fiumi e selve Fra triboli, fra sterpi e fra macigni, Infin che udiam fra gli urli delle belve Canto echeggiar di cigni. Saliam l' erta del monte … ed oh, che veggio? Adombrato di lauri havvi un gran fiume Ove il candido stuol che quivi ha seggio Bagna le vaghe piume. Allora d' un sorriso anco m' allieta La guida mia gentile e poi mi dice: « Paga ti faccia la raggiunta meta … « Addio!.. Vivi felice! » E come nube suol cangiar di forma E in un balen la primitiva asconde, In bianco cigno ei tosto si trasforma E tuffasi nell' onde. Un grido di stupor quì forte io mando: Al bel sogno m' invola il grido mio … Invan l' ombra cortese io ridomando Che già adorai qual Dio! O pargoletto che i leggiadri cigli Piegasti al sonno sul materno cor, Tu che sì bene agli angeli somigli, Dimmi i tuoi sogni d' innocenza e amor! Come sorridon le tue rosee gote Sotto il guardo di chi vita ti diè! Par che il suo cor le più soavi note Palpitando sussurri, o bimbo, a te. Deh, fra le braccia che alla testa bionda Fannosi molle e tepido origlier, Qual voluttà divina ora t' innonda, Quale imagine arride al tuo pensier? Forse di genti degne sol del Cielo Vedi fecondo questo nostro suol? O pellegrino dal corporeo velo S' erge il tuo spirto ov' è l' eterno Sol? Oh di qual luce brillano i divini Tuoi sogni azzurri dalle aluccie d' ôr? I tuoi futuri nobili destini Leggi tu forse, o pargoletto, in lor? — « — A che mi volgi Ie importune inchieste O tu che preghi pe' miei lieti dì? Tu m' ami!.. ebben mi lascia la celeste Ora goder che il Cielo a me largì! « Deh taci, non turbar, deh, l' armonia Che imparadisa il tenero mio cor, Quando sul seno della Mamma mia Io sogno i baci del suo santo amor! — » Gran Dio pietà! Se in queste basse sfere Vuoi che trascorra lento il viver mio, E che sempre il mio core e il mio pensiere Passin da un rio dolore a duol più rio, Se vuoi che prona al fermo tuo volere Vegga morir sul fiore ogni desio, Ed, Amor mio, le Muse in bende nere Lasci´rmi anch' esse con beffardo addio. Se è tuo voler che afflitta io sia cotanto Perchè dei mesti a me togli l' aita? Deh volgi a me, Signor. Io sguardo santo! Al gracil fior da lunga arsura affranto Dài la rugiada che il richiama in vita. E a me una stilla negherai di pianto? Va, povera moneta, oltre il confino De la terra Lombarda omai salvata, Va, povera moneta; è tuo destino Di pianto esser bagnata. Ai poveri fratei che van migrando Ultimo e solo mio tesor ti mando. Trista e dolce memoria!.. Anco una volta Su te depongo il bacio mio fervente; Sacra mi fosti poi che t' ho raccolta Coll' ultimo sospir sovra il languente Petto del valoroso Che per tempo sì breve a me fu sposo. Or fa due lustri: era in quei dì cruenti In che Italia squassando i ceppi suoi Facea stupir le genti Co' suoi novelli eroi; Era in quei dì che agli Itali stendardi Fuggian dinnanzi gli stranier codardi. Al sen mi strinse il mio diletto Errico, Baciò il suo figlioletto E volò tutto ardir contra il nimico Portando a scudo i tre colori in petto. Ei « tornerò » dicea; dentro ma forte Mi tuonava una voce: « Ei corre a morte! » Era immenso l' amor che in nodo santo Già da un lustro ci unìo, Pur io non sparsi allor stilla di pianto, M' è testimone Iddio! Mi fece il patrio amor virile il core: Amor patrio potè più del dolore! Da quel dì sempre il mio core anelante Fu d' ogni nuova che dal campo uscìa. E quali avvicendate ad ogni istante Entro quest' alma mia Imagini sorgesser meste o liete, Donne d' Italia, oh voi ben comprendete! Col pensier nella lotta aspra, ineguale. Seguía gli almi campioni. Degli spïati venti a me sull' ali Cupo veniva il rombo dei cannoni. Un dì l' aer fu muto … Arriva un messo … Oh ciel! tutto è perduto! E del mio Errico non avea novelle!.. Al campo della strage allor volai, E al lume de le stelle, Brancolando fra i morti, io lo cercai. Ivi ch' ei fosse il core a me dicea, E trovarlo sperava e insiem temea. Fra que' corpi mozzati e sanguinosi S' udian lamenti e preci, urli e sospiri, Atre risa convulse, e spaventosi Affannati deliri. Una voce mi fè drizzar le chiome … Cara una voce proferi il mio nome! Corro … m' accosto. Oh vista! ahi rimembranza! Insanguinava Errico ampia ferita; Ma un raggio di speranza In me ritenne la fuggente vita. Ancora al mio diletto Un lieve soffio commoveva il petto. De' miei baci al vigor febbrile il ciglio Ei disserra, m' affisa e sclama: « O Pia, Vivi pel nostro figlio, E va superba della sorte mia. Per la Patria pugnando io son caduto, Ma sin dal Cielo ancor darolle ajuto. « Nulla mi resta … Mi spogliò il Croato; La coccarda ei mi tolse e le fè insulto; Solo questa moneta ei m' ha lasciato Ove di Libertade il nome è sculto. L' ironico pensiero Era ben degno di cotal guerriero! « Deh, tu la serba, e sacra sia memoria … L' estremo dono mio! Ma se verrà quel dì che per la gloria Del nostro suol natìo Dar ti convenga quanto mai ti resta … Non esitare … E dà pur anche questa! » Surto è quel giorno. — Al figlio giovinetto Il ferro io stessa per l' Italia ho cinto. — Senza pan, senza tetto Migra un popolo oppresso ma non vinto: Ora a questo, sebben leve ristoro, Vanne, o moneta, ultimo mio tesoro! Iddio! Chi snebbia il mistico Senso di tal parola? Il Ciel, la terra, l' etere Hanno una voce sola Per ricantar la gloria Che in tanto nome sta; L' uomo lo sente estatico, Ma stenebrar nol sa. Con vivo suon l' acclamano Degli Augelletti il canto, Della bufera il sibilo, Del fulmine lo schianto; Il serve, l' ama, il venera Questo Universo inter, Ma a Lui dinnanzi arrestasi La possa del pensier. Come di mezzo a un pelago L' occhio mortal si scaglia Nell' infinito spazio E lo confonde e abbaglia L' immensa luce, e all' avido Interminato errar Non sa scoprire un unico Punto su cui posar, Così il mio spirto lanciasi Su tue vestigia, o Dio! Fra campi inesplorabili Lo spinge alto desio, E per le sfere gli agili Vanni dirige a Te, Ma vinto è da quel fulgido Sole ove posi il piè! — Sovrano Ente che agli atomi Infondi arcana vita, Dinnanzi a Te la polvere Dalla tua mano uscita Si curva umile, e supplice T' adora suo Signor, E ti tributa fervido Un immortale Amor. Tu che soave un fremito Destavi nel Crëato, Tu che volesti ogni essere All' armonia temprato, Dammi una voce, un simbolo Che degno sia di Te, Fa ch' io mi valga a pingerti Quale Ti stampi in me. Oh, se al Tuo nome un cantico Erger sapessi, o Dio, Pari alla fiamma vivida Che accendi nel cor mio, Eco farebber gli angeli Della mia voce al suon, M' invidierebber gli uomini Il Tuo ineffabil don. Su queste paginette, o mia fanciulla, Si, vergherò miei versi, Ma di lieto da me non avrai nulla, Poi che a mestizia ho per destino il core Ed il pensier conversi. In questi fogli ove stan detti brevi Trovo, o mia bimba, la verace imago De' giorni d' innocenza e di candore Che a te volan sì lievi: Quando l' alma è serena, ha brevi note Il libro della vita: Ma ad ogni di un novello Foglio si svolge, e allor che il duol riscuote E intorbida la calma e il cor ci offende, Lunga la storia d' ogni dì si rende. Godi, o fanciulla, il viver tuo sì bello, Ove non è che riso e fede e amore; Ma pur disponi il core Al dolor che non manca Nella tela dei giorni. Oh ti rinfranca Contra di lui prìa che degli anni ardenti Provi gli aspri cimenti! Il santo Ver non oblïar giammai: Onora il saggio che in miseria giace; Pensa che tutti siam figli di Dio; Serba accesa nell' alma tua la face Della Fè che purifica il desìo E il voler drizza al bene: Così men gravi si faran le pene. Sempre te stessa con valor combatti, Nè scender mai colla viltade a patti, E sempre vincerai! Per lottar Dio ci pose in sulla terra, E la corona Ei non concede mai Se non dopo la guerra! Marcello, il soldato — Dal braccio mozzato, Che un occhio ed un piede sul campo lasciò, Con voce d' affetto — A un bel giovinetto Che mesto il guardava, sorrise e parlò: « — Perchè sospirando, fanciul, mi saluti? Afflitto mi credi pei membri perduti? Risparmia il compianto! ben lieto son io Del sangue che sparsi pel suolo natio! Tu ignori qual gioia s' asconda nel core Di chi della Patria difese l' onore. La Patria!.. La Patria!.. Tu forse giammai Che sia non pensasti! M' ascolta e il saprai; La Patria è quel tutto che intorno ti brilla; È in essa che in prima s' aprì tua pupilla; Per lei tu nascesti; ti nutre ella stessa; Ond' è che tu vivi, tu cresci per essa. La Patria è quel tutto che amasti finora, Quei campi, quei monti cui l' alba colora, Le piante, le case, le rupi, le valli, Que' fiori, quei frutti, de' laghi i cristalli, Le Chiese e le vaghe fanciulle ridenti Che ammiri bramoso con palpiti ardenti. È dessa la Patria che a provvida legge Affida il tuo asilo, tuoi sonni protegge; È Patria là dove dal labbro materno La fede apprendesti che devi all' Eterno: È Patria quell' aura che aspiri sì dolce Che il petto ristora, che l' alma ti molce. La terra che è letto de' cari tuoi morti, Tuo dolce idïoma, quel nome che porti, I dritti, i doveri, gli affetti, i bisogni, Le intatte memorie, le gioie che sogni, Son tutti in quei nome che amare tu dèi … Son essi la Patria … chè tutto sta in lei! Ben vedi che a torto rimpiangi, o garzone, Le membra perdute per tanta cagione! Quel braccio, quel piede, quell' occhio eran suoi: Fur misti e sepolti con altri d' eroi. Colpevole fora non giusto il compianto Per chi di sè parte le rese soltanto! E queste ferite che solcan la fronte Del vecchio soldato, son nobili impronte Che a voi della Patria rammentan la Storia, I vinti perigli, le lotte, la gloria. Dar lagrime a un sacro dovere compito Non è qual bramare d' averlo tradito? La gloria che splende sul campo d' onore, Che fiamma è divina, che pane è del cuore, Con gaudii supremi per nuovi ardimenti A fede immortale ne esalta le menti. Ah troppo la gloria non costa giammai!.. Pel suolo natale combatti e il saprai! — » Ansante era il petto — Del bel giovinetto: Nel bruno suo ciglio guizzava il balen. Baciò l' arsa mano — Del buon veterano, E tutto tremante la strinse al suo sen. « — Ho inteso, proruppe; — D'Italia son figlio: Le debbo difesa nel dì del periglio: Or sento che valgo, che forza ho novella: Son uomo!.. La tromba coi forti m' appella. Oh grazie, mio prode, che fosti al cor mio Di Patria la voce, l' Oracol di Dio! Rivo che lambe tenera verzura, Stilla cui pinge mattutino sole, Astri raggianti quando il dì s' oscura, Di gelsomini olezzo e di vïole, Di ciel sorriso, incanti di natura, Scintilla umana che ciò può che vuole, Belle pur son, sono ammirande cose! Ma non quanto gentili alme pietose. Onde voi, donne, che quì foste prime Onorata a voler fatta l' ammenda A quel destin che le fanciulle opprime Se da ignoranza e da miseria penda, Non isdegnate se di queste rime Offrirvi un serto dal mio cor s' intenda; E se non brilla per camelie e rose, Deh, guardate all' affetto, o generose!

Dedica pag. 5

La pietà cristiana. » 7

La figlia d' Italia » 13

La notte » 19

Il Ciclamino » 25

La Perseveranza » 31

Ave Maria » 35

Un sogno. Ode saffica » 41

Il Bimbo dormente sul seno materno » 49

Il Piarto » 53

La vedova del soldato che nel 1859 dà il suo obolo per l' emigrazione veneta » 57

Iddio » 63

Pel piccolissimo album di fanciulla decenne » 69

La Patria » 73

Alle Benefattrici della Scuola tecnica femminile in Parma » 79

FINE