Napoli, 12 ottobre 1832.

L' è una richiesta veramente amichevole quella delle notizie di mia vita; l' è una richiesta che aperto dimostra come ella mi tenga in pregio più ch'io nol meriti.

E non basta forse quell' onorevolissimo articolo inserito nel giornale Arcadico? (il quale articolo va tant' oltre alle mie speranze che in buona coscienza io non dovrei soffrirlo; e certo la pregherei che si rimanesse dal metterlo a stampa, dove conoscessi di poter porre alcun termine alla benevolenza ch'ella nutre per me;) non basta l' avermi inviato il Vallardi affinchè vada il mio nome tra quelli di tanti chiari scrittori? Ora anche le notizie della mia vita? Oh! parle ch' io sia donna da biografia? Sa ella che la modestia mi suggerisce di negargliele?… ma la gratitudine ha vinto, che io non saprei negar cosa alcuna ad un gentile spirito il quale di sì lontano si ricorda spesso di me poveretta; epperò le trascrivo alcune particolarita della mia vita, sì perchè m'è dolcissimo di poter parlare delle mie sciagure, e sì perchè ho pensato ch'ella avrebbe potuto dimandarne ad alcun mio amico, e quegli tirato dall' amicizia le avrebbe detto più ch'io non avrei voluto. Adunque io le dirò chiarissimamente tutto che potrò quanto a' miei studi ed alle cose di mia famiglia.

Mio padre fu architetto e non degli ultimi del paese, e dove io facessi alcun conto della chiarezza del sangue potrei dire essere stati i miei maggiori qualche cosa di più nobile, ma mio padre era uomo onestissimo, onde non merita siffatto torto. Egli essendo stato fatto, dirò, di quella buona pasta antica, la quale ora è perduta, nulla pose mente all' educazione delle sue figliuole, sicuro che poteva essere sufficiente ad esse il saper far la cucina, e l'intendere ottimamente all'economia della casa; e specialmente di me volea fare una buona massaia, e veramente mi avrebbe fatta felice, ma la fortuna si apparecchiava a perseguitarmi e volle altrimenti.

Fra gli otto anni ed i nove, io non leggendo altro che i così detti libretti per musica incominciai ad accozzar sillabe e rime; mio padre ne ridea, mia madre amava che io secondassi la mia inclinazione naturale; in mia casa non veniva persona, nè pur io sapeva esser al mondo una razza di uomini che leggono sempre e scrivono e stampano e l'uno con l'altro si lacerano; nè credeva esservi un libro più alto e profondo delle opere di Metastasio. A questo modo trassi la vita fino al tredicesimo anno dell' età mia. In questo tempo conobbi il poeta Piccinini, uomo di caldissimo ingegno e di scarsissima coltura, il quale di per sè mi si offerse a maestro, e la nostra lezione era questa: Veniva il povero mio Piccinini due o tre volte nel corso d'una settimana, e mi leggeva con una voce chioccia o alcun brano dell' Ariosto, ovvero alcuna delle opere di Appiano Buonafede: spesse volte, nol nego, io sonnecchiava; moltissime volte non ne intendeva silluba. Intorno al mio quindicesimo anno uno Schmidt mi aiutò ad apprendere un po' di francese, e così me la passai sino al diciottesimo anno.

Io scriveva sempre, rubando i momenti alle mie donnesche occupazioni, principalmente scriveva di notte tempo, e mi ricordo che non mi poneva in letto dove non avessi fatto alcun verso.

Uno strano accidente portò ch'io conoscessi due persone le quali professavano letteratura; costoro videro i miei corsi, indi vollero veder me, epperò conoscendomi imbarazzata e vedendomi fuggire, allorchè si leggevano le cose mie, argomentavano ch'io non fossi da tanto (quasi che fosse difficil cosa il fare cattivi versi). Adunque questi miei amici, datemi le rime, mi stimolarono a comporre un sibillone alla loro presenza; il feci, e n'ebbi infinite lodi perocchè tutti mi erano affezionati. Da qui cominciò in casa mia una mezza accademia in tutti i sabati, nella quale molta mano di poeti interveniva e si scriveva all' improvviso; innanzi ad ogni generazione di uomini, e si stampava, e il poco ingegno mio se ne andavà a ruina, quando per buona fortuna mi fu presentato il Campagna, che certo Ella conoscerà per fama. E veramente io dirò sempre dovere a lui tutto l'amore dello studio, e confesserò a chiunque, che solo il Campagna mi ha fatto conoscere i classici, mi ha aiutata di alcun consiglio, mi ha messa, infine; per quella diritta via ch'io forse non ho saputo tenere. Bisogna adunque contare dal diciannovesimo anno il cominciamento degli studi miei, e nemmeno liberamente. Imperocchè dovea far sempre da copista al mio povero padre, e per me non rimanea che la notte.

Della morte del padre mio, della mia trista sorte, credo ch'Ella sappia abbastanza: mi resta a dirle che solo forzata dagli amici e dalla famiglia ho dati a stampa que' pochi versi i quali formano l' ultimo mio volumetto (la novella ch' io scrissi intitolata Carlo di Montebello non fu stampata da me, ma sì dall' editore del Parnaso delle Dame, credo siano tre o quattro anni); che alcune delle cose mie son dettate dall' amore di figlia e di sorella, che io doveva pensare solo allé sciagure de' miei e sacrificare anche qualche mio nobilissimo affetto…. Ma di ciò basti.

Nel tempo presente ho un poco più d' agio per istudiare a mia posta, ed infatti mi vi adopro quanto posso; è già un anno da' che ho incominciato un po' di latino; ma nuove disgrazie mi hanno forzata ad interporre il corso degli studi miei, imperocchè non sono ancora cinque mesi che ho perduto una sorella, dopo ch' ella fu straziata per lo spazio di sette mesi da penosissimo male. Veda dunque come io poteva pensare al latino.

Ora, ripeto, vado ripigliando il filo delle mie idee interrotte e spero di poter fare qualche cosa di mediocre, o almeno ne sento un vivissimo desiderio.

Ecco quanto posso dire sinceramente di me, e delle cose mie passate e presenti. Della mia vita futura non so ancora nulla.

Intanto nella mia povera solitudine non mi è di lieve conforto la ricordanza d' alcun alto e coltissimo amico, il quale di tempo in tempo faccia d' incorarmi nella intrapresa carriera. E nel vero non è più soave cosa che il vedersi ben accetta ad alcuno de' pochi buoni, ed a me massimamente torna più soave, la quale ho patiti mille e mille torti e posso dire di aver provato:

……. Come sa di sale Lo pane altrui, e come è duro calle Lo scendere e il salir per le altrui scale.

Solo un favore le chiedo, ed è che talvolta voglia compiacersi di farmi alcuna osservazione, che per me sarà la maggior prova d' amicizia ch'io possa sperare da lei.

Ad ogni modo, Ella mi terrà sempre.

Sua amica e serva
Maria Giuseppa Guacci.