SONETTO.

Ove corri? Al Senato? Ahi! corri a morte, Gridò Calpurnia, al Dittator romano; Sogno tremendo di funesta sorte Fummi presagio, ed ahi! non forse invano. Deh se tu saggio sei, come sei forte, La Sposa ascolta, e non l'orgoglio insano; Darti potrìa colà rude ritorte, O colpo micidial, perfida mano. Al tenero pregar quasi cedea, Quando afferrogli il crin, di Roma al pianto, Genio, che il Tebro in libertà volea; Irato a Bruto strascinollo accanto, Chè il presagio avverar, Bruto dovea; Cesare il vide, e si coprì col manto.

ELVIRA GIAMPIERI ROSSI.

FANTASIA.

O Tu che vera imago Sei di Colui, che vivo, Porto nel cuore e scrivo, Parlami per pietà. Dimmi, che alfin Ei trova Calma ai suoi lunghi affanni, Là dove scorron gli anni Di gioja e libertà: Dimmi, s' ei vede il duolo, Di tanti amici e tanti, A cui non valgon pianti Per richiamarlo a lor. Dimmi, o diletta imago. Se il dì, che sua bell'alma A noi lasciò la salma Ebbe di noi dolor; Di noi, che desolati Le sue virtù plangendo, Suo feretro seguendo, Pareaci di morir. Lutto silenzio e pianto Stavan quel giorno in Flora, Nè il pianto sgombra ancora, Pel tristo sovvenir. Ahi! la crudel certezza Di non veder più mai Quel sommo, eterna l lai Nel cuor di chi l' amò. Polve è la bella spoglia Che il sol sfidava e i venti, Che fere e patimenti Impavida guatò.

ELVIRA GIAMPIERI ROSSI.

OTTAVE.

Giunta alle porte della eterna Sede Colei che in terra apparve Diodata, A se d' intorno in vago cerchio vede Di donne illustri una gentil brigata, Che lieta avanza e dolcemente chiede Perch' ella pianga e quando fu chiamata: Testè quì giunsi, dice, ed alla mia, Queste lagrime dò, Terra natìa.— Italia piango, che anche in Ciel si piange Lasciando il suol che tutti i pregi porta.— Del bel paese la memoria m' ange, Ove amata restò mia spoglia morta.— D' Italia, ove di dotti una falange Fummi a sapienza dolce lume e scorta.— D' Italia, ov' io raccolsi tanti allori Or mi è sacro dover ch' io gema e plori.— Di Saluzzo la donna in me vedete Ch'ebbe in terra grandezza, fama e lodi: E voi che sì benigne a me volgete E che parlate in sì graziosi mo li, Alme cortesi ditemi chi sete, Caro fia di legarmi ai vostri nodi: Le braccia, in così dir, porse e le gote, Ma le braccia tornaro al petto vote.— Una tra quelle si avanzò primiera, E, Diodata, sclamò, guarda chi sono! La Musa del Tirren, Temira, ell' era.1 La Fantastici. Ch' ebbe del pronto verseggiare il dono.— Indi, Corilla, della nobil schiera Fe' udir soave di sua voce il suono.— Teresa apparve, che cantò superna2 Bandettini. Del giudizio di Dio la legge eterna.— L'Anguissola, la Stampa, e la Colonna, E tante, e tante italiche scienziate Si fero innanzi alla sublime donna; Che quando tutte l'ebbe Essa ammirate, Un caldissimo amore il cuor le indonna Per l'alme figlie dall'Ausonia nate; Temira intanto dimandò se ancora Italia bella, il sesso bello, onora.— Ed Ella, a Lei, rispose vivamente, Mille e mille colà vantano ingegno, Senno virile ed elevata mente, E a materna pietà fanno sostegno.— V' ha Massimina tua, che nobilmente1 Fantastici Rosellini. La sè tradita, il dolorar, lo sdegno Narrò di Parga e d'Amerigo al pari, L'ardimentoso valicar dei mari: Del valor delle femmine parlava La Pepoli, in tersissima favella.— La Tommasini, ai genitor dettava Massime a far cara la prole e bella.— La Vordoni, d'amor la fiamma prava Dispregiando cantò.—Saffo novella Grandeggia la Ferucci sul Permesso, Le van la Curti, e la Carretto appresso.— Medita la Monbello infra le tombe, Parla di morte e ti penètra il cuore.— Col dolce lamentar delle colombe Chiede la Guacci per la patria amore.— Voce, che mesto par, squillo di trombe Volge a Italia, la Palli, di dolore, Rampogna sua viltà collo straniero E le rammenta lo splendor primiero.— Mitologiche fole non si canta, Ne dei gentili l'anime sdeguose; Dei bassi tempi la memoria santa Scriver le donne nostre van fastose; Di loro ognuna a rimembrar s' incanta Di Ferruccio e di Pier l' ombre famose; Dante t' allegra che le tue sorelle Degli alti tuoi pensier si fanno belle.— E sì dicendo ad inoltrar si mosse Inver la chiostra d' ogni ben ridente; Poichè fu vista, dimandò chi fosse, Lei benedetta, la beata gente: Al chiaro nome, subito levosse Ipazia e salutolla umilemente— Ipazia, onde parlò con grave stile, E passò oltre in tanta gloria umile.—

Suddetta.

Vanne gentile auretta Ove il mio cuor t' invia, Caro sospiro aspetta, Recalo tosto a me. Odor di fresca rosa Avrà quel dolce fiato, Sul labbro mio lo posa E vita avrò da te. Vita, che sol mi alletta, Finchè il sospiro amato Gentil, pietosa auretta Sull' ali tue verrà. Ma se tu riedi un giorno Priva di quel sospiro, L' ora del tuo ritorno L' ultima mia sarà. Polve è la man che pietra Rendeva i corpi estinti, Che il Tempo e morte vinti Avea col suo valor. Oh sventurate madri! Oh suore! Oh figlie! Oh spose! Le salme prezïose Chi serba al vostro amor? Sia lode imagin cara, Che il duol di tanti mesti, A rattemprar tu resti Sia lode a chi ti fè. Negli occhi e nella fronte, Ove il gran genio appare, Quasi ci par mirare L' Angel, che più non è. Che di bontà e modestia; Di altissima sapienza; Di lunga sofferenza, Angelo, a noi sembrò. Fu le sembianze care, A render di Segato, Scotto dal ciel mandato, Ei la sua man guidò. Sol di quel Grande resta, Solo la dipintura… Morte, Segato fura, Morte si vendicò.

ELVIRA GIAMPIERI ROSSI.

Il mio duol non ha conforto, Per me il ciel non ha più sole, La mia nave non ha porto, Non ho speme, nè desir. Rieda l' ora vespertina, Sia la notte in bruno ammanto, Scherzi l' aura mattutina Non ho speme, ne' desir. Caro, un Angel si presenta, Pur tal volta al mio pensiero, Il suo riso mi rammenta La speranza ed il desir. Quel sorriso che vuol dire? Oh bell' Angelo ti svela— Non lasciarmi più languire Senza speme, ne' desir. Che s' appressa l' ora estrema Forse dirmi tu vorresti! Dillo—il cuore nò, non trema— Non ha speme, ne' desir. Come l' onda all' assetato, Vien la morte per ristoro A chi vive abbandonato Dalla speme e dal desir.

Suddetta.