COMPONIMENTI POETICI
DI
FELICITA MORANDI

A beneficio della civica libreria in Varese.

VARESE e MILANO
Presso la Libreria di Educazione
DI ANDREA UBICINI
1859.

— « No. T' inganni, o fanciulla, ella è sepolta
Ma non è morta: un popolo non muore. » —
Queste parole udii dietro le spalle
Romper da voce che sentia di pianto;
E mi rivolsi, e te vidi, mio grande
Amore, Itala Musa: eri velata
Tutta d' iridi sacre, e mi baciasti
La prima volta in fronte, e da quel bacio
D' improvviso sull'anima mi piovve
L' aura del canto e un' immortal speranza.

ALEARDO ALEARDI.

Addì 22 Dicembre 1858.

In dovere la Commissione di rendere pubbliche e maggiori che per lei si possano le grazie ai generosi che rispondendo all' appello con bella gara concorsero fin qui a gettare le fondamenta, ad assicurare nella nascente Pubblica Libreria l' esistenza d' una istituzione così a livello de' nostri tempi e d' un bisogno altamente sentito pel nostro paese, offerendole tale copia di libri che in meno d' un anno essa enumera 2500 volumi; ben le rende dal cuore quali le porgerebbe l' uomo che beneficato senta il beneficio, e le rende in nome della Patria, dell' incivilimento, dei presenti, e della più tarda posterità. Se però debbonsi grati sensi a chi zelatore d' un'opera eminentemente filantropica ed intelligente, impose volontaria contribuzione a sè stesso di denaro o di libri a promovere in questa provvida istituzione l' altrui morale ed intellettuale perfezionamento, quale omaggio non dovrà testimoniarsi a Colui che al benefico intento non solo oro, non libri soltanto, opere dell' altrui genio, sì bene offerisse le sudate produzioni della propria mente in lunghi studj esercitata, con quanto di utilità dalle produzioni istesse ne potesse derivare?… E se un Essere a tanta nobiltà, intelligenza, generosità formato, fosse una Donna anzi una giovane di belle speranze…. quale parola, qual lode sarebbe condegna a tanto merito?

E donna e giovane, anzi figlia di questo vago e diletto paese, è l' Egregia Signora Felicita Morandi che ardente di patria carità e sospinta dall' amore che forte in Lei ferve per tutte opere che onorano e favoriscono l' intelligenza, presentava la Commissione scrivente di non pochi pregevoli suoi carmi perchè si pubblicassero a favore della esordiente Civica Libreria. — Ottimo pensiero, da cui derivano come da feconda scaturigine mille altri pensieri e che per modo ti sorprende e mente e cuore da non sapere se meglio l' intrinseca sua nobiltà tu debba ammirare ovvero la santità dello intento! — Dell' una e dell' altro convinta la Commissione, esprime alla chiara Autrice co' sensi della propria ammirazione quelli della più sentita gratitudine, nella dolce fiducia, anzi nella coscienza che ai voti proprj quelli risponderanno d' ogni cuore ben nato, e che il Pubblico, giusto estimatore d'ogni opera che muova da filantropia e da Patriottismo, non tarderà retribuirla del meritato plauso.

Possano i carmi della Signora Morandi trovare facile accesso presso tutte le classi di persone non solo in questa sua Città natale, ma in tutta Italia nostra, chè ben ne sono meritevoli, chè dessi fluiscono da un cuore gentile ed educato ad ogni maniera di nobili, di soavi affezioni, che altro suono non danno che il dolcissimo di Dio e di Patria, di Fede e di Amore. Possa il di Lei esempio destare in altri cuori una nobile emulazione, e suscitare così alla nascente istituzione di ben molti e generosi mecenati. In tale convincimento s'allieta la Commissione di vagheggiare fin d' ora e salutare vicino il bel giorno in cui la Civica Libreria verrà aperta in pubblica Biblioteca, nè più Varese dovrà invidiare un tanto lustro, un così grande beneficio alle sue maggiori sorelle d' Italia.

La Commissione
Prete PIETRO CRUGNOLA.
Ing.re GIOVANNI SPERONI.
Ing.re CARLO CARCANO.

Egregia Amica!

Parecchi motivi m' inducono ad abbandonare lo Pseudonimo sotto il quale pubblicai la mia Ghirlanda ed altri scritti su vari giornali. E come chi dinanzi a periglioso passo stringesi peritante all' amico fedele che non l'abbandonò quando il vide intricarsi in disastroso cammino, io, nel deporre l' abito dell' incognito, tendo a te le mani e dico: « Vieni meco! » — Sì, mia diletta! parmi che il nome mio debba venir meglio accolto dal pubblico, apparendo unito al tuo onorato e benedetto; tanto più che questa mia produzione è volta all' intento di recare qualche utile, sebben lievissimo, ad una patria istituzione.

Io stetti lunga pezza meditando codesto mio divisamento, chè, conscia della tenuità de' mici letterarj lavori, temeva non si avesse a tacciarmi di presunzione per tale offerta. Ma poi, animata dal pensiero che gli uomini di cuore sanno cogliere anche un meschino mezzo donde si possa trarne il bene, venni nella fiducia che la mia buona volontà di giovare in qualche modo al mio caro paese natio, potesse salvarmi dalle beffe e destare ad un tempo emulazione in chi può operare assai meglio di me a suo vantaggio.

Tu il sai, ottima Amica, questi poveri Versi furono scritti nei momenti di riposo concessimi dalle domestiche occupazioni. Gravi cure affievolirono forse gli slanci alla mia immaginazione; però i miei canti furono dettati dal cuore temprato a tutte le gradazioni di dolori e d' intime gioje, di vividi affetti e di supreme speranze. E ciò che viene da tal fonte dee trovare un' accordo nelle anime delicate e buone come la tua. In questa convinzione sta la mia speranza di meritare compatimento.

La critica non potrà a meno d'appuntare in varie parti i miei lavori; lo so, poichè io ben conosco quanto studio mi manca per divenire non indegna seguace degli eletti figli di quest' arte divina in cui posi tanto amore. Ma quand' io vegga gli appunti muovere da coscienzioso, benevole ingegno, bramoso di correggere e non d'avvilire l' autrice, mi terrò riconoscente al mio critico, siccome ad un leale amico, ed i suoi consigli varranno ad incoraggiarmi nelle future mie fatiche.

Comunque avvenga, tu, che già mi ti serbasti affettuosa amica nei tristi giorni come nei ridenti, abbiti la dedica di questo mio libro, quale attestato del mio vivo ed immulabile attaccamento e della mia stima sincera e profonda al pari della tua virtù.

Milano, 1 Dicembre 1858.

Selicita Moraudi.

Siccome fiamma di consunta pira Svanito il sogno di mia prisca etade, E le balde speranze sorridenti, E quella fede anch' essa ingenua, pura, Che in sen diffonde una letizia arcana, E i palpiti soavi, e quegli incanti Che un nulla desta ad inesperto core, Tutto svanito!.. ed in lor vece intorno A me squallore e disinganno e morte, E avvilimento e pene e vuoto immenso, Che mai restava a me?.. Solo d'affanni Triste una vita a cui nemmanco un raggio Di cara speme, nè un pensier d'amore, Nè una dolce memoria omai brillava! E nelle notti insonni, all'ansia in preda Irrompente dal cor quasi fiumana Cui fu l'argine tolto, la solinga Mia cella percorrea. — Poi, fatta stanca, L' ardente capo sul guancial posando, Nella lampa che a me splendea vicina Fisso lo sguardo immoto, io mormorava: « Te pur consuma, o fida mia compagna, Il foco onde divampi… è ver, tu pure Rifulgi e muori… ma diffondi almeno Intorno a te la luce, e della notte Il fosco vel diradi… Utile ufficio A te fu dato in terra!.. a me la sorte Crudel, lo diniegò… Ben io respiro L' aura vitale ch'agita il Creato; Sento un impulso prepotente in core Che il mio pensier fa irrequïeto, e sempre Fuori lo adduce dallo stretto cerchio Che a me segnò il destino!.. Avvampo anch' io! Ma a che mi serve quest' ardor perenne? A nulla… Oh, peggio ancor, peggio che a nulla!.. Senza di lui, felice anch' io sarei, Chè il pane, il tetto, il vestimento, il sole A me non manca!.. Almen lieta, tranquilla, Paga d' oscuri giorni e di silenzio, Vivrei com' altri vive, senz'ambasce; Ammirerei senz' invidiar, quell'ente Ch'uomo s'appella, a cui diede la sorte Potenza e forza a sostener suoi dritti; A cui fu schiuso della gloria il calle, E che, chiamato a dominar il mondo, Può farsi grande e meritar l' alloro; Alla sua patria può sacrare il braccio, Il suo genio, il suo sangue, ed immortale Lasciar morendo sulla terra un nome! Oh! se quel fuoco ond'ho la mente accesa Spento si fosse coll'età ridente, Non sosterrei quest' accanita guerra Ch'or a me stessa movo, onde represso In cor fia il grido che dal cor mi sfugge! Chè mi fu detto, e il credo: — Non s' addice A spirto femminil l'estro de'carmi; E il mondo irride, insulta a genio ardito Che in donna splende! » Io sì dicea fremendo, E innanzi al guardo l' avvenir più cupo, Più tetro m' apparia, senza conforto! E i cari fogli ove sfogai gli affanni Del cor romito, alla splendente lampa Tremante avvicinai, sclamando: Ardete! E insiem con voi consumi quest' arcana Ansia che vi dettò!… Poveri versi, Figli deformi d' uno scarso ingegno, Nessun vi veggia, nè per voi derida I miei dolor, di che l' immagin siete! Sì, consumate!… — Ma la man ricadde A quel mio dir… Convulsa ella più strinse Le amate carte interpreti dell' alma, E quasi a torle dalla rea condanna, Le ascose al guardo mio… D' allor… oh sempre Nell' oppresso pensier sospinsi il carme Che prorompea fremente! Ma il di venne, E benedetto ei sia, che un forte ingegno, Un nobil core che i giudizi sprezza Del volgo ingiusto, a me volse l' accento, E; « — Canta, disse, che ti cal del volgo?.. Se il ciel ripose nel tuo cor di donna Poetica scintilla, arcano moto, Non soffocar quel palpito sublime! All' anelante spirto che in te ferve Libero vol concedi! Nella turba D' esseri nati a vegetar quaggiuso, Fra gli stolti che sprezzano la donna Delle lettere amica, v' hanno elette Anime nate all' armonia! Per esse, Per esse canta, o figlia! Elleno al suono Palpiteran delle tue meste note! — » Quando fur sciolti a me cotali accenti Dall' eloquente labbro, immensa gioja Le fibre mie riscosse. In me rinacque Vivido ancora il mio coraggio! All' estro Che prigionier gemea, l' argine schiusi.. Oh! da quel giorno io vissi, ed il creato Più vuoto non m' apparve!.. Se il suo riso Mi niega amor, del mondo anima e gioja, Se ognor costante in suo furor la sorte Da ogni ben mi disgiunge…. Oh! Dio mi lascia, Mi lascia questo ardor che ad alte sfere Il cor solleva ed al pensier dà vita! Sorgi, sorgi dai monti, o del Creato Ravvivator pianeta, sorgi, sorgi! De' zeffiri lo stuolo e la rosata Che ti precesse aurora a me fur nunzi Del tuo venir, e lieta anch' io t' aspetto. Oh sì, t' aspetto col sospiro ansioso, Col palpito ineffabil che m' innonda Nell' ora che precede il disiato Redir d' un caro amico, e fise tengo Le luci dove jer sì maëstoso T' alzavi a illuminar questo emisfero. Guardo quel punto colla tema in core Che tu repente schizzi inosservato Il primo de' tuoi raggi, e a me non giunga, Ed altri pria di me ti risaluti. A che dunque più tardi?… Ah, ti ravviso!.. Un punto d' oro… un mezzo disco… un globo! — O Italia, o patria mia, come ti rende Bella, divina, il sol! Come il tuo Cielo Di limpido zaffiro a te sorride Or che in lui splende l' astro che riscalda Il tuo terren di glorie! oh, meraviglia! Nè laghi tuoi si specchia, ed ogni raggio Par che doni ad ogni onda una scintilla, E di gemme ricopra e fiori e fronde(1) L' autrice scriveva questi versi in una villa ne' contorni della sua natale Varese, da dove scorgonsi varj laghi e innumerevoli colline, ridenti per vigneti e per giardini.. O diva luce! perchè mai non ponno Queste pupille rimirarti a lungo? Se, ebbra d' arcana voluttà, m' attento Ergere a te la mia pupilla, tosto Come da stral ferita, al suol ricade. Ben lo comprendo! Fissar Dio non lice A chi naque a morir. Tu, vera imago Dell' Eterno dator d' ogni splendore, L' ardito sguardo del mortal non soffri Che in te si slanci e posi. — Ebben m' aqueto. Pur che m' innondi il raggio tuo divino Che mente e cor m' avviva, all' infuocato Tuo disco reverenti le pupille Dechineranno umili. — Astro degli astri! In te sta quanto fu niegato all' uomo, All' uom che impera al mondo e che di Dio L' opra miglior si noma: La costanza, Vuo' dir; nè per mutar di tante etadi Rivolgi altrove l' amorosa faccia, E piovi i raggi tuoi su giusti e rei, Sempre benigno, e ognor la nostra sfera S' avviva per l' ardor che da te piove. Ma l' uomo… oh, l' uom ch'oggi sol brama il bene, Ed ama la virtù, la fè, la pace, E dal cui riso la dolcezza spira Come da un fior l' olezzo, alla dimane Torvo nel guardo, contraffatto e cupo, Sol delitto agognando, i suoi fratelli, Dio e la patria sua, stolto! rinnega. Pio, sublime un dì, vile nell' altro. Tu sol, faro perenne, oh tu, dal giorno In cui t'accese il Crëator Supremo Colla scintilla del suo raggio istesso, Egual brillasti e d' egual luce sempre Rifulgerai, finchè col soffio suo Dio non ti spenga. Ma che?.. ohimè! t' ascondi? Invida nube mi ti cela al guardo, E intorno l' aer si fa cupo e freddo… Oh, ma per poco! Or ora il fosco velo Dileguerà qual fumo, e tu più bello Risplenderai sull' Italo giardino! In simil guisa in questo cor ch' educa I fiori della speme e dell' affetto, Ov' arde la facella della fede, Sorge d' innanzi il nugolo del dubbio Che la luce contende… Mesta come La terra senza il sol rimango allora E sconfortata. Tremebonda io miro Foschi vapor che l' egoismo innalza… Pavento la procella delle crude Ire fraterne… Ahi pena! che morente Parmi allor la virtù del Sol che invoco, E all' avvenir senza speranza io guato. Ma l' angel che a custodia Iddio ci lascia, Coll'agitar dell' ali sue possenti Ogni sconforto, ogni timor disperde. Ecco! quel vel che il sol copria si scioglie; E l' augelletto che si stava muto, Or nuovamente a Lui consacra il canto E lo saluta; ed io rapita esclamo: Nell'avvenir d' Italia ho fede anch' io! Credo a quel Dio che diè la luce al sole. E che a noi vegli da quell' astro credo. Addio bel sole che all' occaso volgi Fra un mar di nubi che il tuo raggio indora! Va, reca luce ad altre terre e splendi Sovra chi, stanco del notturno orrore, Ti brama e invoca qual s' invoca Iddio! Va, getta un raggio sul deserto lido Ove l' errante pellegrin t' aspetta A progredir nel calle che lontano Lontan l' adduce dalla patria terra Dove tutto lasciò… Nel triste esiglio Amico il guardo tu gli volgi almeno! Astro divin! penetra fra le sbarre Del carcer tetro ove al lugubre raggio Di moribonda lampada, solingo L' eroe sospira che l' onor difese Di sua tradita patria… il tuo fulgore Una speranza adduca a quel meschino! Tramonta pure! Va, piovi i tuoi raggi Sul feral letto ove il desir supremo Ti appella d'un morente che infinita Credette in suo martir l' ultima notte Di sua mortal carriera.. — A lor risplendi Che desti soli fra il comun riposo, Senton nelle tenebre raddoppiata L' ansia pel caro che in battaglia spinse Stranier comando, e per estranea lite Versa quel sangue che potrebbe un giorno Comprar la libertà del suol natio. Va! il tuo fulgor sui miseri dispiega Cui non difende dal notturno freddo Una capanna amica, e in pochi cenci Avvolti e rattrappiti, al ciel tremanti Volgon le luci, ove per lor sì tardo È il tuo redir! Brilla, bell' astro, brilla Sovra color cui teco solo è dato Veder l' oggetto che con uno sguardo, Con un sorriso, con un solo accento Ad essi schiude un Paradiso in terra E tempra i guai, le pene onde s' intesse La debil tela che s' appella vita! Vanne, e richiama dal lor sonno al moto Popoli interi, e rendi a lor novello Vigor, nova lena e ardor più forte; La tua luce li allieti, e d' opre grandi Infondi ad essi col desio l' affetto. Addio, bel raggio, ombra eloquente e viva D' un Dio supremo! Oh quanto, quanto invidio Dell' aquila le penne e il forte guardo Con che si slancia ardita e in te s' affisa! E che non posso anch' io seguirti sempre In una stella, in una nube almeno?.. L' alma si slancia, accanto a Te si posa, Ma a terra giace avvinto il corpo frale! Il guardo mio si spinge altero e spazia Quale dominator dell' orizzonte Per le celesti vie… ma lo ritorna Ahimè! ben presto al suol l' aspra memoria Che è poca terra il mio retaggio in terra! Amo il creato inter, spero, confido, E fra tanta armonia sento una voce Che d' eccelse speranze a me favella! …….. …….. Ma tu ten' vai, divin pianeta, ed io Più non ti veggo; pur, fisa ed immota La mia pupilla guarda ove tu fosti! Tal noi restiamo a riguardar sospesi Il cammin dove un caro salutammo Che si partia da noì. — Più nol veggiamo, Eppur con ansia ancor guardiamo il suolo Su cui posò quel caro in dirci: addio! E il nostro cuor commosso, ancor ripete: Amico, addio!… ci rivedremo, addio! Itale mie sorelle! o vaghe figlie Di questa patria sventurata e grande, A voi, col carme che dal cor mi sgorga, Bacio d' amore invio. Deh non vi spiaccia D' una Lombarda il canto! Essa, fidente Nella virtù che l' alme vostre abbella, Non teme, no, da voi la vil beffarda Parola dello scherno!.. Le sue note Esili sono e muojono nell' etra Come il sospir de' mesti; ma sovente Un flebil grido mille echi riscuote E desta alle difese, alla battaglia! …….. …….. Donne gentili, cui possente affetto Per la patria dolente accende il core, A voi, cresciute fra il divin sorriso, Fra le armonie diffuse insiem coll' aura Che la vita vi serba; inspiratrici Di poesia, di civiltà maestre, E del destin ministre, all' erta! all' erta! La celeste scintilla che rifulse Bella e possente all' anima dei Sommi, Sì che il Sol della gloria ebbe quà seggio, S' offusca, langue, ed oscillando muore. All' erta, all' erta! io ne ripeto il grido. D' Itali il nome a che vantar, se indegni Di tanta eredità, volgenti al basso, Non ci tinge rossor per la caduta? Noi, noi che di saper, d' arti e di leggi Mastri profondi già chiamâr le genti, Noi che d' ignavia le tenèbre oscure Squarciammo al mondo ch' era in esse avvolto, Oggi tanto splendor, spento vedremo? Con sacrilega man, stolti! noi stessi Sull' alta scranna ove sedeva il genio Poniam l' usurpator traffico vile Che assorbe ogni pensier, e a tutti impone Calcolo e diffidenza; ed ogni speme Posiamo in lui, che sol amando il lucro, Vuole invilita la gagliarda idea Che l' uom rende simile al suo Fattore, E curvi tienci imitatori al basso Orgoglio di chi apprese un dì da noi… E siam poi morti!.. Chè rejetto e spento È ogni senso gentil, ogni pensiero, Ogni disìo che all' ideal s' apprenda. Per lui cenere muta è il divin foco Della figlia del ciel, che il cor, la mente Move ad opre ammirande, onde Profeta De' popoli il cantor fu un dì nomato! Pel traffico non è sacra memoria Di gloriosi tempi, non dolori Per causa estranea a' suoi guardati scrigni, Non speranze magnanime, non grandi Divisamenti. Ahimè!. tanto cademmo!.. Ma, per Dio! non è morta ancor la fede! Su, donne! voi rinnovellate i tempi Che l' Italia vantò! Come non avvi Senza armonia beltà vera e perfetta, Così l' amor, che ad opre insigni è sprone, Così virtù, valor, languendo vanno Senza il soffio gentil di Poesia. La caduta regina, o mie sorelle Rivendichiamo! Un nuovo seggio ancora, Un trono alla divina arte s' innalzi! Il domestico asilo il tempio sia In cui sfavillin di perenne luce Virtù, fede, ed amore! I pargoletti Che d' educar ci diè missione Iddio, Come l' aquila al sole, avvezzin l' occhio A quel fulgor che non conosce sera; Essi, crescenti sotto i nostri baci, Apprendano da noi come si debba Amare il suol natio, rendersi degni Di quella gloria onde rifulser gli avi! Col nostro spiro, che si mesce al loro, Assorban l' alme tenere, innocenti, La pietà per chi soffre. Il nostro cuore Comunichi a que' cor tenaci e puri Forti sensi d' affetto pei fratelli Che sdegnano incensare alla menzogna, Nè la viltà fa curvi, e al Santo Vero, Alla giustizia rendono quel culto Ch' altri volgono all' oro ed al delitto! Da noi, dolci sorelle, abbian que' cari Cogli esempi i precetti. Apprendan essi Come il coraggio tutto sfida e vince, Come non v' ha quaggiù verun tesoro Che dell' onor l' almo tesoro adegui! E tali sensi radicati in petto, Profumi ci daran di Poesia; Questi profumi un'energìa novella, Un ardor desteran giammai fallace Negli assopiti spirti, e la bell' arte Che la Patria illustrò, sarà redenta! Sorelle udite, udite! a voi l' Italia Nostra madre si volge e in voi confida! Tre volte, o care, benedice Iddio A chi rasciuga d' una madre il pianto! Sacro terren dove riposan l' ossa De' miei più cari che sparir dal mondo, Ti dà un saluto l' anima commossa Da duol profondo. Ti dà un saluto reverente e pio E te riguarda con affetto santo, Con duol e gioia insieme il guardo mio Cui vela il pianto! Tremante il piede sta sospeso, incerto Su queste zolle tue, care ai viventi, Chè crescon l' erbe di che sei coperto Su morte genti. Un bacio il cor t'invia, terra pictosa Che il sen dischiudi a ricovrar la salma Di chi nacque da te… Madre amorosa, Asil di calma! Ma dove in te riposano i diletti Ch' io di baci copria, stringea d'amplessi? Dell'amor mio fervente i cari oggetti Dove son essi? Oh quante spoglie tu rinserri, e forti Cuor che una volta palpitar col mio! Ora son morti al mondo, a me son morti… Vivono in Dio. Vivono in Te, Signore?.. Oh, tal fidanza È d' uopo all'alma orbata da' suoi cari! I sacrificj, i pianti, in tal speranza, Son meno amari! Ah! ben vi scorgo, benedette zolle Che li coprite!.. Sì, per me dan voci Il freddo marmo che dal suol s' estolle, E queste croci! L' una mi parla d' una dolce amica Che mi fu tolta appena il vergin core A me schiudeva in sua beltà pudica Pieno d'amore. L'altra ripete il nome prediletto Di chi morì da forte nei ridenti Giorni della speranza e dell'affetto, Sì presto spenti! E questa croce, su cui posa un serto Di bianchi gigli, di purezza emblema, Questo tributo da dolenti offerto, Memoria estrema, Addita il cener d' una verginella Che a Dio volava immaculata e pura; Il nome essa mi dà d' una sorella In Dio secura. Te beata, Luigia, oh, te beata Che a noi rapita, dispiegasti i vanni, Nè l' amara quaggiù tazza hai libata Dei disinganni! La morte ti salvò dall' aspra guerra In che fremendo lotta l' uman core; Nulla ti fece dubitare in terra Del tuo Signore! Io, disgraziata che al terren soggiorno Serbava il Ciel, vidi tra crucci e guai Sparir le gioie tutte a me d' intorno Che un dì sognai. Vidi……. …….. …….. ….. Vidi rapito al caro padre mio Il sommo dono della luce, e il pianto Velar quel ciglio che a me sempre un pio Schiudeva incanto. Vidi… ahi dolor ch' ogni mio duolo avanza, E che novello affanno in sen mi desta! Vidi morir mio padre!.. ahi rimembranza Troppo funesta! Mentre schiudea quel caro la pupilla A riveder del sol l' igneo fulgore E speme a noi redía d' una tranquilla Vita migliore, Morte crudel vibrava a quel diletto Il feral colpo!.. Dal mortal suo velo Lo spirto, ahimè, disgiunse… Io pure in petto Sentii quel gelo! Sentii di morte il tocco, e forte speme Di seguir quell' amato mi comprese; Ma il Ciel non volle a lui chiamarmi insieme, Ei sol v'ascese! Quando mirai la salma inanimata, Così dentro impietrai, che la pupilla Dal dolor fatta stanca, assiderata, Non diede stilla! Lieve è l' affanno cui sovviene il pianto! Io giacqui muta, immobile, stupita, Come attendessi che quel corpo affranto Tornasse in vita. Poi lo baciai… Queto ei parea dormire, Se non che gli occhi al ciel tenea conversi; Tolta da lui… Mio Dio! quale martire Io mai soffersi!.. Or quì sepolto ei giace. O sacro altare Che racchiudi il tesoro ch'io perdei, Ti schiudi a me!… riveggan l' osse care Quest'occhi miei! Deh! ch' io ravvisi l' onorata salma, Sola mia cura in terra e solo amore, Ch' io la ribaci, e sentirò la calma Tornarmi in core! E d' udir mi parrà con voce pia Parlarmi ancora il genitor diletto: « — Dal Ciel ti guardo ed amo, o figlia mia, E in Ciel t' aspetto! — » Deh, mia Bina, meco vieni Sulla cima di quel colle; Ivi son boschetti ameni, Ivi l' aura è pura e molle; Vieni!.. a meta del vïaggio Ti addurrò nel mio villaggio. Guarda, guarda! il campanile Ne scorgiam da quì… lo vedi? Corri dunque, o mia gentile; Il tuo braccio mi concedi. — — Oh il bel lago, il bel sentiero! Come spazia quì il pensiero! — È rapita la tua mente, Non è vero, Bina mia? Il tuo vergin core ardente, Che è pur nato all' armonia, Lieto nuota in un incanto Come udisse un suono, un canto! Ecco! il sole ora s' abbassa Dietro i tetti del villaggio; Che? tu siedi?.. sei già lassa? Su, mia Bina! su, coraggio! Al ruscel che si dilata Guarderemo un'altra fiata. Giù là in fondo a quel pendio Vedi mura in cerchio strette? Le capanne dell' addio Da più secoli son dette; Ivi accadde un caso orrendo… Camminando a te l'apprendo. Or fa un secol, queste terre Che si mostran sì ridenti, Fur teatro a lunghe guerre Di feroci e crude genti, Eppoi vennero in potere D' un Marchese forestiere. Costui, cupo nell'aspetto, Collo sguardo minaccioso, Con un cuor feroce in petto,. Non si dava mai riposo. Sempre in groppa a' suoi cavalli, Fea tremar e monti e valli. Ora, avvenne ch' egli un giorno Si scontrasse con Lucilla, Giovinetta del dintorno Ch' avea nera la pupilla, Chioma bionda, bianco viso E d' un angelo il sorriso. Nella bella gli occhi fisse Il terribile signore, Ed in tuon d' imper le disse: « — Il tuo Sir ti chiede amore, Giovinetta! invan si niega A chi vuole e mai non prega! — » A cotal strana favella La fanciulla si confonde, Ma innocente quanto bella, Si rinfranca e tal risponde: « — Il mio core è già promesso; Sposo Pier quest' oggi istesso! — » « — Che m' importa del tuo Piero? Egli è servo, io son padrone! — » Sì dicendo, dal destriero Balza ratto, e, qual leone Che s'avventa sull'agnella, Ei si slancia alla donzella. Ma un garzon sbocca repente Dalla siepe, e getta a terra Il marchese prepotente Che giammai non cadde in guerra, E a Lucilla così grida: « — Al tuo Pier, cara, t'affida! — » Colla bella stretta al seno, Già divora il prode amante Come folgore il terreno Che si schiude a lui dinante, Qual se un angelo a' suoi passi Sposti i rovi, appiani i massi. Giù precipita da un calle Come tigre inferocita…. Ecco! giunge nella valle Dove eresse un' eremita Due capanne ora deserte Di fogliami ricoperte. Ivi Pier s' arresta… Oh cielo!.. Non appena egli ha deposto Di Lucilla il corpo anelo, Ode un grido non discosto E il rumor di gente armata Che percorre la vallata. È il marchese co' suoi fanti…. Già s'innoltra, già li mira… Già lor sta feroce innanti, Già lor vibra accenti d' ira… Con lor solo egli dimora…. Ciò che avvenne il mondo ignora! Sol fu detto che furente Uscì il sir dalla capanna; Che palese fè a sua gente Quest'orribile condanna: « — In questi antri separati Moriran que' sciagurati! — » Da quel giorno niun più scese Là dov' hai gli sguardi vôlti, Perchè credesi in paese Che de' due colà sepolti S' oda un mesto mormorio Che risuona: Addio!.. Addio! Pari a marmo che spira la vita Di vezzosa angioletta dormente, Nel suo velo rinchiusa e sopita Giace Lina, la bella demente; Il suo crine foltissimo e nero Giù discorre dal molle origliero. Ora… guarda! dall' umil giaciglio Si solleva con dolce sorriso. Che mai vede?. L'ardente suo ciglio Perchè immobil nel vuoto sta fiso? Par che un detto, un arcano concento Le disveli un sublime contento. Il suo labbro si schiude…. Che dice? Quell'accento confuso chi spiega? Forse l' ansia del core felice Di discior la favella le niega? Ma che dunque le inostra le gote? D' onde mai quel tremor che la scuote? Ah! che avvenne? Un tremor improvviso Si diffonde sul vergin sembiante! Chi, crudele, ha in suo nascer reciso Quel piacer che beolla un istante? Mira, mira!.. le torna il pallore, Ella soffre un tremendo dolore! Sciagurata! le luci travolte Gira intorno atterrita, e repente Fra le morbide chiome disciolte Ella scaglia la mano fremente, E un sudore gelato le stilla Dalla fronte sull'arsa pupilla. Or s' aqueta…. s' allenta la mano Che ricade sul pavido core, Dal bel ciglio scomparso è l' insano Fiero lampo che desta terrore Ella piange…. Guardate! dagli occhi Par che il duolo dell' alma trabocchi! Come a rosa curvata, avvizzita Sotto l'urto di fiera procella Queta pioggia ridona la vita Del suo prisco vigore ancor bella, Tal di dolce mestizia l' incanto Par ritorni alla Lina quel pianto. Ma chi è dessa? chi al giorno la diede? Dov' è nata? qual fu la sua culla? Qual dolore mai dunque sì fiede L' alma pura di questa fanciulla? — Oh! se tanto vi cale, m' udite, E di Lina al destin compatite: = Ella naque in Lombarda cittade, Ella è figlia d' un prode soldato Che periva in estrance contrade D' una croce d' onore segnato; E colci che le diede la vita A' suoi baci primier fu rapita. Lina crebbe; ma il guardo, il sorriso, Fu il suo solo più chiaro linguaggio; Ella è muta!.. Il suo cuore diviso Da' suoi cari ed orbato d' un raggio Di speranza, di fede, d'amore, Presentì di sua sorte l' orrore. Prescntì che, siccome la luce Di quel sol che per tutto si stende, Un amore nel mondo riluce Che nell' alme più vivo raccende La potenza di dolce favella… Or, codesta mancava alla bella! Pure un giorno… oh qual giorno per lei! Nel suo sguardo uno sguardo s' affise Che pareva dicesse: — Tu sei Quel bell' angel che in sogno m' arrise! — L' alma sua di letizia fu scossa, Ella amò… come donna amar possa. E vegliando e dormendo, quel vago Dalle ciglia in lei fise scorgeva; Sempre, sempre dell' unica immago La sua fervida mente pasceva, E il suo cor, benchè triste ed oppresso Un sol palpito aveva per esso. …….. …….. …….. …….. …….. …….. Sulla soglia d' un' umil casetta Che si specchia nel lago Verbano, Una sera, pensosa, soletta Stava Lina. Una morbida mano La sua mano costringe, ed innante Le sorride l' amato sembiante. Egli parla… La povera muta Nulla intende… Lo guarda smarrita, Poi, meschina! col gesto si ajuta, Sua sventura con esso gli addita, E una lagrima dice al garzone Come in lei ferva un' aspra tenzone. Ei stupito la guarda, poi tenta Scongiurarla che a un tenero core Far ricambio d' amore consenta. Ella accenna: « All' altar del Signore Mi conduci, o gentil giovinetto, Là vuo' darti la fede e l' affetto. » Da quell' ora la povera Lina Non più vide l' amato garzone. Il dolore la vinse… Meschina! Colla speme smarrì la ragione! Da quel giorno or s' allieta, or s' adira, Or l' affanno, or il gaudio respira. Vecchio Filen, che presso il Cimitero Sul suol riposi la tua salma lassa, E invochi la pietà dello straniero Che guarda e passa, Sei sì meschin, sei cieco, sei sciancato, Morir vedesti i tuoi che amavi tanto, Eppur, quasi tu fossi appien bëato, Disciogli un canto? Dunque sì freddo tu serbasti il core? Non soffri? Non deplori la tua sorte? Sì lieve ha forza contro te il terrore Di lenta morte? » — « — O mio fanciullo! e chi, chi mai ti dice Che nel mio cor non ferva atroce guerra? Sol perch' ei canta chiami l' uom felice Su questa terra? No, che indurita ancor non è quest' alma! Io soffro ancor; ma sempre fido in Dio, Ed Ei pietoso mi dà pace e calma Nel patir mio. Son solo, solo!.. povero e malato, Nè mai la voce d' amistà ch' io senta! Per fin la luce ch' anima il Creato Per me fu spenta! È ver, fanciullo! tutti i cari miei Giacion da un pezzo muti in campo santo; Lagrime più non ho…. tutto perdei, Restommi il canto! Questo, sol questo è il dolce mio conforto; Di lui mi pasco, e in Dio per lui rapita L' anima scorge men lontano il porto Dell' altra vita. Oh! se non fosse la fiducia pia D' un avvenir che in gioia il duol converte Vivrebbe forse ancor la spoglia mia Cieca ed inerte? No, no, fanciullo mio! d' ira furente D' ineffabile angoscia affranto, oppresso, Avrei la vita troppo, ahimè, dolente Recisa io stesso. Ma quel Signor che sovra il mondo intero Rifulgere fa il sol che tutto avviva, Il raggio suo divino al mio pensiero Dolce largiva. E dentro mi suonò voce nel core Che a soffrir, a sperare in Lui m'apprese; Voce d' amor, che me nel mio dolore Tranquillo rese! Sì, quella voce mi ripete: Attendi! V' ha dopo questo un mondo ove infinita È la gioia di lor che in crucci orrendi Tesser la vita. Ed io lo credo, chè non può mentire Voce straniera ai sensi…. Ecco il segreto, Fanciullo, io ti svelai, che nel soffrire Mi rende lieto. — » O speranza, speranza! dolce amica De' primi giorni miei! L' imagin tua sì bella e sì pudica Più non iscorgo!.. Ah ch' io già ti perdei! Rimasi senza te su questa terra Dove scherno sol regna e disinganno, Dove non è che guerra! O speranza, speranza! allor che il core Al primo io dischiudea sospiro ardente, Ti vedeva in soave atto d' amore Posarti sorridente Vicino a me, che all' ombra de' tuoi vanni Lo spirto irrequïeto Calmava coll' obblio de' lievi affanni! Or dove sei? chi a me già ti rapia? Perchè m' abbandonavi?.. Gioia, sorriso, calma ed armonia Piovevi allor su me… Tu in me quetavi L' ansie crudeli… Ora son mesta, mesta! Nè tu più mai ritorni, E il cor di pace vedovo mi resta! Quand' io piegava al sonno, tu, qual suole La madre col suo bimbo prediletto, Mi canticchiavi mistiche parole, Posando sul tuo petto L' innocente mia testa, e le tue dita Chiudevan mie pupille Alle tristezze, al duolo della vita! E in sogno m' apparivi in tuo vïaggio Ad una stella eguale, Ed io seguiva il candido tuo raggio, Librata sovra l' ale Dell' ardente, purissimo desío, E nel mio vol scorgeva il ciel dischiuso… Sorridermi vedea la terra e Dio! Sogni beati ed allegrezze sante D' un cor fidente, ah tutte, Sì, tutte io vi provai, ma un solo istante, Chè in sul nascer per me foste distrutte! Crucci, timori, pene vi seguiro E tenebre profonde…. Neppur da lungi or lampeggiar vi miro! V' avrò dunque perdute eternamente? Nè spento mai non fia Il vulcano che m' arde e cuore e mente? Oh speranza, speranza!. amica mia, Le tue visioni ancor dona a quest' alma! E il tuo pietoso inganno Le tornerà la sua primiera calma. O fanciulli! perchè tali grida? Qual sollazzo trovaste novello? Che inseguite? Qual causa vi guida Sulla porta d'un misero ostello? Per chi il torso che in mano vi sta? La minaccia, lo scherno a chi va? « — È una donna, — una donna risponde, — È una turpe, una vile creatura Che alle beffe di tutti si asconde; È un rifiuto di madre natura. Ben le sta l' ignominia, il dolor, Ella è infame!.. vendette l' onor! L'han cacciata in quel canto per terra; La vedete? Il furore la invade; Schizza fuoco dagli occhi ed afferra Ogni sasso che intorno le cade, Poi lo scaglia lontano da sè, — Imprecando a chi vita le diè! — » Ma tu, donna, che vedi tal scempio E l' approvi, e con voce sdegnosa Dài di scherno spietato l' esempio Alla bimba che in braccio ti posa, Mi rispondi; chi dunque sei tu? Hai tu vanto di rara virtù? Oh! seppur vereconda ed onesta Al dover ti serbasti fedele, Io ti sprezzo egualmente!.. mi desta Ripugnanza e dispetto quel fiele Che dal labbro, o superba, ti vien; Freddo un core t' alberga nel sen. Virtuosa!… perchè tu lo fosti? Perchè mite, benigna la sorte Non ti fece provar quanto costi Ad un fallo prescieglier la morte! Una madre i tuoi passi guidò… Tetto e pane a te il ciel non niegò. Tu, chiamata alle gioie di sposa, Dalla calma d' un dolce cammino Tolta fosti qual cespo di rosa Da un giardin per un' altro giardino! Ma colei… poveretta!.. al soffrir Naque, visse, e fu spinta a fallir! Dopo il fallo primiero, avvilita Fu quell'alma e ricadde più basso; Per lei spento era il fior de la vita Sotto il primo colpevole passo…. Un pietoso sospír non udì, E i rimorsi, infelice! assopì! Deh! pietade, pietade per essa Cui fu tolta ogni gioia pudica! S' ella è vile, ella già lo confessa; Che voi pur siete vili non dica! O fanciulli! l' insulto crudel Non si getta ad un fetido avel! Sì, la salma di questa infelice È sepolcro d' un'anima affranta; Ma quel grido che infame la dice Nulla giova! se or langue la santa Pura fiamma che Dio vi destò, Non l' oltraggio raccender la può. Oh! quell' alma non vive, ma sente Il dolore, il dispetto, il rimorso! Deh, fanciulli, alla donna soffrente Se prestar non v' è dato soccorso, Non rendete più grave il martir; Non la fate due volte morir! Deh! lasciate che ad essa una voce Parli un motto di dolce compianto; Forse allora quel grido feroce Noi vedrem raquetarsi nel pianto!… Forse in lei sta una fibra che al suon Pur risponde di pace e perdon! Forse in lei con un soffio di fede Si raccende la diva scintilla!.. Deh! siam miti! chi l' alma ci diede, Ci plasmò d' una simile argilla. A chi cadde e risorger non sa Diamo un guardo ch' esprima pietà! Pallida rosa, che sì bella jeri T' aprivi al sole, all'aura mattutina, E come una regina Sugli altri fior ti ergevi alteramente Di beltà rifulgente; Oh dimmi, perchè mai Non ti celasti appieno Dello spinoso tuo cespuglio in seno? Perchè sì bella agli altrui sguardi offrirti… Destar di te desio?.. Non ti vedea di spine armata, ed io Credetti a me t' offrissi; e te prescelsi Fra l' altre più modeste… Ahi sventurata! Dall' arboscel nativo io ti divelsi, Ti tolsi del mattino ai dolci rai, La fin t' accelerai! Sì breve è già tua vita! un giorno appena Tu regni, brilli, e il più soave olezzo A te d' intorno spandi. Un giorno solo Di rugiada, di sol, d' aura ti pasci Eppoi tue spoglie lasci Vizze cader, preda del vento, al suolo, Simile a debil core Che alla possanza cede del dolore! Poche ore sono ch' io ti colsi, e intatta Sorgevi dal tuo calice vezzosa, O mia diletta rosa, Come fanciulla che non ha d' amore Le pene ancor provate! Il tuo profumo, il vago tuo colore Ammirando gustai piena d' ebbrezza Senza avvertir la fragil tua bellezza! Oh, come presto essa languia!.. fatale A lei fu il tocco di mia mano ardente Come lanciato strale, Ferendo un cor, ne segna l' agonia. Povera rosa mia! Or di te che mai resta? Nulla…. no, no! più nulla… Sol nella mente una memoria mesta! « = Di chi sei figlio, o ragazzetto biondo, Che baldo e lieto per le vie saltelli, Come se fossi tu padron del mondo E ricchi e prenci a te fosser fratelli? Sei povero, n'è vero?… il vestimento Porti sdruscito e forse pan non hai; Forse hai congiunti che la vita a stento Trascinan lavorando… e allegro vai? = » « — Bel damerino, che onorar ti degni Di tua favella un monelluccio vile, E a raccontarti i fatti suoi l' impegni, Vo' soddisfarti in mio linguaggio umìle. Io son figliuol d' un rozzo popolano; D' uno di que' che voi, ricchi Epuloni, Sol usi in cocchio a passeggiar Milano, Chiamate plebe, e… Dio ve lo perdoni! È ver, siam poveretti, e dal lavoro Caviamo il pan che ci mantiene in vita; Ma che perciò?… Non è per noi disdoro, Se la tua sorte non ci ha Dio largita! Rido, saltello, corro per la via Perchè come un augel libero sono; O damerino! tu non sai che sia La libertà che a noi fu data in dono! Un simile tesor, che non ha prezzo, Mutar con vasto regno io non vorrei; Alla miseria ed al lavor m' avvezzo, Ma senza libertade… ah! non vivrei! Tu, in bel palagio, co' tuoi servi intorno, Sei guardato siccome un prigioniero. Al passeggio, al teatro, e notte e giorno Hai sol la libertà d' essere altero. Uscir non puoi senza un maestro a' fianchi, Che misuri i tuoi passi, i detti tuoi, E guai se togli da' tuoi guanti bianchi Le bianche mani e se saltar tu vuoi!.. O damerino! con pietà superba Compiangi a me che dalla plebe ho vita?… Vanne, e la tua pietà pei ricchi serba, Cui fu dal lusso libertà rapita! Iva romita un dì per un boschetto Cecilia, l' orfanella sempre mesta; Ella piangeva e china sovra il petto Tenea la testa. Gentile un garzoncel dal verde ammanto, Dal guardo azzurro, ver l' afflitta incede, In lei s' affisa e le si pone accanto, Poi sì le chiede: — « O giovinetta dalla testa bionda Perchè ti lagni di tua cruda sorte? Perchè, nell' ansia che il tuo spirto innonda, Parli di morte? Qual mai, fanciulla mia, qual mai t' incolse Somma sventura che t' invita al pianto? Chi mai dunque il Signore a te già tolse Che amavi tanto? — » A quel soave interrogar si scuote La pia dolente, e colle bionde anella Del crin cosparso, terge le sue gote, E tal favella: — « Tutto mi tolse Iddio! Su questa terra Padre non ho, nè madre, nè fratelli; Tutto la tomba il mio gioir rinserra Insiem con elli! Sol una suora al mondo ancor mi resta; Con lei piango i diletti che perdei; Lo scarso pan che il mio lavor m' appresta Spezzo con lei. Per lei sol vivo, e nell' aspro sentiero In cui siam spinte da un destino arcano, Comprese entrambe da un sol pio pensiero Ci diam la mano. Ma chi sei tu ch' hai sì raggiante il volto E brami udir gli affanni del mio cuore? Parmi che il guardo tuo m'abbia ritoltò Il mio dolore! Non più deserta ora m' appar la vita, Un raggio di piacer m' investe l' alma… Voce mi sembra udir che ancor m' invita A speme, a calma! Oh! d'onde vieni tu?.. dimmi, chi sei? Perchè mi volgi un così dolce riso? — » E il giovinetto in atto dolce a lei, Baciata in viso: — « Fanciulla mia, mi guarda! io sono tale Che Dio spedisce a confortar chi geme; Non è infelice appieno quel mortale Cui vado insieme. Un palpito soave io desto in petto Al poverello cui rivolgo il ciglio, Degli innocenti io poso sotto il tetto, Del Ciel son figlio. Vestii le umane forme, ma un divino Spirto son io che in Paradiso ho stanza; In me t'affida: Io sono il Cherubino De la speranza! Milla! hai tu visto presso il Sagrato Quel giovinetto che m' ha guardato? Dimmi, ti piace?.. Che bell' aspetto! Grande, robusto, snello, brunetto, Col portamento da Cavaliero, Col giubbettino scarlatto e nero, Coll'occhio vivido che passa il core… Dimmi ch' è bello!.. desso è il mio amore! È desso l'angelo del mio pensiero; Io l' ho incontrato nel Cimitero Che stava orando press'a una croce, Mesto, assai mesto!.. Con bassa voce Egli diceva: Deh, padre mio, Dacchè mi desti l'estremo addio, Il duolo opprime questo mio core; Son senza padre… Son senza amore! Io pur, ve', Milla, su quella terra Che di mia mamma la polve serra, Pregava, e il duolo, l' affanno mio Colle mie lagrime porgendo a Dio; Triste esclamava: Per questo core Che omai più resta?.. neppur l'amore! Egli mi vide, quel giovinetto, E con accento dolce d'affetto: Tu se'pur dunque, disse, orfanella? Rasciuga il pianto, fanciulla bella! Hai tu bisogno che t' ami un core? Amami, o cara, ch' io t'offro amore! Quelle parole l'alma mi han scossa: Io nell' udirle divenni rossa… Oh Milla, Milla!.. da quel momento Sempre ho in pensiero quel caro accento!… Da quel momento questo mio core Sentì la vita…. sentì l' amore! Deh! se il rivedi, queì giovinetto Grande, robusto, snello, brunetto, Col portamento da cavaliero, Col giubbettino scarlatto e nero, Coll'occhio vivido che passa il core, Cuardal ben bene!…. desso è il mio amore! Giovinetta dal vago sorriso, Dallo sguardo pudico, eloquente, Quale raggio ti brilla sul viso, Quale incanto t' inonda la mente? Qual t'avvolge diletto pensiero Di speranza, di gaudio foriero? Perchè mai quel sospiro sì mesto Mentre è lieto, o fanciulla, il tuo cuore? Perchè in lui tal battito s' è desto Di fervente, indicibile ardore? Forse quale t'aspetta destino Ti predisse uno spirto divino? No, che un Angel dal Cielo non scese A parlarti di sorte ventura!… Il mio cuore già tutto comprese, Già ti lesse nell' anima pura; Oh sì, in lei la mia fida pupilla Splender vede un'arcana scintilla! Come scosso da un limpido gorgo Veggo il fior che fra l' onde ebbe vita, Così l'alma, o fanciulla, in te scorgo Da soave lusinga rapita… Io la veggo fremente, inquïeta Riscaldata da fiamma segreta. O fanciulla! l' imago veduta Ne' tuoi candidi sogni d' amore Hai tu pure quaggiù rinvenuta!.. È per essa dischiuso al tuo core Novo mondo di gioie supreme In cui spinger non osi la speme. Tu pur ami, o fanciulla… Un eliso Sta rinchiuso in sì dolce parola; Tu vedesti lo sguardo, il sorriso Di chi vive mirando te sola… Tu la fede possiedi e l' affetto D' un ardente lëal giovinetto. Verginella! quel casto battito, Quel sospir che dal cor ti si sfrena, Quel desio senza posa infinito, Quella gioia ora mesta, or serena, E quell' ansia che involge tua mente Son scintille di fuoco possente. Di quel fuoco che al sole simìle Scalda, avviva ed infiora la vita; Ama sempre, ama sempre, o gentile, Poichè il cielo ad amare t' invita; Ma sia nobil, sia grande il pensiero Che ti guida d' amor nel sentiero! I Cherubi, cui tanto somigli, S'aman pur, ma dal sommo splendore Mai non torcono i vigili cigli! Tu in amar, Dio, la patria, l' onore Sempre guata, e li addita a quel vago Che si bea di tua candida imago. Ch' ei per te mai non ponga in obblio Il dover, nè a mollezza si pieghi; La sua terra nativa, il suo Dio Per viltade giammai non rinneghi. D'alte glorie a quell' anima bella, Sii la pura la vivida stella! Retaggio è il duol in questa grama vita: E chi non soffre, chi non piange e teme, Chi l'anima giammai s'ebbe smarrita Mesta, fremente in cerca d'una speme, No, non provava quel che in terra è dato All' uman core a palpitar creato! V' ha nella piena del dolor, nel pianto, Un mistico piacer che innalza l' alma, Che la rapisce in un soave incanto, In santa voluttade, in dolce calma; Chè nel soffrire il nostro spirto anelo A Dio si slancia e si riposa in cielo! Oh! chi giammai colla nemica sorte Lotta crudel sostenne, atroce guerra, Non sa la gioia di sprezzar la morte E i guadii arcani ch' hanno i mesti in terra. L'occhio che pianse, più lucente e bella Vede brillare una benigna stella. All'alma oppressa un guardo, un detto pio, Un sospir che al sospir di lei risponda Son delizie e speranze… e solo Iddio Può la gioia capir che allor l' inonda; Poichè v' han gaudii in questo basso suolo Sol noti al cor che Dio temprava al duolo. Dolce mestizia, che nel mio pensiero Poni la calma e vi ridesti il canto, Ti benedico! chè tu al giusto, al vero, La mente schiudi e la pupilla al pianto! Ti benedico, chè per te ben sento Nell'aura l' eco del divin concento! E con quell'eco amata voce insieme Sento ripeter ciò che l' uom non dice, Ad alte sfere drizza la mia speme E mi rende nel duol quasi felice, E parla a' sensi miei, m' invade il core Come l' olir di delicato fiore. Era sereno il cielo, e il sol cadente Col raggio porporin dava un addio A quest' Italia di beltà splendente, A questo suol, ch' è il nostro suol natio. Una fanciulla dallo sguardo ardente, Donde sfuggiva un pensier grande e pio, Figlio di vergin cor, di casta mente Che all' uom s' affida e si riposa in Dio, Lenta movea per ripido sentiero Solinga e mesta, ma sul bianco viso La speme si pingea con un sorriso. Parea che a lei la vita, il mondo intero, Un eliso schiudesse, un dolce incanto, Poichè rapita ella sciogliea tal canto: Chi volse a me tanto soavi accenti? Qual mai voce divina in sen mi scese? Come un eco d' angelici concenti Fin i battiti del mio cor sospese, Chi mai mi tolse a' miei pensier dolenti E cara destra a sollevarmi stese? Fu spirto ignoto alle terrestre genti Che i sensi miei, che il mio sospir comprese? Oppur delirio fu di fantasia, O vaga larva… sogno passaggiero, E gode nell'error l' anima mia?… Ah no! non erro io già, chè un' alma pia L' affetto mi giurò puro e sincero, Oh sempre, sempre benedetta sia! Così dicea la giovinetta, e intanto Premea la bianca mano sovra il core, Quasi l' uscita ad impedir di tanto Gioir che in lei sopiva ogni dolore. Ma scorse poche lune.. ahimè! l' incanto E la fede e la speme nell' amore Lasciarono quel cor, che solo, affranto, Privo rimase del vitale ardore. Come nel dì della speranza, bella, Ravvolta nel candor di sua purezza, Essa guatava il sol cadente, e in quella Luce che infonde ai sensi arcana ebbrezza Fissando i rai, sciogliea cotal favella Che dell' alma pingeva la tristezza: « — Ah ch' io sognai! Dov' è quell' alma pia Che a tanta speme mi dischiuse il core? Essa mi ripetea: « Sorella mia, T' affida a me!… rispondimi all' amore! Credi! egli è santo, è puro, ed il Signore Qual balsamo soave a noi l' invia; Aman gli spirti in ciel con tale ardore, E stranio a te cotal gioir non sia! » Dov' è quell' alma?.. Ch' io la senta ancora Parlarmi d' amistade e di fidanza!.. Favelli! sì, favelli ancor!… Ahi lassa! Passata della speme è la brev' ora! Perchè obbliai che sempre la speranza M' affisa in volto, e come larva passa? O rondinelle! il mesto pigolìo Che per l' aura sciogliete svolazzando Che dir mi vuol?… Ah vi comprendo: Addio Mi dite, e un altro suol ite cercando! Oh, come trista, o rondinelle, anch' io Il saluto ed il bacio vi rimando! A voi, con un sospir dal labbro mio Volan chiedendo: Tornerete?… e quando? Vi rivedrò?.. Mi troverete?.. Ah! l' ale Simili a voi m' avessi; e senza pianto Lasciata questa mia spoglia mortale, Altre sfere vedrei!.. Ma il core anelo Nel partir da una patria cara tanto, Altro suolo non sceglie: o questo, o il Cielo! Quanto per me sei triste e cara insieme Ora in che il giorno impallidendo muore! Tu gli estinti ricordi, e d' alta speme Misterïosa mi favelli in core. Come il giusto sorride alle supreme Agonie di sua vita, — in fra l' orrore Della notte calante, nelle estreme Curve del ciel, brilla del dì il colore. Benedetto chi in tale ora silente, Dando un sospiro a' suoi fratelli morti, Può sclamare in suo cor: Sono innocente D' ogni viltà presso i potenti e i forti. Servii la patria; al debole, al soffrente Porsi coll' opre e coll' amor conforti! Ben venga l' ora in che, chiamata a Dio, Quest' alma, spoglia dal corporeo velo, Dirà, volando, al triste mondo: Addio! E a' cari suoi: Ci rivedremo in cielo. Ben venga l' ora santa! io la desìo Come aurora d' amor che, rotto il gelo Onde fu stretto e oppresso il viver mio, Spanda luce e calor sul cuore anèlo. Vissi già troppo in troppo acerba guerra, E nel lottar già vacillò mia fede… Ma deh! Signore, in pria che poca terra Mi copra estinta, fa ch' io vegga almeno Quest' Italia dov' ebbi oscura sede, Stringersi lieta i lieti figli al seno! Spunta l'alba rosata. Ogni mortale O dorme o tace in suoi pensieri avvolto; Sol dell' ora che passa il lento vale Squillando, par che dica: « — O uomo! ahi, stolto! Su! ti riscuoti dal sopor letale! Ti scuoti in pria che t' abbiano sepolto: Al compimento di tua vita frale Qual frutto mai dal sonno avrai raccolto? — » Ma, chi è là?… Passaggiero, a che ti stai Vigilante a quest' ora in sulla via? Cerchi il sentier che a tua magion conduce? — — Non lo smarrii. Fiso co' stanchi rai, Ma colla fede in cor, la Patria mia; Attendo… che per lei rieda la luce!

Al lettore pag. 5

Lettera di dedica 9

L' estro in donna 15

Il sol nascente 19

Il tramonto 25

Alle donne italiane 31

La visita al cimitero 37

Le capanne dell' addio — Novella 45

La muta pazza — Novella 53

Sventura e canto 61

Alla speranza 67

Chi è di voi senza colpa scagli pel primo il sasso a questa donna 73

Povera rosa 79

Il monello ed il damerino 83

L' angelo della speranza 87

La confidenza 93

Il primo amore 97

La mestizia 103

Speranza e disinganno 107

Addio alle rondini 113

Il crepuscolo 115

Il voto 117

Attendo 119