Regina di Luanto

un Martirio

Romanzo

Torino
Roma

L. Roux &C. Editori



REGINA DI LUANTO

Un Martirio

ROMANZO

1894
L. ROUX e C. - Editori
TORINO-ROMA

FROPRIETÀ LETTERARIA

(1711)

12 novembre.

Curiosa!… Come ci si trasforma a poco a poco, come si cambia senza avvedercene d'idee, di sentimenti e di gusti!… Se tre o quattro anni fa mi avessero predetto che mi sarei decisa a scrivere il mio giornale, avrei risposto con una bella risata. Invece, oggi, il pensiero di crearmi una nuova occupazione mi rallegra e mi rianima; mi pare che i lunghi colloqui che avrò con questi foglietti di carta mi saranno uno svago gradito e colmeranno in parte la mia solitudine. Parlavo più sopra di trasformazione e quasi con maraviglia; ma ecco che la parola, con la quale si chiude il periodo precedente, spiega e giustifica cotesto fatto come una naturale conseguenza delle circostanze che, mutando continuamente, costringono noi pure ad imitarle. Quando ero in famiglia, libera di chiacchierare tutto il giorno, confidandomi con la mamma o con Amelia, l'idea del giornale non poteva apparirmi che una cosa non solo inutile, ma anche un po' ridicola; forse me ne ero formato un tale concetto dall'aver veduto certe ragazze ed anche donne fare del giornale un istrumento destinato a soddisfare la loro vanità.

Ma adesso capisco che esso può avere anche un altro scopo e, specialmente a me, può essere di grande vantaggio. Sono tanto sola! Per le sue occupazioni Corrado è trattenuto fuori di casa quasi tutto il giorno; il giornale mi sarà un compagno gradito, di cui potrò giovarmi quando mi piacerà e trascurare senza timore di rimproveri. Ma non lo trascurerò; già è proprio del mio carattere, che quando stabilisco di fare una cosa, la faccio sul serio e non come taluni, che ci si dànno con grande foga da principio, e poco tempo dopo se ne stancano e se ne allontanano; a me non accadrà cotesto, e poichè ho deciso d'incominciare il giornale, esso durerà fino… fino che durerò io!… Quanta carta ci sarà da consumare, perchè ho ventidue anni e spero, e mi auguro, di campare un pezzo! Ora però voglio farmi subito due domande. A che cosa dovrà servirmi questo giornale? Ne parlerò a Corrado?… Ecco: il giornale mi servirà di compagnia, l'ho già detto; poi mi farà da confessore, giacchè Corrado nei tre anni che siamo stati fidanzati, mi ha fatto perdere l'abitudine di servirmi di quell'altro; e mi farà da consigliere pure, perchè nel tempo che impiegherò a scrivere qualche ideuccia bislacca che mi passerà per la testa, la riflessione potrà farsi strada per rimettere le cose al posto. Il primo punto è chiarito: veniamo al secondo. A Corrado non dirò proprio nulla; se lo sapesse vorrebbe certo leggere quello che scrivo, o mi canzonerebbe, ed allora, tanto nell'uno che nell'altro caso, sento benissimo che non avrei più la mia libertà di spirito. Sarei preoccupata, imbarazzata e non potrei più tradurre fedelmente le mie impressioni, così come sorgono in me. Dunque Corrado lo ignorerà: in fin dei conti non c'è nulla di male nel tenerglielo celato. O che forse in questi sette mesi e mezzo da che siamo sposi, gli ho detto tutti i miei pensieri?… No di certo; come si farebbe a raccontare con parole tutto quello che si pensa, con tanta sorprendente rapidità?… Per conseguenza, che i miei pensieri me li tenga in mente o li metta sulla carta, è la stessa cosa e non sono obbligata a farli conoscere ad alcuno. Del resto Corrado non se ne occupa; ha le sue lezioni all' Università che gli dànno altro da fare che badare a quello che ho in testa io.

Ed ora che ho discusso e sistemato questi due punti, voglio definire bene le norme del mio giornale; anzi mi farò una specie di statuto a cui giurerò di essere fedele sempre. Lo metterò qui in principio, lo firmerò in tutte lettere e non trasgredirò mai le leggi che ora sanziono.

Art. 1°ree;. Si dovrà dire sempre la verità, la più assoluta verità e con tutta sincerità in ogni particolare che si scriverà in queste pagine.

Art. 2°ree;. Con nessuna scusa si potrà interpretare in modo contrario alla verità il più lieve pensiero balenato in mente a chi scrive.

Art. 3°ree;. Sarà poi indispensabile, che chi vuole avere il diritto di scrivere nelle pagine successive, si adoperi a vincere quella timidezza che tante volte la trattiene dall'espandersi in modo franco, per essere sempre coraggiosamente leale.

Lo giuro.

Laura Rizzi ne' Fenadini.

È fatto.

L'ho riletto e mi pare di averci messo tutto, specialmente l'art. 3°ree; era necessario. Sono certa che se non ce lo avessi messo, anche qui, sebbene si tratti unicamente di cosa riguardante me sola, mi avrebbe spesso assalita quella benedetta timidezza che annienta ogni mia facoltà. Davvero, che cosa sarà? Perchè io, o quando ho un dispiacere o una gioia grande, o pure un'emozione qualunque, anzichè manifestarla come fanno tutti, ho la sensazione materiale di qualche cosa che si chiude dentro di me e mi impedisce di dire e fare quello che vorrei e dovrei? Così resto zitta ed impacciata, quando sarebbe necessario parlare e muovermi; fredda e riservata quando più bisognerebbe essere espansiva. Per esempio, a Corrado, proprio come avrei voluto, non glielo ho mai detto il bene che gli voglio! Quando eravamo fidanzati, pazienza, avevo una scusa, la mamma non ci lasciava mai soli e la presenza di lei mi tratteneva; e poi Corrado mi incuteva sempre un po' di soggezione: nelle lettere che gli scrivevo durante il tempo che stava ad insegnare a Ferrara, ero più franca; ma appena egli tornava a Bologna e lo vedevo comparire in casa, ecco che invece di corrergli incontro, di gridargli la mia consolazione di rivederlo, sorridevo appena, sfogando la mia emozione a stringere il braccio di Amelia. Oh! mi viene da ridere ora a pensarci! La sera, nell'andare a letto, mia sorella mi faceva vedere i lividi che involontariamente le aveva fatto io, e brontolava, e figurava di essere molto stizzita con me.

Mi pare ancora di vederla in camicia, spettinarsi davanti allo specchio e dire intanto:

— Non vedo l'ora di essere fidanzata io pure per renderti tutti i pizzicotti che mi hai dati! Confesso però, che non capisco il tuo modo d'esprimere la commozione; perchè non ti sfoghi con lui piuttosto che con me?!

Ah! la mia cara Amelia, quanto mi vuol bene!… Veramente con lei e con la mamma la mia timidezza era minore: forse anche con Corrado, dopo molto tempo che saremo stati insieme, sparirá; ma per ora!… E mi fa un dispetto sentirmi così imbarazzata vicino a lui!… Tante volte, mentre mi accarezza, mentre mi dice delle cose gentili, io mi sento in cuore una tenerezza infinita e vorrei dirgliela, vorrei esprimergliela così soavemente come è in me: ma non riesco che a mormorare poche parole, che non vogliono dire punto ciò che provo io. Come vorrei sapere se lui se ne accorge! Ma no: non deve essersene avvisto; già mi considera un po' come una bimba, e cotesto deve dipendere, in parte, dal mio aspetto gracile, che mi fa parere più giovane della mia età, e più ancora, dal non sapermi mostrare quale sono veramente. Così, se Corrado qualche volta parla in mia presenza con un suo conoscente o di libri o d'arte o di cose scientifiche, io non apro mai bocca; eppure qualche cosa saprei dirla, la mia opinione la avrei io pure, ma non mi arrischio…

Forse se mi rivolgessero la parola, se m'interrogassero, troverei il coraggio di rispondere; ma è naturale che al vedermi così taciturna, nessuno faccia attenzione a me, e Corrado per il primo. Infatti, quando siamo soli, egli non mi discorre mai di cose serie; o si parla dei piccoli incidenti quotidiani della vita domestica, o mi prende sulle ginocchia per farmi due moìne, o si sta zitti. Ebbene, sono sicura che se mi riescisse di vincere l'imbarazzo che ho sempre, egli non si annoierebbe tanto ad intrattenersi con me. Tre anni fa quando lo conobbi, dopo che era tornato da poco a Bologna ed aspettava di ottenere il posto all'Università di Ferrara, dove si recò appena fummo fidanzati, io, all'idea di diventare la moglie di un professore, volli mettermi in grado di non fargli fare cattiva figura con la mia ignoranza. Mi misi a studiare alla meglio da me, e insomma credo di avere imparato più di tante altre; ma a che cosa mi serve?… Non so mostrarlo… non so mostrarlo…

…Ah!… già le cinque?… Come mi sono passate presto queste ore… Speriamo che sia sempre così!

Mercoledi 15 novembre.

Ho ricevuto questa mattina una lettera di mia sorella: mi scrive che a Bologna comincia già a far freddo con un tempaccio piovoso che dura da una settimana circa. Mentre leggevo mi sembrava proprio di vedere quel cielo plumbeo, che nelle giornate brutte aumenta l'aspetto tetro che ha già di per sè la nostra città nei giorni in cui il vento freddo passa sibilando sotto ai portici, dove la gente col naso arros sato va stretta nei mantelli. Ci divertivamo tanto io ed Amelia a guardare, dietro i cristalli della nostra finestra, i visi infreddoliti di quelli che passavano; quasi tutti arrivati alla fine del portico, per evitare di ricevere in faccia il gran soffio gelato della piazza VIII Agosto, piegavano il capo da un Iato, strizzando gli occhi, storcendo la bocca; le donne occupate a te nersi le sottane, che minacciavano di volare per aria, gli uomini, portando con gesto infa stidito la mano al cappello per reggerlo. Io ed Amelia ridevamo… ridevamo!

Anche qui mi sono messa alla finestra dopo aver finito la lettera; ma i cristalli erano aperti e lo spettacolo che mi si parava dinanzi non poteva certo paragonarsi a quello che la descrizione del cattivo tempo di Bologna aveva evocato nella mia memoria. Mi trovavo tutta avvolta nei raggi tiepidi del sole, che sfavillava nel purissimo cielo azzurro. Gli alberi del viale Umberto Primo, appena appena ingialliti, avevano perso qualche foglia, ed io a traverso i rami vedevo la striscia chiara dell'Arno scintillare e scorrere placidamente. È strano quanti colori si vedono stando un poco a fissare un punto di quella massa liquida: da prima si distingue una zona argentea e si ha la visione ancora chiara delle rive, degli alberi; poi questi dileguano e resta soltanto il punto argenteo; ma anche esso si trasforma; pare si allarghi e di lì comincino a balzar fuori maravigliosamente piccoli sprazzi di luci verdi, azzurre, celesti, gialle, rosse, violette, come uno scoppiettìo di scintille che vanno e vengono, aumentando, crescendo, moltiplicandosi, avvicinandosi ed allontanandosi, in un moto così rapido, così vertiginoso che alla fine bisogna chiudere gli occhi. E neppure allora scompaiono subito; anche con le palpebre chiuse si continua a vedere una quantità di puntolini d'oro sparsi in un orizzonte tutto nero. Io mi diverto moltissimo a fare queste prove; e sono tanto contenta di avere trovato questa casina qui sull'Arno, nel punto di Pisa che a me più piace, perchè sono in grado di seguire per un lungo tratto il corso del flume. Spingendomi con lo sguardo sopra agli alberi, comincio a scoprire l'Arno laggù in quella curva, dove la trasparente lucidità dell'acqua appare con riflessi metallici nella campagna verdeggiante che scompare in una fuga d'alberi sottili, quindi lo veggo inoltrarsi largo e tranquillo fra le due rive sabbiose, e soffro di vedergli il passo sbarrato dagli archi del ponte alle Piagge. Costì l'acqua si separa con un gorgoglìo di malcontento per ricongiungersi subito dopo, ma per poco; il ponte di Mezzo viene a porre un nuovo ostacolo alle acque, che sembrano scorrere più affrettate, ed io le perdo di vista, pensando che oltrepassato il ponte Solferino i duel ponti di ferro e quello delle Cascine, esse potranno riprendere serenamente il loro cammino fino laggiù, laggiù al mare…

Voglio pregare Corrado di condurmi un giorno a Bocca d'Arno; così quando avrò ben veduto il luogo in cui e fiume e mare si congiungono insieme, potrò raffigurarmelo anche da lontano. Che attrazione ha per me questo lento e continuo scorrere del fiume! Fino dal primo momento in cui venimmo qui, mi affezionai all'Arno; mi ricordo che mentre mettevo in ordine la casa, ogni tanto mi distraevo dalle mie faccende per volgere gli occhi verso di esso. L'Arno mi diverte, mi interessa perchè non è mai lo stesso, perchè si trasforma sempre; e poi ritrovo fra me ed il flume una misteriosa analogia… Anche esso sembra quello che non è; per esempio, a vederlo al lume di luna si direbbe proprio una striscia di zinco, chiara ed immobile; ed io pure, qualchevolta, non sembro a chi mi vede superficialmente una creaturina fredda ed insignificante? Me ne accorgo benissimo dell'effetto che produco: ieri, vennero a farmi visita la signora Aldini e la signorina Cisterna; ebbene, mentre mi ero voltata un momento per preparare loro una tazza di thè: sentii, sentii più che non vidi nello specchio, lo sguardo che si scambiarono e che voleva dire:

—Non sa proprio di nulla!

Non hanno torto; ma anche io, dal canto mio, dico che. questa signora Aldini, che gode tanta invidiata fama di bellezza, mi è apparsa una vera bambola, che agisce assai graziosamente in forza d'un meccanismo molto perfezionato, ma che, ahimè! non le concede una grande varietà di movimenti… La signora Cisterna, poi, deve fare stupendamente di casa in casa l'ufficio di fonografo… Che chiacchierona! La sera volevo far parte a Corrado dell mie impressioni; ma non osai… Perchè?… perchè?… Forse ne avrebbe riso; invece, alla sua domanda:

—Che te ne è parso?

Risposi vagamente:

—Mah!…

E lui:

—Già, la mia piccina trova sempre tutti buoni e tutti belli, non è vero?

Ho accennato di sì col capo, sebbene mi sentissi mortificata di aver indovinato, nella intonazione della sua voce, una lievissima inflessione dispregiativa… Insomma, io mi convinco sempre più che Corrado non mi creda buona a nulla: io non gli ispiro che l'affetto condiscendente che si ha per un essere inferiore, ed io da questa persuasione, anzichè trarre il coraggio e la forza per disingannarlo, ricavo uno sgomento che sempre più paralizza qualsiasi forza d'azione…

È strano, è stupido da parte mia, lo capisco… ma è più forte della mia volontà!

20 novembre.

Oggi è la festa della Regina. Vedo sventolare qua e là alle finestre delle case alcune bandiere, e, guardando coteste insegne bianche, rosse e verdi, mi nasce in cuore una curiosità. Vorrei poter penetrare invisibile nell'intimo della donna di cui oggi si festeggia l'anniversario; scrutarne i più reconditi pensieri; analizzare i più lievi sentimenti di quel cuore in cui forse nessuno è penetrato; e poi da lei passare ad altri, e, ad uno ad uno, imparare a conoscere il fondo del carattere di coloro che il caso ha posto tanto in alto. Pensano essi come noi? Amano, soffrono, godono lo stesso? Oppure le cure del grado, l'ambizione assorbono e distruggono in loro tutto il resto? Dopo avere soddisfatta la mia curiosità con i grandi, mi volgerei ai piccini; dopo avere alzata la maschera dell'appariscenza, della grandezza e dei piaceri, vorrei sollevare il manto della miseria, dell'abbiezione, delle sventure, per studiarne la differenza, per scoprire se la natura umana, in sostanza, è sempre la stessa, o se realmente quei privilegiati sono gli eletti, i buoni; e i miseri meritano di essere gli ultimi. Che piacere dovrebbe essere il conoscere il fondo di tutte le cose, il possedere una percezione acuta, l'avere la mente tanto vasta da abbracciare in uno sguardo tutto ciò che pare e tutto ciò che è. Quanto sarebbe bello indagare tutte le forze misteriose che mettono in moto questo grande meccanismo che si chiama universo!

A volte, mentre me ne sto qui sola, come pure quando ero a casa, mi metto a pensare a questo strano fenomeno della vita, e mi prende un così irresistibile desiderio di conoscerne la causa segreta, che devo far violenza a me stessa per distrarmi da un'idea, dalla quale alla fine mi viene una vera sofferenza. Però, è innegabile, che la nostra ignoranza è, a rifletterci, un fatto veramente spaventoso: questa vita che ci dà la luce e questa morte che ce la toglie, senza che ne sappiamo il perchè coì dell'una come dell'altra, sono una visione di terrore… Che cosa siamo?… Che cosa è che ci sta d'intorno?… Che cosa è il cielo? Che cosa sono i fiori? Che cosa sono io? Ah! beati coloro che non si sono mai sentiti tormentati da questa ansietà di sapere, oppure che si sono accontentati di una spiegazione qualsiasi, senza discuterla, e per conseguenza senza vederne la insufficenza. Io invece, appena sono stata grandicella, appena ho principiato a ragionare, la grande parola con cui la mamma aveva sempre risposto e soddisfatto alle mie domande infantili, già improntate dalla smaniosa irrequietezza che doveva svilupparsi in me, cominciò a sembrarmi ogni giorno piì piccina a paragone dell'immensità dei fatti che doveva spiegare… Dio!… Dio!… Sempre Iddio! Ebbene, cotesta spiegazione di cui milioni e milioni d'uomini si sono accontentati e si accontentano, non mi basta, non mi basta!… Non mi basta quella, come non mi basta nessun'altra delle tante ipotesi che di quando in quando vengono formate per acquetare la bramosa avidità di alcuni. Per me, idealisti, materialisti, panteisti e positivisti non vogliono dire nulla; poichè tutti mi lasciano nella stessa perenne incertezza. Credere in Dio, nella eternità della materia? La probabile esistenza del primo mi pare un'immaginazione puerile, se osservo come ogni cosa obbedisce a leggi eterne ed immutabili con una logica successione di fatti che non ha bisogno d'altre spiegazioni di quelle che ha in sè; la seconda teoria, come è sostenibile se penso che, per trasformarsi, per amplcarsi, qualunque sia cosa, una volta deve aver avuto principio?

Ah! ecco, ecco che mi sento riprendere da quel vago sgomento dell'ignoto, che mi opprime tanto dolorosamente. Via, a che pensarci?… Io, che sono così poco, una bambina appena, perchè affaticarmi su certi problemi che non si risolveranno mai?… Se queste righe fossero lette da Corrado, che occhi sgranerebbe! Egli non sospetta neanche lontanamente che la sua Lauretta possa preoccuparsi d'altro che di sorvegliare i preparativi del desinare con la cuoca. Ecco dunque come ci si inganna nei nostri giudizi! Se Corrado non fosse tra quelli che si accontentano alla prima delle spiegazioni più semplici, se non si limitasse a dedurre le sue conclusioni unicamente da ciò che appare esteriormente, potrebbe capirmi meglio e forse essere egli più contento, io certamente più felice. Non so definirlo bene; ma, per me, il fatto di due esseri che vivono l'uno accanto all'altro, che si vogliono bene, eppure non si conoscono ed in gran parte restano estranei fra loro nel mistero della loro anima, ha un che di doloroso, di desolante, che mi rattrista profondamente. Mi dico: come Corrado sbaglia nel concetto che ha di me, così forse sbaglio io sul conto suo… Egli mi appare buono, molto attaccato al suo dovere, amante di vivere bene per quanto riguarda i suoi comodi, metodico, ordinato… Ma forse mi sbaglio, mi sbaglio? Forse fervono in lui passioni violente, ch'egli tiene nascoste, come io nascondo parte di me, non volontariamente, ma naturalmente, perchè qualche cosa all'infuori della mia volontà mi impedisce rivelarla… E così succede che noi, pur essendo uniti coi legami più sacri delle leggi umane e naturali, ci siamo, in sostanza, perfettamente sconosciuti. Mi piacerebbe sapere se tutti coloro che si amano, provano, nel trovarsi accanto all'oggetto amato, la medesima impressione che assale me; ma no, la titubanza che viene ad ogni momento ad arrestare gli slanci del mio cuore deve essere un difetto mio; la causa principale della mia timidezza è il timore di sbagliare sempre; dubito anche delle cose più semplici, mentre la maggior parte della gente accetta tutto, senza neppure discutere…

Mi sono interrotta un momento per andare a guardare il mio amico Arno; piove, piove a dirotto; le acque del fiume, torbide e giallastre, scorrono con un brontolìo di malcontento; laggiù profili di alberi spogliati di foglie tendono malinconicamente in alto i rami nudi; qui sotto le acacie ingiallite piangono migliaia di goccioline da ogni parte, e tutto è avvolto dal grigio funereo di questo cielo invernale. Che malinconia!… Sotto a me, al primo piano, la figlia dell'avvocato Palesi, una ragazzina di quattordici anni circa, studia accanitamente un waltzer di Waldteufel; ma i suoi sforzi non sono molto ricompensati dalla riuscita, ed ella s'interrompe spesso, e ricomincia, e rallenta, e va adagio addirittura quando il ritmo dovrebbe farsi più accelerato e vivace; di modo che quella musica briosa e gaia si trasforma, diventa quasi la ironia di sè stessa, e la melodia languidamente spigliata si cambia in una cantilena monotona, noiosa, intollerabile… Sento il passo di Corrado… ma con chi è? Non è solo…

21 novembre.

Infatti Corrado ieri non tornò solo: condusse seco a desinare un giovinotto, il signor Max Stein, che mi presentò come un suo carissimo amico. Non me ne aveva mai parlato prima; ma ho proprio visto dal suo contegno ch'egli ha in grande affetto o per lo meno in grande considerazione cotesto signor Max. Durante tutta la sera, mentre io lavoravo accanto alla tavola, hanno discorso insieme sottovoce, così piano che non mi è riuscito di capire una sola parola. Pareva che quel signore spiegasse qualche cosa: perchè mai non volevano farsi udire da me? Di che cosa poteva trattarsi? Insomma, debbo confessarlo? Il signor Max, coi suoi capelli a zazzera e i suoi occhi di pazzo, mi è riuscito oltremodo antipatico, e poi, via, qui posso dirlo francamente, si è condotto con me in un modo proprio villano: mi ha appena salutata entrando, poi non mi ha più rivolto la parola mostrando di considerarmi tutto al più come un mobile di casa. Che educazione è cotesta? Basta, speriamo che non venga spesso, ha una faccia di cattivo augurio. Per fortuna fra pochi giorni, grazie alle elezioni politiche, ce ne andiamo a passare le anticipate vacanze di Natale a Bologna, in casa mia! Oh! Al solo pensiero di ritrovarmi fra i miei cari, il cuore mi batte così forte da farmi mancare il respiro… Rivedrò la mamma, Amelia, ritornerò a dormire nella mia cameretta…

No, forse questo no, mi metteranno nella camera dei forestieri con Corrado… Ebbene, perchè devo provare un senso di tristezza all'idea che nella mia casa anderò ad abitare nella camera destinata ai forestieri? Perchè mi deve sembrare che questo fatto, tanto naturale, metta una lievissima, una impercettibile barriera, piccola sì, ma pure sempre una barriera, fra me e la mia famiglia, fra il tempo che è passato e quello che verrà? Non lo so: tuttavia sento che, se rientrando in casa potessi riprendere possesso della mia cameretta invece di andare nella grande camera verde, sarei molto più contenta. Ma, via, non voglio essere così bimba da crearmi dei dispiaceri per motivi tanto futili; la gioia di rivedere la mia famiglia è troppo grande, troppo alta perchè possa essere turbata.

Quante cose avrà da raccontarmi quella chiacchierina di mia sorella! Quante domande mi farà!… Poi verrà la mamma, e con la sua dolce voce, un po' velata, mi domanderà se sono felice… — Sì, mamma sì… — griderò io… E perchè ora, mentre scrivevo le ultime parole, la mano ha avuto un'involontaria esitazione, quasi si è bruscamente arrestata?… e perchè una pena subitanea mi ha stretto il cuore?… Forse, dicendo a mia madre che sono felice, non sarei sincera?… Ma non sono felice, non ho la quiete, la pace dell'anima? L'affetto profondo e devoto che ho per mio marito, non è corrisposto da altrettanto affetto? Che cosa potrei volere di più? La mia vita non scorre placidamente come l'acqua dell'Arno nei giorni sereni, quando in essa si riflette il color del cielo? Sì: ma l'Arno il mattino si riveste di mille e mille tinte, che si alterano, si succedono, seminando sulla superficie liquida uno scintillìo giocondo, una festa magnifica di toni teneri e vivaci; al tramonto, il sole, nel mandargli il suo ultimo saluto, lo fa tutto d'oro; poi, pian piano, una ad una, le stelle vengono a specchiarvisi, e dopo la mutevole gaiezza avuta nel giorno, ecco che esso riposa soavemente all'argenteo chiarore della luna…

L'Arno ha dunque una varietà che a me manca assolutamente: per me i giorni scorrono calmi e placidi, è vero, ma non sono essi troppo uguali e non diventano monotoni? Ebbene, anche se così fosse, sarebbe cotesto una ragione sufficiente per non chiamarmi felice? O piuttosto non vi è qualche altra causa che nel fondo oscuro dell'anima mia si agita mentre io non riesco a distinguerla? Sarebbe per caso il trovarmi un po' troppo isolata, quello che manca alla mia felicità? No: perchè non dipenderebbe che da me il crearmi maggiori relazioni, il fare visite più frequenti, riceverne; invece rifuggo da tutto ciò con un'avversione di animale selvatico. È che in mezzo alla gente io mi trovo a disagio; non so prendere parte alle conversazioni futili e vivaci; mi manca il brio che hanno tante donne nel discorrere e che per lo più manifestano facendo pompa di spirito alle spalle degli altri. Anzi dirò di più, sentendo fare discorsi maldicenti, giudizi malevoli e false dimostrazioni di simpatia, io soffro: mi pare che si commettano delle cattive azioni, forse senza saperlo, e mi assalgono impeti curiosi di rimproverare, di punire la stupida malvagità di coloro che agiscono a quel modo… Che bella figura ci farei!… Perciò, non potendo prendere piacere nella compagnia degli altri, preferisco stare sola, e non è certo la solitudine che mi rattrista. Se Corrado, tornando a casa, mi parlasse un poco di più, se mi mettesse a parte dei suoi studi, delle cose sue… Invece tante volte torna serio, accigliato; capisco che ha qualche dispiacere, ma non si confida mai meco. Bisogna anche convenire che io non oso mai domandargli nulla, sebbene sia dispiacente di non potergli essere di alcuno aiuto. A poco a poco ecco che viene fuori la confusa sensazione che io percepivo senza saperla precisare. Il segreto tormento, la costante e dolorosa preoccupazione che non riuscivo a spiegarmi, è la distanza che sento fra me e mio marito. Io stessa non capisco bene che cosa sia, nè da che cosa dipenda; ma è innegabile che ho la impressione che fra me e lui esiste qualche cosa della quale può dare un'idea approssimativa la sola parola: distanza. è un fatto inesplicabile, considerando tutto il bene che ci vogliamo, perchè ceutamente non posso rimproverare nulla a Corrado, ma pure, indiscutibilmente, noi siamo divisi. Lo sento tante volte, tante volte sorgere fra me e lui quest'ostacolo doloroso che non so vincere, che non conosco, ma che mi sgomenta come una minaccia di sventura… Ah! povera me, dove vado a finire con le mie fantasticherie! Se continuo ancora, verrò a concludere che sono la più infelice creatura della terra!… Via, siamo ragionevoli ed esaminiamo le cose con calma. Se non sono io che mi fabbrico delle chimere, quali sono le cause che mi suggeriscono tali idee? Perchè saremmo lontani, divisi?… Perchè Corrado si mette le pantofole quando torna a casa? Sta' a vedere che, se è stanco, dovrebbe far dei complimenti con sua moglie! Perchè non discorre molto con me? Siamo giusti: un uomo serio come lui, un uomo del suo valore, o che può perdere tempo con una bambina come sono io? Oh! pazzerella di una Lauretta! Neppure a cercarli col lumicino, riesco a trovare dei motivi di dolore: dunque? Dunque, cara mamma mia, domandami pure se sono felice… sì… sì… sì!

22 novembre.

Come mai oggi il sole è più risplendente, l'Arno più lucente e i canti degli uccellini risuonano più giocondi? Da ieri, dopo essermi confessata delle mie fisime con te, caro giornalino mio, ho fatto un proposito, un grande proposito. Ho deciso di scacciare i miei dubbi e le mie ritrosìe per abbandonarmi completamente alla felicità che mi circonda, anzi a conquistarla anche di più, giacchè ho visto che se in qualche lato è un po' manchevole, la colpa è unicamente mia. Voglio vincere la mia timidezza eccessiva, per mostrare a Corrado che la sua Lauretta non merita soltanto l'affetto indulgente e protettore ch'egli ha per lei; ma che essa può ispirare un sentimento più vivace, più degno di una donna. Oh! gli farò vedere, al mio marito grave e severo, che sotto questi ricciolini biondi che egli accarezza con la tenera condiscendenza che si ha per i bimbi, c'è una testina capace di sapere e di pensare, una testina che può essergli degna compagna. E poi cercherò di farmi bellina, imparerò anche io, per lui, le grazie e i vezzi delle belle donne che sanno farsi adorare, e gli infonderò nuovi desiderî di me, mostrandomi come una persona che ancora non conosce. Così il suo affetto si trasformerà, diventerà più intenso, sarà più come io lo vorrei. Sì, perchè nasconderlo? Corrado mi vuol bene, lo sento, ma non nel modo che a me pare debba manifestarsi l'amore. Appena nei primi quindici giorni di matrimonio ha avuto per me qualche impeto di passione; dopo, forse perchè io non gli ho bene corrisposto, si è fatto calmo, metodico, e nei suoi rapporti affettuosi con me conserva la stessa regolarità con cui adempie i suoi doveri d'ufficio. Ebbene, questo mi ripugna: quei baci periodici che mi dà ogni mattina allo svegliarmi, mentre la donna ci porta il caffè, poi al momento di uscire e quando ritorna a casa, hanno un non so che di forzato, di obbligatorio che mi pesa. Per di più, una sera sì, una sera no, quando andiamo a letto… anche quello fisso, regolato come un obbligo; e c'è di peggio, qualche volta, se ha lavorato molto, se è stanco, mi dice: « Lauretta, domani sera, eh!… Ora proprio non mi sento… ». Pare che mi chieda scusa di non fare il suo dovere!… Ma che forse io lo pretendo? Non domanderei di meglio che farne a meno, non una sera, ma sempre, sempre… almeno fino a che mi si offre così. Giacchè, mi sembra che l'abbandono del corpo dovrebbe essere una dolcissima sensazione, qualora avvenisse spontaneamente, inconsciamente, dopo un lungo colloquio amoroso, dove tante dolci parole avessero inebriati gli spiriti tanto da far sentire loro il desiderio indefinito di una maggiore gioia, che verrebbe poi naturalmente da sè… Invece quando le sere… chiamiamole dispari… ebbene, quando le sere dispari vado in camera, dopo aver passato le ore prima a ricamare, mentre Corrado legge i giornali o fuma in silenzio, e mi spoglio pensando… a quello che deve venire, mi sento agghiacciare tutta. Entro nel letto tremante, e, senza una parola, mi sento prendere, stringere… Resto passiva, chiudo gli occhi… ma nell'anima mia tumultuano strani sentimenti, quasi mi pare in quell'attimo di avere ribrezzo di Corrado! E pure gli voglio bene, gli voglio bene! Ahimè! Se egli potesse capire le aspirazioni e i desiderî miei! Se potesse indovinare quanta dolcezza troverei fra le sue braccia, come mi ci abbandonerei tutta, solo che egli volesse aprirmele dolcemente, solo che egli sapesse vincere, con la mano carezzevole e leggera, la sensibilità esagerata dell'animo mio! Io non chiederei di meglio che amarlo con tutta la forza e lo slancio del mio cuore, ma vorrei che mi intendesse, mi aiutasse… Mentre io dico questo, forse Corrado dal canto suo trova che io non ho corrisposto all'ideale che si era fatto di me… Ma non pensa che non potevo trasformarmi d'un tratto, e che la fanciulla vissuta solitariamente fra sua madre e sua sorella, aveva bisogno di fare un po' di cammino per diventare donna? E perchè non tiene conto dell'indole mia, del mio carattere? Ma no, di ciò egli non si è mai curato… ebbene, sono decisa ad agire da me, sono decisa a smettere di far la bambina: e mi amerà, mi amerà di più, ne sono certa; perchè non credo, non posso credere che le gioie dell'amore siano soltanto queste fredde manifestazioni, simili, in apparenza, ad un dovere e non ad un piacere. No, no, lo sento in fondo all'anima e lo ritrovo espresso negli occhi di tante coppie innamorate che veggo aggirarsi strette insieme nei boschetti qui sotto. Come si guardano, come si guardano! Ieri passava una donna bruna, piuttosto bella, appoggiata al braccio di un giovanotto; era piccina ed arrivava appena alla spalla di lui: ma con che amore egli si chinava così vicino, così vicino che i loro fiati dovevano incrociarsi… Ebbi un fremito involontario nel vederli così… Dunque c'è di più, c'è di più? E perchè non lo avrei io? Sì, sì, Corrado deve amarmi, deve amarmi come io voglio, e saremo tanto felici ambedue, tanto contenti… Bel sole, risplendi; cantate, uccellini; e tu, Arno, mio confidente di tante ore tristi, aspetta, presto mi vedrai sorridere, aspetta, presto mi vedrai mutare e stenderti le braccia, susurrandoti lietamente: « Ci amiamo! ci amiamo! ».

24 novembre.

Sono malata: ho passato la giornata di ieri senza far nulla, sdraiata a guardare il soffitto; oggi lo stesso, ora soltanto mi decido a scrivere un poco. Forse mi farà bene; per solito lo sfogarmi, l'affidare tutti i miei pensieri a queste pagine, che pare m'invitino con la loro bianchezza, mi ha sempre sollevata. Sarà così anche questa volta? Anche questa volta, che, accanto alle pagine piene di illusioni e di speranza, devo metterne altre, nelle quali ci sarà tutto il dolore, tutto lo sconforto di chi ha perduto ogni fiducia in sè e negli altri? Chi lo sa! Ad ogni modo questa occupazione mi servirà di svago, questa sera che sono sola, sola perchè Corrado pranza fuori con il suo amico Stein.

Venne anche ieri sera il signor Max: ma io, con la scusa del dolor di capo, potei andarmene a letto e lasciarli liberi, ciò che fece piacere a loro e moltissimo a me. Non sarei proprio stata in grado neppure di assistere alla conversazione altrui, non dico di prenderci parte. Oramai è chiaro che io devo occuparmi soltanto delle faccende di casa, cioè essere un pochino più di una serva… Ma è mai possibile che il vero senso delle parole di Corrado fosse questo? È mai possibile che egli, intelligente, colto, che ha cuore, abbia voluto dir cotesto in faccia a me, sua moglie? Eppure sì, non c'è dubbio, non ho capito male, anzi le sue parole mi sono rimaste così impresse, che posso trascriverle testualmente. Incominciamo dal principio: lunedì, dopo smesso di scrivere, vedendo che mancava poco all'ora in cui Corrado è solito tornare a casa, corsi di là, mi levai la veste da camera, mi misi un bel vestitino di panno turchino ricamato in nero, mi ravviai i capelli, m'incipriai anche un poco le guancie e tornai qui nel salottino ad aspettarlo. Mi ero fatto un piano di seduzione, ed ero così commossa della mia audacia che il cuore mi batteva forte forte. Corrado venne; gli andai incontro festosa; egli mi baciò come di consueto, e poi, dandomi una occhiata di sorpresa, mi domandò:

—Sei stata fuori?

Io risi, e risposi:

—Perchè mi vedi vestita in toilette?

—Già; — diss'egli.

Ed io ripresi, facendomi rossa, quasi avessi vergogna di quello che stavo per dire:

—L'ho fatto per te.

—Che cosa?

—Di mettermi in lusso, di farmi bella.

—Come?

—Sì, per te.

—Via, non scherzare — ripigliò Corrado — hai avuto visite?

—No, no…

—Ne aspetti?

—No, no, — replicai sottovoce ed abbassando gli occhi, perchè mi sentivo stringere il cuore all'idea che Corrado non si potesse proprio persuadere che io avessi voluto fare qualche cosa per piacergli.

Continuò ad interrogarmi:

— Vuoi uscire?

— Ma no.

— Allora? — insistè, maravigliato.

— Te l'ho detto — mormorai mortificata.

Ed egli conchiuse:

— Che bambina! Ti sei vestita per me? Va' là! Potevi risparmiarti la fatica!

Mi dètte un colpetto colle dita sulla guancia, poi se ne andò a mettersi le sue pantofole.

Io rimasi male, male: avevo gli occhi pieni di lagrime; non soltanto Corrado non aveva capito le mie amorose intenzioni, ma con quelle parole: « Potevi risparmiarti la fatica » mi dimostrava tutta la sciocchezza del mio tentativo. Tuttavia, decisa come ero a non lasciarmi vincere dall'abbattimento, mi feci forza e volli persuadermi che il senso delle sue parole era piò gentile della forma. Forse aveva voluto dire: « È inutile, perchè mi piaci in tutti i modi ». E àionando fra me e me, mi rianimai, mi asciugai gli occhi, mi adoperai a cacciare la tristezza che mi gonfiava il cuore, e andai a desinare tutta sorridente. Corrado, come sempre, mangiava in silenzio o diceva appena qualche parola per trovare un difetto o lodare le pietanze; io pure tacevo, ma tutta assorta nel cercare un argomento che mi permettesse d'intavolare una conversazione un po' meno insignificante. Mi lambiccavo il cervello senza riuscirvi, quando mio marito mi offrì l'opportunità che desideravo. Gli sfuggì una frase che doveva essere il risultato di un suo pensiero:

— Maledetto progresso!

— Come dici? — domandai.

Ed egli seguitò:

— Dico maledetto progresso, che viene a sconvolgere anche i cervelli femminili ora… Mi ci mancavano le donne!…

— Dove? — chiesi io ancora.

— All'Università: c'è una donna, anzi due, che hanno fatto domanda di ammissione per seguire il mio corso di lezioni.

— Ebbene?

— Eh! tu non puoi capirle queste cose! — esclamò Corrado.

Io ebbi il coraggio di mormorare:

— No; le capisco benissimo, e non trovo nulla di straordinario che una donna cerchi d'istruirsi come un uomo.

— Bel vantaggio le sarà d'imparare la procedura civile! Le sarà un formulario utilissimo per far la zuppa ai bambini.

— Potrà però esserle utile per guadagnarsi da vivere, se ne ha bisogno — dissi io.

Corrado mi guardò, visibilmente malcontento, e da ironico diventò brusco.

— Chi ti ha messo in capo simili sciocchezze?

— Ma….

— Spero che non le ripeterai spesso. La donna non sarà mai al suo posto fuori della cerchia della vita domestica: per natura essendo inferiore all'uomo, non può pretendere di esplicare le sue attività che dentro certi limiti ristretti… Essa ha bisogno di essere guidata, protetta; come vorrebbe fare per mettersi al livello di chi la domina sempre? La donna per bene stia in casa, attenda alle faccende, custodisca i bambini e si occupi di offrirci quanto può compensarci delle nostre fatiche. Ecco la sua vera missione.

Io l'ascoltavo a capo chino; non una sola parola di quelle pronunziate da mio marito mi pareva giusta, sentivo parlare in me mille voci che si levavano a protestare contro l'assurda condanna; ma la gola stretta mi impediva di fare uscire un suono qualunque, e mi assaliva una gran voglia di piangere.

Corrado vide la mia confusione, e, proprio come si fa con un bambino dopo averlo sgridato, nel ritornare in salotto mi fece una carezza sui capelli, dicendo:

— Via, via, piccina: non essere così mortificata. Non hai nulla da rimproverarti; non sei tu quale io ti desidero? Continua a restare quello che sei, e non preoccuparti d'altro fuorchì dei tuoi doveri. A proposito, la minestra di oggi era veramente eccellente… Credi, se tu fossi diversa, io non ti vorrei il bene che ti voglio!

No, pensai io disperatamente, vedendolo sprofondarsi nella lettura dei giornali, no, non mi vorrebbe il bene che mi vuole, me ne vorrebbe un altro molto maggiore e che sarebbe quale avrei diritto di pretendere da lui! Ma oramai è inutile, lo vedo bene: io non posso essere nulla di più; io devo servirlo, compiacerlo in tutto, ed a tempo perso, poi, mi ripagherà delle mie cure assidue con un po' di affetto. È il mio salario ed io dovrò accettarlo. Meglio, meglio sarebbe ch'egli non mi volesse bene piuttosto che amarmi così! Perchè non mi sono ribellata, perchè ho lasciato sfuggire una così propizia circostanza per rivelargli tutto il mio pensiero? Perchè non gli ho detto che io non voglio essere considerata con commiserazione, che ho tanto cuore e tanta mente da stare da pari a lui, che voglio essere la compagna sua, non la sua serva, che questa condizione d'inferiorità evidente in cui mi mette, mi umilia ingiustamente? Perchè non gli ho detto, infine, che al mio giovine cuore, al mio giovine corpo è necessario qualche cosa di più di ciò ch'egli vuol concedermi, qualche cosa che sono nel mio diritto di avere e che non può essere soddisfatto coll'elemosina d'un affetto come il suo? Ah! tutte queste cose che mi si affollavano nella mente, perchè non le ho dette? Perchè mi sono sentita quasi mancare le forze, e le mani mi si sono fatte ghiaccie? Sono rimasta tutta la sera a lavorare in silenzio accanto al tavolino, irrigidita da uno spasimo nuovo, acutissimo; ad un tratto mi sono sentita abbandonata, sola, più lontana da mio marito, seduto a pochi passi da me, di quello che gli sarei stata se fosse in China… Alle dieci ha detto con uno sbadiglio:

— Lauretta, andiamo a letto?

E si è coricato, e si è bene avvolto nelle coperte, e si è addormentato subito. Io non potevo dormire però: lo udivo russare, e mi assaliva una febbre, una smania di destarlo e di gridargli: « Ma non capisci dunque che mi fai soffrire? » Non dovrebbe accorgersi dello stato in cui mi trovo? E consolarmi, e rendermi felice?… Ma egli non si cura, non pensa che a sè; nell'animo suo regna sovrano il pensiero dell'utile proprio; egli vede in me un oggetto destinato a più di un uso che gli torna comodo, e ciò gli basta. Se io fossi o se meglio mi mostrassi una donna di cuore, d'intelligenza, di volontà, se, in una parola, mostrassi di avere una personalità mia, ne sarebbe sgomentato, forse gli sembrerebbe di sentirsi umiliato. Per ciò vuole condannarmi a funzionare come una macchinetta da regolare a suo piacere… Ebbene, no, mi ribellerò… griderò la verità a tutti… E poi?… e poi?…

26 novembre.

Ho riletto le ultime righe qui sopra… Davvero, quando le scrissi dovevo avere un po' di febbre; soltanto nell'esaltazione del delirio posso essere giunta a certe conclusioni… Ah povera me! che cosa pretendo.? a che cosa vorrei ribellarmi? Pazzie! Se la esistenza che conduco non è precisamente come la sognavo, ebbene, il mio dovere è di tacere, di rassegnarmi, adoperandomi a soffocare in me tutto quello che vorrebbe insorgere contro la situazione che mi è fatta. La colpa non è di Corrado: io piuttosto l'ho ingannato, mostrandomi in apparenza quale non sono in realtà; egli avrebbe il diritto di rimproverarmene, giacchè non potrei spiegargli che sono sempre stata sincera, che ho agito inconsciamente, col desiderio di essere indovinata da lui nei segreti misteri dell'anima mia! Senza dubbio questa pretesa era una cosa insensata; dunque tocca a me il sopportare le conseguenze del mio errore. A poco a poco mi ci abituerò; ora sono i primi momenti, i più dolorosi; la delusione di non aver visto interamente compiuti i miei ideali giovanili mi riempie di amarezza e di dolore; ma col tempo, col tempo!… Come sono triste però! Mi pare di avere perduto in questi giorni una parte di me stessa; mi sento incompleta, con qualche cosa di grave che mi pesa addosso e mi fa provare una stanchezza infinita. Meno male, fra tre giorni (benedette le elezioni!) partiremo per Bologna; questo svago mi farà bene. Corrado non se ne accorge, ma sono tanto deperita, e tutti i vestiti mi diventano larghi, larghi…

27 novembre..

Il signor Max Stein passò con noi la serata di ieri. Al contrario di quello che fa sempre, si è degnato di prestare attenzione a me; ma in un modo così strano, che avrei preferito di molto non mi avesse neppur salutata. Insomma l'avversione che m'inspira cotesto uomo, cresce sempre, ed è qualche cosa d'istintivo che sorge così violentemente da farmi stupire. Ieri sera alzai un momento la testa dal mio lavoro e guardando verso l'angolo del salotto, dove Corrado e il suo amico stavano parlando sottovoce, trovai quest'ultimo che aveva gli occhi fissi su me; provai uno sgomento inesplicabile. Sono quasi incolori gli occhi del signor Max e sembrano liquidi, d'un così strano effetto sulla faccia piuttosto scura di carnagione. D'un tratto, alzando la voce:

— Quella sarebbe un buon medium.

E vidi che accennava verso di me con un dito teso, un dito ossuto e magro che mi colmò di spavento. Mi misi a tremare senza saperne il motivo, poichè non avevo capito nulla alle sue parole. Stetti ferma ad ascoltare; Corrado rispondeva:

— Nemmeno per sogno! Laura non capirebbe affatto queste cose!

— Poco importa — riprese il sig. Max — il medium non deve essere che un istrumento incosciente.

Si alzò in piedi e mi venne vicino. Lo guardai stupefatta: egli si accostò di più e con voce autorevole mi disse:

— Mi dia le mani.

Volsi gli occhi dalla parte di Corrado per interrogarlo; egli mi accennò affermativamente col capo; si era alzato anch'esso, ma non aveva lasciato il suo posto e pareva seguire con grande ansietà la manovra del suo amico. Allora, mentre mi sentivo avvampare la faccia da un'onda di sangue, stesi le mani al signor Max.

— Alzi la testa e mi guardi; — ordinò egli brevemente.

Obbedii. Le sue lunghe dita mi stringevano forte ai polsi, ed allora ebbi la coscienza di uno strano fenomeno che avveniva in me. La sensazione che mi davano le sue dita sui polsi, si diffuse a poco a poco in tutte le articolazioni; non erano più due mani che mi tenevano stretta, ma quattro, otto, venti che mi comprimevano il corpo dovunque; a poco a poco sentii che le mie arterie cessavano di battere, un irrigidamento mi prendeva; la faccia del signor Max, che con un moto regolare e continuo si avvicinava e si allontanava da me, diventava di proporzioni enormi, e spaventose… Fuori di me dal terrore, aiutata da una forza improvvisa che mi fece le braccia di acciaio, in un impeto furioso volli sottrarmi a lui, e, torcendomi bruscamente, mi divincolai con un urlo e gli sfuggii. Ricaddi sul divano e restai qualche minuto senza capir più nulla: mi ridestai alla voce di Corrado che mi chiamava.

— Lauretta! Lauretta! rispondi!… rispondi!…

— Sto meglio, grazie; — mormorai — credendolo inquieto per me; ma non era della mia salute che s'informava, perchè insistè:

— Rispondimi… che cosa hai visto? Che cosa hai visto?

Nella confusione che provavo ancora, non sapevo raccapezzarmi, nè intendere le sue domande, che del resto non capisco bene neppure adesso. Che cosa avevo visto? Che cosa avrei dovuto vedere? — Nulla, — dissi, ripugnandomi di parlare della faccia del sig. Max, la sola cosa di cui mi rammentassi. Egli stava un poco in disparte; Corrado parve malcontento della mia risposta e riprese:

— Andiamo, via, dillo: che cosa hai visto, che cosa hai sentito?

— Non saprei, — risposi più che mai sorpresa della sua insistenza. Allora mio marito alzò le spalle e si voltò a parlare con Stein. Io avevo la gola arsa dalla sete, avrei voluto bere, ma non mi sentivo la forza di alzarmi e non osai chiederlo a loro: essi discorrevano insieme sotto voce, ma io li udiva. Il signor Max diceva:

— Per un primo esperimento bisogna accontentarsi… La faremo, vedrai, la faremo.

— Credi? — interruppe Corrado.

— Non c' è dubbio; — ripigliò l'altro — io la ho indovinata subito, e poi non hai visto tu stesso che già gli spiriti scendevano in lei?…

Parlarono più sommesso. Io giacevo affranta, incapace di muovermi. Che cosa voleva dire il signor Max? Quali spiriti scendevano in me? Non capii allora e non capisco meglio oggi. Ma il mio spavento di cotesto uomo cresce, cresce: che cosa vuol farmi? Nella mia mente torna ora assai netta una memoria: potevo avere circa dodici anni; una signora venne a far visita alla mamma; eravamo presenti io ed Amelia. La signora ad un tratto disse:

— Ebbene, che cosa ne pensa lei della casa abitata dagli spiriti? Non si parla d'altro…

A questo punto la signora s'interruppe; con un gesto rapido e ch'ella credette inosservato da noi bambine, la mamma le aveva fatto cenno di tacere, indicando noi due. Benchè la mia curiosità fosse stata un poco stuzzicata, presto dimenticai quell'incidente; sapevo che la mamma era molto rigorosa a non farci assistere a conversazioni non adatte alla nostra età, e non ci badai più delle altre volte. Ora però quella scena mi si riproduce in mente con una strana lucidità: è la seconda volta che sento pronunziare in modo così misterioso questa parola spiriti… Che cosa significa? E perchè dovrebbero scendere in me? Questa mattina volevo farmelo spiegare da Corrado, ma non ho osato, e poi non so, sono agitata da un misto di terrore e di diffidenza che mi trattiene dal portare il discorso su tale argomento. Oh! bel mattino del giorno ventinove, vieni presto! Mi pare che questo viaggio a Bologna debba ricondurre la tranquillità nel mio spirito… Spirito!… Ma ora capisco: il signor Max voleva ipnotizzarmi! Ho sentito parlare di questo ipnotismo che è adoperato anche dai medici come cura; pare che sotto l'influenza dello sguardo uno si addormenti e discorra come in sogno… Ecco, ecco che cosa intendeva dire con gli spiriti. «; Scendevano su lei ». Alludeva al sonno che sarebbe disceso sul mio spirito, il quale avrebbe agito lo stesso… Che scioccherella ad impaurirmi tanto! Tuttavia è un giuoco che non mi piace di fare spesso: il signor Max mi fa paura in quei momenti, e s'egli proprio vuol prendere me per istrumento onde fare esperienze, gli dico chiaramente di cercare altrove. La mia salute mi preme e sento che di cotesto soffrirei.

29 novembre.

Le valigie sono chiuse: non si aspetta che la carrozza per partire. Corrado è giù ed io sono corsa a mettere un saluto qui al mio confidente. Addio, librino, addio al ritorno. Come mi sento lieta e contenta! Fra poche ore la mamma e Amelia saranno nelle mie braccia… Addio, librino, preparati a consolarmi quando ritornerò!

16 gennaio.

Librino, perdonami, sono tornata da tre giorni e ancora non ti ho neppure guardato. Ma ora saprai il perchè. Tu cominci a farmi un po' paura; quando sono davanti a te, mi pare che una ad una mi escano dall'anima cose, ch'io stessa vorrei ignorare o per lo meno fingere di ignorare. Invece ad un dato momento me le trovo tutte scritte davanti e non c'è più modo di figurare di non saperle; è vero però che qualche volta mi è accaduto di sentirmi più calma, dopo averti confidate le mie segrete pene. Ti dirò dunque francamente, caro giornalino mio, che se, appena tornata, non ti ho cercato, è stato unicamente perchè non volevo convenire meco stessa dell'impressione che ho risentita rientrando in casa mia dopo il mese e mezzo passato in famiglia a Bologna. Mi si è stretto il cuore come se fossi entrata in una prigione; eppure mentre Bologna biancheggiava di neve, qui dalle finestre spalancate entrava tutta la letizia di un bel sole d'oro. Il mio salottino, pieno di ninnoli graziosi, da tanta luce acquistava una gaiezza ospitaliera: la statuetta di terra cotta laggiù nell'angolo, pareva sorridere più soavemente, l'acquerello sopra al divano aveva i fiori che parevano offrirsi come un saluto; la mia camera tutta azzurra mi apriva le sue porte come un asilo di pace, e Marianna, la mia donna di servizio, aveva messo sul cassettone un bel mazzo di rose… Sugli alberi del viale i passerotti svolazzavano e parevano darmi il bene arrivata… Ma il mio cuore era stretto da un'invincibile tristezza, sebbene tutto fosse invece così lieto intorno a me! No, non tutto: ritrovavo l'Arno, che avevo lasciato placido e sereno, gonfio, con le acque foscamente colorite di giallo fangoso, gorgoglianti di un rumore sordo; al mio saluto non ha risposto col consueto scintillìo, ma ha seguitato la sua corsa disordinata, brontolando una minaccia che mi ha sinistramente colpita. Ripensandoci mi pare una sciocchezza, eppure lì per lì mi sembrò che l'Arno, così mutato, fosse l'indizio di mali a venire; scappai dalla finestra, m'accinsi a riordinare in casa varie faccenduole, mi occupai dei miei lavori domestici; ma lo facevo macchinalmente; nel mio pensiero non esisteva che l'imagine della mia casa di laggiù, la visione dell'abbraccio di mamma e della stretta con cui Amelia mi aveva salutata… Ebbene, devo confessarlo? La prima volta che mi separai da loro per andare via sposa, non soffrii, no, come adesso: allora, dinanzi a me, si mostrava il misterioso avvenire pieno di quel fascino che esercitano le cose sconosciute: io, tutta intenta a sollevare con la mano tremante il fitto velo che lo copriva, non sentivo il dolore della perdita che facevo. Mi pareva che nella nuova via non mi attendessero che rose e rose; credevo che l'amore dovesse condurre in un giardino incantato, nel quale nessuna sventura, nessun dolore potesse penetrare. E mi inoltravo timida, ma fiduciosa, e passavo dalle braccia di mia madre in quelle di Corrado lieta di una dolce aspettativa… Ahimè! ahimè!… staccandomi dalle braccia di mia madre ora sapevo, sapevo che cosa mi attendeva!… Un lento succedersi di giorni tristi, che inesorabilmente consumeranno ogni speranza; io vedrò sparire la mia gioventù, la mia vita con la dolorosa persuasione di non avere saputo che cosa offra quella, che cosa veramente sia questa. Il mio destino si è compiuto e non ho diritto in faccia agli altri di lamentarmi; sono la moglie di un onesto uomo da me liberamente scelto: egli mi dà tutto ciò che può dare; se a me non basta, che cosa fa?… Tanto peggio per me: il mio dovere è di nasconderè in fondo al cuore l'amaro disinganno; questa è la mia strada, che le forze mi aiutino e la seguirò fino in fondo! Ero riuscita così bene a nascondere alla mamma le mie segrete amarezze; ma al momento di lasciarla uno scoppio di pianto irrefrenabile mi scosse tutta e dovette destarle qualche sospetto. Si chinò ansiosamente su me, mormorandomi all'orecchio:

— Figlia mia, che cosa hai? Perchè piangi così?…

Non potei risponderle nulla, soltanto mi strinsi più forte a lei, quasi che non avessi voluto lasciarla, ed ella allora ha soggiunto:

— Lauretta, mi hai nascosto qualche cosa?

Mamma mia! ho scosso il capo negativamente, ma ti ho mentito, ti ho mentito! Avrei forse potuto spiegarti ciò che sento, avrei potuto dirti: « Mamma non è così che io avevo sognato l'amore, non è così che credevo la vita! » Tu mi avresti domandato quali motivi avevo per lamentarmi e se te li avessi detti, certo avresti sorriso tu pure; sebbene così intelligente e buona, mi avresti detto: « Bambina! » senza capire nemmeno tu che puerili, insignificanti, come a voi tutti sembrerebbero, questi motivi, minuto per minuto, mi straziano l'anima, perchè hanno fatto crollare tutta la mia fede!

19 gennaio.

— Lauretta, sai, che da quando siamo tornati, hai una faccia da funerale? — mi ha detto Corrado.

Sono rimasta muta e confusa; egli ha proseguito:

— Ti annoii? Perchè non cerchi di svagarti facendo qualche visita, uscendo un po' di più?

— Ma credi, Corrado…

— Già, io sono tanto sciocco da non accorgermi di nulla! — mi ha interrotto egli con impazienza: — Una delle tue qualità migliori era il carattere dolce ed uguale, se lo perdi, che cosa succederà? Non è punto piacevole il vedersi accanto un essere che si aggira tetro come un fantasma… Se la gita di Bologna deve avere fruttato questo bell'effetto era meglio star qui… Mi sarei risparmiato tanta noia!…

Mi nascosi la faccia fra le mani e singhiozzai. Come mi sentivo disperata! Che cosa avevo fatto per meritare un linguaggio simile? In che cosa ero cambiata da prima?… Che io fossi seria o sorridessi, per lui non era la stessa cosa?… Quando mai il mio sorriso aveva avuto qualche influenza su di lui? Ah! sì, ora capivo: che egli non ci facesse attenzione era naturale, non è il padrone lui? Quello che però non è permesso, è che io mi abbandoni ai suggerimenti dell'animo mio; no, anche quel meschino conforto di essere naturale a seconda dei miei sentimenti mi è tolto… Vedendomi singhiozzare Corrado si avvicinò a me, e, mettendomi una mano sul capo, riprese:

— Andiamo, smetti di piangere, Lauretta. Guarda, ti ho fatto una bella sorpresa…

E nel dire mi porse due biglietti di poltrone per il teatro Regio. Ecco dunque ciò che, a parere suo, bastava per consolarmi!

— Grazie — mormorai. Volentieri avrei preso i bigliettini di carta rossa e li avrei strappati in faccia a lui; ma a che cosa sarebbe giovato? Avrebbe forse capito che con una carezza, con una parola veramente amorevole egli mi avrebbe compensata meglio del mio dolore? No di certo, e se non lo sente da sè, queste cose io non potrò mai insegnargliele; è il suo cuore, che dovrebbe suggerirgli la medicina che ci vorrebbe per guarirmi; ma no, egli in fondo mi considera una bimba capricciosa, e con i rimedi sbagliati peggiora la situazione. Infine, ieri sera andammo al teatro. Si rappresentava il Mefistofele: conoscevo quella musica bella per averla suonata al pianoforte soltanto: che effetto mi ha fatto il sentirla in teatro! La morte di Margherita mi ha commossa al punto di farmi venire le lacrime agli occhi; ho avuto una paura che Corrado se ne accorgesse! Fortunatamente si divertiva a guardare in qua ed in là senza badare molto a me. Quanta gente c'era! Nei palchi una quantità di signore che si agitavano per attirare gli sguardi: io mi divertii ad osservare, durante gl'intermezzi, un gruppo di giovanotti che stava nella fila di poltrone subito davanti a noi: portavano tutti la giacchetta nera detta a smoking, la cravatta nera, le camicie lucidissime e i guanti chiari. Fra un atto e l'altro si alzavano in piedi e cominciavano a guardare intorno col canocchiale. Ogni tanto si scambiavano una frase che doveva essere una critica o una lode di qualcheduno, perchè avevano nel viso l'espressione dei contadini, che vanno alla fiera a comperare il bestiame: lo esaminano, lo giudicano con un colpo d'occhio, poi gli dànno un prezzo; così pareva che facessero costoro; e le donne si sottomettono a fare la parte del bestiame? Il più curioso è che cotesti uomini si muovono tutti allo stesso modo, hanno i medesimi gesti, dicono le stesse spiritosità sciocche; poi vorrei sapere a che scopo guardano tanto le donne. Fanno la corte a tutte per mestiere? Quasi lo si crederebbe, a vedere quanto si dànno da fare, come stanno lì in agguato, pronti a dare l'assalto. Che piacere ci può essere nel vedersi ricercata da simili individui? Io non lo saprò mai, poichè non sarò mai cercata. Anche questo mi ha colpita; non sono brutta, senza falsa modestia; eppure, se per caso gli occhi di uno di cotesti uomini cadevano su me, mi accorgevo benissimo che si affrettava a voltarsi da un'altra parte. Infatti a me nessuno fa attenzione; nè quando sono per la strada o alla finestra, nè altrove; mentre vedo guardare tante altre che, in verità, sono da meno di me. O da che cosa dipenderà cotesto? Comunque sia, non me ne lamento di certo: sento che se dovessi essere osservata come vedo osservare molte donne, morirei dalla confusione; no, no, mi piace assai più passare inosservata, dimenticata, così almeno posso starmene in pace senza che nulla mi disturbi. Ma sono proprio buffa io con le mie idee! Se qualcheduno leggesse queste pagine, chi sa che cosa penserebbe di me… « L'altra notte in fondo al mare »… Oh! la dolcissima nenia! E il duetto: Lontano, lontano!… sentirselo cantare sottovoce in una bella serata, con la luna che irradia l'Arno e ne trasforma l'acqua in una fascia d'argento, sentire a poco a poco svanire la divina armonia in un susurro lieve, e questo pure perdersi nella dolcezza infinita di un lungo bacio…

Ah! Lauretta?… La cuoca ha messo la minestra?

22 gennaio.

Che cosa vogliono da me?… Che cosa vogliono da me?… È tornato il signor Max… Ancora come quella sera mi si è avvicinato per prendermi le mani, ancora nel fissare i suoi occhr ho provato tanto terrore che, inaspettatamente, mi sono alzata gridando: « No, no… » e sono scappata a rinchiudermi a chiave in camera. Corrado mi è venuto dietro; ho sentito dal tono della sua voce, mentre mi chiamava, che era in collera: ha picchiato due volte all'uscio, ma io non ho risposto, non mi sono mossa. Allora è tornato nel salotto col suo amico. Quell'orribile faccia perchè mi perseguita così? Tutta la sera sono stata al buio in camera; capivo di essermi condotta in modo fanciullesco e tale da meritare i rimproveri di Corrado… Ma che importava? Tutto era preferibile al ribrezzo invincibile, che m'ispirava il contatto delle mani del signor Max. Aspettai di sentirlo uscire, poi aprii l'uscio di camera decisa a sopportare la sfuriata di Corrado, ma ferma però nel proposito di significargli, che assolutamente non tolleravo che il signor Max si servisse di me per i suoi esperimenti. Trovai Corrado nel salottino, appena mi vide esclamò molto inquieto:

— Ti sapevo buona a nulla, ma al punto di renderti ridicola, no!

— Scusami, Corrado, ma è stato più forte di me; — mormorai timidamente. — Non avrei dovuto agire così, ho fatto male, lo so, era meglio che ti dicessi prima…

— Che cosa? — interruppe egli con durezza.

Io seguitai coraggiosamente: — Che non mi piace che il signor Max si comporti meco in quel modo.

— E se io lo permetto non basta? Mi pare che io sia al caso di giudicare meglio di te…

— Sì, ma…

— Senti, Laura, smetti di far la bambina e cerca di capire quello che ti dico. Max si occupa di una scienza ancora poco conosciuta; egli me ne ha rivelati gli elementi, ed io ora sono più di lui un fervente discepolo della nuova dottrina. È cosa maravigliosa: non ho assistito ancora che a poche ed incomplete esperienze, ma ne ho provato un'impressione grandissima. Ora, con nuove ricerche, si tratta di approfondire di più questa scienza piena di misteri: per tale scopo occorre trovare un essere dotato di certe speciali attitudini. Max sostiene che tu le possiedi; dunque devi aiutarci nei nostri studi, mettendoci della buona volontà…

Si fermò un poco: di tutto il suo discorso io non avevo capito nulla, uno sgomento si impadroniva di me e trovai appena la forza di domandare:

— Ebbene, che cosa debbo fare?

— Nientemeno che tu, — mi rispose Corrado esaltandosi a poco a poco — devi essere il medium che ci mette in rapporto diretto con gli spiriti che noi evocheremo. Per mezzo tuo arriveremo a porre tali basi alla scienza spiritica, che ha tanti increduli, da levare a tutti l'ardire di combatterla. È un fatto sorprendente, maraviglioso, il potere a nostro piacere penetrare nel mondo degli estinti ed ascoltarne nuovamente la parola, riceverne i comandi. Hai capito ora, quello che vogliamo da te? Hai capito?

Io non risposi. Guardavo stupìta Corrado come se fosse d'un tratto impazzato. Che mi parlava egli di una occulta scienza che faceva rivivere i morti? Io tremavo dal terrore che egli avesse smarrito la ragione.

— Corrado! — gli gridai afferrandolo per un braccio — torna in te, torna in te!

Egli abbassò su di me i suoi occhi chiari, calmi.

— Che cosa ti piglia, ora?

— Ma tu piuttosto — replicai disperatamente

— che insensate cose mi hai dette?

— Insensate? insensate?

— Mi parli di risuscitare i morti…

— Se lo sapevo io che non ci avresti capiti! Chi dice di risuscitare i morti? Si tratta di metterci in comunicazione con gli spiriti loro per mezzo tuo. Del resto, vedrai, vedrai… Ora andiamo a letto.

Si coricò e si addormentò; ma io non ho chiuso occhio in tutta la notte, tormentata da una agitazione, che non mi dava pace. Che cosa vogliono da me? Perchè attribuirmi la virtù orribile di destare dal sonno eterno coloro che non sono più?… Io non capisco ancora chiaramente, ma uno spavento istintivo sorge lentamente dal fondo dell'anima mia; la notte mi è parsa eterna: appena si è fatto giorno sono scesa dal letto e sono venuta qui alla finestra: il freddo pungente mi faceva tremare; oh! ma come era differente cotesto tremito dall'altro che mi aveva tenuto tutta la notte! I chiarori dell'alba sparivano rapidamente e nel cielo glauco, di quella strana tinta opaca dell'inverno, correvano, nunzii del sole, i rossori dell'aurora. Le acque motose dell'Arno avevano riflessi azzurri nel fondo giallo, ed il fiume allungava le sue curve sotto i ponti fra le due file delle case silenziose. Che serenità e che pace! Perchè, se tanto splendore ci viene offerto dalla luce e dalla vita, cercare negli orrori dell'ombra e della morte? Sotto l'influenza benefica del giorno io mi calmavo; le mie tempie avevano smesso l'affannoso battito, il respiro tornava a farsi regolare. Nella mia mente tranquillata, pensavo agli incidenti della sera innanzi, come ad un incubo di sogno; pensavo all'assurdità di quello che Corrado mi aveva detto, con una profonda maraviglia ch'egli, così serio, così riflessivo, avesse potuto dare ascolto a simili fandonie. Eppure io non poteva dubitare della sua convinzione, convinzione che doveva essere stata ispirata tutta dallo Stein. E questi mi appariva come un pazzo, ma un pazzo pericoloso, se aveva tanta influenza da turbare il tranquillo ragionare di mio marito. Ed io pure in faccia a lui non mi ero lasciata vincere da un istintivo senso di terrore? Ma perchè ancora non sapevo: mentre ora che mi veniva svelato il pericolo, d'un tratto capivo di doverlo combattere. Sì, sì: è necessario per la nostra quiete che le funeste esaltazioni di Stein non si comunichino a Corrado, e quindi io devo adoperarmi a distruggerle con lo stesso ardore con cui l'altro le inspira. Dunque era di questo che parlavano insieme tanto misteriosamente? Dunque quando uscivano insieme si recavano, dove? Corrado aveva parlato di esperimenti; ma quali artifizi aveva usato costui per dare apparenza di verità ad una simile favola? Andavano forse nei cimiteri come gli stregoni del medio evo? Che orrore! In faccia a quello splendido sole che m'inondava di calore e di luce provavo un sentimento profondo di pietà per mio marito; come! egli aveva accanto a sè una donna con la quale avrebbe potuto gustare tutte le ebbrezze dell'amore, con la quale avrebbe potuto godere tutte le gioie dell vita, e l'abbandonava per seguire i pazzi suggerimenti di un esaltato che gli parlava di morti! A questi pensieri sentivo nascere in me una forza di cui ero orgogliosa. Ebbene, la bamibina imbelle, mio povero Corrado, avrà la forza di salvarti, di sottrarti al pericolo che ti minaccia: ebbene sì, mi presterò a tutto quello che vorranno per dimostrare poi, con l'evidenza dei fatti, l'insania delle loro immaginazioni. Essi non potranno rifiutarsi di credere quello che è; così l'orribile signor Max sarà smascherato e smetterà di venirsi ad intromettere fra noi. Ma avrò io forza bastante per condurre a termine il mio còmpito? O piuttosto debole, impressionabile come sono non mi lascerò sopraffare, io pure? No, no: è impossibile; troppo ripugnano alla mia mente tali credenze; no, nulla resta di chi è morto: ciò che dicono spirito, non è che il risultato della materia così combinata da formare un organismo animale, quando cotesta combinazione cessa d'esistere, cessano pure quei fenomeni che si attribuiscono allo spirito e la materia si trasforma. Non so dove io l'abbia letto; ma ora tale principio mi rifulge dinanzi, come sacra ed intangibile verità.

Lo stesso giorno di sera.

Corrado è uscito dopo pranzo: mi ha detto che aveva un appuntamento con Stein. Avrei voluto pregarlo di non andare, ma non ho osato; l'ho visto andar via con una pena insolita; quando ha chiuso l'uscio di casa (io l'ho accompagnato fino in anticamera) sono rimasta in piedi assorta, pensando non so neppure io a che cosa. Sono ritornata di qua ed ho cercato di mettermi a leggere: ho cominciato la Faute de l' Abbé Mouret che fin dal principio mi si annunzia come un libro magnifico; ma questa sera non lo gustavo tanto. Involontariamente tendevo l'orecchio per cogliere tutti i rumori che faceva di là, in cucina, Marianna, e calcolavo che ben presto avrebbe finito le sue faccende e se ne sarebbe andata a letto. La mia preoccupazione era tale che ho smesso di leggere per socchiudere l'uscio ed ascoltare meglio. Fuori imperversava un vento furioso e scrosciava a dirotto la pioggia: da che cosa proveniva il turbamento che io non sapevo padroneggiare? Ecco, Marianna chiudeva l'uscio di cucina e andava a rifare le camere per la notte. Ritornai a sedere presso allo scrittoio; ora Marianna preparava le nostre lucernine sul tavolino d'anticamera, poi i suoi passi si avvicinarono.

— Signora, comanda nulla?

— No, grazie.

— Allora, buona notte, signoria.

— Buona notte, Marianna.

Ella se ne andò ed io mi misi il fazzoletto alla bocca per soffocare il grido con cui la richiamavo. Ma che cosa era in me di così insolito? Quante sere non sono rimasta sola ad aspettare che Corrado tornasse a casa? Invano tentavo di ragionare: avevo paura, una paura vaga che mi faceva impallidire ed arrossire tenendomi oppressa, immobile, senza la forza di volgere il capo. Allora per combatterla con un'occupazione gradita ho pensato di mettermi a scrivere e raccontare, come ho fatto, le mie impressioni. Forse nell'involontaria analisi che mi procuro, ne vedrò tutta la insania… Ma è inutile, non sono tranquilla… Ho paura! E di che cosa? Non lo so; ma dopo avere passato tutta la giornata a tracciarmi un piano per combattere la funesta influenza di Stein, all'avvicinarsi della notte si è impossessato di me uno strano malessere. E man mano che fuori spariva la luce chiara del sole, nella mia mente sparivano le chiare idee, una nebbia sottile veniva ad offuscarle; persi la mia sicurezza nei dubbi che violentemente mi assalirono e giunsi al punto di chiedere a me stessa: E se invece avessero ragione? Da qui ebbe origine lo spavento che sento in me; se fosse vero questa cosa orrenda, che intorno a noi, testimoni ignorati, aleggiassero gli spiriti di quelli che non sono più? Se fosse vero che scegliessero fra gli uomini alcune creature per farne le interpreti dei messaggi loro? Dunque mentre scrivo, io non sarei sola, compagni invisibili mi starebbero d'intorno, forse aspettando un momento opportuno per rivelarsi… Ed io non morirei se ora lì, da quella portiera vedessi uscire un fantasma sottile, se d'un tratto mi si spengesse il lume in virtù di un soffio misterioso? Come tremo!…

Non ardisco voltarmi, mi pare che da ogni angolo della stanza parta un susurro lieve e… ohimè!… che cosa è questo? il pianoforte suona? No, no: se avessi il coraggio di muovermi, di alzare il capo e guardare bene all'intorno… Ma si ripete il suono? Che cosa è questa nota continua, ripetuta, che vibra con una sonorità così dolente?… Ohimè! ohimè!… Che silenzio! Ma dunque sono abbandonata, abbandonata? Dunque sono condannata a star sola fra queste paurose immagini?… E ancora la nota… Ma via… se non si ode nulla, se è soltanto una vibrazione del mio orecchio… Che agonia, che agonia! Mi sento sfiorare il viso ed i capelli, leggermente, come da un'ala di farfalla… Oh! dietro di me chi mi tira la sottana? Ho paura… ho paura… per pietà… La fronte mi si bagna di sudore… Divento pazza? Non è tutto al suo posto come al solito? Quante sere non sono stata così? È stupido lasciarsi prendere dalla paura a questo modo… Bisogna ragionare… Mi sono fatta coraggio, ho alzato la testa ed ho girato gli occhi all'intorno: perchè ho subito fissato il ritratto del padre morto di Corrado?… Ho creduto di vederlo muovere… Sì, sì… si è mosso, si è piegato in avanti… Oh! la mia testa se ne va… Dovrei prendere il lume, andare lì sotto a guardare bene quella fotografia per convincermi che è immobile. Ma io non posso, le gambe non mi reggerebbero; e se poi vedessi che si muove?… Se tornasse Corrado! Io gli dirò tutto, lo scongiurerò di non parlarmi più mai di queste cose orribili che mi torturano, che mi fanno perdere la ragione. Eppure questa mattina ero così calma, ragionavo con tanta sicurezza, come mai ora mi lascio sopraffare così dalla paura?… La portiera si muove… la portiera si apre… Chi viene? Mi sento morire… Aiuto… Quanto deve durare ancora questa tortura?… Ah! gioia! ecco Corrado!

23 gennaio.

Ebbene, quando sono stata in presenza di Corrado, mi sono vergognata di dirgli le mie sciocche paure. Forse se si fosse accorto del mio turbamento gli avrei confessato tutto: ma non ha fatto nessuna attenzione a me; ha detto che era stanco e siamo andati subito a letto. Così ho taciuto, e poi mi pareva che non avrei saputo più che cosa dirgli: appena è comparso, i miei terrori sono svaniti per incanto e il più curioso si è che quasi quasi dubitavo di averli avuti. Ero stata proprio io? E per fare una prova, prima di coricarmi, con un pretesto qualunque, sono uscita di camera al buio, sono venuta qui sola, mi ci sono trattenuta un pochino, sempre al buio e sempre tranquilla me ne sono ritornata di là, ridendo di me stessa. Adesso poi sono convinta che nelle mie visioni non vi era nulla di reale; sono state tutte allucinazioni del mio cervello turbato dai discorsi di Corrado. Gli spiriti non esistono che nella fantasia che li crea; ecco come anche Corrado è stato vittima degli inganni di Stein. Bisogna metterci un riparo per lui e per me, e troncare un gioco, che alla lunga deve diventare assai pericoloso. Questa mattina ho pregato Corrado di condurmi al teatro; è uno stratagemma che ho trovato per evitare di restare in casa sola o di ricevere l'odioso Stein, la cui faccia mi è di così sinistro augurio. Corrado è stato sorpreso dalla mia domanda: mi è parso che esitasse, ma poi avrà riflettuto che non gli ho mai chiesto nulla e che negarmi questo piccolo favore sarebbe stato una superflua durezza, ed ha risposto affermativamente; ma per correggere subito quello che poteva esserci di troppo affettuoso nella sua condiscendenza ha soggiunto:

— Dimmi, Lauretta, non ne avrai spesso di queste voglie?

Sono diventata rossa, rossa ed ho mormorato:

— Se non ti fa piacere, sai…

— Oh! — ha ripreso egli — per una volta ogni tanto! — Mi ha fatto una carezza sulla guancia e se ne è andato. Ed io mi domando ancora: è egli possibile che non si accorga di tutte le punture che mi fa col suo modo di agire? È egli mai possibile che non si accorga affatto della pena profonda che mi arreca e come invece di abbandonarmi a lui io, a poco a poco, insensibilmente mi ripieghi su me stessa e gli sfugga sempre di più? Eppure non posso dubitare del suo affetto, capisco che se gli mancassi, ne proverebbe dolore; ma questo dolore sarebbe cagionato da una sofferenza che procurerebbe a lui l'interruzione dell' abitudine ormai contratta di avermi sempre vicina, o perchè gli dorrebbe l'essere privo di me? Forse è più vera la prima supposizione, oramai sono giunta al punto di non farmi più illusioni; in questi mesi di matrimonio non ho avuto campo di perderle tutte? Riepiloghiamo: sono quattordici mesi che sono sposa; nel nostro viaggio di nozze, che è durato due mesi, l'amore di Corrado si manifestava in modo più vivace forse… ma non più conforme a quello che ci sarebbe voluto per una giovinetta vissuta, come me, nella più profonda ignoranza di tutto, sotto la continua e delicata vigilanza di una madre che aveva per noi le cure più minute. Mi rammento che passavamo le giornate a visitare i Musei e le Gallerie: io stupita e stordita da tutte le magnificenze che vedevo, avrei desiderato di trovare in mio marito un maestro indulgente che mi avesse insegnato a gustare e ad apprezzare quello, che da me sola non potevo capire che a metà. Ma Corrado esaminava per conto proprio, consultando la guida, trascinandomi al suo braccio come un bagaglio, di cui non ci si dà pensiero più che tanto. Io attribuiva cotesto suo modo di fare alla sua superiorità, e sebbene avessi desiderato di vederlo un poco più occupato di me, per inalzarmi fino al livello suo, tuttavia non lo accusavo. Una volta a Firenze, davanti alla splendida Maddalena del Correggio, che riconobbi, avendola veduta riprodotta in alcune stampe, dissi timidamente:

— Che bel quadro! È del Correggio, non è vero?

Corrado mi rispose brevemente:

— Del Correggio — e tirò di lungo, quasi infastidito della mia interrogazione, che lo aveva distolto dalle sue silenziose contemplazioni. Le giornate passavano così; le notti… oh! al loro avvicinarsi tremavo: subivo smarrita e sgomenta le effusioni di un sentimento che mi si mostrava brutalmente privo di qualunque delicato riguardo verso la mia casta ignoranza: una notte Corrado mi disse sorridendo: « Che donna fredda sei! » Da principio non capii bene, poi soffrii di quelle parole come di un insulto. Donna fredda? Donna? Ma io ero una fanciulla ancora: che cosa si aspettava di trovare in me, come mi avrebbe egli voluta? E mentre dormiva, piansi silenziosamente: poi mi persuasi ch'egli non era in grado di capire l'offesa fattami con le sue parole e gliele perdonai. Andammo per qualche mese a Ferrara, dove egli aveva alcuni interessi da sbrigare e lì, cessati i trasporti troppo violenti, cominciò l'andamento tranquillo della mia vita di oggi. Fu allora che per la prima volta una indefinita intuizione mi fece presentire quello che soltanto da poco mi è chiaramente apparso a traverso queste pagine. Ohimè! Sì, i miei sogni di giovinetta mi avevano fatto intravedere il miraggio di una vita ben differente! Senza formularlo nettamente, forse per il desiderio di sfuggire ad una evidenza che mi spaventava, capii che per mio marito io non rappresentavo nulla di più di un oggetto quasi indispensabile a chiunque desidera avere i proprii comodi in casa, e voglia liberarsi di tutte le piccole miserie della vita quotidiana. Lo capii, ma non seppi ribellarmi in tempo, ed ora ne subisco le conseguenze. È innegabile; molta colpa È mia, se mi trovo in così triste ed avvilente condizione, e lo devo principalmente a me, al mio carattere di una sensibilità esagerata, che mi fa soffrire di tutto, senza darmi l'energia per lottare o sfogare apertamente le mie sofferenze. Quanto apprezzo, quanto stimo la forza di quei caratteri capaci di imporsi, di dominare chi li attornia, sapendo piegare tutto dinanzi la loro volontà! Per esempio, quando incontro per via la signora Torrani non posso a meno di ammirarla: ella passa camminando diritta, col capo fieramente eretto, sul corpo alto, slanciato, bellissimo. Gli occhi hanno lampi superbi e la bocca arcuata mostra di non sapersi aprire che per comandare: tutto in lei dimostra la forza, l'energia e al solo vederla così imponente, si capisce che quello che è fisicamente, lo è anche moralmente. Come ognuno deve inchinarla, obbedirla! Invece io così esile, così piccina, io che non so alzare gli occhi senza arrossire, io che tremo per la minima cosa, non rivelo in ogni parte la mia inferiorità, che mi rende forse indegna di una sorte migliore?

24 gennaio.

Quanta gente c'era al teatro! La Gioconda però è un'opera che mi piace poco e per conseguenza non sono stata molto attenta allo spettacolo; tuttavia non ho perso la mia serata. La poltrona accanto alla mia era occupata da un impiegato di prefettura, certo signor Chinassi; siccome conosceva Corrado, questi me lo ha presentato e ci siamo messi a discorrere, ossia lui a discorrere, perchè non si è chetato un momento e con la scusa di nominare a me forestiera le persone del paese, ne ha profittato per dirne di tutti i colori. Io non mi riavevo dallo stupore: ecco su per giù la sua conversazione: — Quello là è l'avvocato Z… un originale, così avaro da essersi ridotto a non mangiare che due volte la settimana e ancora cerca in quei giorni di farsi invitare a pranzo da qualche amico. Vede la Y?… Lì al numero tre… è vestita di celeste. È l'amante di quel giovinotto là in poltrona col fiore all'occhiello; lui, viceversa, vuole sposare quella ragazza laggiù vestita di rosa: è brutta, eh? Ha parecchie centinaia di migliaia di franchi di dote però… Conosce la X?… Bella donnina: ma stupida come un'oca; ciò non toglie che tutti i gioielli che porta le siano stati regalati dal vecchio R; il marito, visto l'importanza dei doni, tace: forse pensa che all'età del donatore i danni recati non possono essere gravi. — Qui una grande risata. — Vede nel palco lassù due signorine con la madre? Vecchia nobiltà che per venire al teatro in legno, forse non ha mangiato: le altre lì sotto invece sono le figlie del negoziante V… ricchissimo; ma con certe abitudini… che… mi capisce… — e mi ammiccava l'occhio maliziosamente. Io non capivo nulla; egli seguitò egualmente. — La Torrani? Bella, eh! Oh! sì, bellissima e lo sa e le piace di sentirselo dire: non le hanno detto che alcuni giorni fa ha corso il rischio di dovere comparire in tribunale? Già, proprio: ha rotto il naso alla cameriera nel gettarle in faccia una boccia, credo. Ma hanno soffocato la faccenda con dei denari e poi è in grande intimità con varii pezzi grossi. E la vecchia marchesa S?… Guardi come è imbellettata? Ma si figuri che vogliono dire che sia innamorata del T… Lo conosce? No? Un ragazzo che avrà sedici anni; prima c'era un ufficialetto; ma è fuggito per non lasciarci la pelle. Oh! ecco il gran S… Osservi il suo contegno irreprensibile. Abito nero, gardenia, non manca e nulla e tutto ciò è messo insieme col patrimonio di certi pupilli a cui con un'abilità senza pari ha sottratto ogni cosa… Ora si volti qua… a destra… Vede un signore ed una signora? Stia attenta, non si parlano mai, evitano di guardarsi: quando poi sono in casa si bastonano a più non posso, tanto da farsi sentire dai vicini…

Io finisco: ma egli ha durato a questo modo per tutta la sera. Nessuno eccettuato, nessuno escluso: quella tal signora aveva un amante, l'altra dieci: chi era un ladro, chi un imbecille, chi un furfante: non ne potevo più: finalmente nell'uscire ci separammo. Allora chiesi a Corrado:

— Dimmi, ma sia vero tutto quello che ha detto costui?

— Eh! per una buona metà; — mi rispose.

— È impossibile! — esclamai. — Non hai sentito che secondo lui tutti gli uomini erano birbanti o imbecilli, le donne tante poco di buono?

— E non è la regola cotesta?

— La regola?

— Sicuro. Ah! bimba, tu non puoi sapere nulla di queste cose, e meglio è che tu non te ne occupi.

Corrado ha conchiuso così ed io non ho insistito di più; ma avrei tanto desiderato che si spiegasse meglio. Dunque la regola è che tutti sono cattivi? Che tutti fanno il male? La regola è di derubare i pupilli, di tradire la fiducia, di maltrattare i dipendenti?… Che strano modo di concepire la società! Ma no, no, questo non può essere; è forse la cattiveria di alcuni che si compiace di fare apparire tutto del loro aspetto, o forse per esaminare un cattivo, per fermarsi ad osservare le sue male azioni, si dimenticano i dieci, i cento buoni a cui si passa accanto. Vorrei sapere per quel mucchio di gente, (ammesso pure che il ritratto fattone da Chinassi sia vero), per quel mucchio di gente cattiva che stava al teatro, alla stessa ora quanti sacrifici ignorati si compievano, quanti atti d'eroismo sconosciuto saranno stati fatti! E forse anche fra coloro tanto severamente giudicati, quanti ve ne sono più degni di compassione che di biasimo? Perchè tanta prontezza nel condannare? Perchè tanta compiacenza nel ritenere la probabilità del male? Io, per conto mio, non mi ricordo di avere mai provato una così disgustosa impressione, come quella cagionatami dal linguaggio maligno di Chinassi. Poi mi piacerebbe sapere un pochino come si comporta egli che parla tanto a carico altrui? A me sembra che, se sapessi con certezza di qualche colpa commessa da un altro, farei di tutto per non divulgarla. Ecco, come tanta gente che conserva così rigidamente il culto di Cristo, che così puntualmente osserva i riti religiosi, pratica poi la grande misericordia, ch'egli insegnava! Oggi è domenica, ho smesso un momento di scrivere per affacciarmi alla finestra. Quanta gente c'è per la strada! Mi sono fermata ad osservare i varii tipi che passano. Più d'ogni altro domina quello della ragazza, che è stata durante tutta la settimana a lavorare per poter oggi rinnovare un vestitino nuovo. E come lo ha guarnito! Nastri celesti su un fondo di lanetta marrone; stralisciature di velluto verde su una sottana color pruna; petti arancioni a giacchette avana! C'è da inorridire: eppure che aspetto trionfante hanno! Come vanno pompose e fiduciose di pescare, con le occhiate, un marito fra gli uomini che incontrano! Nell'espressione della maggior parte di coteste fanciulle si vede chiaramente che non è a questo od a quell'altro uomo cui badono; no, per loro sono tutti uguali: chiedono soltanto che uno di essi si decida ad impalmarle. Gli uomini lo sanno, e le guardano, e le avvicinano e ne raccolgono le occhiate… Quindi si affrettano a girare alla larga. Quante delusioni! Che avversione ho sempre avuto io a frequentare i luoghi dove s'incontra molta gente. In questo eravamo perfettamente d'accordo con la mamma, tanto che quando si usciva prendevamo sempre strade remote; Amelia se ne indispettiva, perchè ella ha un carattere tanto differente dal mio: è vivace, chiassosa, espansiva, somiglia più al mio povero babbo, mentre io ho l'indole timida e taciturna della mamma. Quante volte abbiamo passato ore ed ore io e lei, lavorando accanto, senza aprire bocca; ogni tanto ci scambiavamo un sorriso e con quello ci dicevamo tante cose! Ah! dolci ore, così quiete e serene! Io sognavo l'avvenire, mi compiacevo ad ornarlo d'immagini fulgide, la mamma, forse, nella placida malinconia del presente, ripensava al passato! Poi tornava da scuola Amelia ed allora non più silenzio: la voce di lei, le sue risa, squillavano dappertutto ed era come una fanfara di gioia che echeggiava per le stanze. La mamma ed io finivamo per ridere anche noi alle sue pazze monellerie, « la fine della giornata ci trovava tutte e tre unite, felici nell'affetto profondo che ci legava!… Che cosa è caduto qui?… Una lacrima? E sono stata io?… Pare di sì perchè mi accorgo di avere tutti gli occhi umidi… Ma ne ho colpa se a questi ricordi mi sento infrangere il cuore? Che cosa mai darei per ritrovarmi a quei tempi, per restarci sempre, sempre! Mi sento morire in questa solitudine che mi attornia: io ho bisogno più che del pane, più che dell'aria, di sentirmi sorretta, vegliata da un affetto dolce e continuo, da un affetto che si faccia sentire, anche senza bisogno di manifestarsi, come accadeva con quello della mamma mia… Se le scrivessi? se le dicessi tutto, se la chiamassi in aiuto? Che cosa potrebbe ella dirmi, che io non sappia già, che non mi sia già mille volte ripetuto? Mi parlerebbe dei miei doveri, mi direbbe che ciò che è stato, è oramai irreparabile, e che in sostanza ho torto di lamentarmene… e non lo so tutto questo, non lo so? Dunque a che scopo dovrei affliggerla, perchè dovrei turbare la sua quiete con le mie pene? Ah! no: anche mia madre è in parte perduta per me!

30 gennaio.

Non so più quello che io mi sia; non ho più avuto neppure la forza di aprirti, librino mio: da una settimana non vedo più, non sogno più che tavole giranti, che messaggi misteriosi. A momenti mi pare di perdere la ragione; la notte invece di dormire tendo l'orecchio ad ogni piccolo rumore e mi par di udire camminare intorno a me, mentre è il mio cuore che batte affannoso; mi pare di vedere tutti i mobili della stanza muoversi in una ridda fantastica e ombre e visioni orrende rizzarmisi davanti… Vogliono farmi ammattire! Vogliono farmi ammattire! Ho scongiurato Corrado di permettere che non assista più a quelle sedute che fanno la sera con Stein intorno alla tavola girante; gli ho confessato la mia debolezza, la paura che suscitano in me, la paura irragionevole che mi fa trasalire, che mi turba la mente. Egli mi ha chiamato « scioccherella », ha detto che mi abituerò, che è maravigliato dei risultati prodigiosi che si ottengono per mio mezzo, e che sarebbe un peccato interromperli ora che sono così bene avviati… Ma io non conto nulla? La mia calma, la mia salute non valgono nulla per lui? E davanti a tanta ingiustizia, per la prima volta in vita mia mi sono ribellata. Mercoledì, quando è venuto al solito Stein, mi sono rifiutata di mettermi al tavolino per farlo girare, ho rifiutato di farmi legare il lapis alla mano e di scrivere, e sono andata a rinchiudermi in camera… Ma neppure lì ho potuto rifugiarmi: mi sembrava che mille mani invisibili mi toccassero, alla fiamma vacillante della candela vedevo mille ombre strane uscire dalle tende, sorgere dal pavimento; poi ad un tratto, voltandomi bruscamente, vidi sul mio letto, sotto la coperta, disegnarsi una forma rigida di corpo umano… Gettai un urlo e ritornai nel salotto: era tutto buio; Stein e Corrado non ci erano più. Allora il mio terrore divenne anche più atroce, sentivo muoversi intorno a me tutti i mobili della stanza: in un angolo un rumore sordo si ripeteva continuamente, un soffio gelido mi sfiorava la faccia: mi misi le mani sugli occhi e fuor di me, pazza dallo spavento, corsi in camera di Marianna. La donna destata di soprassalto si mise a urlare, poi accese il lume e mi vide ritta, immobile. Dovetti farle paura perchè balzò dal letto e corse verso di me chiedendomi: « signora, signora, che cosa è successo?…» Io non parlavo, non potevo parlare; soltanto un tremito mi faceva battere insieme i denti. Marianna mi fece sedere, mi spruzzò un po' d'acqua in faccia, quindi fece atto di uscire dalla stanza forse per andar a prendere qualche cosa. Ma io subito trovai la forza di gridarle: « non mi lasciare! » Ed ella tornò verso di me infilandosi una sottana ed un corpetto.

— No, no: come vuole; ma mi dica, che cosa è stato?

Che cosa era stato?! Potevo umiliarmi al punto di raccontare a lei i miei terrori, le pene mie? Una vergogna di me stessa, una disperazione dell'abbandono in cui mi trovavo, mi assalirono così forte, che, nascosto il viso fra le mani, scoppiai in un pianto dirotto. Quello sfogo mi sollevò un poco: intanto sentivo la Marianna che mi andava dicendo parole di conforto. Quando mi propose di accompagnarmi in camera mia, di mettermi a letto, il ricordo delle mie paurose visioni mi ritornò e con un brivido di ribrezzo fui sul punto di rifiutare. Ma mi dominai, il pensiero che Corrado potesse ritornare, mi aiutò a vincermi e, seguendo Marianna che mi precedeva portando il lume, tornai di là. La prima cosa che feci fu di gettare uno sguardo pauroso sul letto: da i due lati la camicia da notte di Corrado e la mia stavano disposte in ordine, la coperta celeste a fiorami bianchi era ripiegata regolarmente in fondo al letto e sul coltrone rosso, il lenzuolo rimboccato, spiccava bianchissimo. Mi rassicurai: aiutata da Marianna mi spogliai, ma sul punto di entrare nel letto un'ultima ripugnanza mi vinse, e mi ritrassi.

— Signora, non prenda fresco, entri nel letto.

— E Marianna con un gesto rapido sollevò le coperte ed io mi decisi. Ero appena coricata, che il passo di Corrado in anticamera annunziò il suo ritorno. Come vide Marianna, si fermò sorpreso:

— Che cosa è stato?

— La signora ha avuto un leggero disturbo…

— Davvero? — domandò Corrado, e si accostò a me con premura.

— Che cos'hai?

— Un malessere che non so definire, — risposi sottovoce.

Egli intanto mi tastava la fronte ed il polso.

— Ah! non è nulla, — disse poi rassicurato, e congedò Marianna.

Tornato vicino al mio letto, riprese a dire, in tono piuttosto severo:

— Vedendo che non stai bene mi spiego il tuo inqualificabile modo di agire di poco fa; ma tu non vuoi persuaderti che non sei più una bambina e che certe bizze ridicole non ti sono più permesse.

— Ma io non posso, non posso far quelle cose… — replicai.

— Andiamo via, bisogna imparare a vincere le sciocche impressioni: che cosa ne sarebbe di noi, se ci lasciassimo andare a tutte le irragionevolezze a cui ci sentiamo spinti? La ragione c'è per qualche cosa, per bacco! Orsù, non voglio stancarti, ma ricordati di darmi retta e vedrai che te ne troverai bene.

Si scostò dal letto e principiò a spogliarsi: intanto mi raccontava di avere conosciuto la sera stessa un tale che veniva da Milano, dove aveva assistito a varii esperimenti di spiritismo addirittura maravigliosi. Una donna messa su una bilancia aumentava e diminuiva di peso senza alcuna causa visibile; professori illustri e scienziati erano rimasti sbalorditi da tanti stranissimi fenomeni, davanti ai quali avevano finito per perdere la loro incredulità. Nel frattempo jo pensavo fra me e me, come Corrado non si accorgesse neppure della crudeltà usata a mio riguardo; no, egli unicamente preoccupato del soggetto che lo appassionava, non capiva, non rifletteva alle torture che m'infliggeva. Ed io mi dicevo: È egli cieco, cattivo, oppure agisce con una specie d'incoscienza? L'uomo dunque è assolutamente privo di quella delicata divinazione che viene data dall'affetto, dalla gentilezza del sentire? Sì: deve essere questo: altrimenti dovrei persuadermi che Corrado mi odia, o che vuol farmi del male per malvagità della sua indole; nè l'una nè l'altra ipotesi è possibile… — E poi dopo essersi messo a letto, come se nulla fosse accaduto, senza tener conto del mio stato, per obbedire forse ad un bisogno che in quel momento lo dominava, non mi prese fra le braccia, quasi fossi stata un oggetto, una cosa, e non volle compiere l'atto, che io dirò soltanto immondo? Dopo sbadigliò rumorosamente due o tre volte, mi diede un piccolo saluto e si addormentò tranquillissimo. Io rimasi sveglia a lungo, assorta nelle mie tristi meditazioni, cercando di rendermi conto dei sentimenti di mio marito, spaventata nel constatare l'abisso che sentivo aprirsi fra noi; ma poi la stanchezza mi vinse, fui invasa da un torpore e mi assopii. Per poco: bastò lo scricchiolare di un mobile per destarmi in un sussulto di terrore; rapidamente accesi il lume e guardai d'intorno. Tutto era calmo ed immobile; mi voltai verso Corrado; egli stava supino con la bocca aperta, dormendo così profondamente che non lo si vedeva neppure respirare. Non ricordo più esattamente per quali pensieri, per quale terribile lavorìo della mia mente eccitata io giunsi a quel punto; ma per me la faccia di Corrado aveva acquistato d'un tratto il colorito e l'immobilità di un cadavere: non era più un uomo vivo che io avevo accanto, ma una fredda spoglia, una orribile larva umana… I capelli mi si drizzavano sulla fronte madida di sudore ghiaccio… Come avvenne? lo chiamai, lo scossi? Non ricordo: so che lo vidi sveglio, fissarmi stupefatto mentre lo udivo domandare:

— Ebbene, che cosa c'è di nuovo?

— Oh! Corrado! — gridai io disperatamente — ho paura! ho paura!

— Di che cosa? Sei proprio ridicola, Laura… Non mi lasci in pace neppure la notte ora? — mi rispose duramente: — Sai, che alla fine comincio ad essere stufo di queste storie? Che ragazzate sono queste? Lo sai pure che se mi sveglio la notte non posso più riaddormentarmi?

Io mi ero coperta fino sul capo con il lenzuolo: nonostante ciò la sua voce irata mi giungeva simile ad una sferzata. Non risposi nulla, pon potevo più parlare nell'angoscia che mi straziava, ed egli, dopo aver seguitato un pezzo a borbottare, si decise a spengere il lume ed a rimettersi giù. Per molto tempo lo sentii rigirarsi di qua e di là brontolando: poi il suo respiro divenne più raro e capii che aveva ripreso sonno. Da quel momento non ho più resistito: ogni sera faccio girar la tavola con Corrado e Stein, sempre quando vogliono, interrogo gli spiriti e rispondo per essi. Vivo macchinalmente, non ho più la nozione esatta delle cose, agisco a seconda di ciò che mi dicono e chiedo loro soltanto di non lasciarmi più sola la sera. Pare che qualche cosa si sia spezzato dentro di me: dove anderò a finire?

9 febbraio.

Eppure, nei lucidi intervalli d'intelligenza che mi restano ancora, devo riconoscere che di tutti i fenomeni di cui sono spettatrice, io, io sola sono causa. Il tavolino gira, si muove, è vero: ma unicamente perchè una contrazione delle mie braccia lo fa muovere: infatti se lo lascio, si ferma. Essi dicono che io sono un buon medium; io penso, quando ho un po'di senno, che la mia eccessiva eccitabilità nervosa è la sola causa di tutto. Come non crederlo, se alle interrogazioni che essi rivolgono ai supposti spiriti, io rispondo, ossia il mio braccio irrigidito scrive la risposta, che il mio cervello aveva già pensata? E quando pretendono di evocare delle visioni e la voce aspra di Stein, quella voce che io non posso mai udire senza raccapriccio, mi ordina di dire ciò che vedo, io rispondo di sì e parlo; ma allora accade in me un fatto assai bizzarro; dico di vedere ombre lievi e bianche aggirarsi nella stanza e mi immagino di vederle, quantunque abbia l'intima sicurezza che non ce ne sono; dico di sentirmi toccare, e ciò mi sembra davvero, sebbene sia certa del contrario… Ohimè! che cosa hanno fatto di me? A che cosa attribuire questo mio stato? Io mi riconosco incompetente a spiegarlo; ma nei momenti di calma, quando, per esempio, come adesso, splende in cielo il fulgido sole e intorno a me non vi sono dubbiose ombre, ma tutto è luce e verità, io ho la coscienza di essere vittima di una allucinazione suggerita dai miei nervi, ho la sicurezza di essere in preda ad una suggestione che mi viene fatta da Stein, o forse dalla stessa mia fantasia morbosamente eccitata. Ho voluto tentare di infondere questa mia persuasione a Corrado; ma egli, dopo aver ascoltato le mie imbrogliate descrizioni, ha alzato le spalle e non mi ha più dato ascolto. Eppure, se egli mi credesse, se insieme potessimo studiare lo strano fenomeno, che mi fa essere e non essere nello stesso tempo, quale beneficio potremmo ricavarne ambedue! Per me certo sarebbe il riposo, la fine di questi tormenti che alterano la mia salute; poichè da qualche tempo dormo pochissimo e la continua agitazione in cui vivo mi dà un opprimente malessere: mi pare di essere diventata anche più magra, anche più trasparente di quello che ero; inoltre non posso più mangiare, sono debolissima; insomma sto male, sto male! Oh! se potessi convincere Corrado della insania di simili esperimenti! Se avessi sopra di lui quel potere che non sono mai stata capace di ottenere! Se potessi aprirgli gli occhi sul mio stato e destargli un poco di pietà! dopo tutto mi vuol bene, non può essere così crudele con me per proposito: no, egli non vede, non sente… Oh! come posso fare io per giungere fino al suo cuore?… Invece il primo venuto, un pazzo, un impostore come Stein può avere ogni influenza su lui… Quello Stein, lo odio… Non è a lui che devo la maggior parte dei miei mali? Egli ci inganna tutti, ci precipita per una china in fondo alla quale io presento un abisso che ci inghiottirà!… Dove trovare la forza per oppormi a questa fatale corrente? Chi mi aiuterà? chi mi proteggerà?… Corrado non mi ascolta quando tento di svelargli il giuoco assurdo che ci è imposto… Ecco… oh! che idea… Io stessa parlerò a Stein: gli dirò di finirla, di smettere; gli diro subito questa sera che non voglio essere burlata più a lungo; che so benissimo che il tavolino gira perchè io lo muovo, io, senza il concorso d'altri; che chi detta quando scrivo, è il mio cervello solo: che le visioni le vedo, perchè le voglio vedere, e non perchè ci siano veramente… Poi glielo proverò! potessi avere allora la calma che mi sento adesso! Ma come è dunque che sebbene sappia che tutto parte da me, che tutto ha origine in uno stato speciale del mio organismo, in certi momenti io non riesca a vincere la paura, l'orrenda paura che mi assale, appena mi trovo sola in una stanza la notte? Perchè allora io non oso più movermi, non oso più girare gli occhi, non per il terrore di ciò che vedo perchè intorno a me so che non c'è nulla; ma per una strana paura di quello che potrei vedere? Per esempio: comincio a fissare le tende della finestra, e fra me dico: se ora le vedessi muovere e se mi apparisse uno scheletro, un teschio orrendo, che cosa farei? che cosa proverei? — E a poco a poco quello che penso, mi pare si debba verificare da un minuto all'altro; stille di sudore freddo mi spuntano sulla fronte e i capelli pare che mi fremano sul capo. Soffro allora pene atroci, sono crisi terribili di spavento tanto più tremende, che non ardisco confidarle a nessuno, e che mi lasciano abbattuta, spossata, con un senso di oppressione che grava su me e mi paralizza. Chi mi aiuta! chi mi aiuta! Farò quest'ultimo tentativo: parlerò con Stein: forse egli m'intenderà meglio di Corrado, oppure mi considererà indegna dalla missione, che mi avevano affidata… Oh! se fosse così!… Se a poco a poco potessi dimenticare questo orribile periodo di tempo, se potessi riacquistare la mia pace, la mia libertà di spirito! Non chiedo molto: non chiedo più la felicità, la gioia dell'amore diviso: la pace, la pace… Non più queste angustie orribili, non più quest'imposizione di parlare coi morti: la solitudine, sia pure, ma la pace, la pace!

10 febbraio.

Quel sorriso, quel sorriso crudele di Stein, mentre ascoltava le mie spiegazioni! Non m'interrompeva con esclamazioni come Corrado, non negava le mie osservazioni: sorrideva, e mi guardava fisso, fisso… Sotto l'insistenza del suo sguardo, sentii vacillare la mia mente, cominciai a balbettare parole sconnesse, e pure sapevo, ero certa che mi credeva, che quanto gli narravo non gli era nuovo, che già lo sospettava… E allora? Egli mi guardava e sorrideva, sorrideva con le labbra sottili, smorte, dove i peli biondicci, rari, crescono in disordine… Io smarrivo ogni nozione esatta delle cose, e stupita, disperata, malgrado gli sforzi della mia volontà, resa a un tratto inerte, mi udii… Sì, accadde questo fatto mostruoso, mi udii dire tutto il contrario di quello che volevo! Volevo negare l'esistenza degli spiriti, e ne esaltavo l'essenza misteriosa: volevo dirmi autrice sola dei fenomeni accaduti, e ringraziavo gli esseri invisibili che mi avevano prescelta per messaggera loro… Era orribile! orribile! Ad un tratto un baleno di luce mi attraversò la ragione… Le bianche, metalliche pupille di Stein mi stavano davanti fisse, e dominatrici… Capii. Erano esse, erano esse che mi suggerivano quelle cose, erano esse che mi toglievano la mia forza e la mia volontà: allora, non so, ma io così timida, così paurosa, ebbi un impeto di furore cieco, un bisogno irresistibile di mordere, di far male. Una schiuma mi empiva la bocca: mi avventai contro Stein coll'intenzione di accecarlo, di infrangergli quegli occhi di vetro. Ebbe appena il tempo di scansarmi: ma io era furiosa, invano Stein e Corrado mi tenevano: urlavo, cercavo di mordere, tiravo calci, presa dal bisogno di far male, di far male… Poi non vidi più nulla, e mi sentii cadere… Mi ritrovai sul letto: Corrado e Marianna erano da un lato, dall'altro, un viso d'uomo stava chinato su me. Aprendo gli occhi fu la prima cosa che vidi: uno sguardo dolce e buono, una bocca giovanile che si schiuse ad un sorriso amichevole.

— Ebbene, signora, come si sente? — mi domandò lo sconosciuto. Non risposi, la memoria mi tornava e con inquietudine girai lo sguardo intorno per scoprire se vi fosse Stein. Non lo vidi: intanto Corrado mi diceva:

— Lauretta, è il medico, il dottore Santini.

Riportai gli occhi su di lui, e nell'osservare quel bel viso che aveva un'espressione tanto dolce, tanto pietosa, un senso di contentezza s'impadronì di me, un senso di pace, e al sorriso gentile che mi invitava, risposi io pure con un sorriso, mormorando:

— Sto bene così.

— Allora, — riprese il dottore, — vuol bere un bicchierino di una cosa che le darò io?

Lo ascoltavo con una strana impressione di gioia: la voce sua ben modulata mi faceva l'effetto di una squisita melodia, mi pareva che quello sconosciuto fosse stato mandato lì fra noi per troncare e sventare tutte le maligne influenze di Stein. Senza parlare presi il bicchierino ch'egli mi porgeva e bevvi. Poi mi rimisi supina, immobile.

— Cerchi di dormire; — mi disse di nuovo il dottore, passandomi una mano sulla fronte per liberarla dai capelli che ci cadevano sopra disordinatamente. Chiusi gli occhi; ma li riaprii subito presa dal timore ch'egli se ne andasse, e lo pregai sottovoce.

— Non mi lasci.

— No, no, stia tranquilla, — mi rispose sorridendo ancora. Avrei voluto saperlo sempre lì accanto. Provavo lo stesso sentimento che mi faceva addormentare tranquilla quando ero bambina al pensiero che il mio buon angelo custode vegliava su me. E mi addormentai placidamente, come da molto tempo non mi era accaduto: oggi sono debolissima, ma sto abbastanza bene. Sono rimasta a letto fino a mezzogiorno; Corrado mi ha detto che il dottore tornerà. Se mi riuscisse di trattenerlo con un pretesto fino a sera per metterlo in faccia a Stein… Ecco, gli dirò di restare, simulando di sentirmi peggio.

16 febbraio.

Come potrei trovare parole per esprimere almeno all'incirca la profonda, squisita emozione provata in questig iorni? Prima lo stupore e quasi la incredulità, poi una gioia ineffabile, una gioia senza limiti mi ha rigenerata, trasformata! Ho passato ore ed ore ripiegata su me stessa nella contemplazione interna della creatura che si sta formando nel mio ventre! Le mie mani ci si incrociavano sopra quasi volessero già difendere e proteggere il piccolo essere informe, che da me viene a prendere vita. Io le guardavo le mie mani: così piccole sono ed esili da sembrare trasparenti, eppure sentivo sorgere in loro una forza nuova, invincibile; la forza di vegliare e guidare nei primi passi e più in là ancora, il figlio che verrà… Il figlio!… Mio figlio!… Che fremito di tenerezza immensa suscita in me tale parola! Oh! ora il resto delle cose non esiste più. Sento che tutto di me si concentra in questa speranza che porto in seno e sono felice, felice! Qualunque altro pensiero è bandito da me, la solennità dell'avvenimento che si prepara è tale da far sparire ogni altra cosa; una tranquillità sublime è discesa in me, mi pare di essere trasportata lontano lontano, in un ambiente di serenità e di pace. Oh! no, ora non mi lamento più della mia sorte: ho anche io la mia missione quaggiù, missione d'amore e di letizia. Quanto penso a lui! quanto sento tutta la responsabilità che mi s'impone per istradare la creatura che entra nella vita, senza altra difesa che le mie braccia! Ed io sì, sarò forte, io troverò nella immensità del mio affetto la sapienza di scegliere il modo migliore di avviarlo nel suo cammino. Fino che sarà piccino, veglierò sui suoi sonni, poi principierò ad educargli il cuore e la mente, studierò con lui sui libri, e studierò per lui nel gran libro della vita, onde potergli risparmiare, un giorno, ogni pagina amara… Oh! figlio mio! che tu sia benedetto, benedetto! E pensare che già da tre mesi il misterioso processo della tua formazione si compie dentro di me, senza che lo avessi neppure sospettato! Giovedì, quando il medico, dopo avermi rivolto varie interrogazioni sul mio stato di salute, credette opportuno d'informarmi che ero incinta, non ebbi la forza di rispondergli nulla. Giunsi le mani e lo fissai con gli occhi subitamente velati di lacrime: la mia commozione, la mia gioia dovettero essere tali, che il buon dottore, commosso egli pure, mi strinse la mano silenziosamente. Mai più dimenticherò quel minuto, il più solenne della mia vita. Anche Corrado pare sia contento: ogni tanto, è vero, dice che ora sarà finita la nostra bella tranquillità, giacchè i ragazzi nelle case non recano altro che noia e disturbi, ma in fondo sono convinta che ne ha piacere. Del resto vorrei vedere: se fosse il contrario proverei a suo riguardo un sentimento che non deve esistere in me, perchè voglio voler bene a colui che è il padre della mia creatura e al quale tutto ho perdonato per la gioia che gli devo. Non ho un'ombra di rancore verso di lui per quello che può avermi fatto soffrire; che cosa importa? non è tutto compensato? Corrado troverà sempre in me la più devota, la più sottomessa deile mogli: io gli proverò la mia riconoscenza tutti i minuti coll'indovinare i suoi più piccoli desiderii: tanto oramai che cosa può più toccarmi? Questo, questo che palpita nel mio seno non mi sarà di scudo e di difesa in qualunque evenienza? Cara creatura mia! Sarà un maschio od una femmina? Quale nome le darò? Se sarà maschio gli metterò nome… un nome grande… Napoleone! Se sarà una femmina? Vorrei un nome dolce, gentile… Fiorina, sì, Fiorina la fantastica e leggiadra fi gura che si ritrova sempre nelle novelle delle fate. Mi ricordo che da bambina, stavo per ore ed ore appoggiata al davanzale della finestra a cercare di rendermi un conto esatto di come potesse essere I'immagine di Fiorina. E me la figuravo con gli occhi del soave colore del cielo che impallidiva, con i capelli dorati come le cime degli alberi che raccoglievano gli ultimi raggi del sole prossimo a tramontare. Un usignuolo gorgheggiava e per me quella era la voce sua, come la veste di lei, doveva avere il candore del lume di luna nelle belle notti di estate. Fiorina! Fiorina! Ti ho chiamata così spesso con tanto desiderio; dimmi, sei tu che vieni a me, ora? In questi giorni poi ho avuto un'altra fortuna: Stein è partito per Milano dove è andato ad assistere agli esperimenti spiritici di quella tale medium. Ha lasciato a Corrado una quantità di libri che trattano di quell'argomento; io mi sono ben guardata dalI'aprirli, sebbene non mi senta più suscettibile di subirne I'influenza. Anzi ora ho quasi maraviglia di aver ricevuto tante impressioni: rabbrividisco pensando che lo stato di eccitamento in cui vivevo, avrebbe potuto recare danno alla mia creatura. « Cerchi di stare tranquilla » mi ha detto il dottore, ed io lo ubbidisco. Del resto i turbamenti paurosi del tempo passato si sono completamente dissipati: la mia dolce preoccupazione non mi dà agio di porre mente a simili sciocchezze. Che consolazione è stata anche per la mamma la notizia della mia gravidanza! Mi scrive un letterone pieno di raccomandazioni, di avvertimenti, mi dice che pensa lei al corredino; ciò non toglie però che io non abbia già fatto una provvista di trinine, di nastrini e di ricami per preparare le cuffine ed i corpettini… Angiolo, angiolo mio! Ho paura, giornalino mio che con le mie nuove occupazioni, tu debba essere un poco trascurato. Non te ne avrai a male, eh? Già gli amici veri sono sempre indulgenti, e tu lo sarai. Come sono allegra: ho una voglia di ridere, di scherzare!.. Se ci fosse Amelia! Chi sa quanto le sembrerà buffo di diventare zia! Intanto bisogna che cerchi di mangiare, di rendermi più robusta. Se non potessi allattare? Che dispiacere ne avrei! Corrado aveva detto che nel caso si darebbe a balia per evitare un periodo generalmente assai noioso; ma io gli ho risposto recisamente di no ed in tono così risoluto che egli ne è rimasto sorpreso, e non ha ardito di contradirmi. A balia! ci mancherebbe altro! Se non potrò allattarlo io… ma perchè non dovrei potere? Ingrasserò, ho sei mesi di tempo, mi sforzerò a mangiare della carne, anche se non mi piace.. Anzi, mi pare di avere fame e vado a prendere un crostino!…

20 febbraio.

Il signor Max è pazzo: non so spiegare altrimenti la sua condotta. Ieri sera è venuto a trovarci dopo la sua gita a Milano; secondo il solito, mi ha salutata appena, senza alludere neppure con una parola all'avvenimento che si prepara, quindi si è subito messo a ragionare con Corrado. Io ero sdraiata nella poltrona; ascoltavo con un crescente malcontento tutti i racconti maravigliosi che faceva, arrivando fino a pretendere di avere visto le fotografie di apparizioni soprannaturali. Poi assicurava di avere assistito, insieme a celebri scienziati, a sedute spiritiche, nelle quali si era rivelato tutta la maravigliosa potenza della forza occulta degli spiriti. C'era chi a un tratto s'era messo a parlare ebraico; un altro, senza conoscere una nota di musica, aveva improvvisato sul pianoforte alcuni pezzi, nei quali facilmente si poteva riconoscere il genio di Beethoven… Io m'infastidivo, cercavo di distrarmi, di non udire, ma, mio malgrado, il mio orecchio non perdeva una parola della loro conversazione. Dopo quasi quindici giorni di calma, assorbita unicamente nel pensiero della creatura che vive in me, potevo credermi guarita dalle malsane paure; ma, con mio sommo terrore, pian piano le sentivo agitarsi nuovamente nel mio intimo; la voce metallica di Stein agiva su di me nella solita guisa sinistra: avrei voluto gridargli di smettere, invece non osavo neppure volgere gli occhi dalla sua parte. Sentii che proponevano di ricominciare gli antichi esperimenti qui in casa, ed un fremito mi percorse tutta. No, no: non volevo più, ad ogni costo non volevo. Resa coraggiosa dall'imminenza del pericolo, profittai di un momento in cui Corrado si allontanò dalla stanza, per dichiarare il mio proposito a Stein.

—Signor Max, — dissi senza guardarlo, per non incontrare lo sguardo suo.

Egli tacque, ed io ripresi:

—Signor Max, devo pregarla di farmi un gran favore: non parli più di cose simili a quelle che ha trattato fino ad ora in mia presenza.

—Perchè?—mi domandò con la sua voce fredda e mordente.

—Perchè mi agitano, mi impressionano… e capirà, nel mio stato…

— Quale stato?

Come, non sapeva? Rimasi interdetta, e mi decisi a guardarlo. No, non dimenticherò mai l'espressione della sua faccia. Era un misto di odio e di disprezzo che mi colpì talmente, che non potei trattenermi dal gridare:

— Ma che cosa le ho fatto, perchè mi voglia tanto male?

Allora, lentamente, sottovoce, egli parlò. Disse cose orribili di cui io non colsi che imperfettamente il significato. Disse che odiava le donne, questa sozza parte dell'umanità, creata per la perdizione dell'uomo. Parlò di Schopenhauer, di distruzione della specie, esaltò il suicidio, e poi concluse col dirmi che il sapermi gravida, il sapere che per causa mia Corrado, che amava e stimava, si era reso colpevole di un così grave delitto come quello di dar la vita ad un nuovo essere, gli faceva provare tali impeti d'odio verso di me, da sentirsi spinto a prendermi e schiacciarmi, con la mia creatura, come un verme. Ero istupidita; egli seguitò:

— Vuole ancora chiedermi un favore? — e mi fissò con ironia. — Non ha ancora capito che, se posso avere un mezzo per farla soffrire, ne userò il più che mi sia possibile? Avessi così il potere di distruggere il fatto vergognoso che per sua colpa si compie… Ah! le donne, bisognerebbe flagellarle tutte e cacciarle come bestie immonde…

Ero atterrita. Smarrivo il senso confuso delle sue parole, nella convinzione di avere un matto davanti a me. Temevo qualche violenza da parte sua, e non ardivo più movermi, nel timore di accrescere la sua irritazione. Finalmente Corrado rientrò ed io respirai; subito Stein propose di fare girare la tavola, ma io mi rivolsi a mio marito e lo pregai:

— No, questa sera, Corrado; è già tardi, ed io mi sento assai stanca.

— Domani allora; — mi rispose Corrado.

Ci guardammo con Stein in atto di sfida; per una volta avevo vinto io. Nell'andare a letto raccontai a Corrado la scena accaduta con il suo amico, e soggiunsi:

— Bisogna allontanarlo da casa: quell'uomo ci porta disgrazia; è pazzo, credi, Corrado, è pazzo.

— Ma no; — mi rispose egli — è un po' esaltato, ecco tutto: e poi tu avrai capito chi sa che cosa…

— Certo le sue parole non erano molto chiare, ma ho capito bene che vorrebbe farmi del male…

Corrado si mise a ridere ed a burlarmi.

— Via, Lauretta, non c'è senso comune in quello che dici… Ti pare che voglia farti del male?

— Sì, sì… Insomma, a torto od a ragione, — dissi, non sperando più di convincerlo; — la mia quiete richiede che tu lo allontani da casa. Ti sarà facile vederlo fuori quando vorrai.

— Andiamo, Lauretta, sii ragionevole, — riprese Corrado impazientito. — Come vuoi che possa chiudere la porta in faccia ad un amico, senza un motivo plausibile? Gli farei troppo torto.

— Ma preferisci — gridai — di non fare un torto a lui, quando anche tu non trovassi una ragione che non lo offenda, a far del male a me?

— Lauretta! — esclamò egli stizzito: — questi sono capricci imperdonabili in una donna, ed io non li soffrirò mai!

Tacqui: che cosa potevo dire ancora? Neppure ora, neppure ora che porto in seno suo figlio, io conto qualche cosa per mio marito. No, a meno che non sia sempre ubbidiente, sempre docile, sottomessa come una schiava, per me non ci sono che rimproveri… Ebbene, non importa, sopporterò, sopporterò tutto quello che si riferisce a me soltanto… ma oh! dove possono danneggiare la mia creatura, no!

Il dottore mi ordinò di stare tranquilla: invece sento che con il loro spiritismo minacciano di togliermi di nuovo la tranquillità che ora mi è tanto necessaria. Ebbene, io mi sottrarrò a quest'obbligo… Se non basterò io sola, chiamerò in mio aiuto la mamma; ora non mi trattiene più nessuna considerazione, devo difendere la mia creatura, e la difenderò. Signor Stein, a noi! Lo troverò il modo di non rivedervi mai più!

25 febbraio.

Avevo trovato uno strattagemma: tutte le sere, dopo pranzo, mi dicevo sofferente e me ne andavo a letto. Così sono riuscita a sfuggire Stein per parecchi giorni; e per non star sola, trattenevo in camera mia Marianna fino all'ora in cui veniva Corrado. Ma ora neppure questo basta più: Stein ha detto a mio marito che, anche stando in letto, possono ugualmente servirsi di me come medium, e Corrado mi ha avvertito che sarebbero venuti in camera.

— Almeno non sarai condannata alla compagnia di Marianna; — ha soggiunto.

Ho creduto che mi canzonasse, ma era in buona fede, anzi aveva un'espressione affettuosa; dunque non capisce nulla, o non vuol capire? Che cosa devo fare? Come sfuggire tale persecuzione? Vedo con terrore passare il tempo: sento giù nella via schiamazzare frotte di maschere cenciose e sguaiate… È il giovedì grasso! Un giorno destinato al riso, all'allegria, ed io mi sento disperata, disperata per la mia impotenza, per la mia debolezza. Figlio mio, perdonami! Perdonami se non ho la forza di vincere queste angustie, che forse ti recano danno… Eppure no! devo essere forte per te, per il tuo bene, e voglio essere coraggiosa. Questa sera non andrò a letto; aspetterò alzata che venga Stein; poi, quando saranno insieme riuniti, in faccia a tutti e due, dichiarerò loro per l'ultima volta che rifiuto assolutamente di prestarmi a soddisfare le assurde esigenze loro. Che cosa potranno farmi? Costringermi con la forza? Ah! no, non l'oseranno, non l'oseranno!

21 maggio.

Ho pianto ancora nel ritrovarmi davanti a te, librino mio! Eppure avevo pianto tanto ieri per la partenza della mamma ed Amelia, che credevo di non avere più lacrime! Ma già, ora piango per un nulla: dipenderà forse dalla mia estrema debolezza… No… non è debolezza… come potrei non piangere, rivedendo il confidente di tante ore di speranza, rileggendo le righe dove s'intravede una gioia ineffabile, infinita?… In che stato sono ridotta! Mi pesa la penna: bisogna che mi riposi un momentino… Come si è rifatto cheto e chiaro l'Arno! Va, va, ed ha un'ondulazione carezzevole e s'insinua dolcemente fra gli argini che la primavera ha tutti infiorati. Che aria dolce e mite! Dalla finestra aperta mi vengono effluvî carichi di odori che-non riesco a definire. Sono i fiori dei mandorli? le violette? È l'acacia? Nessuno specialmente e tutti insieme… Che squisitezza! Sono rimasta un poco col capo appoggiato alla spalliera della poltrona e gli occhi chiusi per assaporarlo meglio. Allora mi è sembrato che il profumo si colorisse, ed attraverso le palpebre abbassate vedevo come una nube d'un bianco roseo — il colore dei fiori di mandorlo — che si fondeva giù in basso in una tinta violacea — il colore delle mammole. — Vorrei avere qui dei fiori… tante rose, tanti gigli, tanti tuberosi, tante gaggie, tanti garofani, tanti crisantemi, e gardenie, e camelie e orchidee da coprirne la stanza… Ma no, sarebbe meglio stare in un bel giardino, tutto fiorito di gelsomini e geranî… No, anche meglio camminare o sedersi sulla riva di un lago che avesse le acque verdi verdi, da cui emergessero larghe ninfee bianche… Ma che cosa dico?… Ho ancora desiderî dunque? No, sono stanca, stanca.

23 maggio.

Ho raccontato al dottore che ho scritto un poco; se ne è rallegrato e mi ha detto:

— Brava, brava! continui, non si affatichi però.

Questo non è facile, perchè ogni cosa mi affatica, il minimo lavoro, l'atto più semplice. Poi mi ha domandato che cosa avevo scritto: sono rimasta imbarazzata, egli se ne è accorto ed ha mutato subito discorso con tanta delicatezza. Buon dottore! quante cure, quante premure ha avuto per me! Certo è a lui che devo di non essere morta! Devo essergliene grata? Ebbene, s ì: a malgrado di tutto quello che ho sofferto e forse dovrò soffrire ancora, l'idea della morte, l'idea di non essere più mi spaventa… Ohimè! la parola morte sfuggitami involontariamente mi ha fatto rabbrividire… Ad un tratto mi ha riportato alla mente i fatti tremendi di tre mesi fa… Ricordo come nella sera fatale quella sinistra faccia, quel sogghigno feroce! Ah! l'infame, come avrà trionfato nel raggiungere il suo intento! La mia creatura, la mia creatura distrutta per opera sua! Come lo presentivo io che quell'uomo doveva essermi fatale! Che cosa sarà questo segreto istinto che ci mette in guardia contro una data cosa? Quale senso acutissimo, a noi inavvertito, penetra nel futuro e ne indovina i misteri? Che cosa fu che parlò in me fino dal primo momento contro Stein? Perchè (e queste pagine possono farne fede) io, subito, provai alla vista di lui tale avversione da non sapermene neppure rendere ragione… Ahi! più funesta influenza poteva egli avere nella mia vita? Faccia il cielo che io non abbia mai più ad incontrarlo, che non mi comparisca mai più dinanzi; sento che non potrei tollerarlo. Ma su questo oramai sono tranquilla, la mamma deve avermene liberata per sempre. Quando fu scemata la febbre tremenda che mi ha tenuta prostrata per tanto tempo, dopo che le mie vene si erano vuotate di tutto il loro sangue, quando finalmente potei rendermi conto del disastro in cui erano naufragate le mie dolci speranze di maternità, disperata confidai tutto alla mamma. Le raccontai la tortura che mi avevano fatto subìre coll'impormi di prender parte a quelle sedute di spiritismo che mi rendevano pazza di spavento. Sulle prime, ella, stupita, non capiva come cotesto fatto potesse avere influito sul mio aborto; allora le dissi che la sera della disgrazia, essendomi rifiutata di partecipare ai loro esperimenti, Stein, come già altra volta aveva fatto, volle adoperare non so quale misteriosa influenza che aveva su di me; io, colta da un pazzo terrore, tentando di sfuggirgli ero caduta all'indietro… e la catastrofe era avvenuta. La mamma mi lasciò finire, poi esclamò:

— Ma Corrado?

Non so più che cosa le risposi piangendo: ella mi esortò ad essere tranquilla, poi risolutamente uscì dalla mia camera per andare in cerca di mio marito. Quello che accadde fra loro non lo so; ma da cotesto giorno nessuno ha più fatto cenno di spiritismo in mia presenza, nè il nome di Stein è stato mai più prù nunciato. Ma oramai è tardi: nulla potrò più cancellare dalla mia mente il ricordo tremendo, nulla potrà consolarmi e distruggere la traccia di quel tempo doloroso. I guasti prodotti li sento irreparabili… Dentro di me qualche cosa si è spezzato che non funzionerà mai più… Il mio figlio!… Ah! lasciamo, lasciamo questi tristi pensieri; il dottore mi ha proibito assolutamente di averne, ed ha ragione, giacchè mi sento venire la solita fascia dolorosa al capo. Dunque è tempo di riposarmi.

28 maggio.

Da qualche giorno sono tutta rinvigorita. Ho un appetito che mi fa desiderare le ore dei pasti con un'impazienza ridicola: io, prima, tanto indifferente ai cibi, provo un piacere nuovo nel fantasticare sulle vivande che ci avrà preparate a desinare o a colazione Marianna. Divento ghiotta, e Marianna fa del suo meglio per incoraggiarmici; credo che, in fondo, tutto questo sfoggio di abilità non sia tanto in mio onore, quanto per una gelosa smania di trionfare agli occhi della cameriera. Perchè da quando mi ammalai è venuta in casa un'altra donna, Caterina; naturalmente fra loro è nata un po' di invidiuzza, e siccome fra i due litiganti il terzo gode, noi ci guadagnamo, a codesta gara, dei pranzetti squisiti. Insomma il mangiare è diventato per me la funzione più importante della mia giornata: chi me lo avesse detto! Io che spesso masticavo senza sapere quello che avevo in bocca! Rido: curioso questo bisogno che ad un tratto mi ha assalito, di ridere, di movermi, di vedere il sole, l'aria, la luce; ma come è possibile, dopo la sventura che mi ha colpita e che internamente pareva avermi disseccata l'anima dal dolore, che io senta ritornare in me tanta forza e tanta vitalità? Ne discorrevo col dottore: gli manifestavo la mia maravigila di questo fatto, ed egli mi rispose:

— Ma non capisce che ora lei è come i fiorellini, che si rialzano dopo che la grandine li ha buttati in terra così da farli sembrare infranti? Vinto il male, il suo corpo, da cui il sangue era fuggito, se ne è fabbricato una nuova provvista, ed alla nuova onda calda che scorre in lei, la sua gioventù si ridesta, ritorna, afferma i suoi diritti in quella bramosì di espansione e di moto ch'ella sente, e che non è altro che la manifestazione potente della volontà e del bisogno di vivere.

— Ma io non ho nè volontà, nè bisogno di vivere; — dissi.

— Ebbene, ci sono i suoi vent'anni che lo vogliono, e basta. Poi — ha proseguito in tono affettuoso — perchè lei non troverebbe piacere nella vita? Sono cose da dirsi forse? Non vede come è bello il cielo, come è limpido l'Arno, non intuisce vagamente la quantità di cose belle e buone che può offrirci la vita e che noi ignoriamo forse, ma che esistono?

Avevo gli occhi pieni di lacrime: la mia allegria era svanita, ora mi sentivo debole, fiacca, triste di una tristezza disperata. Il dottore se ne accorse.

— Via, signora Laura, che cosa c'è? Perchè lasciarsi abbattere così?

Mi sfuggì una involontaria confessione.

— Ma non lo sa che l'unica mia speranza, che l'unico sollievo della mia vita era quel bambino, che doveva venire, quella creatura che si andava formando nel mio ventre e che mi hanno strappata, distrutta, come hanno distrutto tutte le mie più care sperauze e le mie più care illusioni? In che cosa posso sperare ancora? Di ricominciare l'arido corso delle mie monotone giornate? Il pensiero di guarrire mi fa orrore: almeno ora posso stare immobile, raccolta in me, ma dopo? Dopo dovrò tornare a camminare in quel vuoto, in quella solitudine che mi aspettano e che io avevo sperato di sfuggire grazie alla mia creatura?

Ora, ripensandoci, non so come abbia avuto il coraggio di dire tanto; nel fare quello sfogo ho ceduto ad un impulso improvviso, irreflessivo sorto dal bisogno di confidarmi così. Il dottore non pareva sorpreso: si era fatto serio e mi guardava fisso con gli occhi pieni di tenera simpatia. Quando tacqui, riprese con dolcezza:

— Certo il suo dolore è giustificato, e lo capisco benissimo: ma non bisogna poi esagerare. Se questa volta una disgrazia ha voluto che il suo bimbo fosse perduto prima di appartenerle, una prossima volta…

Lo interruppi con violenza:

— Non ne avrò mai più, mai più!…

Restammo silenziosi ambedue, leggermente imbarazzati; quindi il dottore disse una frase qualunque di speranza e poi cambiò discorso, e non si parlò che di cose inconcludenti. Ma come avrà egli giudicata la mia vivace risposta? In qual modo l'avrà interpretata? Egli è troppo intelligente, la sua mente è troppo acuta per non aver indovinato subito che io, con quelle parole, non volevo alludere ad una causa estranea alla mia volontà, che potesse privarmi della maternità, ma proprio all'ostacolo che io stessa vi avrei posto. Di certo egli lo ha capito: ebbene, tanto meglio! Provo uno strano desiderio di confidargli tutto; voglio che non ignori nulla di me e nessun particolare della mia vita; accanto a lui, nel sentirlo parlare, provo un senso di abbandono dolcissimo; quando mi ordina una medicina o mi dice di fare una data cosa, ho un piacere infinito nell'obbedirgli subito. Perchè dunque mi pentirei di avergli fatto intravedere una parte dell'animo mio? Poichè avviene un fatto che devo confessare anche in queste pagine: nei primi giorni della convalescenza e durante quelli della mia malattia, Corrado, che agli occhi miei era il solo responsabile dei mali che mi colpivano, mi inspirava un'avversione invincibile; se col ragionamento sono riuscita a vincere cotesto sentimento, è tuttavia innegabile che non ritrovo più nulla dell'affetto che avevo un tempo per mio marito. A volte, standogli accanto, lo guardo come se non lo avessi mai veduto, stupita di sentire che fra me e lui non vi è mai stato nulla di comune, e giungo al punto di domandarmi quasi, per qual motivo ci troviamo tutti e due uniti in tale apparente intimità. Corrado si accorge forse di qualche cosa? Non pare; è troppo preoccupato di sè per notare fatti che non lo colpiscono direttamente; ora è così lieto di essere finalmente liberato dal fastidioso trambusto e dal disordine cagionato dalla mia malattia, che non s'avvede d'altro. Sono sicura che della mia guarigione è felice, non per me o per avermi riacquistata dopo essere stato vicino a perdermi, ma per il riposo che riporto in lui. Ora si cura appena di domandarmi distrattamente come sto, tanto per debito di coscienza; poi se ne va per conto suo, e le nostre conversazioni si limitano ad aggirarsi sulla bontà delle vivande, sulla temperatura del giorno. Ma di tutto ciò che prima mi era causa di dolore non soffro più: non soffro più, perchè mi sento staccata totalmente da lui, perchè qualunque altro rapporto oramai mi sarebbe intollerabile. Nel tempo della mia malattia, Corrado è andato ad abitare la camera di fondo, dove continua a stare, di modo che, senza una spiegazione, semplicemente, ci siamo separati, ed io chiedo soltanto che sia sempre così. Lo sarà? È un riguardo che egli mi usa nella mia convalescenza, e cesserà con la guarigione? Ed io potrei sottomettermi, potrei appartenergli senza affetto, senza altro sentimento che quello del dovere? Non lo so, e non ardisco pensarci: mi è venuto freddo… Vado a scaldarmi al sole.

30 maggio.

Sedevo accanto alla finestra e guardavo la viva luce di fuori, godendo il tepore della splendidissima giornata; seguivo su in alto i rapidi voli degli uccelli con un desiderio acuto di essere pari a loro, di lasciare questa mia fragile forma, che pur tanto mi pesa, per fuggirmene lassù con essi, per unirmi al coro giocondo delle loro grida. Come deve essere bello non pensare, non ricordare, non sperare, appagarsi soltanto dell'attimo fuggente e moversi liberi di soddisfare l'impulso del momento, il capriccio, che vi fa agire spontaneamente! Stavo lì immobile, fantasticando, sentendo una gran voglia di piangere che poco a poco mi serrava la gola, quando l'uscio si è aperto e sono entrati il dottore e Corrado.

— Lauretta — mi disse questi — il dottore ci invita a fare una passeggiata in carrozza: vuoi?

Balzai in piedi tutta contenta e strinsi la mano al dottore; un momento mi parve che la sua offerta fosse la risposta al mio desiderio di dianzi, e mi maravigliai del come avesse potuto indovinarlo. Corsi a vestirmi, e pochi minuti dopo tutti e tre eravamo in carrozza, diretti a San Rossore. Erano circa le due e le strade poco popolate: in quell'ora la gente, tornata dalla messa, desinava in fretta per prepararsi, dopo, a fare la passeggiata domenicale. Quando fummo fuori di porta, mi sentii trasformata. Fino allora avevo parlato poco, ma d'un tratto mi invase un bisogno d'espansione, un bisogno di ridere, di scherzare; e, rivolta al dottore, che mi sedeva a fianco, cominciai a interrogarlo su questa e quella cosa, a chiedergli il nome degli alberi, dei monti, delle case e che so io. Il gran viale dei platani si allungava diritto in faccia a noi e terminava nella folta e verdeggiante boscaglia di pini; a destra le Alpi Apuane, chiare, di un colore grigio azzurro quasi trasparente, avevano rilievi d'ombra e di luci così sfumati, così tenui, appena distinti, nettissimi però, da sembrare lastre d'ametiste sottilissimamente incise. A cotesta magnificenza violacea, delicatissima, faceva contrasto il monte Pisano prù vicino, con la punta della Verruca cupa e imponente, avvolta in un colore bruno. A sinistra la pianura si distendeva verso il mare e i colli di Livorno, in una fuga d'alberi piccini, fra i quali sorgeva la mole di qualche pagliaio o la rustica semplicità di una casetta di contadini. Che bellezza! che bellezza! Io sfogavo il mio entusiasmo francamente, senza la riserva abituale che mi trattiene le parole sulle labbra; e la vivacità del mio linguaggio apparve anche a Corrado così insolita, che egli esclamò con un certo stupore:

— Che parlantina!

— Meglio, meglio! — soggiunse il dottore — è segno che sta bene e che è contenta.

Mi voltai verso di lui e risposi:

— Oh! sì, tanto contenta!

Infatti ero felice; mi pareva che nell'animo mio penetrasse tutta la luce che irradiava il sole e lo riscaldasse con lo stesso calore sparso nell'aria; mi sentivo invadere da una tenerezza immensa per tutto; mi assaliva un desiderio di far del bene, di far partecipare tutti e tutto al godimento mio: avrei voluto poter stringere a me l'universo con un amplesso solo e unirmi in un palpito gaudioso di amore e di riconoscenza con ogni creatura vivente. Ci eravamo inoltrati nel parco, il fabbricato delle scuderie e la villa erano già rimaste indietro; andavamo lungo l'ampio viale che conduce al mare. Da un lato della strada, nei prati, alcuni cavalli pascolavano liberamente. Un puledrino scuro, magro, col pelo lungo e la testa grossa, si mise a correre a fianco della carrozza. Era così buffo mentre galoppava disordinatamente, con un'aria birichina di monello che fa il chiasso, che io scoppiavo dal ridere; poi il cocchiere fece atto di frustarlo, ed il cavallino, impaurito, smise la sua burla e scappò difilato a rifugiarsi nel gruppo dei cavalli, ove certo lo aspettava la madre. Ora traversavamo la macchia. Di qua e di là, sotto alla vôlta fitta dei pini, un'ombra dolce dava una tinta misteriosa di acquario alle profondità verdeggianti, dove i cespugli s'intrecciavano ai cespugli in una confusione di rami e di piante che si estendeva dappertutto, coprendo il terreno di una selvaggia e inestricabile vegetazione. Ogni tanto il gorgheggio sonoro di un uccello interrompeva l'alta quiete con un trillo acuto, un volo rapido scomponeva le foglie degli alberi, poi di nuovo la solenne pace ritornava a dominare sovrana.

La mia allegria svaniva; i miei occhi si inumidivano e il petto si gonfiava sotto l'oppressione di una malinconia dolce, tenera, che non aveva in sè nulla di doloroso, ma piuttosto una soavità sconosciuta e da me avidamente gustata. Mi ero abbandonata sui guanciali della carrozza, avevo chiuso gli occhi, e, cullata dal movimento regolare della vettura, colla carezza continua del venticello tiepido che mi sfiorava le guance, mi compiacevo in quelle sensazioni di torpore. La mia immobilità dovette impensierire i miei compagni, perchè ad un tratto mi sentii prendere una mano e domandare:

— Che cosa c'è ora? È stanca?

Prima che parlasse, al solo contatto della mano che si appoggiava sulla mia, avevo indovinato il dottore, e, involontariamente, in un moto spontaneo ed impulsivo che non seppi, nè so ora spiegare, presi quella mano e la strinsi forte forte. Aprii gli occhi e vidi chinato su me il suo simpatico viso, con un'espressione un po' inquieta.

— Ebbene? — mi diss'egli.

— Sto benissimo — risposi sorridendo.

Si rasserenò, subitamente rassicurato, e si tirò in disparte; soltanto allora mi avvidi che Corrado non era più con noi. Il dottore dovette leggere nei miei occhi la domanda che non feci, perchè mi spiegò subito:

— Suo marito era stanco di stare in carrozza, ed è sceso per passeggiare; ci raggiungerà, al Gombo. Ma davvero non se ne è accorta? Dormiva dunque?

Scossi il capo negativamente; ero contenta che Corrado fosse andato via; mi sembrava di essere più libera di comunicare al mio compagno le mie impressioni. Risposi alla sua domanda:

— Non dormivo, ma sognavo. Non lo sa lei che si può sognare senza dormire?

— Altro! È indiscreto chiederle di raccontarmi il suo sogno?

— Oh! no! sognavo di essere diventata un uccellino e di essere fuggita da una gabbia dove mi volevano tenere rinchiusa, per nascondermi là… nel fitto del bosco. Ero beata di trovarmi libera, e, sebbene timidamente, saltavo da una frasca all'altra, tanto per potermi bene persuadere che nessun ostacolo si frapponeva oramai al compiersi della mia volontà. Oh! che gioia ineffabile, che pace… Se potesse esser vero!

— Che cosa?

— Il mio sogno!

— Ha ragione: deve pure essere una bella cosa il lasciare dietro di sè per sempre il pesante fardello di cure e di preoccupazioni che, imposte dalla società, gravano sulla creatura umana tanto da schiacciarla, da costringerla ad una fatica continua, logorante, i cui momenti di riposo brevi e rari sembrano messi quasi apposta per farcene maggiormente risentire il peso. Però mi sorprende che lei, signora Lauretta, possa pensare queste cose! Come può saperle? Le lasci a noi, poveri padri di famiglia, poveri lottatori della vita; lei, in fin dei conti, non è un poco come l'uccellino che canta quanto vuole?

— Forse; ma come l'uccellino in gabbia.

— Ma non sa che ci sono certi uccellini che non possono vivere fuori della gabbia? Che vogliono essere custoditi, vigilati continuamente, senza di che morirebbero? Lei appartiene a quelli, signora Lauretta.

— Ha detto bene. Credo anche io che, se fossi destinata a percorrere gli spazi infiniti senza una guida od una protezione, presto morirei di fame. Ammetto dunque di essere destinata alla gabbia; ma se mi manca il custode?

— Come?

— Voglio dire, se mi manca un custode intelligente, accorto, affettuoso?

Il dottore non mi rispose subito: nel suo viso passò un'ombra, poi con dolce gravità riprese:

— Signora Lauretta, mi ascolti con attenzione; quello che sto per dirle è per suo bene: mi permette di lasciare da parte i sottintesi e le metafore, per darle un consiglio, un buon consiglio da amico sincero come sono io per lei? Sì? Ebbene, vede, la sua testina lavora troppo, e, senza avvedersene, la conduce in una via falsa e pericolosa, perchè potrebbe renderla infelice per sempre, e non della infelicità che ella si immagina di avere ora, ma di una infelicità tremenda e insopportabile per gli esseri buoni e delicati come lei. Dunque, invece di compiacersi un po' troppo a fantasticare sulle sue disgrazie, vere in gran parte, non lo nego, e con ciò accrescerle a poco a poco fino a farle diventare mali irreparabili, bisognerebbe che lei, da donnina forte e giudiziosa, si mettesse in testa di agire tutto al contrario. Si serva delle sue fantasticherie a rovescio, osservi le sue contrarietà, non con la lente d'ingrandimento, ma con una che le impicciolisca; adoperi tutta la sua buona volontà per persuadersi che ce ne sono di peggiori, e le riduca tanto da non accorgersene più nemmeno. Ho capito (mi scusi se mi permetto di penetrare brutalmente in certi particolari intimi) che fra lei e suo marito non c'è molta, come potrei dire? molta affinità di idee, di gusti, e che di questo ella soffre anche più di quanto dovrebbe; perchè, invece di attenuare le differenze, le esagera…

Avevo ascoltato in silenzio, a capo chino, ma qui non mi contenni più, ed esclamai:

— Esagero! Ma come devo fare, quando sempre, fin dal primo momento, fra me e Corrado non è esistito nulla di comune, quando ai miei sforzi per ottenere un grado maggiore di intimità, mai nulla ha corrisposto da parte sua? I miei desiderî, i miei sogni, le mie aspirazioni sono sempre state infrante, distrutte da lui, non dirò volontariamente, ma fatalmente per un destino che ci ha sempre precipitato l'uno più lontano dall'altro. Fino l'affetto che gli avevo consacrato si è disperso, è svanito come tutto il resto!

Dolcemente il dottore riprese:

— Di quale affetto parla? Può essere che nel suo cuore di fanciulla si fosse formato un ideale di un affetto, al quale la realtà non ha corrisposto; ma di cotesto non ne incolpi suo marito, egli è innocente di un fatto unicamente attribuibile alla inesperienza di lei, che le dipingeva cose fuori del possibile. Quando si è molto giovani, si giudica a traverso un prisma che colorisce tutto di roseo e ci si immagina maraviglie là dove, in sostanza, non vi è che meschinità. Così lei: ella ha creduto di trovare in suo marito l'incarnazione di un ideale che non poteva esistere, e, constatando il suo inganno, ne accusa lui, mentre egli è innocente di una colpa che fu sua soltanto. Faccia dunque a modo mio, signora Lauretta, dimentichi i colori splendidi di cui la sua fantasia aveva abbellito la vita: la guardi come è e cerchi di trovarla bella anche dove è soltanto discreta; vedrà, se ne troverà contenta!

Le parole del dottore mi davano un senso profondo di scoramento; non vedevo più l'ombra verde del bosco, di tratto in tratto interrotta da fasci di luce gialla; mi pareva che tutto fosse nero e che le sue frasi, per quanto dolcemente espresse, mi piombassero duramente in un abisso pauroso. Ero incapace di articolare una sillaba; il dottore, dopo un breve silenzio, continuò, come se avesse letto nel mio pensiero:

— Quello che le dico, ora sul momento le sembrerà un fatto inammissibile; eppure vedrà, è assai più semplice di quanto apparisca da principio. Le parlo per esperienza, perchè a me pure è capitato qualche cosa di simile. Anche io ho attraversato un tempo di amarezza, uguale al suo, almeno in parte. Giovane, troppo giovane (ho trent'anni, e già da otto anni sono ammogliato), incontrai una ragazza bellissima; me ne innamorai perdutamente, ne fui corrisposto, e la sposai. Poco dopo mi accorsi che fra me e mia moglie non c'era quella conformità di caratteri, d'idee e di gusti, necessarî per dare la felicitaà di una vita in comune. Ella amava i divertimenti, amava di spendere per i suoi vestiti, trascurava la casa per stare fuori a svagarsi; io, invece, stanco dal lavoro, avrei desiderato riposarmi nelle ore libere; di più, abborrivo la società, e con i miei mezzi limitati, specialmente allora che cominciavo appena la carriera, a stento arrivavo a soddisfare le costose esigenze di Jole. Da questi pochi cenni ella capirà facilmente che cosa sarebbe diventata la nostra esistenza, se io non avessi avuto la forza ed il coraggio di scacciare da me stesso le illusioni che mi ero formato sul carattere di mia moglie e su quello che, a parere mio, avrebbe dovuto essere la nostra vita. Invece di accusare Jole, cercai di scusarla, cercai di secondare, per quanto potevo, i suoi gusti, persuadendomi che, in fin dei conti, era abbastanza ragionevole; ella, dal canto suo, me ne fu grata, e la conclusione di tutto ciò è che, se la nostra vita non ha proprio corrisposto a quell'ideale che me ne ero creato io, pur tuttavia ha i suoi lati buoni ed è migliore di molte altre. Guardi! — esclamò il dottore interrompendosi — siamo arrivati al Gombo… Vuol fare una passeggiatina a piedi fino al mare?

Accennai di sì; scendemmo, e, appoggiata al suo braccio, ci avviammo. Ero preoccupata: avevo ascoltato con avidità il suo racconto; sotto l'apparente rassegnazione delle sue parole avevo sentito vibrare un'amarezza, a stento raffrenata, che rivelava un segreto dolore contenuto, ma non vinto. Nel pronunciare il nome della moglie, i suoi occhi avevano brillato di una fiamma in cui era passato come un lampo di passione; egli doveva amarla molto cotesta donna, ed era mai possibile che essa non lo corrispondesse come meritava? Mi pareva che se io fossi stata al posto di lei, o se Corrado avesse avuto le qualità di quest'uomo, non avrei avuto che un pensiero, uno scopo: farlo felice, felice… Camminammo un poco in silenzio: io a capo chino, senza vedere nulla, assorta in una idea dolorosa che mi empiva l'anima di tristezza. Pensavo se è un destino inevitabile che l'unione di due esseri non debba mai farsi in modo assoluto, completo, e non debba mai fruttare quella somma di felicità che si sarebbe in diritto di pretendere… Ebbene, qualche cosa in fondo all'animo mio protestava: no, qualche volta doveva accadere che due creature, fatte per intendersi e per amarsi, s'incontrassero; allora dalla fusione perfetta dei loro spiriti e dei loro corpi doveva scaturire una beatitudine infinita, tale da compensare tutti i mali che fossero destinati a sopportare. Il mio compagno stava immobile, ed io, destata di soprassalto, mi scossi ed alzai il capo. Davanti a noi, nella lenta ondulazione tranquilla, il mare aveva riflessi d'oro, fascie di un azzurro cupo, macchie celesti che terminavano in una schiuma biancastra leggerissima, stendentesi, simile ad una frangia, sulla sabbia fine e morbida. Lontano, a sinistra, s'intravedeva il faro di Livorno; a destra, nella curva della terra, lo sguardo si spingeva fino laggiù dove i monti della Versilia sfumavano, avvolti in una nebbiolina trasparente e sottile come un velo nuziale. Dietro, il susurro delle foglie smosse dal vento pareva un canto sommesso e dolcissimo. Oh! l'infinito e sublime spettacolo! Eravamo rimasti immobili sul terrazzino di legno del bagno reale: io tremavo, dominata da una commozione indefinita, e stringevo il braccio del dottore, temendo di cadere; egli mormorò piano piano:

— Come è bello!

Oh! sì, era bello, bello, ed io avrei voluto eternarmi lì in quella contemplazione, restarvi indefinitamente cullata dal murmure degli alberi e dalla cadenza delle onde, restarvi così, fino che i miei occhi, consumati dalla intensità della luce, e l'anima mia rapita da un'estasi soprannaturale, d'un colpo non fossero distrutti per non sentire, per non vedere altro più mai!…

La voce di Corrado risuonò poco discosto; ci chiamava; allora io, con una veemenza improvvisa, con uno scatto brusco, mi strinsi al dottore, e parlandogli vicino vicino, quasi sul viso, mormorai:

— No, no, non lo potrò mai!! Il mio ideale, il mio sogno non potrà mai modificarsi; e, se è vero che è perduto per sempre, ebbene, per sempre lo piangeroò e sarò infelice!

Il dottore rimase interdetto: mi accorsi benissimo che mi fissò a lungo con un'occhiata penetrante ed ansiosa; ma non potè dire altro. Corrado ci raggiunse. E tornammo indietro: io, colta da una stanchezza invincibile, non parlai più, non vidi più nulla, anzi l'abbattimento fu così completo, che ieri sera, prima di dormire, cercai inutilmente di ricordarmi gli incidenti della giornata; non mi riuscì di raccapezzare una idea. Come avviene che, invece, oggi tutto mi è ritornato alla mente con una luciditaà così perfetta, tanto da ricordare molto più di quanto ho scritto? Sono contenta di avere raccolto qui tutti i particolari della mia conversazione col dottore, per poterla conservare sempre e rileggerli ogni tanto. Ma non ne avrò bisogno, mi ha fatto una impressione troppo profonda, perchè non la ricordi sempre: nonostante sento che non saprò mai adattarmi a seguire i suoi con sigli. I consigli! Egli li dice facili a mettersi in opera; e come è dunque che, ricordando la delusione patita otto anni fa, la sua voce tremava tuttora? Eppoi, la rassegnazione apparente signifca forse la quiete dell'anima? Ahi! questa non si riacquista più… a meno che… a meno che… Ma ciò che è impossibile lo sarà sempre.

2 giugno.

Il dottore non è più venuto a vedermi; segno che la mia convalescenza è a buon punto. Infatti sto assai meglio, e meglio starei se non provassi continuamente una svogliatezza di tutto, una fiacchezza che sembra paralizzare le mie facoltà. Specialmente dopo la passeggiata di San Rossore sono diventata, più dell'usato, malinconica e triste. Il ricordo della creatura che per tre mesi ho tenuto in seno mi ha perseguitata col rimpianto acuto di un bene per sempre perduto. Oh! che crudele destino! Perchè togliermi quella speranza appena concepita, appena balenata dinanzi al mio cuore, che ha tanto bisogno d'attaccarsi a qualche cosa che lo sostenga, lo aiuti e lo conforti?! Come sono lunghe e tediose le ore! Queste interminabili gionate, calde, pesanti, dànno la sensazione di una cappa di piombo che vi gravi addosso. Soltanto le cicale si rallegrano e cantano indifferenti ed instancabili. Vorrei sapere quante e diverse interpretazioni verranno date a quel canto di per sè sempre egualmente monotono, a seconda dello stato d'animo di chi lo ascolta. Mi figuro come debba sembrare molesto e lugubre a chi veglia, stanco dalle ripetute nottate, al capezzale d'un caro gravemente ammalato; nell'afa pesante del meriggio di giugno che gli bagna la fronte di sudore, quello stridore importuno deve riuscirgli addirittura intollerabile. D'altro canto, la fidanzata che attende l'innamorato dietro le imposte, noncurante del sole che le avvampa la faccia, deve credere che lo stridìo fragoroso delle cicale suoni come una fanfara di gioia annunziante l'arrivo dell'amato. Chi poi, come me, non ha nulla da sperare o da temere, chi è oppresso dalla noia tetra che mi avvolge, quanto deve imprecare a questo grido fastidioso che persiste incessante e ci perseguita dovunque ci si nasconda per sfuggirlo! Ho la testa vuota; la mano pigra si rifiuta di tradurre le idee, che anch'esse vengono lente e rare… Vado a provare di dormire.

4 giugno.

La moglie del dottore, che era assente da Pisa con i suoi due figli, è tornata, e ieri l'ho conosciuta… È venuta a trovarmi col marito, condotta da questi perchè io stringessi amicizia con lei e mi procurasse un po' di svago. L'intenzione del dottore era buona: egli crede che io patisca del mio isolamento, mentre, invece, lo preferisco di molto al ritrovarmi insieme a persone poco conosciute. Dunque è venuto a presentarmi la moglie; ma è possibile che fra me, povero e malinconico essere, e quella splendida creatura tutta letizia e sorrisi, si possa mai formare un legame di amicizia? Quando la vidi entrare nel mio salottino, rimasi stupita: come è bella! come è bella! Non mi saziavo di guardarla, e l'ho così bene impressa nella mente, che potrei farne il ritratto se sapessi disegnare. Ah! il dottore deve esserne davvero molto innamorato: me ne accorsi al solo modo con cui pronunciò il suo nome, l'altro giorno, in carrozza; ne ho avuto la conferma oggi, vedendo come i suoi occhi si posavano sulla bellissima donna. Com'è bella! di una bellezza veramente originale. Ho specialmente notato il suo corpo: è alta quanto il dottore, che è un uomo di statura al disopra della media, snella senza essere magra, e pare che non abbia ossa, tanto le linee del corpo sono morbide e flessuose; poi prende atteggiamenti così strani da parere a momenti quasi piccina, come per esempio mentre stava seduta nella poltrona, tutta raggomitolata; nel camminare, invece, si erge diritta, e ad ogni passo, dai piedi fino al collo, ha la stessa ondulazione di certi serpenti mentre strisciano. I suoi capelli sono scuri, lucenti, e gli occhi chiari non molto grandi, ma lunghi lunghi, con le palpebre cupe che gli ombreggiano delicatamente. Non ho mai visto occhi simili: sembrano liquidi, verdastri, sempre semichiusi; la pelle pare d'avorio antico, e la bocca piccina, col labbro inferiore un po' sporgente di un rosso di fiamma, scopre nel continuo sorriso i denti bianchi, regolari, incastrati nelle gengive somiglianti al corallo pallido. Sulle tempia si distingue una rete di vene azzurre, sottili; discorre lenta con una piccola cadenza: la voce è un po' gutturale; ma la sua seduzione irresistibile deve essere nel riso: un riso argentino, squillante, che balza fuori ad ogni momento, anche per cose da nulla, ma che non sembra mai inopportuno, tanto è grazioso. Indossava una camicetta rossa con piccoli disegni neri, una sottana tutta nera stretta alla vita da una cintura alta di cuoio a chiodi d'argento; in capo aveva un cappello grande di trina nera, tutto coperto di papaveri rossi… Ma a che trattenermi tanto su questi particolari? Ho impiegato parecchie righe a parlare della bellezza di questa donna: perchè? Non saprei; ma l'immagine sua mi perseguita; involontariamente, questa mattina, guardandomi allo specchio mentre mi vestivo, ho fatto un paragone fra me e lei: che cosa devo sembrare io, che le arrivo sotto la spalla, col mio viso pallido, in cui gli occhi s'aprono smisuratamente come pieni di terrore sempre, accanto a lei? Sarebbe come riunire in un mazzolino una splendida rosa con un fior di radicchio a metà privo di petali… Ebbene, che cosa vuol dire questa amarezza che ti sale dal cuore, Lauretta? saresti forse invidiosa per la prima volta? Invidiosa? Oh! no, no… Che ella sorrida, gioisca, sia felice e renda felice; è il suo destino, e lo merita; a me l'oblìo, la solitudine, la mestizia, è il mio destino, e forse lo merito!

5 giugno.

Quanti cavalli, quanti militari sono passati stamane! Non mi ricordavo che fosse la festa dello Statuto, e non sapevo a che cosa attribuire la sfilata di soldati che vedevo schierati lungo il viale. Poi ho capito, e mi sono divertita ad assistere dalla finestra alle manovre. Molta gente accorreva; di tanto in tanto le trombette davano segnali, e la banda intonava la marcia reale per l'arrivo del generale. Ad un tratto è caduto un improvviso e violentissimo acquazzone: è stato uno scappa e fuggi generale; in un attimo i viali sono rimasti deserti; soli, sotto il diluvio, restavano i soldati schierati, immobili, grondanti acqua. Poi anche loro se ne sono andati; e, appena scomparsi, come un fanciullo birichino che viene a constatare l'effetto di una sua burla, fra i nuvoli squarciati, ha fatto capolino il sole. Poveri soldati! Scommetto però che non è tanto dispiaciuto loro quel diluvio, quanto l'essere stati dopo costretti a ripulire con maggior cura dell'usato le armi bagnate. Il tempo, dopo quel brutto scherzo, si è rimesso al sereno: tanto che Corrado mi aveva offerto di tornare a fare una passeggiata in carrozza, come domenica scorsa. Mi sono affrettata a rifiutare, col pretesto di non sentirmi bene; egli non ha insistito, ed è uscito per conto suo. Del resto, sono sicura che gli ho fatto più piacere rifiutando il suo invito: mi accorgo benissimo che il mio stato di salute sempre così incerto lo infastidisce; lo annoia il trovarsi continuamente a contatto con una donna mezzo malata, alla quale per forza è costretto ad avere certi riguardi, di cui farebbe volentieri a meno. Per esempio, io ora non posso più tollerare il benchè minimo odore di sigaro; sì che Corrado è obbligato a non fumare od a fumare nella sua stanzetta. E tutte le sere, all'uscire da tavola, la sua faccia esprime la contrarietà che prova e che frena a fatica. Ma non più come una volta io soffro di queste cose: sono diventata, a questo riguardo, di una indifferenza che sorprende me pure. Tutto ciò che fa e dice Corrado mi lascia assolutamente insensibile: sento, sento che egli mi è diventato completamente estraneo, sento che se domani, per un caso qualunque, dovessi separarmene e non vederlo più, non ne proverei alcun dolore, alcun rammarico, e mi dimenticherei di lui come di cosa mai conosciuta. E ardisco confessarlo? Ma non è egli mio marito, l'uomo a cui appartengo anima e corpo, a cui ho giurato d'appartenere sempre unicamente? E non è una colpa, una mostruosa colpa la mia di mancare così alla fede data? Ahimè! mi si oscurano gli occhi; nell'anima ferve un tumulto che non riesco a dominare e che m'impedisce di veder chiaro in me… Ho paura, paura di me, di quello che ho detto: sento la mente vacillare, ed esito, incapace di giudicare imparzialmente… Ho la coscienza di non avere commesso nessun fallo, eppure mi sento colpevole… È dunque un peccato, un delitto il richiamare a sè l'anima propria, quando quest'amima non è stata compresa, non è stata accettata, non è stata custodita come chiedeva? È una colpa l'avere creduto quello che non era, l'avere preso un abbaglio, offrendo ad uno, ciò che doveva essere per un altro? Per un altro? Sì, per l'ideale che esisteva nella mente, nel cuore; per l'ideale che accoglieva in sè la speranza, la gioia, la fede dell'avvenire, e che prima o poi dovevo incontrare… O non sarebbe piuttosto una colpa, una debolezza rinnegare il sogno di tanti anni, e chinare la testa e soccombere davanti alla fatalità? Ma se l'impegno sacro, formale da me preso mi ci obbliga? Vediamo: ho giurato di essere fedele, di appartenere sempre a mio marito; a questo giuramento non posso sottrarmi, perchè mio marito è, esiste, ed io ho l'obbligo di mantenere l'impegno preso. Lo manterrò, ma in che esso mi lega? Che cosa significa? Significa che io gli devo ubbidienza nei miei atti, che devo considerare me ed il mio corpo come un oggetto suo, e quindi escludere qualunque cosa che in certo modo possa danneggiare la sua proprietà. Poi ho giurato, ho ripetuto tante volte a Corrado che lo amavo, che lo avrei amato sempre; ma sono io tenuta ad osservare una promessa fatta ad un essere immaginario? Poichè il Corrado, al quale credevo rivolgermi, non è colui che la realtà mi ha messo dinanzi; poichè una benda sugli occhi mi ha impedito di vedere ciò che era, ho io l'obbligo di conservare gli stessi sentimenti per chi è diverso da colui che doveva ispirarli? No, no, mille volte no… Nessuna legge divina o umana può costringermi a cotesto… no, anima mia, tu non hai peccato, non hai peccato ritraendoti intatta da chi ti ha ingannata; non hai peccato serbando il culto dell'ideale per cui hai sempre palpitato… Però ascolta: noi ci separeremo, anima mia; lascia il mio corpo che deve seguire la via da cui oramai non può più retrocedere, poichè il dovere gli indica di percorrerla fino all'estremo; tu anderai lontana, cercati un rifugio dove tu possa essere libera di conservare i sentimenti tuoi… Ecco, ti affiderò all'Arno… non è l'unico amico che io abbia? Tanto il dottore… il dottore ha sua moglie; ma che cosa c'entra il dottore?… Tu, anima mia, va' a nasconderti in fondo all'Arno; lì vivrai protetta dall'acque risplendenti; ah! chi potrà venire a turbare i tuoi sogni?… Talvolta però, nelle serate belle e limpide, quando la luna alta in cielo fa sentire un bisogno vago e indefinito di un al di là, io t'invocherò nella mia solitudine, e tu, anima mia, verrai pian piano a riportarmi un momento d'oblìo, a bearmi coi sogni, a trasportarmi fuori della realtà… Ma tornerai via presto, presto… E quelli che mi vedranno, muta e indifferente, trascorrere la vita come un automa, diranno pieni di sorpresa: « Perchè mai? ». Il dottore resterà interdetto dinanzi all'inutilità dei suoi consigli; ma io gli dirò: « Non ho più anima! ». Non ci crederà… Ahimè!… mi viene da ridere al pensare al suo stupore… Non ho più anima… Le lacrime mi fanno velo… non ci vedo più…

6 giugno.

Fortuna che, istintivamente, avevo chiuso nel cassetto questo mio librino: se no, Caterina e Marianna, accorse al rumore dei miei singhiozzi, lo avrebbero scoperto. E il peggio è che lo avrebbe veduto anche il dottore, che le due donne spaventate dall'accesso di pianto convulso che nulla riusciva a calmare, mandarono a chiamare. Fu il mio primo pensiero nel riavermi; dal canapè, dove mi avevano sdraiata, alzai il capo ansiosamente: la mia scrivania era chiusa. Il dottore si avvide del mio movimento e mi domandò:

— Cerca qualche cosa?

— No, no; — risposi in fretta.

Vedendo che la crisi era passata, le mie donne se ne andarono, e restai sola con lui: allora prese ad interrogarmi per sapere ciò che avevo avuto, ciò che aveva dato origine a quel violento attacco di nervi. Che cosa gli potevo rispondere? Non mi rammentavo più di nulla; soltanto ora, nel rileggere le ultime righe di ieri, ho capito, dal modo sconnesso con cui sono buttate giù, che non dovevo star bene… Ma il perchè non lo so davvero. Il dottore insisteva per sapere.

— Signora Lauretta, — ha proseguito poi — lo sa che se lei non ci mette un po' di buona volontà, non guarirà mai, ma piuttosto aggraverà questa sua eccessiva sensibilità nervosa?

— Che cosa devo fare? — chiesi a bassa voce.

— L'ho detto tante volte: lei deve distrarsi, deve condurre una vita più divagata… Già, voglio assolutamente che cambi aria… Lo dirò al professore…

Subito pensai a Bologna, alla mamma, ad Amelia, alla quiete che avrei trovata presso di loro; ma quasi nello stesso tempo pensai anche che avrei perduto le cure del dottore, che un altro avrebbe preso il suo posto, ed io ormai sono troppo abituata a lui, egli conosce troppe cose di me… Risposi dunque:

— Non voglio muovermi…

— Oh! senti, senti! La mia malatina che si ribella? A me dice: non voglio? A me?

Si soffermò un poco sorridendo, poi riprese:

— È inutile, sono io che dico: voglio; dunque si prepari ad ubbidirmi.

— Ma dove devo andare? — domandai.

— Stia a sentire un bel piano fatto da me. Ho pensato di consigliarle un luogo ridente, non troppo rumoroso per eccessiva affluenza di gente, abbastanza frequentato però perchè possa offrire qualche svago piacevole; un luogo dove lei troverà degli amici allegri che le vogliono bene e die le rialzeranno un po' il morale abbattuto; un luogo infine dove il dottore abbia agio di far valere la sua autorità ad ogni momento, dove possa vegliare sulla sua malata, senza che essa abbia possibilità di distruggere poi da sè i benefizi che egli le dà con la sua povera scienza e il suo gran desiderio di esserle utile. Ha capito?

Che impeto di profonda, immensa riconoscenza mi ferveva in cuore per quell'uomo, il cui linguaggio affettuoso veniva come un balsamo a me abbandonata! Mentre parlava mi accarezzava la fronte ed i capelli, come si fa ai bambini, e quel suo gesto lieve aveva una dolcezza infinita. Quando cessò di parlare, potei soltanto esclamare:

— Com'è buono, dottore!

Con uno strano accento egli replicò sottovoce, quasi che non volesse essere udito:

— Poverina! buono saprei esserlo, se lo potessi!

Spalancai gli occhi e lo fissai: egli pure mi guardava con un'espressione triste che gli offuscava un poco le pupille brune, ordinariamente così lucenti; ma dopo un breve intervallo di silenzio, in cui ci eravamo fissati, egli chino su di me con la mano che premeva leggermente la mia fronte, io immobile, frenando fino il respiro, ricominciò a parlare, cercando di prendere un tono allegro:

— Dunque lo approva, sì o no, il mio piano? Si? Allora lo spiegherò più precisamente: noi, ossia la mia famiglia e la sua, prenderemo un villino a Bocca d'Arno e anderemo ad abitarci nel tempo delle bagnature!

Provai una subitanea, invincibile ripugnanza all'idea di far vita in comune con la signora Jole: in una visione rapidissima mi passò dinanzi agli occhi la sua bellissima e sorridente figura… Non sapevo che cosa dire: fortunatamente sopraggiunse Corrado in quel punto; subito il dottore lo mise a parte del suo progetto, e siccome insisteva sulla necessità di condurmi in un luogo di mare, Corrado, senza più discutere, accettò. Combinavano senza che io dicessi nulla: ne ebbi piacere, perchè non so come avrei fatto a nascondere la mia impressione al dottore che, perspicace come è, poteva indovinarne il motivo… Ne sarei morta di vergogna: infliggere a lui, così buono meco, la mortificazione di vedere la poca simpatia che m' ispira sua moglie; ma come farò a nascondergli sempre questo mio sentimento, quando la coabitazione con loro mi darà così frequenti occasioni per dimostrarla? E non posso sbagliarmi? E non può essere invece che, conoscendo meglio la signora Jole, non si dissipi l'antipatia nata da una conoscenza troppo superficiale? Forse: oh! allora il dottore avrà ragione; allora sento che migliorerò tanto nella compagnia di persone care, all'affetto delle quali io mi potrò abbandonare senza scrupoli e senza ritegno. Poi il dottore mi sarà sempre vicino; al suo contatto quotidiano acquisterò un poco della sua forza e del suo coraggio. Anzi Corrado mi ha fatto osservare ieri che eravamo in obbligo di restituire la visita alla signora Jole; esitavo ad andarvi, ma ora mi sono decisa: domani ci recheremo a trovarla… Tale idea, mio malgrado, mi agita e mi turba; ma, insomma, che cosa è mai la signora Jole per me?

7 giugno.

Torno ora a casa. Mi sono levata il cappello in fretta, per correre subito qui a scrivere le mie impressioni, tal quali le ho provate. Abbiamo trovato la signora Jole in un salottino piccolo, tanto oscuro, che noi, che venivamo di fuori, a mala pena si riusciva a distinguere i mobili; quando siamo entrati, ci è venuta incontro festosamente. Indossava una veste bianca, ampia, cadente, e in quell'ombra la sua alta figura, slanciata e sottile, acquistava un aspetto vaporoso di fantasma. Soltanto dopo che eravamo seduti e gli occhi si erano abituati a quella oscurità, distinsi un uomo collocato accanto alla poltrona a dondolo, dove si era messa la padrona di casa. Nello stesso momento essa lo presentò a me ed a Corrado; ma ne disse il nome così rapidamente, che nè io, nè lui potemmo capirlo. Parlammo del progetto di stabilirci insieme a Bocca d'Arno: la signora Jole si mostrò entusiasta di questa idea del dottore (anche lei, invece di chiamarlo Giorgio, lo chiama il dottor), e si mise subito a tracciare il piano della nostra vita futura. Io dovevo condurre con me la mia cuoca, lei porterebbe la cameriera e la bambinaia; se poi io volevo anche la mia cameriera, era libera di condurla; ma mi consigliava di lasciarla, per non mettere insieme tante donne di servizio che avrebbero finito col litigare fra loro e darci dei fastidi. Del resto la sua cameriera era una ragazza svelta e capace, che ci avrebbe servite tutte e due. Poi passò a discutere le ore del desinare e della colazione, le ore destinate al bagno, alla passeggiata; parlò dei vestiti che avrebbe portato seco, e mi chiese quali sarebbero stati i miei, Le dissi che, stante la mia malferma salute, mi era mancata la voglia di occuparmi molto del vestiario, ed avevo in conseguenza il mio guardaroba assai sprovvisto, ma che, nonostante, sarebbe stato sufficiente per i miei bisogni, Mi parve soddisfatta della mia risposta: che temeva quella bellissima creatura? di essere forse superata da me, qualora avessi avuto vesti più belle delle sue? Pare impossible, e pure deve essere così: già il dottore me lo disse quanto sua moglie fosse amante del vestire sfarzoso, Mentre parlava, cambiava continuamente di posizione: ora si allungava e scopriva i piedi di una piccolezza veramente straordinaria; ora si ripiegava tutta appoggiando i gomiti alle ginocchia e con le mani sorreggendosi il mento; ora gettava le braccia in alto, incrociandole sotto la nuca, e nell'atto le maniche larghe sdrucciolavano in giù lasciando nude le braccia tornite, bianche e di forma perfetta. Ebbene, tutto quell'agitarsi, quella manovra continua aveva un che di studiato e di artificioso che non sfuggiva all'osservazione; ma per chi spiegava ella tanta pompa di grazie? Non per me, nè per Corrado: piuttosto quel giovanotto, a cui non ha mai rivolto la parola, e che non staccava un minuto gli occhi da lei?… Ohimè! perchè queste cattive supposizioni? È inutile nasconderlo a me stessa: io provo verso cotesta donna un sentimento curioso, quasi cattivo; ho il desiderio di scoprire in lei qualche cosa di brutto, di malvagio; come se volessi persuadermi che l'apparente bellezza sua non è che una maschera ingannatrice… Ma perchè questo? E non dovrei desiderare invece, per la felicità del dottore, che fosse in tutto un angelo? Non soffrii quel giorno laggiù a San Rossore, quando seppi che egli era infelice, e non desiderai ardentemente di poter fare qualche cosa per lui, per dargli la felicità di cui è tanto degno? Che cosa sono dunque queste contraddizioni?… Oh! saprò vincere l'ingiusto sentimento che mi suggerisce pensieri indegni di me; sarò l'amica della signora Jole e le darò parte dell'affetto e della gratitudine che devo al dottore: non è il miglior mezzo di provare a, quest'ultimo tutta la mia riconoscenza? Egli l'ama, l'ama tanto!

11 giugno.

Il villino a Bocca d'Arno è fissato: io non l'ho visto, ma mi dicono che è in una bella posizione, proprio in faccia al mare. Anderemo ad abitarlo verso il venti, se tutto sarà pronto; per parte mia i bagagli saranno presto fatti; ma non credo avverrà lo stesso alla signora Jole, quindi è da supporsi che il venti ci troverà ancora a Pisa. Ho informato la mamma del nostro cambiamento di residenza, ed essa si è molta rallegrata di questa idea che ha giudicata eccellente. A forza di vederne tutti così persuasi, mi sono convinta anche io che il cambiamento d'aria completerà la mia guarigione, sebbene in questi ultimi giorni i miei disturbi nervosi si siano fatti più frequenti e gravucci. Ma il dottore sostiene che quando mi avrà pour tout de bon sotto la sua tutela, anche essi spariranno, giacchè, dice sempre lui, sono io che me li procuro suggestionandomi. Non sono della sua opinione, ma gli dò ragione per farlo contento: però l'insonnia di cui soffro mi è così molesta! Le ore mi sembrano eterne, e fortuna ancora che siamo d'estate e le notti sono brevi! Tuttavia ne soffro molto, e poi mi sento riprendere dalle allucinazioni di un tempo: rivedo Stein, mi rammento quel periodo di terrori, e ne ritrovo i brividi e le visioni spaventose. Ne parlerò al dottore: sarebbe troppo orribile ripiombare in quei delirî orrendi; ma ora non ritorneranno, ne sono sicura, il mio malessere è tutto diverso. Questa notte mi è parso di vedere il mio bambino, o meglio di figurarmi quello che sarebbe stato il mio bambino: era un piccino, magrolino, bruno, con due occhi spalancati; mi stendeva le braccine e mi chiamava: « Mamma! ». Io non potevo muovermi per prenderlo, e l'ho visto a poco a poco sprofondare in un grande vuoto nero; invano tentavo, affannando, di trattenerlo con tutte le mie forze, egli se ne andava, se ne andava… Allora mi sono messa a piangere, ed ho pianto fino a che ho veduto spuntare il giorno. Appena è comparsa l'alba, sono corsa ad affacciarmi ed a scacciare tutti i fantasmi della mia insonnia con la chiara luce del sole. Ah! la luce, che divina e benefica cosa! Pare che a poco a poco penetri nella mente, nell'anima, e le illumini, le rischiari in modo da far scomparire ogni ombra, ogni paurosa incertezza!… Sono stanca da tante notti di veglia!

14 giugno.

Che delizia! Il dottore mi ha fatto prendere una pozione di cloralio: la bevo prima di coricarmi, e poco dopo mi addormento di un sonno profondo che dura senza interruzione fino alla mattina. E mi desto tranquilla, riposata, tutta diversa da quello che ero pochi giorni fa. Mi sembra di essere ritornata sana come una volta: mi sono occupata delle faccende di casa senza stancarmi; sono di buon umore; il dottore n'è felice! È un fatto che il nostro stato fisico influisce molto sulle condizioni del morale: mi convinco sempre più che questo e quello sono così strettamente collegati da fare una cosa sola; io negli ultimi tre giorni non ho avuto malinconie, non ho avuto eccessive disperazioni; ho sorriso, ho chiacchierato, ho pensato alle cose mie, anche le più dolorose, e le ho esaminate pacatamente, coraggiosamente, senza esagerate smanie e debolezze. Sono arrivata a vedere chiaro in me e negli altri: ho constatato che i danni subìti sono gravi, ma non irreparabili: ho capito che i consigli del dottore, da me tanto ingiustamente respinti, erano buoni e veri, tali infine quali potevano uscire dalla saggia mente di quell'ottimo amico mio. Ho studiato accuratamente la situazione mia e di Corrado, che forse non differisce molto da quella in cui si trova la maggior parte della gente: dal canto mio non conservo, rispetto a mio marito, che un sentimento d'amicizia e la coscienza del dovere che mi lega a lui, dovere che compirò puntualmente fino all'ultimo; da parte sua Corrado non ha subìto alcuna notevole alterazione ed ha forse per me sempre la stessa calma affezione di un tempo. Tale affezione, principalmente fondata su considerazioni di convenienza personale, non poteva mutare di molto, ed è per ciò che è rimasta la stessa. Del resto a lui non è successo come a me; la esperienza della nostra vita in comune non gli ha fruttato dolorosi disinganni: egli ha preso moglie, ne sono certa, dopo avere lungamente riflettuto e pesato meticolosamente sulla bilancia il prò e il contro; sapeva dunque ciò che lo aspettava, e l'anticipata cognizione gli ha risparmiato le successive delusioni. Insomma noi viviamo in una intimità del tutto apparente: le mie condizioni di salute hanno fatto cessare certi atti che, nello stato attuale di cose, mi sarebbero stati quasi intollerabili. La calma più completa regna nella nostra casa, una calma grave e monotona, ma che io potrei combattere creandomi una occupazione qualunque, come me lo ha spesso consigliato il dottore. Perchè non mi rimetto a coltivare la musica che da tanto tempo trascuro? Oppure, perchè non mi dedico allo studio di qualche scienza? Sceglierei volentieri la storia naturale; pregherò il dottore d'indicarmi qualche trattato, e poi farò dello studio lo svago principale della mia giornata. Almeno, in mancanza di meglio, avrò la pace e la quiete dello spirito: non è troppa debolezza il compiacersi, come talvolta faccio io, nel continuo lamento, struggendosi di pietà per sè stessa? Bisogna reagire, lottare, vincere e mostrare una fronte serena alle avversità… non è così che dice il dottore? Ed egli ha ragione, sempre ragione.

17 giugno.

No, vivessi mille anni, no, non dimenticherò mai il ributtante spettacolo di quelle due teste, che la mia inaspettata comparsa ha bruscamente scosse dal sonno che le aveva sorprese! Caterina ha gettato un grido vedendomi e si è tirata le lenzuola sul capo; Corrado, esterrefatto, col viso insonnolito, è balzato dal letto in camicia, istintivamente, quasi per fuggire. Io ho richiuso l'uscio e sono ritornata qui in camera mia, così stravolta che non riuscivo neppure a distinguere nettamente le mie impressioni… Mio marito nel letto di Caterina… Che orrore! Mi ero trattenuta forse un minuto, immobilizzata dallo stupore, ma come era bastata a mostrarmi ogni minimo particolare di quella scena!… Il lume che avevo in mano spandeva intorno una luce abbastanza chiara: su una seggiola ciondolavano le calze della donna, grosse calze a righe rosse e bianche, poi c'era una gonnella sudicia, un grembiule gettato a cavalcioni sulla spalliera del letto. Sul cassettone il candeliere di cui Corrado doveva essersi servito per andare in camera della serva, e a' piedi del letto, accanto a un paio di scarpe che avevano un elastico rotto e un tacco storto, le pantofole che io stessa aveva ricamato a mio marito… Nè in quel breve momento in cui rimasi pietrificata sull'uscio, nè dopo, nè ora, ho provato un senso di collera… No, ma un profondo ed invincibile disgusto… Così, a due passi da me, profittando del mio sonno con la sicurezza che il cloralio lo rendeva lungo e continuato, mio marito si avviliva, possedendo la donna destinata a custodirmi e vegliarmi… Non un riguardo, non una delicatezza lo hanno trattenuto: oh!… ed io avrei dovuto amarlo? Ma non è una fortuna, una benedizione che nel mio cuore sia morto ogni affetto per lui? Se fosse stato altrimenti, che cosa avrei sofferto io questa mattina? Come un nulla basta a fare una rovina! L'incidente il più lieve, l'essermi svegliata con quell'oppressione di soffocamento che mi prende da due notti, l'averla sentita così forte da provare il bisogno prepotente d'un aiuto; essere corsa a caso in camera della persona alla cui custodia ero affidata… e vedere, vedere quello che io ho veduto!… L'ignobile, vergognosa cosa! Corrado, l'uomo austero, l'uomo che pareva quasi sdegnarmi per la mia inferiorità, trova però conveniente di mettersi al livello di una serva, della mia serva. Come è potuto arrivare fino a cotesto? E che cosa dirò io ora? Che cosa farò? E che altro posso fare, se non chinare il capo? Dunque non rileverò l'insulto atroce, dunque non potrò vendicarlo, e permetterò che sotto ai miei occhi prosegua la tresca ignobile e volgare?… Non lo so; non lo so;quello che soltanto mi appare chiaro è che, se potessi, me ne andrei, fuggirei lontano per non ritrovarmi più dinanzi a costoro; ma che cosa fare?… Non sono vincolata e legata, il dovere non mi ordina di sopportare tutto e di soffrire in silenzio?… Insensata, sciocca che ero a sperare, nei giorni scorsi, di rifarmi una nuova vita!… Ma ancora non mi sono persuasa della condanna che pesa su me? Non ho ancora imparato che a fianco mio non devono camminare che il dolore ed il sacrificio? Questi sono i tristi compagni che mi seguiranno sempre nella mia dolorosa esistenza; ma non è troppa ingiustizia? Non è troppa crudeltà? Intanto non ardisco uscire di qui, sono le dieci: Corrado deve essere andato fuori; in casa regna un assoluto silenzio; poco fa mi è parso di udire camminare qualcuno nella stanza accanto. Sarà stata quella donna: o come posso io ritrovarmi in faccia a lei? La scaccierò… e poi?… Mi resterà sempre vicino il più colpevole dei due; avrò continuamente davanti agli occhi l'attore principale di un fatto che è la peggiore ingiuria recata alla mia dignità, al rispetto che mi si deve qui nella stessa mia casa…

Sono stata interrotta da un colpo picchiato all'uscio. Ho aperto, era Marianna. È venuta, inquieta del mio silenzio, per sapere se stavo male; mi ha detto in aria molto intrigata e sorpresa che Caterina, questa mattina presto l'ha chiamata e le ha detto che se ne andava e lasciava il servizio, cosa che ha fatto subito. Marianna intuisce vagamente che deve essere successo qualche cosa di straordinario, e negli occhi le leggevo la curiosità; ma io non ho detto una parola, non ho saputo neppure fare la commedia, non ho finto nessuna sorpresa, e Marianna se ne è andata convinta che io sapevo tutto, ma che non lo avrei detto. Meno male: quella non ci è più; ha agito spontaneamente allontanandosi, o ve l'ha consigliata lui? No, credo più capace quella disgraziata d'avere capito che il suo posto non era più qui, dell'uomo che non ha saputo rispettare neppure il luogo dove albergava la moglie inferma… È vicina l'ora della colazione… Che cosa ci diremo rivedendoci? Per parte mia sono calma: non ho collera, non ho rancore, solamente vorrei essergli lontana materialmente, quanto sono divisa da lui spiritualmente. Io, certo, per la prima non fo' cenno dell'accaduto… Oh! Eccolo; perchè ho tremato così udendo il suo passo?

Stesso giorno, la sera.

L'indignazione e la vergogna mi soffocavano. Ma che uomo è egli mai?… Ed io non ho gridato, non ho protestato, non ho saputo che tremare e piangere? Un momento solo un impeto di furore così violento mi ha assalito, che, se al mio grido: « Non mi toccare », egli non si fosse fermato, Dio santo! credo che l'avrei schiaffeggiato! Oh! debole, debole creatura che sono! Unicamente capace di soffrire, priva di qualunque energia: mi sono lasciata insultare e avvilire, anche più di quanto non mi avesse offesa l'oltraggio scoperto questa mattina… Lo ho lasciato dire, ho permesso che mi spiegasse così, così, con queste precise parole che mi si scolpivano nella mente man mano che venivano proferite, come se me le avessero impresse sulla carne con un ferro rovente:

— Lauretta, certo non nego la mia colpa, la riconosco e ne sono dolente; ma tu devi capire che ci sono molte attenuanti… Rifletti un poco: è dal febbraio che tu sei ammalata, siamo a giugno, e cioè quattro mesi che sono privo di moglie. Ora capirai, sono un uomo, e… Mi è capitata quella ragazza fra le mani, e il bisogno… Del resto, appena tu fossi guarita, non se ne sarebbe parlato più, spero che questo lo crederai… La disgrazia ha voluto che tu venissi a sapere una cosa che, ignorata, non avrebbe recato alcun danno… Basta, quello che è stato è stato, il meglio è non pensarci più: occupiamoci piuttosto a farti guarire presto, perchè io della mia moglietta non posso farne a meno, che diavolo!… Vieni qui, facciamo la pace con un bacio…

A questo punto sono scattata, ma poi lo ho lasciato parlare, ascoltando docilmente. Ed ho capito che, in mancanza mia, la serva poteva benissimo prendere il mio posto; ho capito che, infine, io devo badare ad adempiere l'obbligo mio, se non voglio poi trovarmi in faccia a chi mi rimpiazzi, facendo le mie veci. Il torto dunque è esclusivamente mio, mio… tuttavia egli pareva disposto a concedermi il suo perdono e doveva sentirsi così magnanimo, che il mio brusco rifiuto lo ha colmato di maraviglia, tanto che è uscito dalla camera offeso, lasciandomi affranta, a singhiozzare convulsamente! Ah! miseria mia! sventurata me!… e senza un aiuto, senza un appoggio al mondo! Sola, abbandonata, io che sono così debole da non sapermi neppure difendere… Oh! come vorrei morire… come vorrei avere la certezza che questa sera, fra un'ora, io non sarò più, che di me non resterà nulla, che finalmente diventerò insensibile a tutto. Se avessi la fede, se credessi in un dio qualunque, potrei chiederglielo ed almeno sperare di essere esaudita ottenendo la morte, la morte… Io son assolutamente inutile quaggiù, la mia scomparsa non lascierebbe dietro di sè alcun vuoto, sarei passata nel mondo come un atomo invisible portato dal vento. La mia presenza non reca benefizio ad altri e danneggia me stessa: chi mi rimpiangerebbe? Corrado no, certo; il dottore Giorgio… perchè mi fa tanto male il pensiero della indifferenza con la quale accoglierebbe la notizia della mia morte? Forse mi compiangerebbe un poco… e mia madre? Mamma mia, perdonami… Tu soffriresti nel perdermi; eppure non sono già perduta per te? E non preferiresti tu pure rinunziare completamente a me e sapermi in pace, piuttosto che vedermi così straziata?… Ma il mio soffrire nessuno lo sa, no, e nessuno lo saprà, perchè io non posso e non devo dirlo… Morire, morire, potessi morire…

20 giugno.

Sono stata costretta a rimanere a letto per due giorni: oggi soltanto il dottore mi ha permesso di levarmi per qualche ora; ma la nostra partenza per Bocca d'Arno, che doveva aver luogo proprio in questo giorno, viene protratta per colpa mia, e non, come avevo presupposto, per i bagagli della signora Jole. Strane vicende della vita! Mi è parso che il dottore fosse un po' inquieto per la mia ricaduta; mi ha domandato spesso se avevo avuto qualche dispiacere: io da principio ho detto di no; poi, siccome insisteva, mi è mancata la forza di seguitare a negare e mi sono messa a piangere. Egli, poveretto, ha capito che la sua domanda aveva colpito giusto; ma vedendo che ne soffrivo e non volevo dirne la causa, non me ne ha parlato più. Tanto meglio; per quanta amicizia, per quanta confidenza io abbia in lui, non posso però raccontargli quello che ho visto. Per l'onore del nome che porto, per la dignità mia, ciò che è successo non deve essere rivelato a nessuno, neppure a mia madre; anche in faccia a mio marito devo agire come se quel fatto vergognoso fosse caduto nella più perfetta dimenticanza; nonostante, so bene che non lo scorderò mai, mai! Oramai è stata l'ultima, insormontabile barriera sorta fra me e Corrado; è stato l'ultimo colpo che ha distrutto, non l'affetto, già da prima scomparso, ma la stima che mi restava per lui. Lo spettacolo offertomi dalla testa di mio marito giacente a fianco della testa della serva, gli ha fatto perdere agli occhi miei ogni rispetto, ed io non posso più guardarlo in viso senza scorgervi i segni della sua bassezza. Ma egli crede o spera che io abbia perdonato? Eppure non può trattarsi di perdono fra noi: il perdono si accorda a chi offende, ed io non posso accordarglielo perchè non offendono gli atti di un estraneo, e non altro che un estraneo io considero Corrado. Un estraneo che prima stimavo, mentre oggi disprezzo. Tutto è finito fra noi… eppure nelle frasi di giustificazione ch'egli ardì rivolgermi c'era un senso ben grave per me; mi disse: « Quando sarai guarita… ». Ebbene, quando sarò guarita?… Che cosa pretenderebbe? Avvilirmi fino al punto d'impormi le sue volontà, come ad una schiava o peggio ancora? Ah! no, questo non sarà mai! Ripeto: tutto è finito, e, se occorrerà, glie lo dirò altamente, in faccia, con la piena coscienza del mio diritto.

24 giugno.

Domani andiamo a stare a Bocca d'Arno. Affretto col desiderio quel momento: l'intervento di terzi porterà un divario nei miei rapporti con Corrado. Quando ci troviamo insieme, evitiamo di guardarci, ci parliamo appena; sebbene io faccia ogni sforzo per mostrarmi indifferente come prima, non riesco ad illudere mio marito, il quale capisce benissimo che io manco di naturalezza. Ciò lo irrita, lo infastidisce e gli fa assumere il contegno, assai strano davvero, di chi è la vittima e non il colpevole. È diventato irascibile, brontola a proposito di tutto; credo che, in sostanza, il suo gran dispiacere sia quello di sentirsi umiliato in faccia mia per essere stato colto in fallo. Come! l'essere superiore, privilegiato ha dovuto arrossire dinanzi all'inferiore, che egli prima schiacciava sotto il peso della sua autorità? Questo, io l'indovino, deve essere il motivo principale del suo malumore , accresciuto anche più dal mio silenzio, dalla calma invincibile che dimostro. Certamente Corrado avrebbe preferito di molto che io gli avessi fatto qualche scena violenta di rimproveri, per poi, una volta finita, non pensarci più. Invece la mia condotta lo intriga: non sa che cosa pensare e si inasprisce per la muta opposizione che, per la prima volta, riscontra in me. Io non me ne preoccupo, desidero di evitare però ogni spiegazione che possa portare un'alterazione qualunque al modo di vivere che abbiamo adottato. Mi trovo bene così: adempio strettamente il mio dovere, ma mi sento l'anima libera, sciolta da qualsiasi legame. Forse nello svago di una nuova maniera di vita Corrado troverà il modo di compensarsi della noia che prova nella sua vita domestica; poi a lungo andare si abituerà a questo stato di cose, ed io sarò lasciata in pace, ed io sarò contenta, giacchè non posso aspirare a nulla di più!

4 luglio.

Ancora non avevo trovato il tempo di confidarmi teco, caro librino mio. Siamo qui da una settimana, anzi più quasi, e questi giorni mi sono passati come un baleno. Un po' per la novità di trovarmi in un ambiente tanto differente da quello a cui sono usa, un po' per merito della signora Jole, cioè no, di Jole, come vuole essere chiamata da me. Non mi ha lasciato un minuto di libertà; che donna! È il moto perpetuo: la mattina presto mi fa chiamare per andare al bagno, poi si torna a casa a sorvegliare i bambini, o piuttosto, con questa scusa, Jole torna ad indossare un altro abito; ciò fatto, andiamo di nuovo al mare fino al tocco, ora in cui vengono i nostri, mariti da Pisa, dove si recano la mattina. Allora si desina, e fra il chiacchierare un poco e un breve momento di riposo arrivano le quattro. Da capo si va tutti al mare, e lì si combina una passeggiata nella pineta o una gita in barca. Così giunge la sera, si cena, quindi si finisce la serata sulla rotonda. A dir proprio la verità; io sono già stanca; le lunghe ore passate sulla rotonda, in un gruppo di gente che poco conosco, ad ascoltare i loro discorsi punto dilettevoli perchè si aggirano sempre sugli stessi soggetti, mi pesavano talmente che ho tentato ogni mezzo per evitarla. A fatica ho persuaso Jole di lasciarmi stare in casa almeno la mattina e di non accompagnarla al bagno. Ma alla fine ci sono riuscita con mio grandissimo sollievo: mi trovavo tanto a disagio in quella compagnia allegra, dove io mi accorgevo perfettamente di essere del tutto estranea, non perchè fossi poco conosciuta, ma perchè mi era impossible di mettermici all'unisono. La mia timidezza, il mio silenzio deve avere fatto spesso sorridere la gente: mi sono avvista parecchie volte che qualcheduno, chinato all'orecchio di Jole, le ha mormorato osservazioni a mio riguardo, che l'hanno fatta scoppiare in una risata… Lì per lì ne sono rimasta mortificata: ma poi, riflettendoci, mi sono persuasa che non può essere altrimenti; la grande differenza che corre fra me e tutti loro deve per forza stupirli e farmi passare ai loro occhi per un essere assai curioso. Insomma mi sono sottratta all'obbligo di andare la mattina ai bagnetti, e questo è già molto; mi è così caro lo stare a scrivere qui sola, tranquilla, davanti a questa finestra spalancata, dalla quale godo tutta la infinita distesa del mare! Quanto è bello! Starei ore ed ore incantata a fissarlo, trovandoci sempre nuova bellezza ed un maggior diletto! Ma il dottore non vuole che mi abbandoni tanto a queste fantasticherie: buon dottore! Quanto ho potuto apprezzarlo meglio in questi giorni di intimità! Come è sempre buono, gentile, premuroso con tutti… Bisogna vedere le cure, la tenerezza che ha per i suoi bimbi; si capisce che soffre di vedersi costretto ad essere tanto severo con Pierino, il suo figlio maggiore, che un'esagerata e malintesa affezione della madre e della nonna hanno così male avvezzato da renderlo insoffribile. E il povero dottore tenta invano di educare quel monello, che, sapendosi appoggiato dalla madre, ne approfitta per farsi sempre più cattivo. Però, dove il suo amore paterno diventa sublime, è quando si trova di fronte alla piccola Maria, la quale, poverina, affetta da una paralisi infantile, ha la gambina destra quasi perduta. È malaticcia, sempre pallidina e fa proprio pietà vederla nella sua carrozzina, senza desiderio di baloccarsi, con gli occhioni bruni che girano intorno tristi e attoniti di vedere che tutti si agitano, ridono e fanno il chiasso, mentre lei sola non può muoversi. Il dottore adora questa creaturina e la cura con tutti i mezzi; sono sicura che avrà ricorso a tutte le risorse della scienza, niente altro che per trovare il modo di migliorare le condizioni della sua piccina; ed ella, tanto rustica, tanto scontrosa con gli altri, non si rallegra, non sorride che quando è col padre; ma che cosa non fa egli per divertirla! Egli, l'uomo grave e serio, si mette a raccontare le favole, a fare il pulcinella, a correre per la stanza, solo per attirare un sorriso sulle labbrine scolorate della sua bimba. In quei momenti io lo osservo in silenzio, e nel cuore mi nasce una tenerezza così profonda da farmi quasi male: vorrei, a prezzo della mia vita, della giovinezza mia, rendere la salute a quella creaturina ch'egli si porta in braccio e vederla rifiorire bella e robusta, solo per la gioia che egli ne avrebbe! Invece la signora Jole (non posso abituarmi a chiamarla col solo nome) si irrita quasi del grande affetto che il marito ha per la bimba: mi sono accorta che non la può soffrire; forse le dispiace di vedersi accanto quella piccola inferma: già è chiaro che il suo prediletto è Pierino, tanto bello e forte, quant'è cattivo e maleducato.

Nei primi giorni io godevo il favore di Pierino; ma da una volta che lo sorpresi a fare dei versacci dietro le spalle del padre e lo rimproverai per quella mancanza di rispetto, non mi può più soffrire e sempre mi canzona e cerca di farmi tutti i dispetti possibili. Non quando il dottore Giorgio è presente, allora non ardisce e si limita a farmi le boccacce di nascosto. Pazienza, sono ragazzi, e non bisogna badarci; vorrei farmi volere bene da Maria; ma è così rustica che, appena le si va vicino, piange. Però i bambini hanno un segreto istinto che li avverte se la persona che li accosta merita o no la loro simpatia, ed io sento di avere tanto affetto per questa bimba, che finirò per vincere le sue ripugnanze. Come ho passato bene la mia mattinata! Fra poco è mezzogiorno: ancora un'ora, e torneranno il dottore e Corrado. Oggi si deve fare una gita in barca, ci saranno i signori Arvati, marito e moglie, e due o tre giovanotti, inevitabile corteggio della signora Jole e della sua amica Arvati. Fortunatamente viene con noi anche il dottore, quindi sono contenta: se c'è lui, non mi annoio mai; egli sta quasi sempre con me, mi fa mille attenzioni, e siccome capisce che la conversazione futile e leggera degli altri non è fatta per me, mi parla di tante altre cose. Mi racconta di paesi che ha visitati, mi dice dei suoi lavori, mi narra dei suoi malati, delle cure che intraprende, ed io finisco sempre per dimenticare il luogo e le persone con le quali sono, per non vedere, per non ascoltare che lui solo. Alzando il capo, ho scorto da lontano l'ombrellino rosso della signora Jole: torna a casa accompagnata dal tenente Solerti. Quel giovinotto è innamorato di lei, non c'è dubbio; ed io non so spiegarmi come ella possa essere tanto familiare con lui, autorizzandolo in certo modo a persistere in un sentimento che ella dovrebbe cercare di sfuggire. È ben vero che agisce con tutti ugualmente; ma col tenente c'è una sfumatura in pià. Per esempio l'altra sera si parlava di scarpe: la signora Jole, d'un tratto, scotendo un po' il piede, fece cadere la sua scarpina e la dètte in giro ad esaminare. Poi chiamò il tenente per farsela rimettere; egli obbedì inginocchiato. Non so perchè diventai rossa: il dottore Giorgio era accanto a me, e soffrii per lui di quell'atto, eseguito senza nessun riguardo alla sua presenza. Un'ombra di malcontento oscurò anche la sua faccia; cessò un momento di parlare, poi con evidente sforzo, passandosi una mano sulla fronte, riprese il discorso che aveva interrotto. Di lì a un poco si alzò e si allontanò. Come lo avrei seguìto volentieri! come mi sentii spinta a dividere con lui l'amarezza che lo turbava! Avrei voluto dirgli tutta la mia simpatia e trovare qualche buona parola per riconfortarlo, per scusare sua moglie che una pazza e sciocca vanità spinge così spesso a commettere azioni inconsiderate. Ma non osai, e non mi mossi. Soltanto l'animo mio seguì quell'uomo che soffriva, mentre mi invadeva un profondo ed invincibile ribrezzo di cotesta gente egoista e frivola che faceva tanto male, senza neppure saperlo!… Spesso vorrei dire… Vien gente.

7 luglio.

È l'alba appena. Una fresca auretta entra dalla mia finestra aperta: il mare presenta all'occhio una superficie liscia, uguale, come una lastra di un fantastico metallo azzurro a riflessi verdastri… Tutto è quiete, tutto dorme in placido silenzio… Ohimè!… Perchè sotto tanta magnificenza, sotto tanta bellezza deve esistere il dolore? Perchè gli animi degli uomini non sono chiari e limpidi come questo cielo? perchè la vita non scorre serena e lieta come quella massa liquida che ora giace addormentata? Ma non vi sono forse le tempeste lì pure?

Ieri la piccola Maria fu presa da una violentissima febbre; la sera il dottore domandò alla moglie:

— Chi resta stanotte con Maria?

La signora Jole alzò il capo sorpresa e rispose seccamente:

— La bambinaia.

— Non me ne fido — soggiunse il dottore.

— E allora stacci tu — riprese sgarbatamente la signora Jole; — non pretenderai che per una cosa da nulla, io perda una nottata, e stia male domani?

— Io ci sto in tutti i modi — ripigliò il dottore con calma; — ma vorrei avere con me anche una persona pratica. La bambinaia è una fannullona.

— Basterà benissimo — conchiuse la signora Jole.

Allora, piano piano, balbettai qualche parola per offrirmi io a vegliare la piccina; ero così confusa che mi tremava quasi la voce. La signora Jole mi gettò uno sguardo strano e non disse nulla; il dottore protesto:

— Ma le pare; nelle sue condizioni di salute, stare una notte senza dormire!

— Le assicuro, dottore, che non mi farà nulla. Non me lo dice sempre anche lei che sto tanto meglio? Badi, che se non acconsente a quello che le chiedo, penserò che m'inganna…

Scherzavo: ma il dottore non voleva saperne; finalmente, dietro le mie istanze e dietro consiglio della moglie, accettò, promettendomi anche che sarebbe andato a letto qualche ora per mostrarmi che si fidava di me. Avrei voluto che si riposasse perchè la notte precedente aveva pure vegliato, ed il giorno era stato molto occupato, come doveva esserlo l'indomani. Ottenni dunque che si coricasse; ma dopo due ore appena che ero rimasta sola nella camera di Maria, lo ho udito venire pian piano. Lo ho rimproverato un poco; ma egli mi ha assicurato che gli era impossibile dormire, e si è seduto accanto a me, dopo avere attentamente esaminato Maria che dormiva molto più tranquilla, essendole diminuita la febbre. Abbiamo cominciato a parlare sottovoce: il dottore mi ha detto che da principio aveva temuto si trattasse di difterite, malattia di cui vi è molta influenza nei dintorni, e confidandosi a poco a poco, mi disse i suoi timori circa lo stato di salute di Maria, che, prevedeva, non sarebbe mai ben guarita della malattia che l'aveva afflitta e che la lascierebbe zoppa. Da lei passò a parlare di Pierino, e tutto ciò che avevo già indovinato, me lo disse; le sue preoccupazioni per quel ragazzo che minaccia di diventare tanto cattivo, la difficoltà di combattere l'influenza dannosa della moglie e della suocera. E così, insensibilmente, mi aprì tutto l'animo suo; mi disse quanto era grave la responsabilità della famiglia, essendo soli a sostenerla, e soggiunse:

— Oramai con lei è inutile che faccia misteri, lo avrà osservato: Jole non mi seconda punto; è troppo smaniosa di divertimenti, ed anzi — proseguì, quasi esitando — qualche volta, nella vita che mena, si lascia trascinare un po' lontano nelle apparenze… Io ho tentato di frenarla, di correggerla; ma ci ho rinunziato, è fatta così… In sostanza è buona, ma ha la testa leggerina, per sua disgrazia è stata educata da una madre che le ha sempre lasciato fare tutto ciò che voleva… ed è successo per lei quello che sarebbe di Pierino se non ci fossi io… Oh! come è duro e faticoso il cammino della vita!…

Maria si è mossa nel lettino, e il dottore è corso da lei. Io avevo il cuore stretto da una invincibile malinconia: le confidenze ricevute mi rattristavano più che di cosa mia; e poi lo sentivo così buono, così meritevole di una sorte migliore! Poichè indovinavo che il dolore principale, la ferita che lo faceva sanguinare era la condotta di sua moglie; eppure, con una delicatezza veramente squisita, anche in faccia a me, cercava di scusarla, nel timore che potessi giudicarla troppo severamente! Come la ama, come la ama! Perchè non ho io trovato sulla mia strada un simile affetto? Perchè a me, che in esso avrei trovato il compimento di tutte le mie speranze più care, non è toccato d'incontrarlo, ed è invece capitato a chi non sa apprezzarlo, a chi, avida d'altri piaceri, lo lascia lentamente consumare non curato? Mentre riflettevo così, il dottore aveva ripreso il suo posto accanto a me:

— Vede, signora Lauretta — cominciò a dire — è la prima volta che mi succede di parlare così francamente delle cose mie. Ma che cosa vuole, accanto a lei provo tanta quiete, tanta fiducia, che non so resistere alla tentazione di sfogarmi, raccontando i miei mali. Ho la sicurezza di trovarmi vicino ad una buona amica che mi vuol bene davvero… Non è così?

— Oh! sì: che le vuol bene davvero! — ho risposto sottovoce; ma nel pronunciare quella parola, uno sgomento mi ha invasa tutta, un senso di gioia e di timore che non so bene definire. Il dottore continuò:

— Ed io pure le voglio bene e le sono amico devoto, e vorrei poter fare qualche cosa per lei, per vederla felice e contenta. Se sapesse che gioia provo nei rari momenti in cui la vedo sorridere e vedo sparire per un poco l'ombra di malinconia che sempre le offusca gli occhi!

— Grazie, io sono felice adesso.

— Felice! Povera Lauretta!

Per la prima volta mi chiamava così per nome. Ne ebbi una gioia grandissima; mi aveva preso una mano che teneva fra le sue, accarezzandola, e per un pezzo non parlammo più. Una sensazione di pace ineffabile scendeva in me: la pallida luce tenue del lumino da notte rischiarava appena la stanza; ovunque intorno a noi un grande silenzio; tendendo l'orecchio si sarebbe forse-potuto udire il susurro lieve del mare. Io ebbi un momento in cui proprio dimenticai tutto e giacqui sul sofà, in un abbandono completo, con la coscienza di vivere l'ora più felice della mia vita! Ma perchè tanta impressione per un fatto così semplice? Perchè le parole affettuose d'un amico turbarmi tanto? Ah! il mio male è questo: io esagero sempre tutto o in bene o in male; per una parola di affetto che mi sia rivolta provo una riconoscenza ed una gioia infinita; per una cosa minima che mi reca dolore soffro mille volte più che non sia giusto. Ma che cosa ci posso io, se sono fatta così? Comunque sia, questa notte sono stata felice e lo sono ancora, pensando che possiedo l'affezione e la confidenza dell'uomo che stimo ed amo più di tutto, dopo mia madre. E chi altri amerei? Non è egli la sola persona che mi abbia mostrato un po' d'interessamento vero? Ebbene, non mi lamento che il numero dei miei cari sia così scarso, se fra tutti è lui, che ho incontrato.

10 luglio.

Maria è guarita. Mi pare che si dimostri meno avversa a me: povera creaturina, sento tanta pietà per lei! Pierino, invece, non perde un'occasione por tormentarmi: ieri, al mare, mi empì a mia insaputa l'ombrellino di sabbia; quando lo aprii, ne fui coperta e ne ebbi fino negli occhi. Risero molto, e la signora Jole per la prima. Poi l'altro giorno Pierino mi disse forte:

— Signora Laura, ma non ha che un vestito solo, che si mette sempre il medesimo?

Non risposi, come faccio sempre; ma il contegno di questo bambino mi annoia, sopratutto perchè mi è venuto il sospetto che agisca così per suggerimento di altri. Ma la mia idea deve essere assurda: del resto sono così contenta, che queste piccole miserie non mi toccano punto; l'umore di Corrado è migliorato, si diverte assai fra questa gente. Con me è buonissimo, ed i nostri rapporti amichevoli sembrano oramai stabiliti per sempre così. Col dottore diventiamo sempre più intimi: ci teniamo un po' appartati dagli altri, e mentre quelli ballano e ridono, noi contempliamo il mare e parliamo di cose serie. Il giorno facciamo a gara per divertire Maria, anzi Pierino ha dichiarato che sono adattatissima a fare da buffona… Il padre lo ha sgridato; se sapesse tutto… Ma io mi guardo bene dal dirlo: non voglio che per causa mia nessuno debba soffrire!

12 luglio.

Se lo sapesse… oh! se lo sapesse… Tremo tanto che quasi non posso tenere la penna in mano. Eppure bisogna che mi sfoghi, che mi liberi da questo peso che mi soffoca… Vediamo, via… non ho sognato? Non è stato un'allucinazione? Era proprio la signora Jole che sedeva sulle ginocchia del tenente e gli abbracciava la testa e lo baciava?… Ed è vero quello che ci siamo detto?… Ma sì, ma sì, è vero… è vero… Ah! come farò io a trovarmi di fronte al dottore?… Mi pare di essere diventata la complice di un delitto, di un orrendo delitto; e non è così infatti, se taccio?… Ma oh! parlare no, mai… mai! Perchè, perchè sono andata a cercare questo libro in salotto!… Credevo che, come al solito, fossero tutti fuori… Oh! come è balzata in piedi lei, e con che arroganza mi ha interpellata:

— Che cosa vieni a fare?

Io sembravo inchiodata al pavimento, ed ho esclamato quasi fuori di me:

— Oh! Jole!

Ella ha ripreso più duramente:

— Vuoi farmi una scena? E perchè, di grazia?… Non lo sai che dobbiamo recitare col tenente e che si studiava la parte?

— Ah! non mentire… ho visto.

Credo che volentieri mi avrebbe stritolata; mi si è accostata tanto da toccarmi:

— è per far la spia che vieni a sorprendere la gente, allora? Va', va', racconta ogni cosa a Giorgio, tanto si consolerà con te… Ora vattene però, eh?

Mi ha presa per un braccio e mi ha messa fuori della stanza… Sono tornata qui non so come, le gambe non mi reggevano, e dominante, continuo mi martellava la mente un pensiero: se lo sapesse! se lo sapesse il dottore, ne morirebbe! Oh! che infame donna, ella che dovrebbe adorarlo in ginocchio per la sua bontà, approfitta della indulgenza che ha per lei per disonorarlo ed insultarlo… Che espressione cattiva aveva la sua faccia! ed invece di confondersi, d'umiliarsi, si è rivoltata come un cane arrabbiato! E che cosa ha detto? Che ero andata per fare la spia? Che il dottore si sarebbe consolato con me? Che cosa vuol dire? Non oso approfondire il senso di quelle parole… no, non oso… certo ha voluto insultare me pure, sapendomi sinceramente affezionata a suo marito, ha voluto…

È entrata in camera mia come un turbine… Ho fatto appena in tempo a coprire con un foglio di carta suga quello che scrivevo ed ella mi si è gettata al collo, singhiozzando… Voleva mettersi in ginocchio: mi ha chiesto perdono, mi ha supplicata di non tradirla… Poi mi ha raccontato che era la prima volta, che non sapeva neppure lei come fosse successo, e mi benediva per il mio intervento che l'aveva salvata, mostrandole d'un tratto l'orrore della colpa che inconsciamente stava per commettere… Io l'ascoltavo in silenzio: intenta a padroneggiare un segreto istinto, che mi avvertiva della menzogna sua; sì, mentiva in tutto, recitava una parte, forse consigliatale dal tenente, forse ideata da lei stessa per assicurarsi il mio silenzio. È inutile, l'avversione che m'ispira Jole fa sì che io trovo tutto male ciò che viene da lei: forse era sincera?… Le promisi che non avrei parlato con anima viva di quanto avevo veduto ed ella parve acquetarsi: però il suo sguardo conservava un'espressione dubbia, sospettosa e pareva volere ricercare in fondo al mio pensiero, che cosa? Non lo so. Tuttavia anche dopo le mie assicurazioni continuava a scusarsi, giurando ripetutamente che mai più, mai più si sarebbe messa ad un rischio simile; io la esortai a persistere nel suo proponimento, avevo in mente mille parole affettuose da dirle, ma non potevano uscirmi dalle labbra; qualche cosa dentro di me le tratteneva e lo slancio, che pure avrei voluto avere, mi si agghiacciava al solo suono della voce di lei. Finalmente se ne è andata; ma in me persiste tuttora la convinzione che tutte le sue proteste erano false, ella è venuta qui unicamente per assicurarsi delle mie intenzioni: oh, può stare tranquilla, non sarò certo io che darò un colpo simile al dottore, colpo che gli sarebbe mortale: forse la mia è debolezza, ma ohimè! io gli voglio bene e vorrei risparmiargli fino l'ombra di un dolore! È quasi l'ora di pranzo: al pensiero di trovarmi in faccia al tradito, tremo quasi che la colpevole fossi io…

13 luglio.

Quanto ho sofferto ieri! Non ardivo guardare in faccia il dottore; ogni volta che mi rivolgeva la parola tremavo… Oh! questo segreto, questa colpa di cui involontariamente mi sono fatta la muta complice, mi opprime come un peso insopportabile… Ed ella, ella come era calma e sorridente: più bella del solito, ha fatto uno sfoggio di grazie seducenti verso il marito, il povero marito, che la guardava un po' sorpreso, ma con così tenera gioia negli occhi! Non un'ombra nel suo viso, non una contrazione dei muscoli che rivelasse una qualche agitazione, nulla! Ed io, angosciata, a momenti mi sentivo spinta da una pazza voglia di strapparle quell'uomo, di cui ella così indegnamente si giuoca e di smascherarla. Ma non sarebbe la rovina di lui? E devo tacere, tacere anche vedendo continuare la tresca infame: poichè avevo indovinato giusto ieri mattina; le sue lacrime, i suoi pentimenti erano tutte finzioni: ne ebbi la conferma più tardi. Alla rotonda c'incontrammo col tenente, ed io che gli osservavo, vidi lui interrogarla ansiosamente, accennando me, e lei rispondere scotendo le spalle in atto sdegnoso. Dopo non si sono più lasciati; ed oramai fanno sempre così. Ah! come può ella agire in quel modo, senza un rimorso che la turbi, senza uno scrupolo? Ella che possiede l'affetto di un uomo di ogni altro migliore, ella che ha due figli da amare, che cosa cerca ancora? Per quale sentimento, per quale desiderio abbandona tutto ciò O che cosa può trovare in quel giovinotto per preferirlo a suo marito? Mi perdo inutilmente a cercare la spiegazione di un fenomeno che a me appare come una cosa contraria ad ogni legge, e mi domando invano: come può, come può ella agire così? Fin dove sarà giunta la sua colpa? Ma perchè se non ha più affetto per suo marito, perchè se una passione fatale la trascina verso l'altro, perchè non confessa tutto e non se ne va e fugge? Come può dividersi fra quei due uomini? Certo non deve amarne nessuno dei due, altrimenti non potrebbe sottostare all'obbligo di appartenere all'uno ed all'altro, dunque? Oh! mi convinco che non riescirò mai a capire le complicazioni, di cui sono fatti gli uomini e la vita: io sono troppo semplice e non saprei mai uscire da certe situazioni losche. Sono stata fatta per vivere alla piena luce e la unica strada dove io possa camminare è una via lunga e diritta senza rigiri tortuosi: ebbene, benchè cotesta strada sia arida e monotona, non mi lamento di doverla seguire: almeno non vi è ombra e posso guardare intorno a me con sicurezza.

16 luglio.

Non la credevo così cattiva. così cattiva. Da cinque giorni faccio uno sforzo continuo per avere un contegno allegro, per nascondere l'agitazione, in cui mi ha messo la scoperta della sua colpa, ed ella con una audacia insuperabile ardisce deridermi, si studia di rendermi ridicola in pubblico. E non me solamente, ma suo marito, cioè colui dinanzi al quale dovrebbe tremare di vergogna. Non so come abbia potuto essere tanto forte da frenare il pianto che mi salì alla gola; in quel momento avrei voluto che la terra m'inghiottisse per non farmi ricomparire mai più. Con che piacere crudele ella si burlava di me, come capiva di farmi male e come ne godeva! Cattiva! Tornavamo col dottore da una passeggiata così dolce, la luna risplendente dava al paesaggio un colorito pieno di soavità, ed io avevo dimenticato per un poco i miei tormenti nella gioia di trovarmi isolata al braccio del mio solo amico. Avevo proprio dimenticato tutto, come spesso mi accade nello stare insieme con lui, ma al ritorno, come un colpo che mi fosse assestato diritto sul capo, mi scotono bruscamente queste parole della signora Jole:

— Oh! ecco i nostri innamorati platonici che ritornano!

Ella era seduta nel consueto gruppo d'amici e con un braccio si appoggiava alla balaustra della piattaforma. A quella frase io dovetti tremare, perchè il dottore mi strinse rapidamente la mano per farmi coraggio, mentre rispondeva seccamente:

— Che scherzi di cattivo gusto, Jole!

Ed ella di rimando:

— Ve ne siete avuti a male? Già non c'è nulla che dispiaccia quanto la verità!

— Andiamo, smettila; — interruppe di nuovo il dottore; ma la signora Jole riprese senza dargli retta:

— Benone! Sono loro che si offendono, mentre se c'è qualcheduno, che avrebbe il diritto di lagnarsi, saremmo io e il signor Corrado! Ma noi siamo filosofi, non è vero, professore? E poi un po' di idillio in riva al mare ci vuole.

— Jole! — gridò il dottore con collera — mi hai seccato…

— Perchè svelo il vostro segreto? Ma tutti lo sanno, me ne appello a questi signori. Via, dite se Laura e Giorgio non filano il perfetto amore?

— Ed io dico che è tempo di cessare uno scherzo che non mi conviene di tollerare: — dichiarò il dottore in tono così autorevole che tutti tacquero. Solo la signora Jole tentò di mormorare ancora qualche parola, che non intesi bene; ma furono accolte da un generale silenzio che durò lungo e imbarazzante. Io mi ero gettata in disparte su una seggiola: avevo la faccia in fiamme, indovinando le riflessioni maligne, i motteggi che facevano intanto mentalmente coloro che mi circondavano, aspettando di vendicarsi, dopo, del silenzio imposto loro dal dottore. Non vedevo l'ora di tornare a casa e questa notte non mi è riuscito dormire! Mi pare che quel grossolano scherzo abbia gettato un'ombra nella mia intimità col dottore, mi pare che ora non potremo trovarci insieme con la medesima famigliarità d'un tempo… Ma è possibile che tanta amicizia, tanto purissimo affetto possa venire interpretato malignamente?… No: era una vendetta di lei, di quella cattiva donna… Bussano, chi sarà?

17 luglio.

Anche questa!… Io dunque sono destinata a soffrire sempre, sempre nuovi dolori? Che cosa ho fatto per meritarmi di essere tanto perseguitata? Ieri mattina mentre Corrado mi parlava, credevo di sognare: e dopo, come avrei voluto nascondermi e fuggire!… Invece fui costretta a mostrarmi al solito; ma le gambe mi reggevano appena. Il dottore voleva ad ogni costo sapere che cosa avessi. Oh! amico mio, unico e solo amico mio, anche il conforto di questo affetto mi si vuol togliere! Ed è lui, lui che ho visto giacere nel letto della serva, che ardisce proibirmelo! Ed io non ho gridato, non ho protestato?… Eppure non era tutto ingiusto ciò che egli mi disse? Che cosa disse? Ecco: che non voleva essere ridicolo, che da qualche tempo aveva notato che la mia intimità col dottore assumeva un carattere poco conveniente, che il giusto (dio santo, ha detto giusto!) malcontento della signora Jole, abbastanza rivelato nella ironia dell'altra sera, lo avevo deciso a parlarmi. Se non lo aveva fatto prima, era stato perchè sperava che una volta guarita avrei imparato a condurmi come tutti gli altri e non con i modi stravaganti che ho adottato da qualche tempo in qua. Alla fine conchiuse, dichiarandomi che m'imponeva di cessare i troppo frequenti colloqui appartati col dottore, di essere meno sdolcinata verso di lui, e di trattarlo con la indifferenza che solamente gli devo: quindi soggiunse, in tono di minaccia, che se non gli avessi dato ascolto, avrebbe provveduto altrimenti. E se ne andò. Io non ho proferito una sillaba, nè durante il suo lungo discorso, nè dopo: ero annichilita; ma un senso di giustizia sorgeva dal fondo dell'anima mia a protestare contro l'immeritato trattamento. Con quale diritto vuol egli, che volontariamente ha distrutto e l'affetto e la stima che io gli portavo, privarmi dell' unico conforto che io abbia? In che cosa questo legame di amicizia che mi unisce al migliore degli uomini, può offenderlo?… Per le apparenze, ha egli detto: le apparenze di che cosa? Forse Corrado s'immagina che?… È orribile: misura dunque tutti da se stesso? Ebbene no: ho la mia coscienza per me, so di non avere mancato mai e per nulla; dovrei sottopormi a soffrire anche di più? Troppo fui debole sempre: è ora di reagire, difendo l'ultimo bene, l'ultimo filo che mi lega alla vita… L'amicizia del dottore mi è necessaria, è il solo affetto che io abbia: giacchè quello a cui avrei avuto diritto, mi è mancato per colpa di un… non è giustizia che mi sia compensato? Ma non basta dunque che egli abbia distrutto in me giovinezza, fede, speranza?… Che cosa vuole ancora?

18 luglio.

Corrado mi sorveglia. I suoi occhi sono pieni di minaccia: ed egli ha spesso un'espressione cattiva, di durezza, che talvolta mi spaventa. Pure io stessa sono sorpresa dell'insolito coraggio, con cui lo sfido. I miei rapporti col dottore non sono mutati in nulla: ieri andammo a fare una merenda a S. Rossore con una comitiva di sette o otto persone ed io stetti tutto il tempo con lui. Però, se apparentemente siamo nella stessa intimità di prima, i nostri colloqui sono improntati di una insolita tristezza. Egli si accorge che gli nascondo qualche cosa che mi affligge, e per delicatezza non mi interroga: io dal canto mio non so fingere, e anche senza dirglielo con le parole capisco che non tarderò molto a fargli intendere ogni cosa. Intanto restiamo spesso in silenzio, assorti nei nostri pensieri, che a me sembrano meno tristi quando egli mi è vicino. Ah! che benefica influenza ha su di me: sento che qualunque cosa mi ordinasse, io lo obbedirei ad ogni costo: un sacrifizio non mi sembrerebbe grave se imposto da lui. Forse sarà perchè riconosco la grande ed incontestabile superiorità, che egli ha su di me e sugli altri uomini: e pensare che sua moglie lo tradisce, e per chi! Come può essere che ella preferisca quel tenente Solerti, che di valore ha soltanto l'uniforme che indossa? Eppure non c'è dubbio, la signora Jole seguita nella sua relazione col tenente, sebbene avesse sperato che io nella mia dabbenaggine, mi fossi persuasa della sua affermazione. Essi continuano la loro tresca infame e la buona fede del dottore, l'onestà sua, che lo tengono lontano da qualunque sospetto, garantiscono loro piena sicurezza. Ecco dunque quello che accade: io, ingiuriata, maltrattata, eppure innocente d'ogni colpa; l'altra, la peccatrice, venerata ed amata!

21 luglio.

Ho subìto una scena violenta di Corrado. Mi ha insultata, la collera lo accecava; tuttavia io, sebbene non avessi più una goccia di sangue addosso, mi sono ribellata. Gli ho risposto che non avevo nulla da rimproverarmi e che, per conseguenza, non avrei cambiato in nulla la mia condotta, giacchè, facendo la minima concessione, mi sarebbe sembrato di convenire di torti che non ho. Allora il suo furore non ha avuto limiti: mi ha gridato sulla faccia che non voleva essere ridicolo, che già abbastanza gli avevo dato noia e lo avevo sacrificato; che avrebbe rimediato lui a tutto… Rimediato come, a che cosa?… Non si è spiegato… io non so… Ho paura che in casa abbiano udito la voce irata di Corrado: la signora Jole non mancherebbe di avvertirne il dottore, e se egli mi domandasse?…

23 luglio, notte.

No, oh! no! farò tutto quello che vuole Corrado, ma che mi lasci qui, oh! per pietà, non mi conduca via… Mi sono messa in ginocchio per scongiurarlo; gli ho promesso di ubbidirlo… ma, per pietà, non mi allontani di qui!… Io morirò o impazzirò… L'ho supplicato di ricondurmi a Pisa: il dottore verrà di tanto in tanto, come prima… Prima era contento, eh?… Ma no, no, non mi conduca in quella campagna che non conosco, sola, sola… Oh! gli chiedo perdono di averlo disubbidito, perdono: non ho fatto nulla di male, egli non può volere che io muoia… Che dolore ho alla testa! È notte, notte… l'aria di fuori fa vacillare la candela, gli occhi mi bruciano dalle lacrime… Corrado, farò quello che vuoi: non starò quasi mai col dottore, dirò a tutti che mi è antipatico, che non lo posso soffrire, così non crederanno… Come sto male! E perchè non mi butto da quella finestra?… Sarebbe finita… Ma no, non deve essere finita. Corrado domani mattina mi dirà che ha voluto farmi paura; non è vero che il suo amico gli abbia offerta la villa, non è vero che anderemo via, resteremo qui, e poi torneremo a Pisa tutti insieme… Il dottore Giorgio verrà a vedermi… Bisogna che spieghi a Corrado che al dottore voglio bene perchè ha avuto compassione di me, perchè mi ha sempre consigliata ad essere buona…; la signora Jole è cattiva, io no, Corrado, io no! Mamma mia, diglielo tu… La fronte mi si spezza… Ma voglio aspettare il giorno così alzata, per correre subito in camera sua e sapere la verità, sapere che mi perdona perchè non ho fatto nulla di male… nulla, nulla… Le tempie mi martellano! Come sono lunghi i minuti! le due appena! Non arriverò mai a vedere il giorno, mi pare che la mia attesa durerà una eternità, una eternità d'ombra e di silenzio… Che cosa importa?… Se domani sarò consolata… Se resterò qui accanto al dottore, a Maria…

24 luglio.

Il mio amante, ha detto? Oh! il mio amante!…

25 luglio.

Che confusione ieri! Corrado mi aveva ordinato di non restare in camera, di comparire al pranzo, perchè nessuno potesse accorgersi di quello che era avvenuto fra noi. Obbedii: ma la mia povera testa vacillava; dissi che mi sentivo male per giustificare il mio contegno. Non alzavo gli occhi dal piatto; nonostante sapevo che lo sguardo del dottore mi esaminava, pieno d'interessamento. Fremevo e cercavo alla meglio di dominarmi; ma quando Corrado, senza pietà nè misericordia per me, annunziò che avevamo anticipato la nostra partenza di qualche giorno per andare a vedere certi suoi amici in Maremma, io ruppi in singhiozzi, e, colta da un terribile accesso convulsivo, caddi priva di sensi. più tardi mi ritrovai a letto: nella stanza, il dottore e Corrado, distanti da me pochi passi, credendomi sempre assopita, discorrevano abbastanza forte, perchè io potessi udirli. Tesi l'orecchio; parlava il dottore:

— È la calma, una calma assoluta che ci vuole per lei: qualunque scossa, qualunque emozione in quel temperamento dotato di una sensibilità eccessiva può essere fatale, perchè provocherebbero crisi che si succederebbero sempre con maggiore frequenza, fino a condurla a tal punto di esaltazione da rendere vana ogni speranza di guarigione. Vede, io le parlo con tutta franchezza… cerchi di farla essere calma.

— Io non le dò nessun motivo di agitazione — rispose Corrado, piuttosto asciutto; — ma per darle anche una tranquillità maggiore la condurrò in campagna.

— Forse non ci va volentieri — interruppe il dottore; — allora sarebbe meglio…

Corrado disse:

— Ci viene volentierissimo: del resto è oramai cosa stabilita.

Il dottore tacque: mi parve sorpreso dei modi di mio marito; senz'altro si avvicinò lentamente al mio letto e, trovatami con gli occhi aperti, sorrise col suo dolce sorriso e mi domandò se stavo meglio. Voltai la testa da un'altra parte e mi misi a piangere di nuovo; Corrado venne verso di me; allora io presi nelle mie una mano del dottore e la strinsi con quanta forza avevo; provavo, al cospetto di mio marito, una ripugnanza, un ribrezzo invincibile e, strano a dirsi, un desiderio furioso di fargli del male, di strozzarlo. Era forse l'accesso che ricominciava: infatti sentivo di perdere ogni padronanza su me stessa, gli urli che frenavo facevano ressa alla gola per uscire; il bisogno di mordere, di graffiare, che invano tentavo di dominare, cresceva di minuto in minuto, si affermava, s'imponeva; il mio corpo aveva contrazioni e fremiti indipendenti dalla mia volontà, e a poco a poco, come se questa fosse stata sopraffatta, vinta da un'insurrezione generale dei nervi e dei muscoli, mi sollevai d'un colpo solo sul letto e… non so più nulla.

È strano come mi è rimasta netta la sensazione di quello che ho provato nei momenti che hanno preceduto la crisi, che deve essere stata terribile, a giudicare dallo stato di debolezza in cui sono oggi. Ma Corrado non ha compassione; questa mattina è venuto in camera mia; eravamo soli; io ho dominato la ripulsione che involontariamente provo ogni volta che egli si avvicina a me, ed ho sorriso. Mi ha domandato come stavo; io ho risposto che mi sentivo benino, e poi ho mormorato pianissimo:

— Mi hai perdonato, non è vero? Non partiamo più?

Sì, è vero, sono stata debole, vile, ho chiesto perdono a lui, io l'innocente, ma speravo, speravo! Però tutto è stato inutile: egli mi ha risposto, con un tono che non lasciava dubbi:

— Sta' quieta: ne parleremo più tardi…

Ho taciuto; ma una disperazione immensa si è impadronita di me; però mi sono levata, sorretta da un'ultima speranza. Dirò ogni cosa al dottore, cercherò un'opportunità per parlargli da solo a solo, ed egli, ne sono certa, troverà il modo di aiutarmi. Per l'appunto è stato chiamato da un malato grave, ed è assente dall'alba; ma questa sera tornerà, ed io mi farò forza e anderò con loro al mare, dove è più facile che io abbia occasione di parlargli… Un tale proposito mi ha rianimata tutta… Quando è che Corrado ha stabilito di partire? Il ventotto. Ci mancano due giorni soli… Bisogna agire senza perdere tempo.

26 luglio.

Il dottore ieri sera non venne: la gravità del caso per cui era stato chiamato lo ha trattenuto fuori. Ohimè! Corrado mi ha ripetuto di disporre tutto per partire giovedì… Ho risposto affermativamente; ma la mia sola preoccupazione è di procurarmi il mezzo di parlare col dottore Giorgio. Però, come se un destino avverso me lo facesse apposta, mai ha avuto tanto da fare; è sempre fuori, ed oggi so che non torna nemmeno a desinare. Eppure bisogna che io lo veda e gli parli!… Si tratta della mia salvezza, ed ho tanta fede in lui!

27 luglio (di notte).

Prima di rifletterci sopra, voglio trascrivere qui parola per parola la conversazione avuta pochi momenti fa col dottore. Come avevo sperato, intanto che gli altri si erano riuniti sulla rotonda per ballare, il dottore ed io, per un tacito accordo, ci siamo allontanati, rifugiandoci in fondo alla terrazza. Lì, in quell'angolo oscuro, appoggiata alla balaustra di legno, fissando gli occhi giù nel mare cupo, io gli ho detto tutto. Gli ho raccontato il modo nel quale ero stata trattata da mio marito, da colui che pochi giorni innanzi avevo sorpreso a letto con la mia serva; inoltre ho soggiunto che, se fossi partita, sarei morta, che ricorrevo a lui come all'unico amico che avessi al mondo, perchè mi aiutasse, mi difendesse. Parlai a lungo, a lungo: io, sempre così esitante e timida, proseguii risoluta nella mia confessione senza fermarmi un momento, nè il dottore m'interruppe. Teneva il capo nascosto fra le mani, e non fece un atto, una mossa durante tutto il tempo in cui io parlai. Quando ebbi finito, scoprì la faccia pallida, passò il suo braccio sotto al mio e mi trasse vicino vicino a sè.

— Lauretta, mi ascolti come mi ascolterebbe se fossi suo padre: cerchi di essere calma e segua bene il mio ragionamento. Non si stupisca se le dico che in parte il professore ha ragione: duro è stato il modo che egli ha usato, ma il fine era giusto. Non protesti; mi ascolti: ella è venuta a me a chiedermi aiuto e consiglio, non è vero? Ebbene, ecco quale io le dò in tutta coscienza: parta, obbedisca a suo marito, vada via…

Gridai:

— Oh! ma non capisce che io morirò sola, abbandonata, lontana da tutti e specialmente lontana da lei?…

Con voce sommessa, ma con un accento così ardente ch'io ne fui scossa, egli riprese:

— Sì, lontana da me… lontana da me… oh! Lauretta, mi lasci parlare francamente, forse brutalmente: è per il suo bene… Vede, io, assorbito da una passione unica, prepotente, da un affetto che non potrà mai essere superato, spesso credo che, all'infuori di esso, intorno a me non possa esistere altro, e per ciò, protetto dall'egoismo del mio sentimento, non ho riflettuto, non ho previsto il pericolo a cui ella si esponeva accettando l'amicizia che le offrivo… Non ho pensato, forse perchè non ho la vanità di tanti uomini, che, nel bisogno d'affetto che la tormentava, fatalmente doveva accadere che io diventassi l'oggetto di un sentimento che… che ci avrebbe condotti al punto in cui siamo… Mi capisce?

Ed io, appoggiando la testa alla sua spalla, risposi:

— No, non capisco: so soltanto che, se mi portano via, se perdo il suo affetto, unico sostegno della mia vita, io morirò…

Il dottore riprese ansiosamente:

— Ma non s'avvede che l'affetto di cui ella parla le fa più male che bene?

— Ma se è l'unica risorsa della mia vita?

— Lauretta, lei non vuole intendermi. Pensi, siamo tutti e due legati: io amo, adoro mia moglie…

— Ma chiedo forse qualche cosa di cattivo, io? — esclamai disperata. — A traverso gli insulti di mio marito prima, ora nelle sue parole, per quanto dolci ed affettuose, indovino un senso misterioso, quasi un'accusa, come se davvero fossi colpevole. Ma di che cosa? Che cosa ho fatto io?

Fissavo il dottore perchè si spiegasse; ma egli aveva volto il capo da un'altra parte, e lo udii mormorare fra sè:

— No, è troppo innocente, non mi intenderà mai.

Allora io insistei:

— Perchè non devo intendere, perchè?

Risolutamente egli mi prese tutte e due le mani e mi guardò in faccia:

— Vuole intendere? Ecco: sappia dunque che quando un uomo ed una donna, che non sono liberi, oltrepassano i limiti d'una tranquilla amicizia, vengono esposti ad un pericolo gravissimo a cui essi non pensano, e che li guata come un nemico appostato nell'ombra. Più la loro buona fede è sincera, più onesto è l'animo loro, e più facilmente, appunto per la maggiore ignoranza, cadono nella rete. Ora tale pericolo, tale nemico è, che dal loro sentimento di amicizia ne scaturisca un altro, l'amore. Sorto l'amore, tutto è finito: o diventano amanti, ed allora incomincia una lunga serie di dolori e di sofferenze indicibili; fino a che il rimorso, la vergogna, togliendo loro ogni pace, li spingono alla rovina loro e di quelli che li circondiano; o resistono alla tentazione, e quindi soffrono ugualmente una pena diversa, sì, ma che è sempre un tormento che non dà nè quiete, nè tregua: il desiderio senza speranza. Questa volta mi sono spiegato? mi ha inteso?

Io dissi così:

— Ho capito, senza essere persuasa; poichè ella ha parlato di due che non fossero liberi. Ora se avvenisse invece che uno di loro fosse libero, libero di custodire nel segreto del cuore un sentimento, fosse pure della natura cui lei ha fatto cenno, che danni potrebbero venirne? E che male farebbe agli altri? Del resto, chi può proibire all'anima di sentire, chi può dettare legge dove nessuno comanda? Può essere che vi siano casi in cui il rimorso e la rovina siano la conseguenza di un affetto; ma ciò che li produce non è l'affetto, sono le sue manifestazioni. Un sentimento che nasce nella spontaneità dell'anima ed è custodito gelosamente come un tesoro, non può essere una colpa, nè fruttare il male.

— Lei parla senza conoscere la vita.

— Può essere e me ne rallegro, se la vita insegna altre cose differenti da quelle che ho imparato studiando il mio cuore. Io le voglio bene, da lei miè venuto il solo conforto che abbia trovato nel mio isolamento e nella mia sventura; perchè dovrei distruggere questo affetto che è tutto per me e non fa male ad alcuno? Mi dica perchè?

— Perchè verrà un giorno in cui non le basterà più quello di cui oggi si accontenta.

— O che cosa potrei pretendere di più?

Il dottore parve imbarazzato, si stropicciò la fronte con la mano; poi lentamente ricominciò a dire:

— È inutile discuterne più a lungo. Forse io non so esprimermi, e lei non può indovinarmi. Però creda, Lauretta, nella sua bontà, nella sua ingenuità ella non giudica con esattezza le cose. Si affidi a me, dia retta ai miei consigli; e poichè mi ha dato prova di volermi tanto bene, in nome di questo io le chiedo un sacrificio.

— Quale?

— Quello di partire.

L'energia strana che fino a quel momento mi aveva sostenuta, svanì d'un tratto. Ritornai la creatura debole e miserabile che sono sempre, ed in un singhiozzo supplicai:

— Ah! no, no!

Ma il dottore prese a dimostrarmi la necessità della mia partenza; una sola, fra le tante cose che disse, fu quella che più mi colpì: accennò a Corrado, ad una possibile rottura fra di loro, alle conseguenze a cui potevano giungere; ah! essere io la causa di un male qualunque per lui!… Insomma mi chiese di partire, me lo chiese in prova di sottomissione ai suoi desiderî, ed io… ho promesso. Ho promesso e manterrò, dovessi morire… Ma no, egli ne avrebbe rimorso, ed io voglio risparmiargli anche questo. Oh! come sono abbandonata da tutti! E se il dottore sapesse a chi mi sacrifica, che cosa penserebbe? Ebbene, perchè non confessarglielo? Perchè non rivelargli chi è la donna che ama? Sì, un momento ebbi la tentazione di raccontargli l'infamia di sua moglie, ma perchè? Perchè? Non sarebbe stato un'azione indegna di me?… No, no, partirò: partirò domani l'altro…; poichè è necessario sottomettersi alle ingiuste leggi che ci governano, partirò: ma conserverò intatta la memoría di questo sentimento, sia d'amicizia, d'amore, che cosa importa? È la mia vita.

28 luglio.

Non ho dormito punto: sono stata tutta la notte alla finestra; ora mi sento calma e risoluta. Fra poche ore partiamo: fra poche ore sarò lontana di qui, non lo vedrò più… Egli, che forse mi vuol bene come ad'una sorella, forse mi dimenticherà fra le braccia della donna che lo tradisce… Addio, addio, luoghi dove ho sognato e dove il risveglio è stato così crudele! Potessi almeno ripromettermi il riposo e la pace!

30 luglio.

Che squallore! che deserto!… Una vegetazione stenta circonda questa casa, che non è una villa signorile, nè una casa di fattoria, ma una vera stamberga di contadini miserabili… Una vecchia custode ci ha accolti… Io ho rabbrividito all'idea di dovere stare qui, ma mi ha confortato un pensiero, che ora mi maraviglio di non avere avuto prima. Perchè piuttosto non chiedo a Corrado di lasciarmi andare per qualche tempo a Bologna in famiglia?… Là avrò tutte le cure, e poichè devo stare lontana dal dottore Giorgio, non è meglio che sia almeno con mia madre? Ne parlerò a Corrado.

31 luglio.

Nel mio smarrimento non avevo pensato a verificare quante camere da letto avevamo. All'ora di coricarmi, vidi Corrado che entrava qui in questa unica camera, dove mi aveva condotta arrivando, e dove non c'è che un solo, grande letto… Mise la candela sul comodino, dove depose una rivoltella, dicendomi:

— È bene premunirsi, non si sa mai, in questi luoghi deserti…

Poi principiò a spogliarsi. Io lo fissavo esterrefatta; ma subitamente, facendomi coraggio, gli domandai:

— Ma quale è la mia camera, il mio letto?

— Oh! bella! qui… questo… — rispose Corrado. — Non c'è altro, ed è oramai tempo di ritornare alle nostre consuetudini…

Ripresi in fretta la veste che mi ero levata e mi rivestii. Corrado mi osservava in silenzio, un silenzio carico di minaccie.

— Non vuoi venire a letto? — mi chiese. Accennai di no col capo.

— Non ci sono altri letti — ripetè, frenando a stento la collera che lo assaliva…

— Starò su una seggiola — replicai a voce bassa.

Allora egli non si contenne più: invel contro di me, contro il dottore, coprendoci di insulti. Io mi ero rincantucciata in un angolo e lo lasciavo dire, indifferente alle ingiurie che mi scagliava addosso, preoccupata soltanto di difendermi a qualunque costo, s'egli avesse voluto costringermi ad andare a letto con lui. E mi sentivo venire nei polsi una forza miracolosa per respingerlo, qualora avesse ardito toccarmi: ma non l'osò. Invece, con gran fracasso di seggiole rovesciate, masticando bestemmie e male parole, si mise in letto, spense il lume e si addormentò. Io non mi mossi dal mio cantuccio, nel timore di svegliarlo; tutta la notte sono stata così, con gli occhi aperti, fissi nel buio. A momenti mi passavano davanti lingue di fuoco fiammeggianti, poi tutto tornava nero; mille rumori confusi mi ronzavano nelle orecchie: mi stringevo le tempie fra le mani; avevo paura che si spezzassero nei colpi affrettati… Che agonia!… che agonia!… Finalmente spuntò il giorno, e pian piano potei muovermi ed uscire dalla camera senza far rumore; girai a caso nelle stanze vuote, coll'intenzione di fuggire o di nascondermi… Non lo so; non so che cosa ho fatto ed ho pensato; non avevo la testa a segno allora; più tardi mi sono calmata; mi sono rammentata che volevo chiedere a Corrado di farmi tornare a Bologna, e ciò mi ha incoraggiata; ora sono tranquilla; gli parlerò subito, appena si sarà alzato!… Mi sono guardata allo specchio; come sono pallida!… Se mi vedesse il dottore, oh! egli avrebbe pietà di me…

(31 la sera).

Non vuole che torni a Bologna… Non ha voluto farmi preparare un altro lettuccio in una stanza qualunque dove potessi star sola…

— O con me, o alzata — ha detto…

Starò alzata… non dormirò più; oh! cattivo, cattivo!

1°ree; agosto.

Non ho chiuso occhio… Ho passato anche questa notte su una seggiola, vegliando, impaurita, fra un susurro misterioso di voci che uscivano dall'ombra… Ah! gli spiriti… Corrado mi disse:

— È il tuo amante che ti ha proibito di dormire con me? Di', è lui?

Tacqui: che cosa avrei risposto?… Ed egli ancora:

— Fa' quello che ti pare; ma vedremo se saprò io ricondurti a fare il tuo dovere; oh! sì? Vedremo chi la vince.

E si è messo a letto. A metà della notte c'è stato sul tetto un gran fracasso fatto dai topi; e Corrado, che ha paura dei ladri, si è alzato, ha girato la casa con la rivoltella in mano. è passato accanto a me e non mi ha diretto nemmeno una parola… Una notte intera su una seggiola, oh! come è lunga!… E poi ho paura che ritorni Stein… già vedevo luccicare nel buio le sue pupille verdi… Ma no, egli non c'è… Chi dunque s'aggirava leggero intorno a me? Le anime dei morti… Si vendicano di me che li destavo dal loro sonno… oh! come farò a resistere ancora?… Oggi mi pare di essere ubbriaca… Camminando vacillo… Ho il corp rotto dalla stanchezza… ma resisterò… voglio resistere.

2 agosto.

Che orrore… che notte!… Che lamenti… Che brividi… Mani invisibili, fredde, vischiose mi toccavano, mi tiravano… Quando è sorto il sole ho creduto di uscire da una atroce agonia… Corrado ha creduto di essere molto pietoso, molto magnanimo forse? Poco fa si è avvicinato a me e mi ha detto:

— Lauretta, mi faresti diventare cattivo… Credi, mi dispiace che tu mi costringa ad essere così… Ora è tempo di finirla: non vedi che non ti reggi? Sii buonina, cedi, non ostinarti tanto. Questa sera verrai a letto e faremo la pace…

— A letto con te non ci verrò; — ho dichiarato.

— Ma perchè? — ha insistito Corrado, sforzandosi a serbare le apparenze della bontà.

— Perchè non voglio… perchè non ci verrò più! — ho ripetuto io.

Ed egli, impazientito, ha esclamato:

— Oh! smettiamola con questi capricci inqualificabili. Lo vedremo questa sera.

Lo vedremo questa sera, ha detto? Ebbene sia; lo vedremo. Che voglia impormi ancora il suo contatto, che voglia insozzarmi il corpo dopo avermi infranto l'anima? Finalmente è troppo… è troppo…

6 settembre (dell'anno dopo).

Aome mai, durante questo tempo lungo e tedioso, non ho rammentata la mia occupazione favorita, il mio giornale? Come mai non ho pensato ad ingannare la noia di quelle eterne giornate di prigionia con i lunghi colloquî che ero solita fare con me stessa? Chi lo sa? Forse non me lo avrebbero permesso, e, se avessi chiesto di scrivere, mi sarebbe stato rifiutato; e poi potevo forse pensarci? Nella mia mente e anche nel mio corpo per molto tempo non è esistita la facoltà di sentire; ero trasformata in un automa, me ne accorgo ora, ora che mi sembra di svegliarmi a poco a poco da un lungo sonno, durante il quale neppure un sogno ha potuto darmi l'idea della vita. Eppure il luogo in cui mi trovo non è certo molto gaio: tuttavia posso godervi l'aria libera, e poi abito stanze pulite, graziose, e la donna che mi custodisce è buona, amorevole con me. Che differenza con la squallida e misera stanza dove mi hanno tenuta rinchiusa per tanti mesi! Ma… è strano… io non ci ho sofferto… quasi ci stavo bene: proprio si vede che non avevo più coscienza di nulla. Ora non potrei più viverci; ma qui è tutt'altra cosa: sono circondata dalla tenera premura della mamma, alla quale devo il mio benessere attuale. Povera mammina! come è cambiata! I capelli, ancora biondi poco tempo fa, sono diventati completamente bianchi, ed il suo viso, restato così a lungo giovanile, pare trasformato in una cartapecora, tanto è giallo e solcato di rughe. Tutto per causa mia! No, non per causa mia, ma per colpa di un destino avverso che non ha mai cessato di perseguitarmi. Ora però non devo lamentarmi, sono quieta, quasi direi che mi sento felice in questo asilo, che non ha nulla d'orribile, nulla di spaventoso. Prima, quando mi capitava di udire pronunciare la parola manicomio, rabbrividivo come se avessero evocato dinanzi a me una visione di terrore; invece ora ci abito, e che cosa vedo dispaventevole? Ho un quartierino al primo piano di una palazzina circondata da un grande giardino pieno di fiori; lontana, la linea dei monti chiude l'orizzonte, a destra alcune case mi danno un'incerta idea di quello che è Siena, che ho attraversata senza vedere. Forse è un po' lugubre il grande caseggiato che mi sta alle spalle; ma qualche cosa ci deve pure essere che riveli il luogo in cui sono… Ma io non ne soffro, come, ripeto, non ho sofferto nei mesi passati in prigione; del resto, a rendermi felice mi basta di appoggiarmi un momento alla finestra, di guardare il cielo e la campagna, di vedere volare gli uccellini, di udirne le grida festose. Questa mattina poi, nel riprendere la mia antica abitudine di scrivere, ho avuta una vera gioia. La mia custode Virginia mi domandava con insistenza:

— Perchè non fa qualche cosa? A che cosa pensa stando sempre così ferma, fissa a guardare nel vuoto?

— A che cosa penso? A nulla.

Ed era vero fino a poco tempo fa; ma da qualche settimana mi ritorna spesso la memoria precisa di tutti gli avvenimenti passati; però bisogna che io lo nasconda e finga di non ricordare; per ciò feci quella risposta, alla quale la servente replicò:

— Non ci credo molto, e sarebbe meglio per lei se si decidesse a fare qualche cosa: non vede, la sua signora madre le ha fatto mettere un pianoforte, le ha mandato dei libri, della lana per ricamare, della carta per scrivere… E lei non tocca nulla, non fa mai nulla! Vergogna ! vergogna esser così fannullona!

La buona donna seguitava a chiacchierare: intanto, di tutte le sue parole, due soltanto mi avevano colpita: « carta… scrivere »; e rapidamente, come la fugace visione di un paesaggio illuminato dal baleno di un lampo, avevo rivisto il mio salottino di Pisa, la piccola scrivanìa con la cassetta a doppio fondo, dove giaceva chiuso, intatto, il volume rilegato in marocchino rosso a cui affidavo i miei pensieri. Da quel momento, per la prima volta dopo tanto tempo, ho provato un desiderio, il desiderio che mi ha condotta qui a scrivere. Però mi sembra di non sapere più tenere la penna in mano; tremo, faccio storte le lettere; vorrei avere il mio bel libro rosso, vorrei rileggervi tutto quello che vi ho scritto… Pregherò la mamma di portarmelo: lo affidai a lei per essere sicura che nessuno me lo troverebbe mai, e la mamma mi giurò di conservarlo nascosto senza leggervi. Di lei mi fido, e sono certa che lo tiene custodito bene: per ciò è meglio che lo lasci stare dove è; qui hanno diritto di frugare dappertutto; se me lo prendessero! Virginia mi chiama a desinare: non ho fame, e preferirei scrivere ancora; ma bisogna ubbidire.

7 settembre.

Virginia non ha voluto che scrivessi più: mi diceva che mi ero agitata troppo e che, abusandone, le cose anche buone si fanno diventare dannose. Sarà; ma ora per me questa occupazione è diventata una necessità e non posso farne a meno. Scrivo adagio, un po' per impiegarci più tempo, un po' per cercare le parole e quello che devo dire. Adesso non è più come prima, quando dalle agitazioni e dai tumulti dell'anima scaturiva una tale folla di idee che la mano non era quasi in tempo a riferirle tutte. Ora in me vi è un gran vuoto, ed i pensieri che vengono ridestati da qualche memoria sorgono a fatica e passano senza lasciar traccia. Inoltre la vita che conduco non mi offre certo materia per iscrivere: non vedo anima viva, tranne Virginia, la mamma ogni quindici giorni e il dottore Giacomo che viene per cinque minuti ogni due giorni. Nello scrivere la parola dottore ho provato una scossa brusca… è curioso che ora, se una parola o un fatto mi colpiscono, prima di rendermene conto ho un sussulto in tutto il corpo e sento contrarsi istintivamente i muscoli, come succede nel toccare sbadatamente un oggetto che brucia. Così la parola dottore mi ha richiamato alla mente il dottore Giorgio… Mio vero amico! Egli mi ha salvata due volte, come prima mi salvò dalla terribile emorragia dopo l'aborto; così è a lui che devo di essere qui… e non altrove. Mi rammento che, sebbene fossi quasi insensibile a tutto, pure quando lo vidi comparire nella sala di udienza provai un brivido di gioia; e con che riconoscenza infinita lo udii, prima raccontare, con voce tremante di commozione, tutta la mia storia dal giorno che mi aveva conosciuta fino al momento in cui ero partita da Bocca d'Arno, poi dichiarare che io ero inferma di mente, che ne avevo dati sempre segni manifesti, e che, per conseguenza, non potevo essere tenuta responsabile degli atti miei. Egli certamente disse tutto ciò per salvarmi: lo sapeva bene che non sono pazza; ma, nella sua infinita bontà, ha preferito farmi credere tale anzichè, vedermi condannata alla reclusione. Poichè, pur troppo, la mia condanna era inevitabile: Stein chiamato come testimone non mi aveva risparmiata… Ah! la sua faccia sinistra è sempre stata per me infausto presagio di sventura! Ma anche senza di lui io non avevo nulla da sperare, il giudizio degli uomini si basa sui fatti che risultano evidenti; essi non si curano di indagare nella profondità dell'anima per cercarvi i segreti moventi e le nascoste, indiscutibili cause vere che hanno provocato l'azione; quindi quale può essere la loro giustizia? E l'amico mio impareggiabile, sapendolo, ha voluto salvarmi con uno stratagemma. Però mi sorprende come abbia potuto essere tanto facilmente accettata quella affermazione; per essere ritenuti pazzi non bisogna averne date le prove? E coloro che mi giudicarono, quando ne ebbero da me? Ogni volta che mi hanno interrogata ho sempre risposto nel medesimo modo, confessando tutto, con la logica di chi è in pieno possesso della sua mente; dunque come ha fatto il dottore a convincere coloro che dovevano giudicarmi, della mia infermità, mentre io avevo sempre mostrato di essere sana? Mistero, oppure miracolo dovuto alla commovente eloquenza del dottore, nata dalla sua pietà per me. Che sia benedetto e possa essere felice per tutto il bene che da lui mi è venuto sempre!

8 settembre.

Virginia dice che questa notte ho dormito agitata: anzi crede che abbia avuto un poco di febbre, e non voleva farmi alzare. Ma l'ho pregata tanto, che ha ceduto: figuriamoci, è giorno di visita della mamma, e voglio darle la consolazione di potermi fare vedere in piedi per dirle che sto meglio, che sono più sollevata. Povera mamma! per starmi vicina ha lasciato Bologna e la sua casa; si è stabilita qui a Siena con Amelia. Che tristezza deve essere per loro questa vita di isolamento in un paese nuovo!… Vorrei che tornassero a Bologna; vorrei saperle contente; io qui sto bene, sono tranquilla: perchè dovrebbero condannarsi a soffrire per me?

9 settembre.

Ieri vidi la mamma. Sempre mi sembra più macilenta, più patita: ed è per me quasi una cosa inesplicabile, l'eterno dolore di cui è improntato il suo viso. Amelia non è ancora venuta: la mamma dice che non sta tanto bene; io sospetto che voglia evitare di ritrovarsi meco. Perchè, perchè? Forse ha vergogna di me, forse mi crede cattiva?… Eppure ella è mia sorella, ella mi conosce e non può accusarmi. Ma, tornando alla mamma, osservai che, mentre io ieri le parlavo lietamente, quasi con allegria, i suoi occhi si velarono di lacrime a stento trattenute. Non è dunque contenta di vedermi sorridere? Si direbbe che la mia letizia le riesce dolorosa; ed io, accorgendomi della sua tristezza, dopo che fu andata via rimasi triste… Vorrei sapere perchè la mamma è così… Forse le fa pena sapermi al manicomio? Ma non sa che è un pretesto e che ci sto come se fossi in villeggiatura?

10 settembre.

Oggi non posso scrivere: ho un peso qui al petto che m'impedisce di respirare… Virginia vuol fare avvertire il medico.

11 settembre.

Che spavento! Ne tremo ancora! Mi ero lasciata indurre da Virginia a provare il pianoforte. Da più di un anno non suonavo: le dita incerte si appoggiavano lentamente ai tasti, ed avevo incominciato pian piano una canzonetta napoletana, quando l'uscio del salottino si è spalancato e sulla porta è comparsa una donna che, appena mi ha vista, si è gettata avanti come per slanciarsi su me. Per fortuna Virginia prontamente si è interposta, l'ha presa per i polsi, fermandola; nello stesso punto è arrivata un'altra servente, e tutte e due l'hanno condotta via. Quella si dibatteva urlando, ed io, rimasta sola, conservo ancora nell'orecchio il suono lugubre del suo grido di demente. Non posso frenare l'istintivo ribrezzo che sorge in me: d'un tratto ho misurato tutto l'orrore del luogo in cui abito. La fugace visione di quella donna dalle pupille dilatate mi ha suscitato altre visioni: ho creduto vedere, là dietro le mura solenni del gran casamento bianco, una folla orrenda di pazzi ridere e schiamazzare fra gli urli sinistri degli altri… Se improvvisamente tutti costoro fuggissero, se i custodi, incapaci di trattenerli, li lasciassero andare, e giungessero fin qui, fin nella quiete di questa casina… Ahimè!… Ho paura… ho paura, voglio andare via… È orribile che io, sana, debba essere condannata a vivere qui fra questi pazzi… E perchè? e perchè? Che cosa ho fatto? Ho difeso un diritto mio sacrosanto, ho risposto con la violenza alla violenza che mi si voleva fare… Dunque? Mi lascino andar via, non ci voglio più stare. Quella pallida pazza mi fa spavento… Me ne voglio andare, me ne voglio andare… E come ho potuto rassegnarmi per tanto tempo?… Fuggirò, sì, fuggirò nascostamente, e la mamma mi aiuterà, e il dottore Giorgio pure mi aiuterà… Ora che sono libera, ora che potrei vivere tranquilla come più mi piace, perchè vogliono tenermi rinchiusa? Non ho mai fatto male a nessuno, neppure alla signora Jole quando mi tormentava tanto con le sue ironie; oh! neppure a lei ho fatto male, quando con una parola potevo perderla, perchè ella aveva un amante… E anche io, mi diceva Corrado, avevo un amante, ero la ganza del dottore Giorgio… Ah! non è vero, non è vero!… Ed egli m'insultava, mi maltrattava così ingiustamente. Ho taciuto, ho sopportato, ho sofferto per mesi e per anni; ho assistito alla rovina di ogni mia speranza, di ogni mia aspirazione; e perchè in un minuto mi sono vendicata di tutto ciò che avevo sofferto, mi vogliono tenere qui dentro?… Potessi fuggire! ma come fare, se sono tanto debole da non reggermi quasi in piedi? Il peggio è che ogni giorno, quasi direi ogni ora, mi pare di sentire che un po' della mia forza se ne va… Se dovessi morire… Ah! no: sono così giovane, e poi non voglio, non voglio ritrovarmi con lui… Ma quando siamo morti, tutto è finito. E se non fosse vero, e se, invece, come alcuni pretendono, questa vita non fosse che il passaggio ad un'altra? Se là, nell'ombra, nel mistero dell'ignoto, Corrado fosse ad aspettarmi al varco?… Vien notte, non ci vedo quasi più; dov'è Virginia? Perchè mi lascia sola? Ho paura… I pazzi son là… Virginia dove è?… Ah!…

Virginia era lì seduta dietro di me, non l'aveva udita tornare; voglio interrogarla sulla donna di poco fa.

12 settembre.

Hanno portato via la pazza che abitava al pian terreno: pare che fosse sempre stata dolcissima al punto che quasi la credevano guarita; soltanto ieri nell'udire il suono del pianoforte si è d'un tratto trasformata, e, fuggita con una rapidità straordinaria, è corsa su senza che la servente fosse in tempo a raggiungerla. Ora l'hanno messa altrove, perchè io sia libera di suonare. Ma quali ricordi, quali memorie avrà ridestato in quella povera mente inferma la canzonetta napoletana? Chi lo sa mai, quale storia dolorosa, quale lunga serie di patimenti ha improvvisamente richiamata la lieve melodia?! Povera infelice! Tuttavia sono contenta che l'abbiano allontanata: ora siamo sole nella casa, e ciò mi fa piacere. Qualora nulla venga a richiamarmi alla mente il luogo in cui sono, sento che, nella calma che mi circonda, posso anche dimenticarlo. Oggi piove a dirotto, i nuvoli bassi, grigi chiudono l'orizzonte all'intorno e la campagna s'intravede appena fra la nebbia. Che cosa faranno ora la mamma e Amelia? Se mi ascoltassero, se tornassero a Bologna che hanno lasciata con tanta precipitazione, io sarei più contenta di vedere la mamma più di rado e di pensare che se ne sta tranquilla fra i suoi amici, conservando le sue abitudini a cui era tanto attaccata. Voglio persuaderla di partire.

13 settembre.

Questa notte ho sognato Corrado. Mi pareva di essere in giardino; allo sbocco di un viale l'ho incontrato e gli ho domandato:

— Ma come, sei tu?

— Sì, sono io, mi ha detto.

— Ma non sei morto? Non ti ho ammazzato io?

Ed egli:

— Sì, sono morto; sì, mi hai ammazzato tu; ma sono risuscitato per domandarti perchè mi hai ucciso.

Allora mi ha preso per la mano e mi ha fatto sedere; ma subitamente il luogo era cambiato, non eravamo più in giardino, eravamo seduti in riva all'Arno. Alla sua domanda risposi:

— Non lo sai perchè ti ho ucciso?

— No, dimmelo.

— Perchè tu volevi costringermi con la forza a fare ciò che io non dovevo, perchè non ti amavo più.

— Perchè non mi amavi più? Io ti volevo bene.

Appena Corrado disse così, mi misi a ridere forte forte; poi, sentendo un rumore sopra di me, vidi fra i rami di un albero la faccia di Caterina, della signora Jole, che ridevano pure; le indicai a Corrado; nello stesso momento sbucò fuori da un cespuglio basso un gufo che rideva sgangheratamente. Lo mostrai a Corrado, dicendo:

— Guarda, anche il gufo ride nel sentirti dire che mi volevi bene, quando della mia vita non hai fatto che un lungo martirio.

Corrado riprese:

— Almeno ti sei pentita?

— No.

— E quando ti hanno arrestata, condotta in prigione, processata, giudicata, hai sofferto?

— Meno di quando era teco. Che cosa mi importavano patimenti che io non potevo più sentire, perchè l'anima mia era oramai libera?

— Pentiti — ordinò Corrado.

— No — ripetei ancora io.

Egli intanto si assottigliava, pareva farsi trasparente; di nuovo parlò:

— Ma non sai tu quale delitto orrendo è togliere la vita ad un uomo?

Ed io:

— Dimmi, quella rivoltella di cui io mi sono servita per uccidere te, non la tenevi pronta per difenderti, uccidendo un malfattore o chiunque avesse commesso un attentato contro di te?

— Quello era il mio diritto: avrei agito per legittima difesa…

Mi alzai violentemente:

— Ed io no? ed io no? Io non ero in diritto di difendermi da chi mi aveva insultata, avvilita, da chi mi aveva negate tutte le gioie a cui potevo pretendere?… Ah! tu parli di legittima difesa?… Ed io dunque?… Io…

Con voce terribile Corrado gridò:

— Pentiti!

Era diventato quasi una cosa impalpabile; pure, avendogli io nuovamente risposto « No », egli mi prese per il collo, mi sollevò da terra e con una forza irresistibile mi gettò in Arno. All'urto tremendo mi destai con un grido: ero bagnata di sudore ed il cuore aveva palpitazioni così forti che dovetti sedermi sul letto per potere respirare. è la prima volta che sogno Corrado, e l'impressione di averlo riveduto fa sì che tutto il giorno mi pare di averlo davanti, come nel momento in cui lo vidi cadere fulminato dal colpo che gli avevo sparato sul viso, a bruciapelo. In quel momento dovè sostenermi una forza superiore e ignota, perchè io potessi adoperare con tanta sicurezza un'arme che forse aveva toccato tre o quattro volte nella mia vita. Certo allora fui l'istrumento incosciente di una giustizia più alta, più equa della giustizia umana; di una giustizia che punisce là dove le colpe sfuggono al giudizio degli uomini. Comunque sia, ciò che fu è ben fatto, e la pace che di poi è discesa in me è la prova più evidente che nulla ho da rimproverarmi.

17 settembre.

Sono stata malata: sono sempre in letto; ma il dottore, no, il medico… (il dottore per me deve essere uno, uno solo. Ah! se potesse venire a curarmi, come guarirei presto… Vorrei rivederlo: egli è sempre stato il buon genio della mia vita. Se anche adesso venisse, sono certa che mi accadrebbe qualche cosa di bene. O guarirei, o mi lascierebbero libera di uscir di qui…). Che cosa dicevo quando ho cominciato a scrivere? Ah! dicevo adunque che il medico mi ha permesso di scrivere. E Virginia mi ha accomodato molti guanciali che mi sorreggono ed ha posto sul letto una tavoletta con l'occorrente per scrivere. Sto benissimo: ogni tanto mi fermo, perchè proprio la mia debolezza è estrema; allora guardo sul cassettone il mazzo di fiori che mi ha mandato la mamma. Poverina, i giorni in cui non le è concesso visitarmi mi fa avere sempre dei fiori. Che belle rose! Ce ne è una gialla che è uno splendore!… Così rigogliosa e bella, somiglia la signora Jole!… Dove saranno? Come starà la piccola Maria? E Pierino sarà sempre cattivo? Dai cristalli chiusi entra un bel sole tiepido, e una striscia gialla, dove si muove una polvere d'oro, viene quasi fin sotto il mio lettino. Anche a Pisa deve esserci oggi un bel sole così. Il Lung'Arno sarà pieno di gente, e la chiesina della Spina farà valere tutta la sua delicata eleganza, mentre laggiù, dietro al ponte di ferro, il cielo e l'acqua del fiume fiammeggieranno nel giallo arancione del glorioso tramonto! Ahimè!… Come ne sono lontana, e quanto è povero in confronto questo raggio d'oro che viene fin qui come una elemosina o come una pallida memoria del passato! Li rivedrò mai gli spazi azzurri del cielo e del mare, libera come l'aria di cui vorrei empirmi i polmoni? Un presentimento triste mi dice di no… Ah! se ora alla debolezza della mano si aggiunge il velo che mi stendono sugli occhi le lacrime, come farò a scrivere? E d'altronde? Sono piena di tristezza: qui sola, abbandonata, penso che di là da queste mura, dove io mi consumo relegata, ferve la vita in tutta la sua magnificenza, ed alla gioventù offre gioie e piaceri, alla vecchiaia pace e serenità. A me nulla, nè prima, nè ora, nè mai! Eppure in mezzo allo sconforto che mio malgrado provo, ho la rassegnazione quieta di chi si trova davanti ai fatti compiuti e contro i quali non c'è rimedio possibile… Mi vedo là in quello specchio così smunta e consumata che appena la pelle ricopre le ossa del mio viso… Come appariscono immensi gli occhi! ed i capelli biondi non sembrano una canzonatura? Nel vedermi, non posso fare a meno di paragonarmi ad un fiore seccato tra le pagine di un libro… Si indovina che il fiore fu colto fresco e giovane, ma che cosa ne resta più? Virginia vuole che smetta: dice che mi affatico…

20 settembre.

Che gioia! che gioia! Ho riveduto il dottore: quando la mamma mi ha detto che lo aveva fatto chiamare, e che egli aveva acconsentito di venire, ottenendone qui il permesso, sono rimasta senza fiato, senza parola… Poi mi hanno detto che era arrivato: volevo alzarmi, volevo che non mi vedesse così in letto; ma non ho potuto, ed egli è entrato qui; aveva le lacrime agli occhi, e semplicemente mi ha preso la testa fra le mani e mi ha baciata in fronte, nello stesso modo con cui avrebbe baciata la sua Maria. Che sia benedetto una volta di più! Poi è stato un poco senza parlare; ho capito che voleva padroneggiare la sua emozione, forse per timore che io, vedendolo tanto commosso, mi allarmassi, e l'ho aiutato, figurando di avere qualche cosa da dire alla Virginia. Quando si è rimesso, ha voluto visitarmi accuratamente, e man mano che procedeva nel suo esame pareva rassicurarsi. Ha concluso col dirmi che mangio troppo poco, che manco di nutrimento e che è questa la sola causa della mia grande debolezza e del mio deperimento. Gli ho promesso di sforzarmi a mangiare di più, ed egli mi è parso contento. Abbiamo poi discorso di lui, della sua famiglia: Maria migliora lentamente, Pierino è stato messo in collegio, sebbene la madre e la nonna non volessero saperne. Con che avidità seguivo tutti i particolari che mi dava: mi pareva proprio di essere tornata ai giorni di Pisa, quando veniva a trovarmi durante la mia convalescenza. Ma allora quando se ne andava ero sicura di vederlo l'indomani: invece adesso chi sa fra quanto tempo ritornerà! Mi ha promesso di non stare molto; ma ha detto che vuol trovarmi migliorata. Non ho potuto frenarmi dall'esclamare:

— Migliorata! Ma che cosa importa che sia sana o malata, se non posso muovermi di qui?

Mi è parso che egli evitasse di guardarmi, come se la mia domanda esprimesse un pensiero che già aveva avuto lui pure; tuttavia mi rispose prontamente:

— E se invece succedesse che il giorno in cui fosse libera di andarsene, non lo potesse?

Lo interrogai ansiosamente:

— Potrò dunque andarmene?

— Oh! sì! E più presto di quanto ella non crede! — replicò il dottore.

Ma perchè era così triste nel dirmi ciò che doveva anzi rallegrarlo? Forse perchè pensa a quello che mi aspetta una volta uscita: sola, senza nessuno, si immagina forse che rimpiangerò il passato? No, questo non può sospettarlo, ed ammesso pure che la differenza fra lo star qui o fuori, per me, non debba essere molta, non avrò sempre la maggiore possibilità di vederlo più spesso? Non potrei tornare a stare sempre con la mamma? Se Amelia non mi volesse più? Perchè non dovrebbe volermi? Sono stanca… le idee si confondono… È meglio che mi riposi…

21 settembre.

Che cosa farei se non potessi più scrivere? In che modo ingannerei la lunghezza interminabile di queste giornate che sono costretta a passare in letto? Non ho nessun male, e pure la mia debolezza è tale che a stento reggo la penna. Virginia me ne aveva avvertita e non voleva che scrivessi… Ma la ho pregata tanto! È il solo conforto che mi resti, dopo la mamma: in altri oramai per qualche tempo non posso più sperare; non l'ho già avuto? Ed è stata forse la grande emozione di rivedere il dottore Giorgio che mi ha fatto un poco peggiorare… Che cosa importa?… Mi sembra…

24 settembre.

Ebbi tre giorni di prostrazione assoluta, appena mi sentivo la forza di rispondere alle interrogazioni che mi venivano fatte; eppure non soffrivo in nessuna parte del corpo… oggi mi sento meglio. Tanto meglio che, se dovessi dar retta a me, mi alzerei ed uscirei; ma Virginia si è messa a ridere, ed anzi mi ha consigliato di affaticarmi poco a scrivere. Ma se sto bene! Ohimè! eccola col brodo!…

25 settembre.

Di nuovo mi sento abbattuta. Non c'è da illudersi, sto molto male… Aspetto la mamma, le ho detto che vorrei rivedere Amelia… Forse la condurrà…

26 settembre.

Amelia è venuta: come era seria!… Pareva che evitasse di guardarmi… Che cosa le ho fatto? Perchè è così poco espansiva? Si sarebbe detto che avesse ribrezzo di me… Come mai? La malattia mi ha reso così orrenda? Ne domanderò alla mamma ora quando viene… perchè ha ottenuto di venire tutti i giorni…

27 settembre.

Volevo scrivere… ma oh!… come sono stanca di già!… Vogliono farmi mangiare per forza… Ma se non posso…

29 settembre.

La penna mi. pesa… debole così non…

Il sottoscritto, direttore del manicomio di Siena, certifica che Laura Ricci, coniugata Fenadini, d'anni 24, affetta da frenosi isterica, ha cessato di vivere per esaurimento il giorno 9 ottobre 18…

Dottore X.

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