POESIE
DI
ISABELLA ROSSI
FIORENTINA

Volume II

FIRENZE
STAMPERIA GRANDUCALE
1841





CANTICA

…. Tutti fuggivano; in tanta trepidazione
sola una donna della famiglia
Sismondi chiamata Cinzica, invece
di seguire i fuggiaschi, passò sola
fra i musulmani, destò i Consoli nel
loro palazzo, fece suonare la campana
d' allarme………….
SISMONDI Rep. It. Cap. V.

I

Una brezza leggera increspa l' onda Del limpid' Arno, ed i Pisani ostelli Chiudon gente tranquilla — alta è la notte, Non risplende la Luna, ed il riposo Dell' intiera Natura invita al sonno Fino il superbo che l' altera mente Pasce nei sogni della gloria, e il mesto Che perdè le speranze, e l' amoroso Che palpita ad un nome, ed il ribaldo Che cova nel pensier sangue, e rapina. Ecco di remi un agitar lontano!… Si rompe il fiotto—un murmure sommesso, Indistinto, s' appressa, e le galere Carche d' armati rimontando il fiume Portan gli audaci Mori a Pisa in seno.— Musa, ritto alla Prua, stringe l' acciaro Con altero cipiglio e d' un sorriso Che la strage promette, incuora i suoi. Lunge è la forte gioventù Pisana Ita a salvar dagli infedeli artigli L' avvilita Calabria, a cui la tema Toglie il valor per liberar se stessa.— De' miseri abbattuti il pianto invano Non udirono i prodi, ed alle spose Alle case paterne un santo addio Dier, volgendo le antenne al lido estremo Ove d' Italia il suol diletto ha fine. Così deserta dei suoi figli stava Quasi inerme al periglio ed all' offesa, La città valorosa, e Musa astuto, Librò le proprie forze e l' altrui sceme— Piomba inatteso, ed un tremendo grido Di minaccia e di morte alza la turba Degli Arabi seguaci—il fuoco avvolge Già con torbide spire i primi tetti Che si specchian nell'Arno, e sopra il ponte Si lanciano i feroci—allor si sente Un ululo, un compianto, un lamentìo Di persone fuggenti—il fero evento Si dipinge più tetro entro la mente Degli atterriti cittadin—si crede Un flagello di Dio—non si domanda Chi reca il lutto e la ruina—in fronte Porta ognun lo spavento. = È di sotterra La Falange dei Demoni venuta! = Urla un vecchio tremante, e si repete Il folle detto fra gl' imbelli, a cui Sprona il piede il timor, manca l' ardire— Non invocan soccorso!—e niuno il senno Implora de' più saggi, e niun rammenta Il valor de' più forti, e sol lo scampo Ripongon nella fuga…. Ecco fra tanti Ciechi spirti smarriti, ecco una donna, Cinzica de' Sismondi, appar sublime Quasi celeste vision!—lampeggia L' inspirato suo sguardo—accesa il volto Di vivido color mostra qual arda Alma virile, in delicato petto. Impavida si avanza—oppon la destra Agli urti di chi fugge, e di chi preme— Rompe la calca, e la leggiadra testa Non piega in faccia agli assalenti—un forte Assoluto voler par che la spinga— Par che miri una mèta, e non vacilla Nel desio di toccarla—il labbro ha chiuso, Ma sembra che favelli—al sen raccoglie Con moto di pudor la sciolta veste Che indossò nel tumulto, e franco il piede Pon su lubrica via molle di sangue— Secura di se stessa, impone un misto Di rispetto e stupore, e va fra i mille Quasi regina che comanda e passa. Parte della Città non ode ancora Il romor della zuffa—ancora i Mori Non varcarono il Ponte, e nel Palagio Dormon securi i Consoli—lo scampo Della patria e de' suoi, vede la Donna Starsi fra quelle mura, e là si è volta.

II

« Cittadini lasciate le piume Accorrete la Patria vi appella! Sulla riva sinistra del fiume Stan la morte, l'incendio, il terror— Maledetto chi sorge più tardo, Chi non vola e non rompe l' indugio, Chi da vile cercando un refugio Non affronta il Comune destin! Che diranno i Fratelli lontani Quando sappian che Pisa è caduta Facil preda alle barbare mani Da cui vanno altre terre a salvar? Su Magnati!… spiegate le insegne!— Il periglio si accresce…. si avanza…. De' ladroni all' infame baldanza Opponete co' petti un confin! Una donna vi desta, v' incita, E mill' altre v' imploran col pianto!… Se tardate la schiatta aborrita Nel servaggio l' afflitte trarrà. » Così parla la forte Sismondi— Una voce, poi dieci, poi cento, Fan risposta al magnanimo accento « Pisa, Pisa! salvarti, o morir! » Come romba di scosso terreno, Come roco muggir d' oragano, Come tuono che segue il baleno Scoppia l' ira d' un santo furor.— Son discesi dagli alti palagi, Sono usciti dai bassi abituri, E di brandi, di lance, e di scuri Splende il taglio già pronto a ferir. Lento tocco di mesta campana Ripetuto dall' eco dei colli, Chiama i figli che in parte lontana Non udrebber dell' armi il fragor.— Niuno è sordo all'appello de'Duci— E nell' ora di tanto periglio Solo un voto, ed un solo consiglio Spinge tutti allo stesso sentier.— Per la Patria che il braccio gli chiede Benchè nuovo allo scontro dell' armi, Or guerriero ciascuno si crede E maggior di se stesso si fa— Ah! di patria del nome possente Trasmutati si sono in Eroi!… Fuggi Musa, t' invola co' tuoi!— Senti l' urlo di morte forier!…

III

Son rotte le schiere, battuti i nemici— Venite Pisani, le spade vittrici Posate in omaggio di Cinzica al piè! Fu tromba di guerra ch' esalta ed accende, Fu Scudo, fu Torre che copre, o difende, La Donna che a scampo l' Eterno ci diè. Giuditta novella, sfidando la morte Ci tolse all' obbrobrio d' infami ritorte Sottrasse all' eccidio la cara Città— Votiva una Pietra, l' Eccelsa rammenti, Che in petto a futuri, se fiacchi, se spenti, Riaccenda quel fuoco che pari non ha!

IV

Donne cantiam di Cinzica Che nel notturno orrore Surse qual stella fulgida Guida a smarrite prore, E con sua luce vivida Le nubi in ciel fugò!— Non come Rosa, o Mammola, Ma come Querce annosa Stette di fronte al Turbine, Nè si mostrò pensosa Quando per torci ai Barbari Vita ed onor rischiò.— Madri! Donzelle! un palpito D' alto sentir vi scuota! Sol per l' amore, e timide, Nate non siete!—e vuota Fia la missione altissima Se vi avvilite il cuor.— Come un profumo emanasi Dai fior che i sensi avviva, Tal nella Donna un mistico Poter si asconde, e viva Prova onorata, è Cinzica, Del femminil valor!

CANTICA

… mentre Buondelmonte attraversava
sopra un cavallo bianco, Ponte vecchio,
fù assalito dai capi di queste famiglie
….—…. Poichè fù sparso il
primo sangue tutte le nobili famiglie
presero parte….
SISMONDI, Rep. It. Cap. XIII.

I

Cupa è la notte—un tremolo barlume Piove solo la Luna, e sulla terra Par, che tutto sia pace…. alto palagio Un afflitta rinserra—Ella è riversa Sulle coltri scomposte—ambo le palme Verso il Celo protende, e l' ansio petto Manda accesi sospiri—indi repente Il bel volto nasconde inorridita, Quasi fuggendo a spaventosa immago— Poi, di nuovo le luci intorno volge Qual chi attende, e non vede—un lamentoso Grido disserra, e proferire un nome Par che tenti, e non possa—ecco le chiome Togliesi dalla fronte, e giù dal letto Desolata si getta—il cor le addoppia I palpiti affannosi—il bianco cinto Frettolosa discioglie, e lascia al seno Più libero il respiro—ora tremante Porge attenta le orecchie, ora fremendo Par che affretti un' istante, e pensierosa Poi rimansi co' lumi al suol confitti…. Sulle pallide labbra un dolce riso Leve leve apparisce, e par baleno Che rischiari l' orror della procella…. Forse, carezza una lontana speme…. Ah!—la candida mano orna una gemma Di vicino Imeneo pegno diletto— Gli occhi vi posa, e dolorosa esclama: « = Altra pur ti possiede! e più felice Ti vedrà benedetta, e sacro nodo Sarai per essa d' inviolabil fede!!… Oh! l' unico pensier della mia mente, Il desiato dall' acceso core, Il mio Signore, m' abbandona or dunque? Sul mio tristo cammin sola mi lascia, Scorda i giuri solenni e le lusinghe, Ed i primi d' amor dolci momenti? In qual punto gli spiacqui, in che mancai? S'io l' offesi, a che tace?—a vendicarsi Nel mio sangue, or che tarda, e non mi uccide? Men tormento saria!—che, lo spavento, L' agonìa della morte, e il suo dolore, Lievi sarien rimpetto a questo orrendo Agonizzar dell' anima—pietoso Nella tomba mi spinga, anzi ch'io miri Altra donna baciar la bocca amata!… Ineffabil tormento! io che con esso Viver vorrei stretta, indivisa ognora Come l' anima al corpo, io per eterno Me ne trovo disgiunta! un' altra ei sceglie Per compagna diletta, e me nel duolo Inabissa per sempre…. ed io l' infame Che i suoi giuri tradisce, e i sacri patti Frange, che unian co'Guelfi i Ghibellini, Ancora amo!—e il confesso!—e rea mi fingo Per trovarlo innocente! e vil cotanto Non invoco vendetta?… = Ah sì l' avrai = » Grida entrando il Lamberti; e gli Amidei Da parenti seguiti, e dagli amici Nella stanza prorompon della suora— Gemma, fredda e smarrita, invan la voce Cerca, invan la parola che dimande Se fù vero il rifiuto, e il tradimento— Pallida come spettro che si mostri A spavento de' Vivi, il guardo figge Nel volto de' fratelli, e il suo destino Immutabil, tremendo, alfin vi legge Manda un grido funesto, e piomba al suolo. La sollevan gli amici—ed il Lamberti Snuda primo l'acciaro « A tanto oltraggio Vuolsi pronta vendetta, e sia di sangue! Sangue! » morte! « vendetta! » alto rimbomba In risposta all' audace, e giuramento Fan su' brandi lucenti. « Or di Fiorenza Vedran le vie, se il Ghibellin s' oltraggia Dal Guelfo impunemente, e la Donati Maledirà l' ora e il momento in cui Sedusse il Buondelmonti, e la figliuola Raggiante di beltà, moglie gli offerse— Vedrà di sangue cittadin bagnati I suoi figli la Patria, e fia costretta Di laudar la nostr' ira, e bella e giusta Dirla, poichè pietade, e onor ci spinge » Gli ultimi accenti ascolta la Donzella; Su' ginocchi si leva, ed ai fratelli, « Pace, Pace! gridò, gli ho perdonato! 'Lavi solo l' offesa il pianto mio, E basti per punirlo il mio morire! » Non l' odono i furenti, e la dolente Tenta invan rattenerli, che, l' opprime Un ansia indefinita, e come in sogno Manca di forza, e s' affatica invano.— Son partiti imprecando.—Arde una lampa Della Madre di Dio sotto l' Imago.— Ivi, Gemma si prostra, e piange, e prega. « Oh benedetta Vergine Calma in que' petti l' ira! Ah! del tuo Figlio gli ultimi Detti ne' cor gl' ispira, E come Lui perdonino A' barbari offensor! Pensin che un patto mistico Tutti ci vuol fratelli! Che non è dato agli Uomini, Senza apparir rubelli, Togliere a Dio que' fulmini Che lancia il suo rigor.— Lascin ch' Ei sol, terribile Ma giusto in suo furore, Punisca i rei che oppressero Quest' infelice cuore Che pur morendo, invocalo Per lui che lo tradi! Pensin che un suol medesimo Ei calpestò con Essi, Che una favella unisceli, Che furo ognor li stessi I Templi ove pregarono E l' aer che gli nutri! A quel crudel che immemore Della giurata fede Rivolge altrove i palpiti Che l' amor mio li chiede, Diva, io perdono!—ascoltami! Lo affido al tuo poter…. Ma ch' io non veda il barbaro Darsi ad un altra, almeno!… Fa' che disciolta l' anima Riposi nel tuo seno, Pria che cotanto spasimo Debba sù Lei cader! »

II

Cheti, Cheti, nel manto ravvolti, Con la mano sull' elsa posata, Con lo sdegno dipinto su' volti I feroci si accingono a oprar— Li precede guardingo il Lamberti— Poi fa cenno che sosta si faccia, E col guardo che strage minaccia Segna il Ponte che innanzi gli sta. « Quando aggiorni verrà da quel lato Buondelmonte alla sposa novella.— Dell' Imene l' istante invocato Fia per Esso di morte segnal— Consumarsi nostr' onta aborrita Non vedrà la superba Donati, Delle nozze gli arredi fregiati In gramaglia cangiare dovrà!— Su l' infido la nostra vendetta, Inattesa, ma certa e tremenda, Piomberà come ultrice saetta Che spaventi la terra ed il mar!… = = Oh compagni! favella una voce, Fra voi parlo parole di pace, Perchè crudo mi sembra, e capace D' empi eccessi, indomato furor.— Pria pensate che un solo non cade— Che de' Guelfi la schiera s' offende— Che aborrite saranno le spade Che alla Patria i suoi figli torran.— Cittadini! sparisce l' onore Se si bagna di sangue fraterno!… Vituperio, ed infamia in eterno A chi vince, a chi cade, a chi muor! Vittoriosi, c' impreca la gente— Su caduti, non sorge compianto— Mormorar da per tutto si sente, = Di costoro il nemico chi fu?— Lo straniero non hanno respinto, Non difeser la patria, e le spose, Non alzaron l' insegne fastose Su gli spalti di vinta città!— Su chi nacque in un stesso recinto Fecer prove d' iniquo valore…. Maledetto chi primo ha sospinto I fratelli all' infame tenzon!…. = Oh compagni! non s' apran per noi Nella patria si crude ferite! Non si sparga di stragi inaudite Empio seme, che i frutti darà! » Chinan tutti le fronti pensose…. Ma…. sul Ponte biancheggia un Cavallo— Al colore, alle mosse animose Certo, è quello del Guelfo Signor— Più non odon ragione, o consiglio— A tal vista bollenti di sdegno, Come partici strali nel segno Volgon l' armi all' ignaro che vien.— Più veloci di cervi fuggenti E più crudi di fiere digiune, Son piombati con grida furenti Su colui che difesa non ha. Oh!! l' insultan con voci di scherno, Fra i sorrisi d' atroce vendetta!… « Buondelmonte la Sposa t' aspetta A tai nozze tal rito convien!…. » È caduto.—Fuggendo il destriero Tutto intriso le barde di sangue, Desta intorno un' orrendo pensiero Che solleva un tumulto fatal.— L' han saputo i parenti, gli amici!…. Hanno i Guelfi le spade brandite…. Quante morti, quant' empie ferite Pria che tornin sul fianco a posar!!— Oh Fiorenza, un abisso di guai T' ha dischiuso un' offesa d' amore! I tuoi figli fuggiaschi vedrai Popolar le nemiche città— Per cacciare i rimasti fratelli Chiameranno la possa straniera…. Ahi!! s' addensa la nube foriera Di quel nembo che stolti invocar!…

III

Chi piange sommessa sul corpo giacente? È Gemma, che prona sul caro Morente Lo terge dal sangue, lo scalda col fiato, E cerca sul volto contratto, gelato, Un moto che annunci lo spiro vital.— Non pianger meschina, contenta sarai!— Con esso, indivisa per sempre starai— Lo sposo pentito, nell' ora di morte Ti tragge nel Cielo beata consorte E in terra abbandona la cruda rival.— Lo vedi?… le luci languenti ha dischiuse— L' affanno ogni accento nel petto gli chiuse, Ma pur ti sorride, ti stringe la mano, Accenna col guardo che un foco profano Diè loco al primiero che l' arse per te.— L' anello che porti sul labbro si preme— Ti posa la destra sul petto che geme, Le chiome disciolte ti toglie dal volto, E tutto in un bacio lo spirto raccolto V' imprime l'estremo suggello di fè…. Oh Gemma! quel bacio la morte t' infuse! Un' alma con l' altra ricinse, confuse…. Insieme disciolte, insieme rapite Al premio del duolo compagne salite, Godete indivise le gioie del Ciel!— Quaggiuso lasciate un antro di pene Che appena rischiara un raggio di bene!… La vita recisa nel fior non piangete! Oggetto d' invidia pe' mesti sarete Ancora ravvolti nel misero vel!

CANTICA

…. Finora mi mancava una flotta per
mettermi in mare, ma oggi manchere
io alla flotta.
SISMONDI R. I. Cap. LXXIX.

I

Pallido in volto, e per dolor prostrato Più che per morbo o per età cadente, Guata muto ed intento il mar che incontro Gli si distende, il Venerabil Veglio A cui Siena diè cuna, e Roma il seggio Dominator d' ogni terreno soglio.— Pontefice di Cristo, egli dei Turchi Volea far doma la fatal baldanza, E rinnuovar delle Crociate squadre Gli antichi fasti, e le gloriose gesta— All' eccelso pensiero ahimè risponde Mal, l' ardor dei Cristiani! Italia ognora Con se stessa discorde, il ferro impugna Soltanto contra i figli, e non lo snuda Che in favor dell' Estrano—Al proprio scampo Mai non provvede, ed il valor non trova Da lungo tempo, che per farsi al seno Più profonde ferite, e per lanciarsi Come cieca e demente in nuovi orrendi Baratri di sventure!—Iddio le ha tolto Tutto il suo senno, e sol le lascia il riso Che alletta lo straniero al turpe amplesso…. Che sperar dalla stolta?—Ella piegarsi Ben puote al Turco, ed al Persiano, e all' Indo, Ed al nero Affricano, e al sozzo Scita, Ella che invoca ora Tedeschi, or Franchi, Ed ora Ispani a ricomporla in pace!… Nuovo non l' è veder novelli volti, Ed ascoltar barbariche favelle…. Difendersi non cura—In lei non porre Pio, tua fidanza!… si scordò l' ardire Con cui rispose alla chiamata il giorno In che Alessandro, come Te fregiato Della Tiara di Pietro, e dalla istessa Tua patria uscito, le intimò di unirsi Tutta sotto Milano…. Oh benedetta Lega di Lombardia!! Tu il segno fosti Che il poter non ci manca…. un saldo patto Tutti ci stringa, e tornerà l' Italia Regina delle Genti, e non più druda!… Or vano è il voto—il Venezian soltanto Condur giurava al Prò Mattia Corvino Le sue navi ad Ancona, e Pio le attende Con l' angoscia dell' anima—dispersa Vede la folla di color, che tratti Ivi fur dall' abbietta e vil speranza Di ricchezze e di onori—il Paradiso Pio gli promette in adeguato premio Di santa impresa… Oh! Non è più quel tempo In cui di Piero alla inspirata voce Tutta Europa levossi, e del suo Nume Corse a pugnar sull' invocata tomba! Se, più saggi, o men grandi, ora gli spirti Non si pascon d' idee nè di speranze. La volubile Francia in mille avvolta Raggiri vergognosi, e l' Alemagna Preda dell' Anarchia, non han più mente Per le cose d' Oriente, e di Maometto Lascian che cresca l' indomato orgoglio, E che inalzi la luna in su la Croce.— Il Duca di Borgogna ogni promessa Pone in non cale, ed al giurato impegno Oppon lo spregio, e la repulsa…. ognuno Pio ti abbandona!! e d' Ungheria soltanto Il Rege Eroe, non ti fallì nell' uopo— Ma i Veneti Vascelli! ahi forse i venti Nemici gl' inghiottir? forse, disperda Dio financo il sospetto, al vecchio Doge Cederono i Patrizi, e dall' impresa Che a lui grata non era han desistito?… No—guardate biancheggia una vela…. Pio! l' acume degli occhi raduna!… Mira, mira la candida tela Come bella sorvola sul mar!… Ecco un' altra le incede d' appresso…. Poscia un' altra, ad un' altra succede… Il Leone ha serbata la fede!— Sulla poppa sublime egli appar…. Non temer! non t' inganna il desio— Vedi tu? le grand' ali ha distese…. Col ruggito al nemico di Dio Ei l' usato terror porterà— Voga, voga!… la santa speranza Vada in contro alle libere Antenne, Come Augello che volga le penne Verso il loco ove il Nido farà!— Su guerrieri! al Pontefice intorno Vi serrate con giuro concorde!— Egli « Andate » non disse, ma, « Il giorno In che voi partirete verrò— Io vi guido…. ma veglio e mitrato, Qual novello Mosè sopra il monte Verso il Cielo levando la fronte Implorando il Trionfo starò! » Suso Italia! Oh non resti il Vegliardo Sconsolato, deserto, deluso!… Se ti desti dal sonno codardo Contro i Turchi, puoi sola bastar! Mostra a tutti che l' Italo seme Non perdè dell' antico vigore Ti ricorda, che il prisco valore Sull' Europa ti fece regnar!—

II

Oh! tardi giunse il Veneziano, e tardi Si scuoterian le sonnacchiose genti! Pio languisce!… vedete?—Egli par muto Spettro, risorto a contemplar gli avanzi Di glorie trapassate—all'Orizzonte Fissi tien gli occhi, e cupido rimira La Flotta desiata.—al cor gli giunge Con rapid' onda il refluente sangue. Che quindi ascende, e il volto gl' invermiglia— Per sè, pe' suoi, per gl' Itali, per tutti Di vergogna arrossisce!… Egli si cruccia Che or gli fugga la vita, or, che vorrebbe Tentar l' impresa, onde non dica almeno L' Infedel derisore « Al gran convegno Mancaron tutti, e di parole, un vano Suono ascoltammo, e non de' brandi il cozzo » Sorreggilo Carviale! Ei muover tenta Le inferme membra in ver la spiaggia—ai piedi Moro gli si prostende, il venerando Doge de' veneziani.—« Ahimè, gli dice » Pio sospirando dal profondo, in prima La Flotta a me mancava, ora, a lei manco!!… Poi si volge al Pavia « Vedi, prorompe, Spiro a momenti!—dell' Eterno in nome, Per il sangue di Cristo, e per la gloria De' Cristiani e d' Italia, il posto prendi Su quelle navi, ch' io tener non posso…. Va', combatti!… l' onor serbaci almeno!!!… Io dall' alto invisibile, ma fido Compagno vi sarò—Dio la mia prece Spero non abbia a rigettar!… lo prego Pe' suoi figli diletti…. Oh! qui venite Fratelli miei!… prendetevi l' estremo Bacio di pace, e perdonate all' uomo, Non al Vicario di Gesù, gli errori Che commise vivendo…. Ahimè! fors'uno Questo si fu, di ritentar l' impresa Degli avi nostri!… Evocai l'ombra… il corpo Disfatto s' era e l' anima fuggita…. La man mia stessa disvelò le piaghe Che ci rodon nell'imo!!.. Oh! veggo il giorno In che più crude si faranno!… e veggo L'Italia in schiavitù!—Cader Fiorenza, E la mia Patria, e l' altre tutte!!.. orrenda Serie di mali, scenderà dall' Alpi!…. Guardatevi oh meschini!!!… a te Vinegia In premio del presente, a te predico Più tardi Fati—sorgerai qual torre Fra le macerie di rovina immensa…. E in te nascosa resterà d' Italia L' agonizzante libertà…. fia spenta Quando cadrai!… ma I' Italiano Sole Foco ha possente!… Oh! I' Itala Fenice S'arda a'suoi raggi, ed immortal risorga!!!… » Cheti!—Cessò l'anelito…. Fissi gli sguardi al Cielo Parea leggesse un mistico Libro…. si è chiuso — un velo Or gli ricopre il fulgido Splendor dei rai…. Mori.— Pace!!! l' Eterno numeri Le sue virtù—di pianto Lo onori Italia—i Posteri L' abbiano in pregio—accanto Stia ad Alessandro!… il secolo, Non Egli, a lui falli.

CANTICA

Parte Prima

Corradino

…. allora levatosi il guanto, gettò in
mezzo ai suoi sudditi questo pegno di
vendetta, e stese il collo al Carnefice.
SISMONDI Rep. It. Cap. XXI.

Quanto popolo ansioso, raccolto Stretto in gruppi, vagante, smarrito! Che ricerca? che chiede? nel volto Porta impressa letizia, o dolor? Ma, si curva, s' umilia—si fende Come l' onda cui solca il naviglio— Frena il roco sommesso bisbiglio Ed attende un evento fatal. Bella d' armi, d' imprese dorate, Fa corteggio a scettrato Signore Quella schiera che l' Alpi varcate Re Manfredi dal Trono balzò.— Con lo sguardo, disprezza lo schiavo Che in Italia chiamò lo Straniero, Ed impon che nasconda il pensiero Ed assenta ad un colpo mortal!… Stolto gregge dai ceppi avvilito Tu, bramasti cangiar di catene!— Poi crucciato del cambio, e pentito, Invocasti l' antico poter.— Giovinetto Corrado venia Tutto lieto di possa e di speme, Con quell' ansia che indomita preme Ver' la mèta d' un sommo desir.— Nel bollor della fervida mente Vasto campo di gloria si finge…. Vede l' ombra del padre fremente Che il rampogna e lo incita a pugnar— Ode i preghi di un popolo oppresso Che a scamparlo dai ceppi lo chiama…. Già in Sicilia lo spinge la brama Il nemico già vede fuggir!… Della Madre prendeva l' addio Senza udirne preghiera, o consiglio— La dolente fidavalo a Dio, Ma, deluso il suo voto sarà!… Infelice! lo attende, lo appella!— Maledice lo scettro lontano, Che agli Svevi toglieva di mano La fortuna del Sire d' Angiò.— Ahi! presaga d' eventi funesti, Mal cedeva del figlio al volere, E nel cor le sorgevano infesti Mille crudi sospetti di duol.— Non invano temesti, oh meschina! Corradino caduto è prigione…. Oh spavento! sul ceppo depone Quella testa che il serto bramò. Lo condanna la legge del forte, Perchè volle il paterno retaggio— Divien colpa, punita di morte, Quel diritto che Carlo non ha. Ma non hanno parole i Baroni?— Non han ferri? non hanno un volere, Onde torre all' iniquo potere Chi fidente discese fra lor? Ah! gli amici fur pochi, e caduti!… Gli altri, atteser dei ludi la sorte— Furon vili, temerono, e muti Serviranno chi vincer saprà. Ahi sventura! ti atterra o Corrado Nel tuo primo affacciarti alla vita, Come fior sopra spiaggia romita, Del Destino immutabil rigor! Bello ancor di quel candido raggio, Che innamora sul volto all' infanzia, Sembri il primo sorriso di Maggio Che ridesta la vita, e l' amor.— Infelice! la madre rammenti— Vedi i sogni di gloria spariti, Le speranze, i piaccri fuggiti, E la morte che innanzi ti stà.— Vedi il crudo che il regno ti tolle Insultarti nell' ora suprema, E la plebe che Rege ti volle Ammutita per sommo terror.— All' infamia un infame venduto,(1) Un solo Provenzale Suddito di Carlo segno la Sentenza di morte. Osa dar l' esecrata sentenza!…. Se tai mostri produce Provenza Perchè I' odio di tutti non ha? Ecco il palco!… ti seguono a morte Pochi amici che piangon te solo— Generosi! affrontaron la sorte Per salvar la Sicilia, e l' onor— Carità della Terra natìa, Santo affetto dell' alme bennate, Gli sospinge alla tomba…. tremate, Voi, che ardite un tal sangue versar!!… Con quel sangue, qual turbo o saetta, Della strage il Cherubo disceso, Segna l' ora dell' alta vendetta…. Ed a Vespro quell' ora sarà.— Allo squillo di mesta campana Scoppierà degli oppressi la rabbia, A torrenti l' Italica sabbia Voi dovrete col sangue bagnar! Corradino sul palco è salito— Volge intorno lo sguardo sereno— Della vita il viaggio ha compito…. Ma,…. nel mondo gli resta un pensier— Lo tormenta l' immago funesta Della Madre che invano l' attende— Verso il Cielo le braccia protende, E una prece rivolge al Signor. « Santo de' Santi ascoltami! Tempra a mia Madre il duolo— Pietosa cura ascondale Il mio soffrire, e solo Sappia che al Ciel lanciandomi Venni a cercar di te! Ah! del suo Nato, immemore Scordi lo sguardo, il riso, E sol di lui ricordisi, Quando l' amato viso Per sua delizia e giubbìlo Rivegga in Ciel con te! Troppo saria lo spasimo Se i primi di ridenti Or ripensasse…. e i teneri Baci, e gli estremi accenti, E le carezze…. e i palpiti Con cui fidommi a te! Io non ritorno a tergerle Di lontananza il pianto…. Povera Madre!… Un Angelo Per me le vegli accanto, Finchè nel Ciel seguendomi Mi troverà con te! » Egli sorge—disciogliesi il manto— Poi rivolto alle Turbe frementi Par che dica gittandogli il guanto « Vendicate la Patria ed il Re!…. » Corradino! quel segno di sfida Una mano celata raccolse…. Tu peristi…. ma Procida volse Ne' Tiranni, de' vinti il terror!—

Parte Seconda

Procida

…………
I Siciliani quantunque disarmati ne
uccisero duecento per la campagna
mentre le campane di Monreale suonavano
i Vespri….
SISM. Rep. C. XXII.

È l'Universo un armonia d' amore! Limpido Cielo che l' azzurra volta Stende in largo orizonte, alle fiorite Zolle de' prati Siciliani un riso Tutto spirante voluttà rivolge.— Rosate striscie, sugli estremi lembi Delle vaganti nuvolette, il Sole Dipinge, e tutte nel centro le indora Sì, che formino un vel splendido e bello Sopra la Terra che su tutte ha cara— Sfolgorando tramonta, e par la inviti Al bacio dell' amor mentre si china Sulla vetta de' Monti—un tremolante Agitar delle Frondi il casto sembra Palpito dell' amata, e il molle fiato Che l' Aura vespertina intorno muove Del virgineo sospir desta l' idea…. Bella o Palermo è la tua spiaggia!—Iddio Certo nel dì che la creò sorrise. Oggi, Cristo risorto, in ogni loco Dove spieghi la Chiesa il suo vessillo Si benedice—e qui pur anco—in festa Però la folla giubbilante accorre Di Monreale al venerato Tempio.— Vedo gruppi di vergini ridenti, Di matrone severe, e di fanciulli Saltellanti giulivi, in mezzo ai campi.— Vedo sposi ed amanti ir passeggiando Sull' orme dell' amate, e tal chinarsi Per raccorre i fioretti, onde si abbelli Della sua Donna la fronte serena— Altri correrle al fianco e dolcemente Sussurarle un accento—e veggo i Padri Venerandi e le Madri, il guardo intento Tener sovr' esse a tutelarle, a farsi Lieti di lor letizia, a gir superbi Di lor casta bellezza—altrove io miro Scherzar l'ardita gioventù — Guerrieri, Plebe, Magnati, Sacerdoti e Prenci Irne commisti…. ma qual odo intorno Straniero accento! e qual straniera foggia Scorgo d' armi e di vesti!… e quali insegne Stan sugli scudi!… di Re Carlo il nome Suona!… qual Carlo?… oh vituperio! il Franco Sire d' Angiò nell' Italiana spiaggia Stende infame dominio, e passeggiando Sulla testa ai caduti, uccide e sperde Quei che lottano ancor con la sua possa!..

II

Securo vive ogni Francese—oh stolto! Non sà che ferve sotto i piè la polve Ch' egli calpesta?… non vede le Lave Miste all' erbette! non ascolta il roco Mugghio dell' Etna che si mesce al canto De' vispi augelli?… non vede nel quèto Sereno azzurro disegnarsi un ombra Nera di fumo?… oblia che la Natura Qui feconda la terra eppoi la brucia?… E che simile a lei, sicula razza Ha vulcaniche tempre?… Un Uomo avvolto In rozze lane, col fulmineo sguardo Par che copra la turba, e le latebre Scruti de' cuori—sul pallido volto Profondi segni ha d' infinita ambascia, E sulla fronte da rughe solcata Mostra la forza d' un pensiero immoto.— Uso a palpiti arcani, il cor si preme Con la destra contratta, e ad anelante Respir solleva l' agitato petto.— L' incolta barba e le neglette chiome Parte gli adombran del severo volto.— Ben scorgi in lui che non per sè, per altri Vive, e che in mente alto desio racchiude. Ecco!… si è mosso—rapido, incessante, Tra la folla si aggira, e a cui sommesso Parla, a chi stringe nel passar la destra…. E dove parla, e dove passa, un fuoco Par che serpeggi ad incendiar gli spirti.— Fantastica vision quasi il diresti— Spirto evocato da magia—risorto Che' superna mission compia fra vivi. Suona lenta de' Vespri la squilla— Mesta, come un funebre lamento!… Perchè mai se di un santo contento Oggi è segno ogni prece quaggiù? Questo suono lugubre rimbomba Come il dì che sui morti si piagne…. Pure il Cristo si alzò dalla Tomba!… Pure, è giorno di gloria nel Ciel!— Non è solo lo squillo funesto A percuoter nell' aere—repente S' alza un grido!… e, = vendetta!! = la gente S' ode intorno con urla imprecar!— « Si, vendetta, vendetta, vendetta! » Han risposto migliaja di voci, « Giunta è l' ora! da lungo si aspetta! Cessi l' onta di un giogo crudel! » Da che mosse quest' ira inattesa? Il granello colmò la misura— Ed il peso di atroce sventura Ora un punto, rimuover potrà.— Su pudica donzella stendeva Il Drovetto l' impura sua mano, Mentre al fianco alla bella vedeva I congiunti, e lo eletto al suo amor.— Tra le pieghe del bianco vestito Penetrò fino al candido seno…. Cercò l' armi!… oh menzogna!!… piu freno La licenza nefanda non ha!— È caduta l' offesa Fanciulla Tramortita sul petto allo Sposo, Che dell' ira la viva scintilla Lancia, e accende un immenso furor.

III

« Suso Sicilia! scuotiti! Senti l' oltraggio alfine! Togli alle altrui rapine Il fior di tua beltà!— Procida è teco—allegrati! Con lui ti vien la possa…. Scava la larga fossa U' l' oppressor cadrà!— Chiama i tuoi figli!—unanimi Levin di morte il grido! D' ossa biancheggi il lido Che lo stranier calcò!— Armi non hanno?… inutili Son, se il valor non langue! Leon che anela al sangue Armi giammai cercò?— Sbrana co' denti—avventasi E con gli artigli straccia…. Se libere han le braccia Che cercano di più? Crollin con esse, abbattino Dell' Angioino il regno, Sì, che non resti un segno, A rammentar ch' ei fu! » Non vano risuona l' invito tremendo, E come dal seno dell' Etna ruggendo Si scaglia la Lava, poi scende, distrugge, Annienta chi resta, incalza chi fugge E rèca dovunque paura e dolor, Così di Sicilia la gente sdegnata Irrompe, e quell' ira che tenne celata Discioglie in un campo di giusta vendetta…. Francesi vedete?… la morte vi aspetta Là dove spargeste il lutto, e il terror!— Lo schiavo tremante si cangia in Signore— L' oppresso, vi pone nel petto il timore Ch' ei s' ebbe—vi muta l' ebbrezze in martiri, L' orgoglio in spavento, il riso in sospiri, Le tepide piume nel ghiaccio di avel.— Credeste che inulto Corrado restasse!— Che Procida invano vendetta giurasse!— Che all' ombra di ceppi, di palchi, di scuri, Re Carlo potesse tenervì securi!— Che voce di vinti non salga nel Ciel!… Folli! pianto vi parve il fremer cupo Ed il silenzio voi credeste oblio…. Della vostra stoltezza eccovi il fio!— La virtù dello schiavo odio si noma— Se non aborre, infame egli diviene E son degne di lui le sue catene…. Procida odiò!…. trasfuso in ogni petto Oggi quell' odio sopra voi piombando Segna un giorno di gloria memorando. Tinta è la terra di sangue Francese— Ammonticchiate salme orrido inciampo Fanno ai fuggenti che cercano scampo.— Cechi per lo terror, dal correr fiacchi Cadon…. gli spenge Siciliana destra Resa dall' odio nel colpir maestra.— Col tocco delle squille si confonde Il gemito, il singulto di chi muore, L' urla di rabia, il grido del dolore.— Non hanno punta le Francesi spade?… L' ebbero un di…. ma un popolo si desta!… Contro un popolo unito arme qual resta? Spersa, distrutta è l' aborrita schiatta— Uomini, donne, fanciulli, canuti, L' un sopra l' altro son tutti caduti! Sicula Madre allo stranier congiunta Fugge…. ma invano!… dall' alvo strappato Gli è il tristo frutto di un nodo esecrato!!!… Molle di sangue quell' Uom del mistero Cheto passeggia sulle fredde spoglie E da quel lutto refrigerio toglie.— Solo non sembra, benchè solo inceda…. Par che a uno Spettro si volga e sorrida, Mostrando il guanto dell' antica sfida. Cupo lo sguardo sui morti dilunga, Mentre fra i rotti nugoli la luna Rischiara il fitto della notte bruna.— Discende il raggio sulla scena atroce Ed imbianca i cadaveri…. un ribrezzo Nasce da quell' aspetto e da quel lezzo!… Pur non si oscura la luce soave…. Tranquilla irradia gli schifosi orrori Come altrove i ruscelli, e l' erbe e i fiori!… Procida il piè sofferma…. ecco si china Sopra un estinto di sembianza fiera, E gli svelle dal pugno una Bandiera.— Sorge…. con salda man l' agita e scuote Finchè larga si spieghi in preda ai venti, Poi grida in forti e minacciosi accenti:— « Per funebre lenzuol s' abbia l' estrano Il suo stesso Vessillo, e l' ossa grame Ne roda il Lupo con rabbiosa fame!! » Dice, e lo scaglia della strage in mezzo…. Cader lo mira di sangue in un lago…. « Patria sei salva!!… Corradin sei pago!! »

CANTICA

Nel punto in cui fu ucciso il Duca,
insorse nel Tempio un fiero tumulto—
molti sguainarono le spade; gl' uni
fuggivano altri accorrevano.
SISM. Rep. It. C. LXXXIV.

I

« Onor! dacci la forza e l'ardimento— Noi giuriam sopra te morte al Tiranno! » Gridano i Giovanetti, a cui nel petto Bolle lo sdegno dell' offesa atroce— « Olgiati, Lampugnan, Visconti, un nome Formino solo, e le venture etadi Lo pronunzin con lode!—Oh Galeazzo Cessar dovrai di abbeverar di sangue Tuoi colpevoli sdegni, e il vituperio Sulle caste Matrone, e le Fanciulle Più non cadrà de' tuoi perversi amori! Noi libertade, e sicurezza, e pace Comprar vogliamo a' Milanesi, e prezzo Nostra vita sarà di tanto acquisto— Dio protegga l' impresa, e maledetto Quello fra noi che si ristasse a mezzo! » Cosi dicendo s' impalmar—Fratelli Di cuor, di mente, e di desio, lasciaro Del maggior Tempio le sacrate soglie. Bell'ira, e giusta che gli spinge incontro A periglio securo, allor che il fiore Splende per lor di giovinezza, e quando Tutto gli ride nella vita!—oh forte Di Patria amor, che fra le mani il ferro Gli pone, onde atterrar, chi la calpesta!! Sorge l' Alba novella—un lento squillo Chiama i fedeli a ringraziar l' Eterno Che manda in terra ad umanarsi il Figlio— Già venti e quattro ore passaro, e il Rito Solenne si compiè, che a noi rammenta Quel divino portento—ancor la turba Non appar de' Devoti, eppur rimbomba L' arcata volta!… Oh! Lampugnan, Visconti Ed Olgiati que' sono!—All' Ara innante Si prostran genuflessi—al Divo spirto Di Stefano, che dà nome a quel loco, Volgon fervide preci « Oh non ci aggravi Lo sdegno del Signor, ne ci domandi Conto del sangue che fra breve i marmi Sacri, e votivi, bagnerà! non sprezzo, Non sacrilegio, e non privata voglia Di dominio, e vendetta, al fero colpo Ci trascina furenti—è la pietade Che a prò ci muove degli oppressi— È caldo desio di torre a schiavitù La patria lacerata e piangente.— Crìsto insegnò che niun sull' altro ha dritto Fuor che d'amore—or noi vogliam che cada Chi la sua legge infrange, e stà Tiranno Sulle teste a' fratelli, egli fà bruti.— Stefano deh! per noi l'Eterno invoca Onde ci assenta al grande oprar soccorso! » Si alzan ciò detto i Generosi, e mutì Si fissano nel volto—ugual pensiero Fermo, inconcusso, gli stà scritto in fronte— Balena il guardo, e si corrusca il ciglio, Palpita il petto a ciaschedun—l' un l' altro Vede specchio di sè, farsi il compagno— Bacio, ed amplesso il fero patto stringe, Nè temon più che alcun di lor vacilli.

II

S'avanza, s'accresce la Folla pietosa— Coperta di stoffa, di veste cenciosa, Di toghe, di veli, di salda armatura Diversa di grado, ma pari in natura, La gente prorompe mischiata colà— S' inoltra scortato da Guardie e Signori, Con volto turbato da strani timori Lo Sforza, che al Tempio ritroso veniva Per fosco presagio che il cor gli assaliva Fra sonni agitati…. nè vano sarà!— Retaggio a' Tiranni, tremenda paura, Tu sola de' dritti d' offesa Natura Fai giusta vendetta, che ognora a que' felli Satolli del Sangue d' oppressi fratelli, Rammenti che morte simili gli fa! Tu accerchi di nebbia la luce del Trono, Tu mostri i pugnali, tu celi nel dono Secreto veleno, tu pingi sul viso D' amici e parenti, perfidia, ed un riso Trasformi in ischerno nascosto a metà! Se tu cento volte finora mentisti, Or giunge quell' una, che quante fallisti Ne paghi ad usura, provando allo Sforza Che invano i supplizi, le stragi, la forza, Se un solo gli sprezza, lo ponno salvar.— Nè fidi all' Altare quell'empio il suo scampo…. Frammisti all' incenso, de' ceri fra il lampo S' aggiran gli spirti di tanti traditi, S' inalzan le voci d' offesi mariti, Che van dall' Eterno giustizia a implorar!

III

Come Bracco che fiuta la preda Lampugnani s' incontra col Duca— Gli s' inchina qual uomo che ceda Sotto il peso d' un' alto poter— Par che voglia, che speri un favore…. Piega a terra il ginocchio…. la destra Tragge un ferro, e nel colpo maestra Tutto al Prence lo pianta nel cor.— Ratti al par d' una freccia che vola Gl' altri duo, per dar morte sicura, L' han ferito alle spalle, alla gola Mentre ognuno sorpreso riman— Galeazzo vacilla, ed esclama, « Dio soccorso! » ma il sangue gorgoglia Lo soffoca, ed esanime spoglia Cade in braccio a chi presso gli stà. Sorge intanto un confuso romore…. Chi s' arretra, chi snuda il pugnale, Chi contempla l' estinto Signore, Chi domanda del vero ragion— Cresce al par della romba marina Il tumulto, fra i mille raccolti— I lontani hanno impresso sui volti Indistinto pauroso terror.— Tutti ancor quel che avvenne non sanno, E ciascuno un disastro suppone Più capace a recargli quel danno Che d' ogn' altro più crudo gli par.— « Crolla il Tempio! No, brucia l' altare! Tu vaneggi, è la guardia del Duca Che fa largo perch' egli s' adduca Più d' appresso al suo seggio d' onor. » « No, sentite, s' innalzan de' gridi!… Fuggi!… scampa!.. di morte si parla!.. Una strage!… un complotto!…. si affidi Nel Signor chi coraggio non ha!!…. » Ogni, sposa ricerca il suo fido— Le donzelle si serrano al Padre, Su le braccia protese la Madre Dalla calca difende il bambin. I valenti che spenser lo Sforza Tra la Turba si schiudono il varco…. Già son salvi…. Oh sventura!! una forza Non palese un di loro trattien…. Fra le vesti di donne prostrate Lampugnani s' intrica col piede— Vuol ritrarlo—lo sprone non cede…. Traballando precipita al suol.— Privo è forse d' amici un Tiranno? Nò—comprolli con patti di sangue— Sanno appien che s' ei cade cadranno, Che per esso hanno vita e splendor— Però, surse una mano che ultrice Nel giacente confisse lo stile, Però, fuvvi chi barbaro e vile Nelle spalle il Visconti ferì! Vituperio, o stoltissima Plebe Che que' corpi trascini nel limo!! Ben sarà, se aggiogata, le glebe Ti faranno qual bruto solcar.— Chi per te s' immolava calpesti!… Ed imprechi la morte all' Olgiato…. Morte!! a un prode che volle il tuo fato Far più degno de' dritti dell' uom!!!

IV

Egli fuggiva—ed al paterno ostello Per vie secrete si recava—in porto Giunger credea, ma pallidi e tremanti Lo respingono i servi…. a lui serrate Son del padre le braccia!!.. Ei nol raccoglie…. Di che fango composto era costui? Ignominia e delitto!! Ei, per timore, Getta il suo sangue della morte in faccia!… È tua carne o crudel quella che smembri!… Non senti all' ossa e alle midolle un senso Di spasimo angoscioso?—or tu recidi La più nobil di te parte e più bella!… E ti palpita il cuore, e non s' arresta Come al suicida che v' immerge il ferro? Fremer non senti inorridir Natura? Rinneghi il figlio, e viverai?… ti colga L' ira di Dio! si desti in te l' affetto Altissimo di Padre, allor che spento, Ti diranno, è colui che di te nacque!… Nè un' istante d' oblio scordar ti faccia Che salvarlo potevi, e nol volesti! Sbigottito l' Olgiati altrove il piede Errabondo rivolge—ovunque ei teme Trovar repulse, o delatori—Alfine Come il terror lo caccia, egli s' affida Nel tetto d' un amico—un breve istante Chiede sol di riposo, onde la fiacca Mente ricovri il suo vigor; vuol quindi Mostrarsi ardito, libertà gridando….. Stolto! non sà che il beneficio all' ira Tragge il popolo schiavo, allor che tempo Resta agli astuti di chiamar misfatto O sacrilegio l' Eroismo? il vile, Nol comprende, e il condanna…. Orribilmente Urli, minacce, osceni vituperi Empion l' aria d' intorno, e come oggetti Di piena esecrazion, striscian la polve Pesti, ed infranti i lacerati corpi Di Lampugnani, e del Visconti—un turpe Avvicendarsi di bestemmie, un sozzo Insultar sugl' estinti, un ebro moto Di feroce plebaglia, i cor più forti Fa gelar di spavento, e quel d'Olgiati Chiuso per lo stupor, spoglia ogni ardire— Creder non può che tanto odio sia prezzo Di tanto sacrificio!… eppur non sogna!! Cede al destino, e rassegnato aspetta Quell' ultimo cimento—Ohimè! l' han tratto Fuor dell' asilo ove s' ascose!… i veltri Ch' han d' uomo il volto, ne scoprir la traccia. Dio!!… ripugna al pensier, l' iniquo strazio Che delle membra giovanili e belle Fa scempio miserando! eppur quell' alma Impavida l' affronta, e non s' abbatte.— Di magnanimi tempi oh ben più degno, Tu, giganteggi sopra i tuoi!—palesi L' alta trama con nobile ardimento, Sorridi in faccia ai Manigoldi, e chiedi Solo alla Madre degli afflitti, e a quella Che nome ha Bona, e che fu già consorte Dell' estinto Tiranno, alcun riposo Onde al misero corpo ancor rimanga Tanto vigor, da suggellar col Rito La fede in cui nascesti, e che ti è sacra. Sulle pallide guancie accesa vampa Di rossor t' è salita, e ti sfavilla Vivido il guardo che parea già spento!… Che ti dicean? pentirti!!.. Oh, ben rispondi!… « Pentirmi! a che? fui martire Di giusto dritto e santo! Dio, de' miei falli il numero Spero cancelli, accanto Ponendo a loro, il merito Del colpo ch' Ei guidò— Oh! cento volte spendere Vorrei perciò la vita!… Sciolti vi lascio, e liberi Da servitù aborrita…. Premio acquistai, che perdersi Col sangue mio non può.— Scopo sublime, altissimo M' ebbi,—il raggiunsi—e morte Bella mi par.—Se vivere Fra vili empie ritorte Dovuto avessi, ai Posteri Ben più farci pietà!— Lasso!… crudel carnefice Tu mi dilani il petto!… Pietà!… che dico?… impavido L' ultimo strazio aspetto…. Duro mi fia!… ma splendida(*) Ultime parole dell'Olgiati—« mors acerba, fama perpetua! »— Gloria immortal mi dà. ».



CANTICA

…. e allora nel nostro cuore è sorto un
Inno di pietà alla sventura, e di benedizione
alla dignità dell'umana natura
—…. Ma per non degradarsi
ne'giorni delle tempeste, vuolsi avere
l' anima educata a maschie virtù.—
ATTO VANNUCCI

I

Fremea Lucrezia in suo secreto, e mite Sembrava agli atti, alla favella, al volto.— Ma chi fisso mirato avesse il lume Che vibrava dagl' occhi, e che corrusco Lampo guizzante in tenebre parea, Ben dell' anima grande il cupo sdegno, E la lotta angosciosa avria compresa.— Blandìa l' infame che l' infame vita Venduta aveva all' oppressor—che sangue Spargea senz' ira e senza scopo, e morte Dava al caduto, ignaro dell' offese E d' ogn' altra cagion che al fiero ludo Traea la gente Fiorentina, e l' altra Che in diverse favelle salutava Imperadore e Rege il quinto Carlo.— Blandìa quel vile, e con modesti detti Rigettava le turpi empie carezze Che pria con ira ricusate avea.— Fatta prudente dal periglio, i modi Cangiò, non l' alma, e d' irritar cessava Il maschio orgoglio e l' indomate brame, Con le repulse e il maledir—previde Che caduta saria sotto la forza…. Però finse la calma, e chiese il tempo Per rassegnarsi al suo destin, per farsi Forse più lieta, per sentir nel core Cancellarsi lo sdegno, e dalla mente L' imago della Patria derelitta— Per alleviar lo spasimo che sente Tremendo, e fitto come strale in piaga, Nel ripensar che il suo diletto, il fido Prode Palmieri soccombè…. lo sposo Non dato, scelto dal suo amor…. l' amico De' suoi be' giorni!…. il desiato, il caro Che a lei cadeva trucidato accanto!…. Oh! non volesse, soggiungea con riso Lusinghiero e soave, aver la Donna Senza ottenerne il cuore—esser più grato Lo udirsi dir « son tua » che aver trionfo Sù femminil fiacchezza—esser vicina Forse l' ora in che vinta ella dal fuoco Di sue parole, e dal cortese indugio Palesator di un anima men cruda, Volenterosa a lui dato ogni affetto Ed ogni dritto di signore avrebbe.— Taceva—e dolce rimirava in viso Di Recanati, che agli accorti detti Fede prestava, e la proterva voglia Tacer faceva, per piacerle.—Oh stolto! Ben t' era ignota ogni virtù, nè mai Di patrio affetto, e d' onorato senso, E d' amor vero, ti tremar commosse Le fibre, nè ti alzò sopra la creta, Per spaziarti più in alto e gir fastoso Dell' uman seme, un nobile pensiero, Se a leì credesti!!… abietto e vil com' eri, Suppor potevi in lei viltà contanta— Però t' allontanavi, e chiusa in petto Portando un ebra e mal concetta speme, Chiamavi a te la turba dei soldati Che l' Incisa tenean sotto il vessillo Del Sire d' Oltremonti, e festeggiavi Con Orgia impura, la folle tua gioja.

II

Sola è rimasa.—Le pupille i' tente, Fisse, ed ardenti d' un desio profondo Guatan verso Fiorenza—Ella s' appoggia Con la candida man, sopra le sbarre Che fan riparo al piccolo balcone Per cui vien l' aria che le batte in viso.— Scorre placido l' Arno a piè del muro Della misera casa, e un dolce lume Irradia i monti e le convalli amene.— Tramonta il Sole, e l' ultimo suo raggio Vibra in seno dell' onde che oscillante Specchio gli fanno, e vivide scintille Par, che in omaggio a lui mandin dal fondo— Rade le ripe l' Augellin che cerca Tra gli arbusti e le canne un queto asilo Pel notturno riposo, e manda un grido Che par saluto al giorno che si muore.— Lenta lenta una squilla in cupi tocchi Rammenta l' ora del pregare, e chiama Con arcana mestizia a quel sublime Meditar, che la mente inalza a Dio.— Sente Lucrezia inumidirsi il ciglio, E palpitarle concitato il core— Parlar vorrebbe, e la parola in gola Le respinge un singulto—esclama alfine: « Oh mia Patria! Oh Fiorenza! oh benedetta Cuna d' anime eccelse, oh favorita Dal sorriso di Dio, che in te transfuse Il Pensiero Divin che le tenebre Diradava d' Italia, e in te ripose Come in un Ara sacrosanta il fuoco Che accese i cuori a liberi desiri, Tu maestra di scienze, che l' altera Fronte turrìta infino ad or giammai Al giogo non piegasti, e che per Rege Cristo tenesti, ai Liberi Signore, Tu cadi or dunque!! I Figli tuoi di sangue Nemico invano si bagnar!—Riparo Co' forti petti ti facean!… ma tristo Malatesta fellon, l' armi ha rivolte A questo muro di viventi!… l' armi Che a prò di loro egli adoprar dovea!!… Maledetto in eterno! un guiderdone Trovi pari alla colpa, e Dio nell' ora Dell' estremo Giudizio, in lance ponga Il delitto di Giuda e il suo peccato!— Carlo ti dona a un Alessandro, impuro Frutto dell' adulterio!… ed un Ferruccio Cade per man di Maramaldo!… oh certo È ben crudo Fiorenza il tuo destino!… Evocar l' ombre degli Spenti è vano— Tu se' morta per sempre…. ed io che crebbi Ne' giorni di tua gloria, io, la compagna Di quel prode Palmier, che alla difesa Della patria Città dette la vita, Io vivo!… e schiava!!… e l' impudiche voglie Sazierò d' uno sgherro che si noma Capitan di ventura!… iniquo avanzo D' una razza aborrita, che si vende Al più ricco e potente, e che di sangue Si satolla per giuoco, io ti dovrei Stringere al casto petto, e forse un figlio Darti, da un tanto vituperio uscito!!!… No!—libera mi sento, e vuò con l' ossa Di Martiri, frammiste anche le mie.— Fiorenza non è più—solo di Lei Restan le torri, e la memoria.—È corpo Vuoto di spirto—a ritrovarlo io volo Dove si ricovrò!… lassù nel Cielo De' miei Concittadin veggo una schiera…. Ivi con essi libertà si goda!— Vengo oh Fratelli! attendermi Vi piaccia ancor brev' ora!— Librati intanto, un ultimo Vale porgete a Flora! = Oh dolce Madre, ditele, Noi penseremo a te! Per te morimmo—il fulgido Serto che un dì ti ornava Con noi rechiamo—a vedova Orbata Donna, ei stava Come uno scherno—Or comprati Lutto dal capo ai piè! Se un dì risorgi, e a liberi Figli darai la vita, Alme sorelle, a renderlo Verremo, acciò l' avita Luce alla lor confondasi, E ti raddoppi onor! = Povera madre! in lagrime Noi la lasciamo, e pare Agonizzante vittima Su maledetto Altare…. Fratelli, al Cielo alziamoci Preghiamo in suo favor! »

III

« Mi guida, se vale preghiera di schiava, Sul margo del fiume che bacia, che lava Le Patrie mie sponde—ti mostra cortese!— E lascia che io possa scordarmi le offese Vedendoti al pianto ch'io verso, ammolir.— Quest' aere sì cupo mi pesa sul core, Lo rende più tristo, più chiuso ad amore.— Vedermi reclusa mi turba la mente…. L' aspetto d' un Cielo sereno, ridente Invita ogni petto più schivo a gioir!— Qui tutto mi dice che serva son io…. Qui vedo lo spettro di Lui che fu mio… Oh! toglimi un' ora da tanto tormento! E poscia di dirti, capace mi sento, = Guerriero, Lucrezia più mite si fa. = = Mi arrendo Madonna, colui le risponde, La brezza leggera già muove le fronde— Venite—che l' alba soltanto vi miri!— Nessun, fra i viventi!… non vo'che a' desiri Mi veggan piegato di molle beltà.— » Perisca quell' uno che in tuono sommesso Dicesse al compagno l' error che ho commesso!.. Venite Lucrezia,—cogliete l' istante!— Se fugge, il potere del vostro sembiante Per quanto divino, riaverlo non può = » Per mano la prende—non sente che freme? Non vede la vampa dell' ira che preme, Passarle sul volto, simile ad un nembo Che tien la procella nascosa nel grembo, E porta lo sdegno che il Cielo adunò? Nulla ei vede, che cieco è divenuto Per orgoglio, e passione—Ella ritorna Tutta lieta e tranquilla, e va' tra i fiori Come sposa nel di delle sue nozze— Beve con labbra cupide lo spiro Dell' Aura mattutina, e par s' inebrii Di santa voluttà, mentre le chiome Le lambisce in passando, e l' accarezza— Volge intorno lo sguardo, e par che addoppi In Lei la forza del visivo lume Per addentrarsi e misurar lo spazio— Assapora d' un sorso ultimo e bello, La tazza della vita—e la Natura Che le ride d' intorno alto saluta!— Vèr Fiorenza le braccia indi protende, Ed un bacio le lancia u' tutto il cuore Chiuse il bollor de' palpiti affannosi.— Riveder le sue mura ahimè non puote!… Ma col pensier vi giunge, e in lei si posa.— Suffuso ha il volto di pallore—un spirto Par, disceso dall' alto a far tesoro Di lagrime e sospiri, onde recarli Messaggiera di duolo a piè di Dio.— Ecco giunto è il momento—il Recanati Fidando in suo poter, scioglie la mano Che teneale costretta—Egli è compreso D' ignota reverenza, a quell' aspetto Che di luce ineffabile si abbella— Prostrarsi al suol la vede—indefinito Moto quasi lo spinge, e le ginocchia Piegar vorrebbe a Lei d' appresso—ei crede Vederle in volto un estasi sì pura Che santa cosa gli rassembra—allora Rispettoso si scosta—intima voce Lo ammonisce che indegno egli è di Lei. « Oh Fiorenza per sempre ti lascio! Bello è il Cielo, ed allegra Natura…. Nulla cangia! sull' alta sventura Passan l' ore nè mutano il vol.— Le Citta, le Nazioni sparite, Son giojelli caduti da un serto…. Son le sabbie travolte in deserto Che non lascian memoria di sè.—» Ma i frantumi d' un' ampia rovina Sprofondarsi col tutto dovranno…. E sotterra i figliuoli anderanno Co' parenti sepolti a dormir!— « Il mio fato oh Fiorenza, è compiuto.— Tu peristi—son spenti i tuoi figli— Io, morendo, m' involo agli artigli D' un infame aborrito oppressor. » Dice, e rapida più di Veltro in caccia Scende u' l' onda gorgoglia in alte spume— Incorcia in atto di preghiera al casto Petto le mani, e grida = Arno mi porta Gelida salma di Fiorenza in seno! = Precipita d' un salto, e Recanati Grave d' armi e di ferro, invan desìa Strapparla al flutto che ingordo la inghiotte— Chi pronto la soccorra egli non mira!… Come percosso e domo da magia Fermo rimane, e inorridito—Ei vede La bianca gonna, e le disciolte chiome Ritornar sovra l' acque—invano il peso Che lo grava il trattiene!… entra nell'onde— Un grido ascolta disperato, e cupo Che gli lacera il cuore…. e vede…. ahi vista! Sorger dall' acqua di Lucrezia il viso.— Gli vibra Ella uno sguardo, ove racchiuso. Sta il sublime poter di chi si muore, Che gl' impon d' arrestarsi—indi le braccia Sulla testa si pone, e giù si affonda.

CANTICA

…. I soldati che non conoscevano quai
grossa piena inondasse quegli indomiti
cuori, si diedero ad usare il bastone contro
alcuni per obbligarli. Qui si ruppe lo
arglne………………..
BOTTA St. d' It. L. XLV

I

Sorge un alba radiante—il di che segue Vedrà splendidi fatti al suo tramonto!… Come polve sepolta entro le cave Viscere della terra, attende il tocco Di sulfurea scintilla, onde repente Tuoni l'orrido scoppio e s' inabissi Ciò che fu sopra lei, così nell' imo Cova, de' petti Genovesi un alto Tesoro d' ira e di vendetta—il cupo Minaccioso sembiante, il tetro lume Che balena nel guardo, e della plebe L' agitarsi indeciso, e l' abbandono D' ogni usato lavoro, appien dimostra Come essa frema, e come la catena Guati, pari al Leon che arruffa il crine Radunando sue posse onde spezzarla— Rimembra le vittorie, e dell' orgoglio Che domò Pisa, e intimidi l' Oriente, Sente caldo il pensiero—ancor la fronte Però non leva, e de' Magnati il dritto Taciturna rispetta—ancora il Doge « Muovetevi! » non disse, ed ella attende.— Ride ed opprime il despota Tedesco— Ma più di Lui ride ed opprime, il vile Che rinnegò di Genovese il nome, E che d' Italo seme, estrania possa Guida, nemica ad Italiana gente!!!… Iddio punisca quest' infame figlio! Gli confonda la mente, e si lo acciechi Che cercando Trionfo, onta ritrovi!!— Oro chiede il ribaldo!—oro cotanto, Che atterriscc l' idea di ritrovarlo.— A Chonek si stringe, e parla in nome Della Regal Teresa, a cui ribrezzo Faria, vederlo inferocir sui vinti Concittadini, che a mercè venuti Tempo implorano almeno! Egli risponde « Gli occhi al pianto vi lascio, e non vi basta? » Insulto atroce, ed ironia nefanda!!… Ben stà!—raddoppi le cagioni all' odio— Porti all' estremo il sofferir—non lasci Riposo al cuore—accumuli le angoscie!… Cosi l' ira de' Popoli matura!…

II

Il dì si avanza — in Portoria si affolla La gente, e si sospinge—un mormorio. Un stringersi di destre, un accennarsi Fra la turba più folta, un digrignare Di contratte mascelle, un concitarsi Con parole sommesse, indizio è certo Chè un nuovo oltraggio suscita nuov'ira — La difesa del porto e delle torri, I saettanti bronzi, a cui fidente La Genovese libertà s'appoggia, Fur tolti dagli Spalti, ed alle mani Degli Austriaci concessi!!… e che? poteste Avviliti Patrizj, e fiacco Doge Senza morir d' ambascia e di vergogna, Spogliar la Patria delle sue difese? Non si gelò la lingua, e intorpidita Non rimase la man che diede il cenno, Che trasmise il comando?… ed i soldati Non fecero rifiuto, e delle micce Non accesero il lampo, onde la morte Desse risposta alla richiesta iniqua? Vituperio! anatema!… il suol rimbomba Sotto il peso de'bronzi—il cigolio Delle ruote de' carri, e le percosse Pietre ineguali, e l'alternar de'passi Lenti, lenti, de'nordici Cavalli, Tale un suono tramandano, che il cuore Fa chiuder per sgomento, e per ribrezzo Irte arricciar le chiome!—egli par Eco Di funebre campana che solenne Inviti al pianto sù defunti, e dica, « La Genovese libertade è morta!… » Morta!!… Morta!!… lo udite o Cittadini? Tremate!… ov'essa muor l'uomo non vive…. Vegeta, ma nel fango—e come pianta, Tanto di vita gli riman che vaglia A sentir nelle fibre i duri colpi Che la sfrondan de'rami.—Oh Genovesi Agonizzanti siete!… ancor brev' ora E sol memoria resterete, e nome!… Cancellati da popoli, la storia Chiuderà per eterno il vostro libro!… Perchè sosta la marcia?—un Alemanno Alza ardito la voce—impon che sgombro Da voi si renda quel sassoso calle, E che voi stessi il rovesciato Carro E il Mortaro pesante in su leviate — Aborrite piegarvi all' empio ufficio — Rispondete sdegnosi…. Oh! del nemico Che avviliti vi crede, eccede il turpe Oltraggio dell'ingiurie, e fatto stolto Dalla propria superbia, al rio comando Aggiunge, onde si compia, le percosse!!!… Trabocca dall'ime latebre del cuore, Prorompe la piena dell' ira celata, E sola una voce nell'aria scoppiata, Rassembra quel grido che a tutti fuggì — Un altra ne sorge distinta in accenti!… È voce d' imberbe che franco animoso Esclama « La rompo! » dal suolo pietroso Un sasso raccoglie…. lanciollo…. colpì — Vacilla il Tedesco ferito alla fronte — Coraggio!! un fanciullo l'impulso v' ha dato!… Qual arco da mano robusta piegato Si curva, poi tende e scocca lo stral Così verso terra la turba si china Poi sorge, ed un nembo di pietre rotanti Scagliando ai nemici, gli offende i sembianti, O spezza le tempie con colpo mortal.

III

Ove son gli Alemanni Guerrieri? Oh mirate! son tutti fuggiti! Han lasciate le carra, i destrieri, E quell' armi che il Botta carpì — Han veduto che il Popolo è desto, Che le torpide membra ha distese…. Guai per essi!…. che sempre le offese Fa la Plebe ad usura scontar! Nascerà da quell' urto primiero Come foco dal cozzo de' ferri, Tale evento che schiuda il sentiero A una gloria, che pari non ha — Si vedranno le misere genti Fatte balde da un santo desio, Prender armi nel nome di Dio! E il palagio del Doge assediar. — Grideranno « Patrizi venite! » Ma i codardi saranno nascosi…. Non importa—daranno le vite Essi soli, per tutti salvar. — Non avranno timor della piova, Non del fuoco dei bronzi tedeschi — Non curanti de' poveri deschi Nudriranno le membra di ardir. Cercheranno respinger co' petti Ogni assalto di brando nemico, Poi trarranno dai chiusi ricetti Que' fucili che il Doge negò — Gli torranno agli abietti soldati Che stan fermi al comune periglio, Non udranno pauroso consiglio E sapranno pugnare e morir. Si vedran Pittamuli e Carbone Il Tezzoso, Maratti, e Lanfranchi, Malatesta, Sicardi, ed Ottone, Il Parodi, il Camotto, Urbedò, Tolti tutti a fatiche plebee, Con cent'altri compagni valenti Farsi norma agli spiriti ardenti E dar prove d'immenso valor — Si udirà quel santissimo grido, « Libertade, la Patria, e Maria!… » Echeggiar sopra i monti, e sul Lido, Come appello a gloriosa tenzon — Cacceranno i superbi tiranni Con la forza che vien dal volere, Mostreranno, che tiene il potere Chi nell' Alma ha più forte il vigor.

CARME

… tutti gli Italiani tremavano, ed obbedivano….
SISMONDI Rep. It. Cap. CXX.

Carlo! schiava è l'Italia! or se'tu pago? Invan de'Franchi l' orgoglioso Sire Teco scese in agone!—Ambo, feroci, Dell' Italia le spoglie aver bramaste — Ambo, scorrendo l' infelice Terra Spargeste il lutto in ogni sua contrada. — Vituperio ed infamia ognor ricopra Questa lizza nefanda!—ambo v' abbiate L'abominio de'Popoli, e l' orrore!! Maledetto quel di che le fiorenti Città di Lombardia tener vi piacque! — Maledetto quel dì che la Regina Decaduta, ma bella, iniqui sgherri Laceraron furenti, e maledetto Il dì, che invano rammentò Fiorenza Alla Francia mendace i patti antichi!! Cede e tace Francesco—Ei che da loro Niuna cura si prende!… Ei che da loro Prese il sangue e l'argento!—Ei che giurava Di salvargli con esso!—Oh quante morti Quanti incendj, e rovine han deturpato Bella Italia il tuo seno! i Figli tuoi Che in onoranza ti salir, son spenti! — Grande tu fosti, ed ogni tua cittade Bene un regno valeva—e il san Fiorenza, E Genova, e Vinegia, e le altre cento Ch'alzan turrite le superbe mura — E lo seppe Legnan, quando fuggente Vide e ramingo Federigo, a cui Fiaccò l'orgoglio la Lombarda Lega!… Ed il mondo lo seppe—e t'ammirava…. Ma uniti allor furon tuoi Figli, Italia! Or gli sdegni fraterni e le discordie, Non fiacchezza, o viltà, t'hanno prostrata. Carlo opprime gli schiavi—ed agli Ispani Lascia in preda il giardin della Natura…. Oh tremendo a vedersi! ad empi scherni Il supplicio succede…. e fin l'onore Più non è degli oppressi!… ahi! dell'Italia Rispettate, Stranieri, il nome almeno!!! La Terra delle glorie è derelitta!… A che gli alti Palagi?—a che le Mura? — E le Torri?—ed i Templi?—eran per gli Avi Sorga il giorno dai Prodi bramato Che gli chiami l' Italia a salvar, E maggiori dell' ira del Fato Possan libera terra calcar! Benedetti que' ferri saranno Che d' Italia il nemico cacciar!— Le Donzelle, e le Spose diranno, « Libertade più belle ci fa! » E le Madri scordando gli affanni Liete a' Figli si udranno esclamar: « Siete nostri! ritolta ai Tiranni Possiam libera prole abbracciar ! »
(*) Episodio nella Vita di Cristofano Gherardi, egregio Pittore del Secolo XVI, dedicato dall' Autrice al di lui discendente Francesco Gherardi-Dragomanni di Borgo San Sepolcro. Esule ti spingeva il fero sdegno Del sospettoso Cosimo, o Gherardi !— Vili abietti, venduti al cupo Sire, Svelavano le fila onde legato Tu ti tenevi ai Fuorusciti Eroi, Che le avìte ricchezze, ed i Palagi, E gli onori, e il nativo aer diletto Lasciavan, pria che sottopor le fronti Libere e scevre di servile impronta, Al giogo doloroso che ogni santo Pensier di Patria, e di valor conculca. — Oh si! con essi palpitavi, unito Nel desio, nella speme, e nell' ardire Di animosa congiura, onde caduta La nascente tirannide, potesse Risorger grande la Toscana Gente. — Ramingo andavi, ma pietoso un forte E magnanimo spirto, a Te schiudeva Ricovero sicuro, e nel Castello Degli Avi suoi ti ricettava…. oh! bello Fu sempre il senso che l' umano cuore Spinge a porger soccorso all' infelice!— Ma più bello, e più grande, allorchè sprezza Le leggi d'un Tiranno, e a lui sottragge La testa del Proscritto onde vorrebbe Con empia mostra intimidir gli schiavi Frementi ancora, e non avvezzi ai Ceppi! — Però tuo nome oh Bufalini è caro Fra i generosi, e benedetto!—ei giunge Ai Nepoti gradito, e n' esce un suono Eccitator d' ogni virtù fra loro. — Tranquillo all'ombra de'tuoi Lari I giorni conduceva il Gherardi, e nobilmente Ti compensava l'ospital ricetto Co'doni dell'ingegno, onde fornirlo Altamente Natura si compiacque — Per lui, vedesti le pareti antiche Del tuo Palagio ornarsi di dipinti Perfetti sì, che i posteri le ciglia Inarcan sù di quelli, e provan morso D'invidia generosa rimirando Storiche gesta, ed effigiate forme D'illustri cittadini, a cui di vita Manca solo lo spiro onde si ascolti Voce che dica a noi: = Sorgete oh vili Dal vostro sonno, equal noi fummo, siate! = Ed all'estrano: = Umiliati, maestra Fu dell' Europa l' Italiana Gente!… = De' rimasti parenti intanto i lagni Iterati, pressanti, onde alle case Dolci e fidate richiedean tornasse Il bandito Cristoforo, alle orecchie Del duca di Fiorenza un varco aprirsi Potero, e non respinti, e non accolti Parver da pria…. poi gli ascoltò benigno…. Oh! benigno!!… che dite?… e quando il torvo Ceffo dell' Iena si abbellì?…—Qual dolce Suono produsse della Strige il canto? — Quando stillò salubre succo il ceppo Dell'albero che nome ha dalla morte?… — Vero il perdono d' un Tiranno ?… Oh! prezzo Tal vi darà, che l' ira fia migliore!… Freme il Gherardi?… impallidisce?… in atto Di ribrezzo respinge empio messaggio?… Che gli disse?—tacete!—ecco, risponde — « Io svelar de' Fratelli fuggenti I pensieri, gli scritti, il ricovro !!!… Lunge, lunge oh malnato che tenti D'ignominia il mio nome marcar! — Maledetto da tutti in eterno Se il turpissimo patto nefando Accettassi, e volessi il mio bando Con sigillo d'infamia cambiar!— Va'!—rispondi al Tiberio Toscano Ch' io di libera stirpe son nato, Che non piego al voler d'un sovrano La Coscenza che baldo mi fà. — Che antepongo per sempre in esiglio Sospirar la mia Patria perduta, All'obrobrio di avergli venduta Per tornarvi, l'altrui libertà. »

CANTICA

Parte I—Il 1739

…. Vive questa Repubblica da dodici
secoli—Ivi virtù senza fasto, quiete
senza tirannide, felicità senza invidia….
BOTTA—St. d' It. Cap. I.

Salve oh Titanio Monte!—in Te racchiusa Come in asilo sacrosanto, alberga Libertade celeste! Ella fuggiva Dall' Itale Città tornando al Cielo, Ma scorse la tua cima!… il vol rattenne, E lampeggiò d'un riso—« Ancor mi resta, Disse, u'posar le vagabonde piante. — Quivi è stanza d' amici—in breve cerchio Più secura starommi, infin che l'ora Suoni per me di rinnuovata gloria! » E ben fidò la benedetta!—un Tempio(1) Sul frontone della Chiesa dedicata a San Marino sta scritto—Libertas — S'erge votivo a San Marino—In fronte Porta egli scritto = LIBERTADE = All'ombra Della Croce di Cristo Ella riposa. — Protegge Iddio la Donna delle Genti! — Ella si appoggia sull' Altar!…. guardate Popoli della Terra! un vivo lume Dardeggia fuor del Tabernacol santo! RELIGION, LIBERTÀ, stanno Sorelle Fra quelle mura, e dal divino amplesso Muove quel raggio che vi par si bello! Inconcusso da secoli remoti Stassi quel Tempio, e simile alla pietra Del Monte ove si basa, Egli non teme L'ala del tempo.—In lui si onora il Divo Che il primo unì fra quelle roccie un stuolo Di fratelli nel Cristo, onde camparli Dal furor de' Pagani, e poi gli strinse Concordi nella fede, e nel pensiero, Coi legami de' Liberi = l'amore Del giusto, e l'uguaglianza. = Ivi si aduna(1) In questo Tempio si adunano i Consigli, ossia Arringhi, per eleggere i Capitani anticamente denominati Consoli, e per deliberare gli affari più importanti dello Stato.
Storia della Rep. di S. Marino
MELCHIORRE DELFICO.
Il consesso del Popolo sovrano Onde sceglier suoi capi—e sopra l'ara Questi giuran cosi, che al sacro patto Chiaman lo spirto di Marin presente — In lui la voce altituonante echeggia(1) Fu in questo medesimo Tempio, che i Capitani del Popolo, ed il Popolo stesso, con mirabile energia e costanza gridando = San Marino! e Libertà! = Si opposero alle crudeli pretese del Cardinale Alberoni Legato di Ravenna, che per ambiziose mire, e per innata irrequietezza d' animo intrigante ed altero, voleva sovvertire le antiche leggi, ed in ogni modo tentare di porre in potestà di Roma, la venerata Repubblica. Adoprò l'intrigo e l'inganno presso la corte Papale, onde trascinare il mite e benigno Pontefice Clemente XII, a secondare i suoi fini, rappresentando San-Marino come nido di ogni nequizia, asserendo che là avevan ferma stanza Tiranni nemici del proprio paese, della giustizia, della Chiesa, e della Religione, e che in quel sinistro Monte regnava l'oppressione e la tirannide di pochi, contro molti—che però era uficio proprio e pietoso del S. P. di sanare quel Paese, togliendolo alla irreligione e alla tirannide.—La trama di costui, ebbe quasi ad esser condotta ad effetto—e gli imprigionamenti, il saccheggio delle case di alcuni magnati, e le tremende minacce di peggior ruina non mancarono, onde consolidare con l'armi e la forza il suo potere.—Ma le lagnanze de'giusti, giunsero al Trono di Clemente XII—Il sacro collegio stesso fu mosso a misericordia, e vide chiara la nequizia dell'Alberoni—fu delegato Enrico Enriquez, primo per virtù incontaminata fra i Cardinali, onde porre in lume la verità, e dietro le informazioni giustissime di lui, il Pontefice disingannato, santamente ordinò = Fossero cassi gli ordinamenti Alberoniani, e San-Marino risorgesse al primo suo stato, restando sotto l'amichevole protezione di Roma! = Alberoni fu tolto dalla legazione di Romagna, per allontanarlo da San-Marino.
Vedi MELCH. DELF. Stor. della Rep, e
BOTTA Stor. d'It. continuazione del GUICCIABDINI Libro II.
De' Liberi sdegnati…. Udite!! è grido Che scolorir fa de' Monarchi il volto. —
= Taci oh superbo! un brivido D'ira ci scuote il petto!… Più concitati i palpiti Del cuor si fanno!… oggetto D' esecrazione unanime Il tuo dominio è quì!… Taci Alberoni! il libero Popol Titanio, è forte De' suoi diritti—i secoli Gli consacrar—la morte Darci potrai, ma, guardaci! Nessuno impallidì — Fermi noi saim—contenderti Saprem la tua vittoria — No non diranno i posteri, = Di San-Marin la istoria, Contaminata pagina Nel suo finir macchiò! = Spengi, ruina, annientaci! La possa a Te non manca…. Sfoga tua rabbia oh barbaro, Finchè la mano hai stanca! — Poi…. regnerai sui Tumuli Di chi ti disprezzò. — Nudi macigni e squallidi, Ti formeranno il Trono — D' ossa spolpate un cumulo Vedrai…. non schiavi—e prono Solo a' tuoi piedi, il vertice Del Tempio che cadrà. — Lo ridurremo in polvere, Che profanar nol dei !… Di libertà santissima Egli fu stanza—a Lei Fia venerata e nobile Tomba, che ugual non ha. Pugno d'Eroi, serrandoci Come Fratelli, un grido Darem morendo!—i popoli Lo udran…. paventa!!… un fido Eco, farà percorrerlo Fino al gelato Mar — Si eleverà sui miseri Di tutta Europa il pianto — Forse dal sangue, i vindicì Sorger vedrai!… col manto D'ipocrisia, Carnefice, Invan ti vuoi celar!…. Nol sai, nol puoi!—terribile La verità si mostra. — CLEMENTE istesso, toglierti Vedrai la larva—e nostra Ragion, difesa o perfido, Dal Vatican sarà. — Della Giustizia, inutile Non risuonò mai l'ora!… Scocchi sul nostro cenere, O si respiri ancora Bella pur fia!… repetasi, = Marino e Libertà! = Oh ben del tristo sì fiaccò l' orgoglio! E ben si vide al piè del venerato Soglio, che sfida il fulmine terreno, Cader la frode, e scintillar più pura La virtù degli oppressi!—a San-Marino Stese la destra il successor di Pietro Benedicendo, e da quel dì s'inalza Nube(1) Ai 5. Febbrajo 1740. fu la repubblica negli antichi ordini ricostruita, e se ne celebra tuttora con feste di gioja il faustissimo giorno. —
BOTTA Storia d'Italia.
MELCH. DELF. della Rep.
d' incenso e cantico giulivo
Nel delubro sacrato, allor che riede Col volgersi dell' anno il dolce giorno In ch' Ella strinse del Triregno all' ombra, Con l'eterna città Donna del mondo, Di non compra amistà libero patto.

Parte II—11 1797

Scende un Nembo dall'Alpi(1) Napoleone Buonaparte muovendo contro Roma e scorrendo da vincitore le Romagne, spedì Monge come Ambasciatore alla Repubblica di San Marino, onde manifestarli gli amichevoli sensi che egli, come rappresentante della Repubblica Francese, per essa nutriva, e per offrirle ajuti, protezione, e magnifici doni in territori, fromenti, ed armi. Modestamente felice. San Marino ricusò prudentemente quelle offerte, che accettate, potean corrompere la sua virtù, base assoluta della di lei esistenza sociale.
MELC. DELF. e BOTTA.
! Italia scossa
Risponde al rombo con un lungo grido!… Trema la terra sotto i piè del Prode Che gigante levossi, ed un baleno Di fosca luce ne precede il passo. — Spiega l'Aquila invitta il largo volo Sulla sua testa, e nel robusto artiglio Porta infrante corone e mozzi scettri. Figlio d'Italia, alla Francesca Gente Duce si è fatto, e vittorioso scorre Le attonite città—Folgor di guerra, Sembra l' Angel di morte che lanciato Dalla vendetta dell' Eterno in ira, Con la spada di fuoco orribilmente Meni la strage, e di un sol colpo sperda Le migliaja de' mille.—Egli non teme Possa mortale—con securo passo Scorre la Terra, che si fa vermiglia Di fresco sangue ov'Egli incede—appoggia Sul lubrico cammin le salde piante Nè scivola, il superbo!—Egli presènte Che non cadrà finchè Lassù non vuolsi…. Chiama le Turbe a libertade!!… oh stolte Se lo credon sincero! Egli con l'Esca Dolce le alletta…. e si farà poi Donno De' fidenti venuti al santo appello. — Come Torrente impetuoso or scende, Precipita, trabocca, e le Romagne Di sua possanza inonda—A San-Marino Volge lo sguardo acutamente scaltro, Per veder se gli giovi o se la sprezzi. — Sfida la vetta del Titanio Monte Le tempeste mugghianti nel profondo, E dal sereno le contempla—il Sole Indora lucidissimo del Tempio Le pareti vetuste, e delle nebbie Che scorron nella valle Egli non teme L' ombra nemica—accavallati gruppi Di nembi procellosi il Sacro monte Striscian rapidi sì, che le sue falde Se ne accorgono appena—Iddio le ha posta Per guardia la Virtù.—Questa divina Stese lo scudo adamantino—il croscio D' ignivoma saetta non lo crolla — Manda scintille d'abbagliante luce, E terso come specchio, ogni refratto Oggetto spoglia de' color bugiardi, E vero nudamente lo presenta. — Buonaparte lo fissa—Un reverente Moto lo spinge ad onorarlo—Ei, grande Domator de'potenti, un nuovo or sente Desìo di farsi protettor del giusto!… Tanto e sì forte è di virtù lo impulso, Che nei più schivi e reluttanti, accende Magnanimi pensieri! Egli di Francia Parla nel nome.—Ambasciator si muove Monge, illustre per merto e per valore, Ed in modi magnifici favella.
« È pur bello vedervi raccolti(1) Orazione fatta da Monge innanzi al consiglio, adunato per riceverlo come ambasciatore di Francia.
MELCH. DELFICO.
Padri illustri di libera Plebe! Vi sfavilla sui nobili volti Quell'impronta che in fronte brillò
De'famosi di Sparta e di Atene, Degl' invitti di Roma possente, E de'sommi che Flora sapiente Ne'suoi tempi felici educò — Ahi! disparve quel raggio divino Dalle Greche ed Italiche ciglia!… La sua Gente col capo richino Più non s'erge Signora dei Re! — Con vessillo di trino colore D'oltramonte si è mossa una schiera! — = Italiani la vostra bandiera Ella grida, spiegate con me! Buonaparte ci guidi alla gloria E d'Europa conculchi l'orgoglio — Chiuda il libro dei servi l'Istoria!… Segni un era novella di onor! Del suo sangue la Francia fà dono Per lavar le sozzure di tutti, E ad ognuno dispensa que' frutti Che raccolse col proprio valor! = Ma son ciechi!… e del vivido Sole Non sostengon la vista i prostrati — Non han forza, a dar base alla mole Che dei dritti dell'uomo è l'asil!… Però, contro cì muovon furenti Come bracchi sù Toro disciolto…. Ma di offenderci ai miseri è tolto! Siam Leoni, nel mezzo all'ovil. Mentre amici, o nemici, qual vonno, Trascorriam queste belle contrade Desiando il letargico sonno Dalle Italiche ciglia fugar, Sorveglianti celato tesoro, Voi mirammo, quai deste Vedette…. Fra di voi costudito egli stette — Fra di voi lo verranno a cercar! — Quella sacra favilla che accende Ogni cor di magnanimo ardore, Sull'altar di quel Tempio risplende Che il suo Gregge a Marino inalzò — Là si serba a ben alti destini, E qual Pietra sull'esca percossa, Darà fuoco che scorra per l'ossa Cui straniero dominio gelò! — Di onorar Buonaparte procaccia Vostra illustre Repubblica antica — E la Francia le stende le braccia Come suora a sorella maggior! — Cittadini chiedete! ogni brama Sarà tosto in effetto mutata — E paventi Chi voglia oltraggiata Far la quiete che aveste finor! Cittadini! a serbarla, di Fanti, Di Destrieri, di Terre e Castella Di Fromenti e di Bronzi tuonanti Favvi offerta l'invitto Guerrier! Ei la man che d'Italia dispone, Protettore ed amico vi porge — Cittadini! bell'alba vi sorge! V'inalzate a più vasti pensier! Rispondono que' Miti « A noi fu grato Vederti o Monge Ambasciator del Grande Che governa i destin della tua Francia — Grato cosi, che ove l'orgoglio in noi Capir potesse, dell' onor concesso Superbiremmo!—Ma le larghe offerte Di ricusar ci è forza—in stretto cerchio Viviam felici—Oh d'ambiziosa voglia Non si desti fra noi l' Idra crudele!… Mai satolla, divora infin che il Pasto Le si gonfia nel petto, e la dilania. — Modesti ne'desiri, a noi tien luogo D'ogni ricchezza, egualità di stato Fra noi Fratelli—e d'invido nemico L'assalto non temiam, quando non trovi Da rapirci che i liberi pensieri — Questi in noi stanno, e sol l' Eterno puote Confonderci la mente, e il santo torci Lume, che dritti in bel sentier ci guida! — Però riporta al generoso Eroe Che sol le biade ed i guerrieri bronzi Accetterem, quand' Ei però non sdegni Prenderne il prezzo—lo ricambia intanto Questo Popol, d'auguri, e d'amistade — Risaluta la Francia, e le desìa Che pari a San-Marin duri felice!— Mutate le sorti, l'Altero fu vinto. — In scoglio deserto, da guardie ricinto, Finiva la vita chi vide al suo piede L'Europa tremante, e attonito chiede Il Mondo, al Destino = Ei cadde…. perchè? = Qual Fiume che il letto straripa, ed inonda Le basse convalli, poi riede alla sponda E queto trascorre gli antichi confini, Lasciando fecondi ne' campi vicini I solchi, bagnati d'umore vital, Così della Francia dal limite uscita, Cangiata è la scena, diversa è la vita. — Travolte, scomposte, rinate ed estinte, Vedemmo nazioni, all'apice o vinte, Con rapida vece far mostra di sè. Tranquilla frattanto, Repubblica immota, Marino contempla girarsi la ruota Di tante fortune…. la serba ad esempio De'Popoli, Iddio!….—e sorge il suo Tempio Qual Faro, splendente sul bujo del Mar.



CARME

Varca ogni spazio l'anima, e la mia Sull' ali del pensier che gliela pinge, Vola in Siena—s'arresta, e la saluta! — Siccome fossi tutta in lei discesa, Scorro le vie che già bagnar di sangue Le tremende fazioni allor che vanto, Gloria ed onor si riponea nel brando Rivolto al petto dei fratelli…. oh crudi Pur magnanimi tempi!! allor potea Siena fugare il quarto Carlo—allora Spenti gli sdegni nel comun periglio, Fin le Donne valenti a prò del caro Suolo, pugnar fur viste, e de'mariti Farsi scudo ed aita!—allor di Siena Suonava il nome venerato e grande — Allor potea fondar palagi, e Sacro Tempio sublime, e vasta Lizza in cui Con finte pugne s' educava all'armi Il figlio della Patria, onde potesse Baldo lanciarsi alle veraci guerre Con cui fiaccava l'ardimento altrui! — Ma que' ludi però, quella possanza Contaminati furo!… oh quanto pianto Costa un sogno di gloria! Oh quante Madri Lacrimaron su'figli, ed imprecaro Il trionfo, gli sdegni, e le vendette! Quante donne infelici al casto letto Tolti vider gli sposi, e trepidanti Invan gli atteser nelle insonni notti! Quanti figli deserti, orfani, e nudi! Quanto sangue e ruina! or che pagava Tanti spasimi atroci e tanti lutti? Chi di Natura compensava i danni? Forse il di della pugna èra foriero Del Cantico di pace?… Oh stolti, oh ciechi Che rideste su'morti!! = Era nemico Chi trafitto cadea = Dolce vi parve Il trucidarlo? oh dolce mille volte Più donargli la vita, ed alle case Rimandarlo de'suoi!… Straniero all'uomo Esser l'uomo non deve—ed anteporre Pietre, polve, terreno, a chi formato Ebbe simile a noi l'eterna mano E delirio colposo…. e Voi poteste Contar nemici tra color che un cielo Stesso copriva!!! a che lagnarci noi Se più sangue non scorre? era felice Siena, in que'tempi che nomo di gloria?… Libertade felici non rende Se non cresce fra miti costumi — La sua luce più limpida splende Dove han loco virtude ed amor — Attorniata dall' ossa insepolte, Innaffiata dal pianto e dal sangue, Fra gli orror d'un partito che langue Cangia aspetto e funesta divien. Non un solo, ma cento tiranni Fan macello de'vinti fratelli — Sulle tombe sollevan gli scanni Ove sedon rivali de'Re — Non inalzin la fronte i caduti Per mirar chi gli stese sul piano, Non imprechin la barbara mano Che prostrati nell'imo gli tien!… Libertà si proclama, ed intanto Fino il pianto si vieta all'oppresso! — Si trascorre d'eccesso in eccesso, Si rapisce la vita e l'onor…. Se a tal prezzo comprarti si deve Libertà, non s'invochi il tuo nome!… Scorre un freddo—s' arriccian le chiome Al pensiero del tempo che fù. — Fu sublime—ma fosco e tremendo Come giorno d'orrenda tempesta Che nel croscio imperversa fremendo E sgomenta ogni impavido cor — Ne diradan le cupe tenebrie Luminosi, guizzanti baleni…. Non è luce però che sereni…. Anzi addensa le nubi di più. — Così l'alte virtudi guerriere E di Patria l'indomito effetto, Atterrando le giuste barriere, Traboccaron de'vizj al confin. Or…. dormiamo pacifico sonno — Or, tranquilla meniamo la vita…. Spose e Madri non temon tradita La speranza del letto nuzial — È letargo ci dicon le genti Questa molle avvilita esistenza, Che vi fiacca le forze e le menti, Che vi spoglia d' ogni alto sentir…. Sì—è letargo—ma pur non imploro Per destarci l'antico furore…. Non ci avvivi un atroce valore Che saria più del sonno fatal!!… (*) Episodio nella Vita di Giovanni Gherardi, scritto dall' Autrice per offrirlo in segno di amicizia e stima, al di lui Figlio Francesco Gherardi-Dragomanni. « Oh Gherardi pietade! » urla una Donna Anelante, scomposta il crin, le vesti, E spirante da'lumi alto terrore. — « Oh Gherardi pietà! vedi?… m'insegue Una turba feroce, e chiede il sangue Dell'uom che a me diede compagno Iddio — Egli ancor si nasconde, ancor lontano Stà da ferri omicidi, ed io tapina Presso a sbramar l'ira e il furor deluso Son di costoro—errante, fuggitiva Cercai rifugio—e fuor di me, nel tetto Mi ritrovo dell'uom che al mio consorte Bene a dritto potria chieder ragione Dell'odio che portogli, e non mertava… Ma tu se' generoso!—e gli alti spirti Volgi in prò di chi piange, e non opprimi Chi t'implora pentito—a te m'affido! » Fiso guatolla, e stupefatto il saggio Che in tranquillo ritiro, il burrascoso Volger d'un tempo, che fu grande e tristo, Aspettò che scorresse—A'piè si vede La moglie di colui che mille volte Codardo lo nomò, perchè lontano Da'tumulti si tenne e non prostrossi Al nome sol, qual se divino fosse, Del Capitan che libertà promise, Strappò pallidi Re da'Troni infranti, Calpestò le corone…. e poi grandino Di que' Troni si fece, e sulla fronte Posò l'insegna del poter supremo…. Che, meteora lucente, un vivo lume Sulla terra diffuse e poi si spense. — Sente in grave periglio il suo nemico Più feroce e più crudo, e si rammenta Che cento volte della stolta plebe L'ira contro gli mosse, e si sovviene Che silenzio pietoso a'feri oltraggi Solo oppose, o dispregio, ed a contesa Scender non volle e disputar qual fosse Più vero affetto del natìo terreno, Se quel, che invoca lo straniero e spera Che altrui lo tolga e non per se lo prenda, O quel, che esperto da' passati eventi. Vede in possa non sua, giogo novello. — Mira l'onda del Popol che si cangia Or che l' Idolo cadde, e morte grida Contro color che benedisse in pria — S'Ei vuol, può vendicarsi… oh qual parola Che il Cuor, Natura e Religion condanna! Cristo ci vuol Fratelli—Egli dal sommo Della croce insegnò, pace e perdono! Sorge deciso, e la tremante donna Riconforta e nasconde; indi lasciato Il securo soggiorno, in via si pone Per salvare il nemico—Ode le grida Di frenetica folla…. ode che impreca, E bestemmia, e minaccia, e come belva Uscita fuor della spelonca, infuria Sulle tracce d'un uomo!!… e forse ignora Perchè morto lo vuole, e qual delitto Sia quel per cui l'aborre, e qual fu il giorno In cui mertò la minacciata sorte. Egli s' affretta all' accennato asilo, Che più tal non saria certo fra poco, E con dolce sembiante all'infelice, Che nel vederlo abbrividì, la destra Porge, e parla parole di conforto. — « Vieni! securo alle mie case avrai Ricovero, e soccorso—a te la moglie Colà serbo, e vedrai che sol le mura Saran diverse dalla tua magione. » Stupì, pianse il meschino, e non credea Tanta virtude in un mortal; ma un raggio Di sincero candor tutto diffuse Il suo bel lume in quel sereno aspetto!… Fidando allor senza timor seguillo. — Giunse in porto felice—Oh buon Gherardi Gli salvasti la vita!!… odi!… non tace Però l'ira del Popolo muggente…. Vuol distrugger le mura, ove le pompe Spiegò de'suoi be' giorni il sciagurato Ch'or gli fugge di mano, e vuol satollo Almen con la rapina il suo furore. « Fuoco! Pietre! Martelli! al suol s'adegui La casa dell' infame!—a noi quell'oro Che in superbia lo pose—a noi che grama Meniam la vita, e più di lui mertiamo…. Morte all' amico de' Francesi! morte! » Empia plebe, e feroce! all'infelice Che mai l'offese, il bene avito or toglie!… Ma ragiona la plebe? ha cuore, o mente? Lo decidan gli eventi—Oh! chi si fida Nel suo sorriso, sull' abisso dorme…. — Vanne Gherardi!—la mission compisci Di pietade e perdon, che Dio t'inspira! — Fra gli ebri ancora e fra i malvagi un giusto, Forte e tranquillo, alto rispetto impone. — « Pace irritato Popolo! Pace di Cristo in nome! Figli d' Italia opprimere Vonno un Fratello!… Ahi come Non vi trattenne un fremito, Non ne sentiste orror? » « Tregua a' partiti—uccidersi Per lo straniero!! Oh stolti!!… Nemici sol, per scegliervi Diverso giogo!… e vòlti Sempre gli acciari Italici Degli Italiani al cor!! Tanta ignominia a' Posteri Dirà la storia—almeno Di tai delitti il cumulo Per voi non cresca! un freno Ponete all' ire! uniscavi Perdono ed amistà. — Pel Dio che disse « amatevi! » Pel vostro onor, v'invoco! Per insegnare a' pargoli Come si domi il fuoco Delle discordie, il misero Ritrovi in voi pietà! » « Non lo togliete a' palpiti D'una diletta sposa Non l'obbligate a correre La strada dolorosa Dell' uom, che errante e profugo Pensa al natio terren! « Gli chiederian » chi poseti Dal bel paese in bando? » laquo; laquo; Quei che con me vi nacquero…. » Oh fato miserando!! I figli Italia è solita Divellersi dal Sen. » Così parlava il Venerando—e chine Per lo rossore le proterve fronti, Non osaron que'crudi all'empio eccesso Porre un fine nefando—il fuoco, il ferro Cade a tutti di mano, e si dilegua La turba allor, qual spuma di Torrente Che scese al pian da dirupato Monte.

CARME

Un' Eco interminabile si è desta! — Ripercuote pe'Monti, e per le Valli — Percorre le città—giunge ne' Boschi — Commuove le Nazioni, e de' Monarchi Suona alle orecchie e ne scolora il volto. — Tutta Europa l'ascolta—Essa partiva Dal centro della Francia—Essa è la voce Del popolo guerriero che richiama L'Ombra del Grande, sull' amate sponde Della Senna famosa = Ei torna!! = Ei torna!! = Torna… un mucchio di polve… Ecco l'altero Che onnipossente si credè!—Venite Popoli disinlusi che vedeste Le speranze magnanime tradite Da Lui, ch'ebbe il destin chiuso nel pugno! Tutti venite a domandar ragione De' danni vostri, e delle vostre piaghe! — Passò quel tempo in cui l' altero Ciglio V'imponeva silenzio, o vi lanciava Col misterioso fascino fatale, Dietro il suo Carro a conquistarli Allori! — Passò quel tempo!… il Despota toccato Fu dal dito di Dio—cadde—nessuno Fuor che l'Eterno, abbatterlo poteva — Ma il folgor di Lassù, giunge le cime Più superbe, ed in Cenere le muta. Francia t'inoltra!—scoperchiata è l'Urna — Lo Spirito fremente che muoveva Quell'Ossa ignude sovra lei si libra…. Francia Ei t' ascolta! favellar gli puoi — Sorgi Italia dolente! al tuo Figliuolo Vien con le tue Gramaglie!… e tu Pollonia Non mancare al convegno!—e tu pur Spagna Tinta di sangue ti appresenta !… È giunta L'ora della Giustizia!—al Tribunale Incorrotto del Tempo Egli vien tratto, E invan co'raggi suoi Gloria lo cinge.

FRANCIA

Dov'è la mia Repubblica Compra col sangue mio? Che ne facesti? or io Conto ne chiedo a Te. Te l'affidai—su' Cardini Starsi doveva Eterna…. Dimmi, perchè governa Diversa Legge or quì?…

ITALIA

Figlio perchè sì misera Io mi ritrovo ancora? Eppur sperai, risorgere Tu mi facessi, allora Che sull' Alpino vertice Il Genio tuo salì!…

SPAGNA

Quando fremean l' orribili Gare di Padre e Figlio, Mi offristi il tuo consiglio E mi fidai di Te. — Potevi allor com' arbitro Far sacri i dritti miei…. Sola cagion tu siei Ch'oggi io mi squarcio il sen!!…

POLLONIA

Quando credei che a' Popoli Dar tu volessi aita Io t'invocai !… ma un Despota Toglie, non dà la vita…. Rendimi il sangue o Perfido Ch'io spesi invan per te !!…

EUROPA

Come fissa ne'raggi del Sole Stà l'ardente Aquilina Pupilla, Tale io stetti guardando la mole Degli eventi che nacquer da Te. — E sembrommi che un Era novella Mi apportasse diversi destini, Sì, che fatta più fresca e più bella Mi scordassi gli antichi dolor! — E ben posta la speme mi parve, Che nel giro de'secoli immenso, Così grande nessuno mi apparve Qual Tu fosti, o spavento de'Re! La tua mano possente scuoteva Fin dall'imo la base de'Troni — A'tuoi piedi i Monarchi eran proni E sovr essi ti ergevi signor…. Perchè dunque ricadder le sorti E l'antico mio Fato sopporto? Perchè, tutta coperta di morti Fu mia terra, e poi nulla fruttò?… Perchè Tu delle infrante corone Ti formasti magnifico serto — Perchè il Trono di Francia, deserto, Tu volesti orgoglioso salir…. — Và!… Meteora, o Cometa lucente, Risplendesti, ma lume sanguigno — E com'essa, apportasti alla gente Un influsso, che fausto non fu. — Il poter che l'Eterno ti diede In tuo prò solamente adoprasti! — Riposar nella Francia bramasti ?… Guarda intorno!!.. puoi queto dormir?..

Epistola

Grazie o Spirto cortese! a me giungeva Qual eco di divina arpa Febea, Armonioso e solenne, il dolce ritmo De' suonanti tuoi versi, e la tua lode M'inorgogliva l'anima, e le fibre Del mio cuor ricercava—oh! benedetto Chi non respinge all'imo il desioso Che salir tenta, ma pietoso invece Gli protende la destra e lo conforta Di parole animose!… Oh Montanari! Tu se'fra questi pochi, e generoso A calcar mi richiami il folgorante Sentier di gloria che gli antichi sommi Passeggiaron securi, e che Tu calchi…. Oh mi perdona! apprezzo io ben l'alloro Che in vetta del Parnaso si raccoglie — Chino lo sguardo innanzi al vivo lume Che irradia il volto venerato e bello Della Musa celeste, inspiratrice Degli Italici canti, e reverente Offro plauso sincero a chi d'appresso Segue i modelli del vetusto stile…. Pur sento in me che mutar via non posso! L' Aquila vigorosa affissa il Sole Con l'ardenti pupille e spiega il volo Sfidator delle Nubi—il Rosignolo, Scioglie il timido canto al mite raggio Della pallida Luna, e non s' attenta Volar lontano dalle verdi fronde — Anch'io canto fra l'ombre, e seguo i moti Dell' Anima sommessa alla Natura, Non all' Arte severa—a che legarmi Di stretti lacci? a che seguire altrui Se raggiunger nol posso? in vani sofrzi Logorarmi la mente, e scoraggiata Poi cadermi nel fango?… oh no! l'ebrezza Di un momento inspirato, il fremer santo Dell' Anima, che accesa, emana il soffio Caldo di un forte sentimento, il caro Palpito che si desta allor che innante Come Spirto evocato, il Tempo andato Ci si appresenta co'suoi fatti, o quello Che sarà, prende forma, oh no! non posso Immolare all'idea, che d'altre foggie Debbo vestirli fuor di quelle a cui Il mio dire avvezzossi—e chi prescrisse Le rigorose leggi? Iddio?—no certo — Egli del bello variò l'aspetto In mille guise, e lo locò su i Monti Inaccessi e nevosi—e nelle Valli Odorose di fiori—e fra i Dirupi Dai torrenti percossi—e nelle Grotte — E nel Cielo stellato—e nell'ondosa Immensità dell' Oceano—in fondo Al Polo tenebroso ove di gelo Eterna crosta Terra e Mar circonda — Nell'altro, dove le cocenti sabbie Struggono il seme d'ogni frutto—in seno Della vergine Rosa, e dentro i raggi Del Sole sfavillante—in fronte all'Uomo — Sull'ali dell'Insetto…. Or s' Egli diede Come luce refratta in Diamante, Vario colore e varie fogge al bello Onde composto è l' Universo, a noi Dirsi dovrà ch'una è la legge, immota, Per cui Arte ritrae vita e splendore? « Perchè sui campi ove trovò l'armento Del felice vicino un largo pasco Il tuo non spingi? » Oh mel dimandi? l'erba Che più tenera e fresca ivi nascea Diè nutrimento a lui—per noi rimane Disseccato terreno, e ben si chiami Venturoso l'Agnel che vi ritrovi Erboso greppo!—in men succosi campi Io guiderò le Pecorelle mie — Ma cibo almeno troveranno!—e s'anco Il vello non avran lucido e molle Onde s'intessa dei potenti il manto, Avranlo adatto a popolari gonne Ed a vesti plebec, sì che dal freddo I miseri riscaldi, e da qualcuno Benedetto rimanga…. oh tanto franco Parlar non ti corrucci, eccelso amico!… È libero il pensiero—Ah! tu che siei Grande pe'merti d'un sublime ingegno E per ciò che fa divo un cor bennato, Tu mi comprendi, e mi perdoni!… oh fosse Dato all' umana volontà dell'ore Più soavi e più care avere il ferno, E richiamar le fuggitive, o farle Portatrici d' eventi a noi graditi!… Oh! se potessi richiamar quell'una In cui ti vidi im mia magione, allato Della donna gentil che di Fiorenza(*) L'esimia poetessa Massimina Fantastici—Rosellini. Forma l' onore e la delizia, e mostra Quanto in alto il saper Donna può trarre! Oh lo potessi! al par di me lo brama La diletta che il ciel Marde ed amica Mi donava benigno, e ch'io vorrei Somigliar tutta, e farmene poi vanto — Ma forse i voti non cadran!… vedrassi Giungere un altro fortunato giorno! — Intanto a Te, pace e salute invio!

FANTASIA

Eccolo il maledetto!—esce l'infame Dalla scura prigione u'l' empia colpa Pagò con lieve, e non condegna pena — L'assolveron le leggi—che pietose Per la tenera età, piecoli falli Sol pensarono in quella, e di Natura A vendicare il più tremendo oltraggio Impossenti or si furo, e sbigottite. Ma segnollo l' Eterno, e nella vita Gli presenta il supplizio—Egli lo lancia Nel vortice del mondo, e non gli dona Terra, nè tetto, ove trovar riposo. Fugge la gente inorridita, e grida All'appressar dell' aborrito aspetto, « Il Parricida! Il Parricida! » e tosto Solo riman dove fur molti in pria. — Serra ogni Madre il pargoletto al seno, E lo trafuga dall'orrendo incontro Onde non beva nell'iniquo sguardo I pensieri nefandi e maledetti. — Scorre un brivido al cor d'ogni Marito Che il casto amplesso della dolce Moglie, Gli balena alla mente, esser potria Fecondo ahimè di scellerata prole! — Il Padre che blandia di cari vezzi Il suo Nato diletto, a quella vista Sente un crudo ribrezzo, e cerca ansioso Sulla fronte del figlio e nelle luci, Se candida, o feroce alma vi appare. Disperati Parenti imprecan l'ora Ch'ei di lor stirpe nacque, e mutar nome Vorriano, e suolo, e cancellar l'impronta Che gli copre d'infamia, e di dolore! — Ma nol potendo, almen l'abominato Han scacciato, e reietto…. onde ei non spera Più sulla terra una parola amica. — Errante, vagabondo, ivan dell'ozio Fuggir vorrà la sconsolata noia, Che niun consorte all'onorata pena De lavoro lo accetta, e ognun rifugge Fin dall' idea di accorre opra, a fatica Di mani parricide.—Il compro vitto Ripugnante gli getta e inorridito, Il Venditor, ne guarda la mercede Che a lui porgeva l'esecrata destra. — Cerca invano un amplesso, e della donna La soave pietà per lui stà muta — Fin la più vile lo rigetta, irata, Tutta tremante per orrore, ed empia Chiamando sè, se un bacio gli vendesse!… « Altre terre, altri mari, ed altro cielo Che ignorin la mia colpa, e d' un sorriso Mi si allegri la vita disperata! » Esclama, oppresso da doglia rabbiosa. Fuggir l'angoscie della sua coscienza Il ribaldo presume—ma lo giunge In ogni spiaggia più lontana Iddio E il suggello de' reprobi gli pone. Uno sgomento indefinito in core Sorge all'ignoto che per via l' incontra: « Certo lo giunse dell' Eterno l'ira » Dice, sdegnando di toccarlo, e passa. « Ma, celato è il delitto!… » Egli non pensa Che Dio può farne delatore il sonno. Giace e dorme affannoso—ecco davante Gli si para un Canuto—il noto accento Ode, che dolce gli si volse al primo Suo venirne alla vita, e che sovente Udir si fea per benedirlo…. Ah! vuoto Cadde del Padre sventurato il prego!… Ora susurra un gemito sommesso — Gli s'appressa, e non stampa orma sul piano — Fermi ha gli occhi incavati, e tremolante Incerta come nebbia, è la persona — Parla, e le labbra pallide non muove, Strette fra loro in spaventoso modo — Poscia senza romor percuote in fronte La vuota destra che fiacca s'inalza, Mentre con l'altra gli comprime il cuore Con terribile forza.—Urla, e perdono Invoca il figlio maledetto!… e intanto Svela il delitto all' ospite atterrito. — « Fuori, fuor del mio tetto o scellerato, Abominio degli uomini e di Dio! — Inabissar potrebbe, or che raccoglie Un parricida che l'inferno aspetta! » Fugge… e dovunque un nuovo strazio incontra. Morir decide—che nel mondo omai Più non gli è dato di cercar conforto. Pronto è il ferro omicida…. oh! gli vacilla La man che seppe trucidare il Padre!!… Pur si decide.—Ma…. cupa una voce Par che oscilli nell' aria, e ripercossa Dagli orecchi nel cor, cosi gli grìda — « Stolto morrai, ma eternità ti aspetta! » Con luci travolte, con labbra spumanti, Con tutte le fibre convulse, tremanti, Bagnate le chiome di freddo sudore, In preda all'angosce d'un muto terrore Contempla la morte che sopra gli stà. — Vorrebbe il coltello ritorsi daì petto, Fuggir del sepolcro l'orribile aspetto…. Nel nulla sperava!!… con empio deliro Si tolse alla vita… ma l' ultimo spiro Discioglie quel velo, che cieco lo fa. Sull' orlo all'abisso si sente perduto — Paventa lo sdegno di un Ente temuto…. Gli sorge alla mente pensier di preghiera, Ma il labbro pronunzia bestemmia sì fiera Che agli Angeli in Cielo fa gli occhi velar! Nel fischio dei venti, nell'eco lontano, Ascolta uno scroscio di riso profano…. È riso d'inferno che aspetta il dannato! — Che mentre l'attende qual bracco all'aguato, Gl'introna l'orecchie con sordo mugghiar. — Gli sembra che il turbo lo avvolga, e trascini… Invoca un pietoso che a terra si chini Per torlo all'ambascia di un letto di spine! — Nessun gli risponde—vicino al suo fine Gli manca il conforto del Mondo, e del Ciel. Travede uno Spettro, che in suono di pianto Gli grida « Figliuolo vuò starti d'accanto!… Fui teco alla culla…. son teco alla fossa…. » Raccoglie quel tristo l'estrema sua possa — Impreca!!… poi cade di morte nel gel.

FANTASIA

Giace il corpo di Vergine Sposa Bianco bianco, sù funebre letto, Pari a donna, che stanca riposa Nella gioia d' un sogno d' amor. — Le rimase cercando la vita Sopra il labbro l' estremo sorriso, Ed impresso sul pallido viso Il sereno d'un casto desir. — Bipartito, ricinto di fiori Scende il crìn mollemente sul seno, E del petto i purissimi avorj Par che lievi sollevino il vel. Presso il letto, negli occhi smarrito, Pur da un dolce delirio beato, Stà Colui, che del bene sperato Vide or dianzi fin l' ombra sparir. Oh si taccia d' ognuno il lamento! Non si renda l'afflitto a se stesso! — Ei s'illude—all'atroce tormento Ricondurlo saria crudeltà. « Ella dorme—silenzio! tacete! Non destate la cara giacente!… Se tranquilla dal sonno risente Più leggiadra, più fresca sarà. — Oh mio primo soave sospiro! Sei pur cara in quel dolce abbandono! Sembri un Angel che il placido spiro Sparga intorno dell'aura del Ciel. Sei pur bella! la svelta persona Già ti adornan di sposa le vesti…. Dormi, dormi! ma quando ti desti Il tuo fido abbracciarti potrà. I tuoi lumi, cercando l'amico S'apriranno brillanti di amore, Ma temprati dal raggio pudico Che li veste d'un santo splendor — Mia diletta! svegliata ti bramo, Bramo il riso che l' alma mi bea E l' accento che dianzi scorrea Dolce e puro qual suono lontan. — Pur mi taccio bellissima Rina E non oso dal sonno destarti, Tì riguardo qual cosa divina, E raffreno quest' ansie del cor. Dormi, dormi delizia mia cara! — Poi più vaga seguirmi potrai, E la gemma che darti giurai Tì porrò nella candida man—… » Ecco egli tace… un brivido l' assale Qual se il folgor di Dio presso gli piombi. S'ode un canto di morte, e lento lento Più s'appressa distinto—Oh l'alme scuote Con arcano ribrezzo un romor misto Di preghiere e di pianto, un brulichio Pari al stormir delle agitate frondi Quando forier della tempesta, il vento Roco sibila, e freme!…—ecco la porta Spalancarsi repente—in lunga fila Splendon pallide faci, e in sacra veste Uom di Dio s'avvicina al freddo letto. Che rivolge in pensiero ora il dolente? Muto, col dito sulle labbra accenna Che silenzio si faccia, e d'una mano Para di Rina agli occhi il vivo lume: « Forse la pompa di mie nozze è questa? Oh!! qui si dèe celebrar l'alto rito? E Rina dorme!! e di sonno profondo! — Non destiamola ancora!… ella era stanca E fra mie braccia s'addormi poc'anzi — Indietro amici!—ella riposi ancora!… » Ma, i pietosi vicini il derelitto Tentan strappar dal lacrimato letto — Egli attento li mira—i Sacerdoti Toccan requie pregando il morto corpo. — Oh perchè torre il mesto al suo delirio? Concedete un istante!—è troppo crudo Renderlo alla ragione, e al suo dolore! Dio! qual urlo straziante! egli in sè torna: Rina! Rina! sei morta!! e voi spietai Le reliquie di Lei perchè rapite Al disperato affetto che m'uccide? Ch'io la veda pur anco, e i freddi labbri Le riscaldi co' baci e col mio fiato! — Non vederla più mai! non più bearmi Su quel volto divino ancorchè morto! Oh Segato, Segato! oh tu che puoi Con prodigio novello all' empia morte Tòr parte dei suoi dritti a me conserva, La salma di Colei che mi amò tanto! Il sublime tuo Genio almen mi renda Men funesta la vita, e possa ancora Tua mercè rimirarla!—in Te d'un Nume Adorerò la possa, e la pietade! » « Privo del fiato, immobile, Pur mi sei caro ancora Sen, che chiudesti i palpiti D'un cor che all' ultim' ora Pianse di vita il termine Sol perchè me lasciò! Mosso al mio duolo orribile Mi ti serbò Segato, Che intero il corpo esanime A me contese un fato, Che alfin di tutti al fremito Forse cangiar vedrò. Bello, ricolmo e candido, Sembra che ancor tu spiri — Parmi vederti sorgere Rigonfio dai sospiri Che accanto a me fuggivanti D' amor nei dolci dì. Cara Reliquia! io serboti Per illusion gradita, Finchè con Rina un cantico Nella seconda vita, Possa a quel Grande sciogliere Che a' vermi ti rapì.»

CARME

Truce la morte in suo furor gridava: = Parte de' miei trionfi a me rapisci Segato, tu, che il mio poter dispregi. — Tu vuoi tormi le salme, ed il mio trono Sopra l' ossa fondato e sulla polve, Render meno funesto, e men temuto — Cadi dunque tu pria!—prova la possa Della morte che insulti, e l'ora estrema Ti raggiunga più cruda or che t' aspetti I giorni della gloria. Or và, perisci Tu che per onta mia la creta eterni! = Cadde Segato—e mesta la Natura D'atre nubi velò la faccia al Cielo. Solo un pensiero, un sol dolor fè muto Il popolo di Flora—alto un lamento Levar gli amici derelitti, e parve Che perdesse con lui ciascun se stesso. — Ahi lassi! ahi troppo dolorosa vista! Chiusi gli Occhi raggianti, ove splendea Viva la luce del genio Divino! Chiuse le Labbra che s'aprian sovente D' amistade al sorriso, e fean palesi I dolcissimi affetti e gli alti sensi! Fredda, immota la Man che oprò portenti! Fredda la Fronte che racchiuse il sommo Ammirabil segreto, onde Ei fu grande! Spento il bel Corpo che sfidò securo I perigli dell' onde e dei deserti, I disagi dell' Affrica selvaggia, E l' aer rinchiuso dell'Egizie tombe! Fermo, immoto per sempre…. e dell'Italia Il gemito profondo, ahimè non sente! Oh! miei Compagni di dolor tacete! — Pianger Lui non si de', che di riposo Cercato invan trovò la mèta alfine, E la trovava in più sublime loco, Che non è questa Terra, e ben più degna Dell'eccelso suo Spirto!—a noi conviene Pianger di noi che lo perdemmo, e invano Un secondo cerchiam che ci consoli!… O Pietosi che l' ultima partita Gli rendeste men dura, e come figli Circondaste il suo letto di dolore, Lo portaste alla Tomba, e benedetti Foste dai mille, e invidiati, unite Meco la voce ad intuonargli un Inno! Slave o sublime Spirito Che tanto ergesti il volo! A Te si volgon l' anime Di Lor, che in crudo duolo Mesti lasciasti a piangere Il tuo perduto fral. — A Te, cui già circondano Raggi d' eterna gloria — Cui de' trascorsi spasimi Disparve la memoria, E godi alfin d' un giubbilo Che non sarà mortal! Come in ristretto limite Tenta varcar la sponda, Fiume, che in gonfi vortici Alza fremendo l' onda, Tal ti lanciavi indomito Dal tuo corporeo vel. — Ansio mirasti ad opere Fuor dell' uman costume — Giungesti alfine a compiere Prodigi al par d'un Nume…. Ma, il mondo a Te fu carcere E ti rivolle il ciel! Teco in eterno sparveci Del tuo segreto il frutto — Teco il portasti, e, miseri! Per raddoppiarci il lutto, Noi non potemmo in lapide Il corpo tuo cangiar. Giace sotterra, e polvere Torna la man che ardita Cangiava in pietra i luridi Resti dell' Uomo, e a vita Quasi parea risorgerli Il tempo a disfidar. Ma se tua spoglia esanime, Invan sperammo eterana, Se non è il Fral lapideo, Dalla magion superna Gioisci!—avrà marmoreo Tuo Nome il sovvenir! — Sopra gli spenti secoli Ei passerà securo — Ognor più grande ergendosi Non temerà il futuro…. Sacro, nel cuor dei posteri Non lo vedrai perir.

Per l'Anno Trentesimosesto
DEL SECOLO DECIMONONO

Angeli puri, che l' azzurra volta Sostenete con l' ali, e al divo scanno Fate puntello con le bianche spalle, O col canto che i Santi accende e bea Lodate ciò, che d'ogni lode è sopra, Voi presso il Nume interpreti pietosi Siate d'un giusto mio desire ardente! — Per me non pergo, che inutil m'estimo, E d'ogni bene mi conosco indegna — Pergo per Lui, che nel suo amor, Natura Mi donava per Padre, e per Colci, Che con pari pietà Madre mi dava — Or, che l' Anno ricorre il fisso giro, Rinnovello i miei voti, e il cor gli slancia Fuor del suo centro con ansia di speme, E tolga il Ciel ch'essa delusa cada! Voi gli udite dall' alto Angeli eletti, Gli accogliete cortesi, e fatti degni Dell' orecchio di Dio sien per il vostro Parlar divino, e per il fiato ond' esce L'aura gentil che infiora il Paradiso. Come corso di chiaro ruscello Non turbato da sasso nè gel Come luce di Luna tranquilla Che inargenta l' azzurro del Ciel, Come raggio di vivido Sole Cui la nube offuscare non può, Sorga un giro di tempo beato Per chi vita e ogni ben mi donò! Se col giorno mutossi anche l'Anno, Deh! non cangi la Sorte per Lor, Ma più bella con l'Anno che nasce Sembri un riso che annunci l'amor! Pari all'Eden de' nostri maggiori Sia pur Essi del Mondo il sentier, Nè il Serpente si asconda fra l'erbe Di sventure, e di morte forier!

PER L' ANNO MDCCCXXXVII

Oh beati celesti soggiorni, Oh delizie dell' Eden divino, Un reflesso vibrate, che adorni De' miei CARI il terreno sentier! — Li blandisca con mistica calma, Li carezzi d'un senso d' amore, Abbellisca d'un grato splendore, Ogni dì che per loro verrà! Come a'Santi una gioja infondete Che s'accresce, si cangia, e non passa, Tale ad essi in quel raggio porgete Una gioja che in Terra non è! — Anzi tempo permetta l' Eterno Ch'essi gustin contenti di Cielo! Di mortale, sol abbiano il velo, Che mortali a'miei sguardi gli fà! —

PER L' ANNO MDCCCXXXVIII

Potenze del Cielo, Cherubi fiammanti, Purissime schiere di Vergini e Santi, Pregate l'Eterno, che in soglio lucente Ascolta le preci d'un voto innocente, Pregate, pe' CARI che vita mi dier! — Voi tutti sapete qual brama m' accende, Qual tema la vita men lieta mi rende, Qual speme compiuta può farmi beata, Qual ansia mi preme, qual cura indomata Mi vegli nell' alma, mi turbi il pensier — Al tocco dell'Arpe sposate gli accenti Or dunque Celesti!—co' dolci concenti Rendete più grata la prece mortale Che al Sommo cospetto, per Essi, ne sale, Che d'uopo ha d' aita per farsi ascoltar! Dell' Anno che sorge contati gli istanti, E a ognuno, o Cherubi, o Vergini, o Santi, Pregate l'Eterno che unisca un diletto Di dolce letizia, di calma, d' affetto, Di ciò che più bello la vita può dar!

PER L' ANNO MDCCCXXXIX

Come Ciel stellato e puro, Come Luna senza velo, Splenda a Te Padre diletto Benedetto questo DÌ, Che primier dall' anno uscì! — Come fior che nasce al raggio D'un bel sol di Primavera, Rida o Madre a te foriero Di salute questo DÌ, Che primier dall'anno uscì! — Pegno sia di lungo giro Non turbato da dolore, Sì ch'io dica = fù presagio Di contento quel bel DÌ Che primier dall'anno uscì! = Corra lieto, e non si muti L' Anno o Dio, che sorge adesso! Fammi pago questo voto! Fa'ch'io dica—egli morì Bello al par del primo DÌ.

PER L' ANNO MDCCCXL

Grazie Signor de' Mondi! L' Anno, con ier passò — Lo intorbidar le nuvole, Ma il Nembo non scoppiò — Nè sorge un altro—Oh sia Bello al suo primo albor, Lieto nel suo viggio Tranquillo allor che muor! — A chi la vita io deggio Tale lo invoco oh Sir! Per essi al tuo cospetto S' inalza il mio sospir — Nulla per me ti chiedo Poichè racchiudo in Lor, Vita, delizie, orgoglio Gaudi d' immenso amor!

PER L' ANNO MDCCCXLI

L'ultimo raggio del morente giorno Cade, e sorgon le stelle—una profonda Quiête, copre il Creato—a mezzanotte Pochi istanti…. e quest'Anno avrà sua fine. — Ecco… l' ora scoccò—par, che una santa Mestizia di Natura un vel distenda Sopra l'immenso abisso ov' Ei discende — Abisso senza nome, e senza fondo Ove l'Eternitade il Tempo inghiotte. Pianto, riso, dolor, gaudi, spaventi Che gli deste movenza, una memoria Diveniste, e null'altro!…—Ora s'imbianca L'Orizzonte—Si schiude un altro Ludo. — Fisso, nell'avvenir dirigo il guardo…. Ma fitta nebbia all' intelletto umano Nasconde i fatti che saranno—Oh! prego, Sien fausti ai Padri miei! mandi l'Eterno Sù me dolor qual vuole…. uno ne eccetto! Quello che Lor percuoterebbe—ogn'altro Lieve mi fora—imperturbata io scendo Fin nella fossa, ove però sia certa Ch'Essi sopra vi preghino—salendo Dove il tempo non muta, io porgerei Ancor per essi un voto…. Oh!… sopra i colli Dardeggia il Sole i raggi suoi!… già nato Anno novel se'tu, limpido e bello!… Per chi vita mi diè l'augurio io prendo!

CARME

Riso del Cielo t' accompagni all' Ara Dolce Sorella, e ti baleni in fronte Raggio pudico d' innocente amore! — Vanne! — e l'incerto piè ti rassecuri Lo sguardo di Colui che tuo diviene. — Dio t'ha guidata nel difficil passo, E nell'Uom del tuo cor pose ogni pregio Perchè lieta tu fossi e fortunata. — Benedetta da Lor che ti dier vita Che temer tu non hai! — quella parola Che dal fondo del core ad Essi usciva, L'accoglieva sull'ali un Cherubino E al Possente-Pietoso la recava. Sacro è il voto dei Padri, e Dio l'ascolta. Se anch'io ti brami avventurosa il sai! Nate da un sangue istesso, insiem cresciute, Non avemmo giammai che un sol pensiero — Fummo insieme felici, e insieme ancora Qualche volta si pianse — un letto istesso Ci raccolse indivise entro la casta Tranquilla stanza dei nostri riposi, E ognor vivemmo in santo nodo strette Di verace e dolcissima amistade. — Ora sola mi resto!!… e turba il pianto Questi momenti in cui gioir vorrei. — Tornanmi in mente quei beati giorni Che fuggiron per sempre, e volge il core Quasi uno sdegno a Lui che mi ti toglie…. Ma no! — lieta ti faccia e gli perdono. E tu Diletta mia che incontro muovi A una vita novella, in cui ti bramo Felice sì, che ti sembri la Terra Paradiso Celeste, a me conserva L'amica in Te che mi donò Natura! — Non obliarmi, e ti ritorni in mente Grato il pensier degli anni tuoi primieri!
Nel seno materno Riposa cor mio! — Ti salvi di Dio La somma pietà! — La Vergin ti guardi Membrandosi il figlio, E piova dal ciglio Benigno fulgor! — Ti cuoprin con l'ali Li Spirti celesti Di cui tu rivesti L'imago quaggiù! — Nel grembo materno Bell' Angel riposa, Qual boccio di rosa Cui l'aura cullò!… Oh dormi leggiadro Bambino diletto! Vicina al tuo letto Vegliando starò. — Poi, quando ti desti, Baciarti prometto E porgerti il petto Ricolmo d'umor. Cino!… Fratello mio!… quanta delizia Immensamente cara, il dolce suono Di un tal nome mi apporta! Eco mi sembra D'angelica armonia, sì, che divina Per me si chiude in così breve accento Un arcana possanza — io benedico Tutto che da te vienmi, e fo mio vanto Di ciò che è tuo! — fin dai prim'anni insieme Ci guidò la bennata alma Materna Su nobile cammino, e bello esempio Di virtudi Paterne a noi fu norma — Però, conosco le più interne fibre Del tuo cor generoso — apprezzo il vivo Lume della tua mente — e so fin dove Giunger potrà la vigorìa dell'alma Che impenni a volo ardimentoso, e lanci Quasi freccia alla mèta, incontro al vasto Campo di gloria, che Poesia ritrova Nello scenico ludo e desiosa Schiude a color, che sentono nell'imo Petto l'amor del vero, e sanno altrui Disvelar le passioni e le sventure Degli uomini e de'tempi, onde il presente Nel passato si specchi e si conosca. Oh non si fiacchi sotto il crudo morso Dell'invido maligno il tuo coraggio!… Non ti arretrar sulla spinosa via!… Sfida, affronta, combatti, inoltra, e vìnci. Io ti guardo da lunge, e la mia voce Nell'ora del periglio e del cimento, Come squilla di guerra, animatrice Si alzerà rimbombando, onde ti giunga Incitante all' onore, e ti rammenti I vanti della Patria, e il sacro dritto Che tien su i figli, onde voler che almeno Aggiungan nuovo lume al di Lei serto Bello per l' Arti e per il Genio, or ch'Ella Scordato il Brando e la Lorica, il braccio Di Lor non chiede, nè il bollente sangue Per farne schermo alla straniera possa. Oh Fratello! l'aperta tua fronte È tesoro d'eccelsi pensieri!… Io la bacio — vi scorgo l'impronte Che l'Italico fuoco segnò — Il balen delle brune pupille, L'eloquente mestissimo riso, Il color delle chiome e del viso, Ti palesan d'Italia figliuol. — Non smentirli!! alla bella persona Fa che l'alma armonizzi, e risponda! — Il peccato che Dio non perdona È lo spregio dei doni ch'Ei fa…. Ma che? forse di dubbi è stagione?… Tu varcasti animoso le soglie(*) Si allude a'di lui componimenti lirici = Il Filippo, e la Ginevra Almieri = alle di lui Tragedie = Costanza d' Aragona = il Pirata = e ai di lui Drammi = li Orfani in casa altrui e Gaspara Stampa. = Va' securo! — la messe raccoglie L' indefesso Cultore del suol. Cara come il sospir del primo amore Vientene o desiata! a Te le braccia Vedi, protendo — e benedico il giorno In che s' accese nel tuo dolce lume La schiva fino allora alma fraterna! — T'ama Egli, sì, che un impossibil cosa È il vederti o Gentile, e non amarti! — Poni in le soglie Maritali il piede! — Com' Angelo aspettato a noi t'appressa! Diffondi intorno la letizia! un raggio Di divina beltà t' orna la fronte, E suffusa le guance dilicate Di pudico rossor, sembri uno Spirto Disceso in Terra dai lucenti giri Si, che beato diverrà quel loco In cui tu poni il tuo soggiorno. — Oh senti?… Par che un Olezzo intorno a te si emani — Par, che tutto d'incontro a te sorrida — Par, che un arcana voluttà blandisca Chi ti contempla. — Ti carezza il crine, Morbido e biondo, volentier l' auretta, E da begli occhi tuoi piove una santa Dolcezza, che a pensier chiama del Cielo — Par che sul labbro tumido e vermiglio Debba suonar l' Angelica favella!… E bene a tanta venustà, risponde Con perfetta armonia l' anima onesta. Vieni! — t'affretta! io vo'gustar l'ebbrezza Di stringerti Sorella al seno amico — Vuo darti il bacio che suggelli il dolce Legame che per sempre a te mi stringe — Vuo rimertarti con fraterno amore De'lieti dì che a Cino mio prometti — Vuo presentarmi a' teneri Parenti Vicina a Te dicendo = Ecco la Donna Del Figliuol vostro! — ecco la nuova Figlia Che Dio vi manda, onde si unisca in gara Con I' altre vostre a tributarvi affetti, E a farvi scopo d'ogni dolce cura! — D'Enrichetta, d'Amalia, e d'Isabella Indistinto per voi risuoni il nome, E su' quattro figliuoli or benedite!!… Non t' arrestar!… nè ti ritragga indietro Dolor pe'tuoi. — Non si discioglie il sacro Legame di Natura. — Essi felici Son nel vederti fortunata e lieta. — Nè ti sembri divisa esser da loro! — Varca ogni Spazio l'anima — potrai Con l'ala infatigata del pensiero Giunger dov'Essi stanno, e come un'eco Ripeter con la mente i loro accenti, I lor consigli, e rimembra l'istante Quando le palme sulla china testa Ti pose il Genitor, tutte invocando Le potenze del cielo a te propizie!… Vieni! — e serena di perfetta calma T'irradi il volto dell'amor la gioja. Fior delicato e candido, Ti sia benigno il Sole! — Ti baci un dolce Zeffiro! — Bagnin le verdi ajuole U' fiorirai, le tepide Stille d'azzurro ciel! Gemma preziosa e lucida, Brilla di vivo lume! Nulla t' offuschi… e a limpida Perla, alle salse spume Tolta di poco, uguaglisi La casta tua beltà! — Pura Colomba, al placido Rezzo de'bei mirteti Componi il nido — e, tenera, I rai del giorno, i cheti Stellati ciel ti mirino Sempre col tuo Fedel! — Presto ti scuota il palpito Del più sublime affetto! Vagheggia i figli, e coprili Col tuo Materno petto…. In lor trasfusa, l' anima Vita più bella avrà! Geni diversi impressero In questo libro il nome — Palesator dell' anima Un lor pensiero — e come Specchio ritrae l' immagine Ei lo reflette a Te. — Prendi Enrichetta! offrirtelo Volli d'affetto in pegno — Pel tuo gentile spirito Parvemi il don più degno…. Serbalo ognor. — Svolgendolo Ricordati di me!

CARME

Oh poeta del duol! — sulla tua fronte Stassi un impronta che per tempo omai Cancellarsi non puote — io mi ti inchino E ti applaudo, e t' onoro! Ah sì! scegliesti La via che i tempi ti segnar — prosegui! A ogni passo, una tomba — in ogni tomba Stà racchiuso un Eroe — schiudi quell'urne, Rimescola la polve!… e frà quell' ossa Poni la man! — con la magia del canto Impolpale, riscaldale! — lo spiro De' Vati è forte — muoveransi al soffio Di tue parole quelli Spettri, e spinti Dall' aura misteriosa, in ogni lato D' Italia nostra appariran sublimi Come nell' ora in cui vivean. — Rampogna Saranno ai vivi, e il balenar degl' occhi Incavati, ma lucidi e raggianti Come lume d' ignivoma cometa, Riaccenderà negli infiacchiti petti L' antica vampa dell'onore estinto! Veggo or Stamura con le chiome sciolte(*) Si allude alle Cantiche storiche scritte da Gabardi. Rediviva appressarsi — Ella le palme Che serrano la face e il brando acuto, Scuote su' rai dell' Italiane donne — Ha nudo il petto, e il latte ne distilla Che donò per la Patria, e tolse al figlio! — L' ombra onorata di Manfredo, e quella Del Frate di Vicenza, ecco pur scerno!… E Gozzadin si avanza!… Itali figli Gli udite voi? con la tuonate voce V' incitano alla Gloria!… or via Gabardi! Schiudi altri avelli, e nuovi spettri evoca! — Non stanchezza ti tenga e non paura! Franco t' inoltra e sui sepolcri appoggia Le carte ove tu scrivi? Io pur la strada Tua stessa calco, e benchè donna ardisco, Volgermi addietro e ridestare un eco Delle Etadi che furo — io pur la destra Stendo a cercar le ceneri de' prodi — Le ritrovo — le lancio — e sù vi soffio… Forse il debile fiato informi larve Solo produce!… ma col nome in fronte Ch'ebbero già, si mostrano alla gente…. E basta allor perchè ogni schivo petto Palpiti, e senta la virtù de' Padri. Ver'te Gabardi un alito Spingo dal cor…. lo senti? Come fiammella vivida Striscia sull' ali ai venti — Giunge — ti lambe in fronte Poi ti si asconde in sen. — Egli è il sospir dell' anima Ch'io ti ricambio — eletto Con altri pochi, appressati!… Piena di santo affetto T' apre le braccia un Itala E suora a te divien!
(*) Scritto a richiesta del Segretario dell' Accademia Tiberina-Toscana. Mugghia il Tevere irato — in le Convalli Sparge le turgid' Onde — in suo furore Sterpa, trascina, inonda, annienta e strugge Le messi, i frutti, le capanne, i greggi — Par, lo sdegno di Dio si rinnovelli!… Fugge l' Agricoltor, privo di tetto, Molle di pianto l' abbronzata guancia. Seguonlo i figli derelitti, e quella Che divide con lui fatiche e stenti. — Salgono all'alto, e sull'orribil piena Gittan lo sguardo inorridito…. un lungo Sguardo, che svela l' agonia dell' alma. — Ove surse lor casa, ove nascea La spiga benedetta, ove la vite Spiegava il verde de'ridenti tralci, Ove l' Agna pascea, dove la testa Piegava al giogo il Toro mansuefatto Lavoratore delle pingui zolle, Dove cadde il sudor della lor fronte, Dove il premio sperar di lor fatiche, Largo, profondo, un lago si presenta… Acqua dovunque, Acqua che tutto asconde!… Muti stan lunga pezza — È nel dolore Talvolta un senso di sì atroce calma Che par dell' alma affievolir l'impero. — Ma, si scuote la Moglie, e grida: — « Iddio Perchè non spetra il cuor di questi crudi, Che tanti danni riparar potrièno! Per noi misera gente, in sen non cape A que' superbi doviziosi, alcuna Pietade o cura! — Riparati e chiusi Ridon della bufera, e quando scende L' acqua dal cielo ad ingrossar quest' onde, Non pensan no, che l'ultimo esterminio Minaccia ai mille, che all'infide ripe Si trovano d'appresso! — il largo censo Lor promette un riparo ad ogni danno, Che sù questi terreni accader possa. — Trovano altrove, ciò che lor quì manca — Ma noi, miseri e grami abbiam quì tutto… Onde tutto si perde! Alla Natura Che feconda saria, portano oltraggio Lasciandola negletta ed indomata. — Perchè non schiudon l' Arche ove nascoso Stà l' aurato metallo! Argini chiede Questa sponda fatale — argini dunque S' alzin superbi, a rintuzzar l' orgoglio Del Tevere irrompente! » — « È ver, risponde Mestamente il Marito, alla miseria Nostra, uno schermo dar potrien coloro — Che, le ricchezze ad essi il Ciel non diede Perchè in lor prò, tutte le versin sempre… Parte è per noi! — depositari sono Dei Tesori, non donni — Iddio lor conto Chiede dappoi del mal compito uficio — Simile all' Ocean che per segrete Vie dispensa il suo carco, e l' alimento Porge ai fiumi lontani onde mai privi Non rimanghin d' umore, il ricco deve Spander ciò che gli avanza, e di soccorso Esser largo a chi soffre, onde penuria Non sia là dove ei può recar fortuna. » Padre, esclama il Figliol d' età maggiore, Qui perirem noi dunque?… or vedi il fiume Come irato gorgoglia!… e morir dèssi Nel vigor della vita?… a noi simili Mira quanti tapini! Oh se il lavoro Dato ci fosse, saprem noi ben come Con l' onesto sudor si terga il pianto!… Oh quante braccia, che l'inopia rende Fiacche, impotenti, avrien muscoli e forza Per compir l' opra che salvar ci debbe! Nulla chiediam dai ricchi, che l'argento Per comprarci la vita! a noi l'enormi Fatiche, a noi, d' alzar ripari e schermi!… Con lieti canti, e con sereni volti Sopportarle sapremo — e quando sorga L' ora che apporti il desiato frutto Benedirem chi ci recò soccorso!… » Come l' Eco dei monti in largo spazio Ripetuta e percossa, in cento suoni Uno solo converte, al par gli accenti Della famiglia sconsolata in giro, Son ripetuti dai vicini afflitti… — La gran voce del Popolo si leva Pari a romba vulcanica, tremenda…. Guai tre volte a colui che la disprezza!!! (*) Scritto a richiesta del chiarissìmo Prof. Ignazio Montanari.

Dir parea s'apre il cielo, io vado in pace
TASSO Ger. C. XI

« Pianger di che! se libera D' ogni terrena ambascia Scioglie quest' alma a lucide Sedi il suo volo, e lascia Qual prigionera, il carcere, In cui finor languì? No mo diletto! — appressati…. Non lamentar mia sorte — Vissi felice!!… oh baciamio!… Senti? nel gel di morte Non si raffredda l'alito Che dal mio seno uscì. — Caldo rimane… emanasi Da quel sublime spiro Che non si spenge — un limite Tra noi frapposto io miro…. Lo varcherai…. consolati!… Ci rivedremo in ciel!… Ivi è la Patria. — Un palpito Sull' ora del congedo… Poi calma…. e un dolce attendere — Senti? In morir non chiedo A te che questo… oh scordati Del mio caduco vel!… Pensa al mio Spirto — un mistico Legame al tuo l' unisce — Quando risplenda Fosforo, O quando il dì finisce Solleva i lumi!… cercami!… Lieve vapor sarò — Ma nel solenne armonico Silenzio del Creato Mi sentirai…. — rivelasi Quasi, in quell'ora il Fato Per cui nascemmo!… innalzati! — D' incontro a Te verrò. » Così parlava negli estremi istanti Al Marito Francesca — e ben diversa Da lei, ch' ebbe il suo nome, esemplo dava Di morte benedetta in quella stessa Rimini, che fremè sopra il peccato Dell' adultera donna, e sul gastigo. — Bianca come il lenzuolo in cui si giace Sembra un' Angelo stanco, e da' suoi lumi Traspare un raggio dell'interna calma. — Tutta secura in sua virtù, non teme L'ora fatale in cui si spezza il velo Che il futuro ci copre — innanzi a Dio Conto darà d'intemerati giorni, E ben può dir — « La mia mission compiei Qual tu volevi — Io non macchiai di sposa, Di figlia e di sorella i santi nomi, Nè i miei concittadin volser sdegnosi Sull'opre mie pur una volta il guardo. » Sì, tranquilla ella muore…. eppur le scorre Una lacrima lenta in sulle guance!…. No — non piange per se…. vede il Marito, Il Fratello, gli Amici…. oh! se potesse Rattemprare il lor pianto!… oh! se le fosse Dato rinascer, lo vorria per essi… Ma Dio la vuole, ed essa ode una voce Che dall'alto l'appella…. anèla e brama Lanciarsi all'infinito — un sudor freddo, Nella lotta dell'anima che spezza I legami terreni, inonda il corpo Che soffrì tante doglic…. un vivo lampo, Come di luce che guizzando passi, Le rischiara le luci moribonde — Lampo chiaro e lucente al par del raggio Che brilla sulla fronte ai Cherubini…. È l' alma che si parte — ancora il volo Rattien per un istante…. Ella si libra Sulla bocca, che il varco le ha dischiuso, E vi lascia il sorriso dell' addio. — Senton le fibre degli astanti, il tocco D' un incognito impulso…. hanno provato Il brivido sublime che ne investe Alla presenza di celeste cosa.
Dolce com' Arpa angelica Suona d' amor parola — Tu la dicesti — e rapida Di sfera in sfera vola Mista agli eterni Cantici Dell' Increato amor. — « Ama! » è l' accento mistico Che l' Universo unisce, Ove ogni santo palpito Principia e in un finisce — « Ama! » è la voce attissima Che suona in ogni cor. Quando la Terra allegrasi, Quando sfavilla il Sole, O la Rugiada tepida Bagna de' Fior l' ajuole, « Ama! » sussurra l' Aura Con placido alitar, — « Ama! » un arcano brivido Dice, se in Ciel stellato Splende la Luna, e tremulo Qual guardo innamorato, Vibra il suo raggio candido Nel sottoposto mar. — Ama Gualtiero! infondesi Novella vita al cuore Quando risponde all'anima Santa armonia d' amore…. Vieni, rinnuova i fervidi Giuri d'eterna fè. — Io gli ricambio — emanino Dall' alme nostre uniti — Più degli Incensi arabici Saranno a Dio graditi, Poichè suggellan l' ordine Che alla Natura Ei diè. Fatto con rime obbligate in dieci minuti. Avuto il soggetto dall'Avvocato Ferdinando Giuliotti. «Stringhiamo i patti di fraterna — unione, E rimbombi fra noi grido di — guerra! Vivo non torni alcun dalla — tenzone Se schiava resta la Trinacria — terra! » Così parlava il Sicilian; — l'agone Già misurando col pensiero, — afferra L'acciaro — intuona libera — canzone, Ed ogni prode intorno a lui si — serra. Non copra il tempo col suo freddo — oblio L'immenso ardir che franse le — ritorte Con vendetta maggior d'ogni — desìo! Spenta è nel sangue l'infame — coorte…. E ben quel Bronzo consacrato a — Dio, Intuonava per lor l'Inno di — morte!

Inno

Tra infami bestemmie, tra scherni feroci, Soffrendo di morte gli spasimi atroci, Del Cielo la gloria, il Verbo incarnato, Rivolge dall' alto del tronco esecrato, I Lumi più belli de' raggi del Sol — Ricerca con l'ansia d'un tenero affetto Fra tanti feroci, un volto diletto — Lo trova — e riposa lo sguardo morente, Qual dolce Colomba che stanca e languente Sul nido de' figli ripiega il suo vol — Oh gloria che in terra non vanta l'eguale, Che inalza e sublima la polve mortale! Cercato ha d'un Uomo lo sguardo d'un Dio! Il Giusto, partendo da un mondo sì rio, Col nome d'amico Giovanni appellò. — Oh sommo portento di grazia e d'amore! Ei lascia alla Madre per Figlio del cuore, Il mesto compagno, che oppresso, smarrito, Ricerca nel volto del caro tradito, La luce divina che ognor vi brillò, La Vergin protende a Cristo le braccia, Con l'atto amoroso di donna che abbraccia…. Ma poscia sul petto tornarsele vuote Sentendo, suffusa di morte le gote Ricade sul Figlio, che il Figlio le dà. « Ti lascio per madre, esclama il Divino, L'afflitta, o Giovanni! » e il capo richino, L'estremo sospiro mandato all' Eterno, Si lancia a ritorre la preda all'Inferno, Che vinto e sconfitto più forze non ha. Oh Vergin pietosa! nell'ora di morte, Mentr'Egli cangiava dell'uomo la sorte, Lasciotti per Madre di chi gli fu caro, E Madre per sempre dipoi ti nomaro Le Genti redente da un patto d'amor. Siam tutti tuoi FIGLI! siam tutti FRATELLI! Ah! niuno disciolga legami sì belli! Pensiamo che il Sangue del Divo incarnato Poneva il suggello sul laccio beato, Che forma di tanti un voto ed un cor.
Come l'Incenso arabico Arde, e s' innalza al Cielo In vaporosi vortici, Puro qual bianco velo, Tale si clèva il cantico, MARIA, votivo a TE. Non è parola — è gemito — È sospirar sommesso — È tronca prece — è l' alito Grave di un cuore oppresso — È il doloroso fremito D' un angoscioso « Ahimè! » Tu lo comprendi — e gli Angeli Vuoi, che dell'Arpe il suono A mesti accordi temprino, Si, che un'istesso tuono Unisca gl'Inni Angelici Al pianto di quaggiù. Poi dai begl' occhi lucidi Piovi un tremante lume, Che scorre il cielo, e limpido Lampeggia innanzi al Nume…. Luogo ei ti tien di lagrime…. Che pianger non dei TU! Ma ben quel cenno mistico Grazia ritrova! Iddio Ti fè I'ELETTA a porgere Coll'interceder pio, Tregua, conforto, e gaudio Dell' infelice al cor. Stai fra'l Creatore e gli Esseri Simbol d' immensa pièta — Vergine, imperi agli Angeli — Madre, dell' uom fai lieta La gran Famiglia, unendola Tutta in un santo amor. In Te FRATELLI, l'umile Stà del potente al paro, Poichè tuoi FIGLI nomansi…. Se vi cercò riparo, Sotto il tuo manto adeguasi La Testa di ciascun. Salve! o MARIA! Del debole Confortatrice, aita!! Salve! Per TE men torbida Trascorre a noi la vita! Oh benedetta! Amabile! TU non rigetti alcun!!

L'Anno Trentanovesimo
DEL SECOLO DECIMONO

PACE, SALUTE e FELICITÀ

L'Aura gentil che infiora il Paradiso Spiri leggera fra le bionde chiome Dell' anno giovinetto, e sul suo viso Splenda la calma che fa puro il cielo! — Acceso al lume dell' eterna face Gli sfavilli lo sguardo, e riso amico Mova dal labbro un alito di pace Pari al sospir di vergine amorosa! — Sulle candide piume, a TE discenda Bello cosi, diletta DONNA e rara, E felice e beata egli ti renda Quanto un'eletta alle superne sedi! — Non si cangi in suo corso! — ad ogni aurora, Nuove gioie ti rechi, e come suole Tramontare un bel giorno, egli si muora Lasciando a Te dolci memorie e care! —

IL SERTO DEL GENIO

Come lucente e splendida Brilla la tua corona! Non la compose artefice, Nè il caso a Te la dona…. Segno di Regio orgoglio Questo fulgor non ha. — M' inchino a Te — l' Italico Genio formò quel serto — Innanzi a lui chinandomi Porgo un omaggio al merto — Te benedetta! abbatterlo Il Tempo non potrà. — Pari alla luce mistica Che irradia ai Sommi il volto, Ti forma Aureola, e cingeti L' anella del crin folto — Non è regal Diadema Che fronte può mutar!…. È tuo per sempre — acquistalo Sudor di nobil arte — Forza di mente — il palpito Che a pochi, Iddio comparte — Alto sentir d'un anima Che rara al mondo appar.

L' AMICIZIA

È più puro della brina Che lucente irrora i fior, Più soave del sorriso Che fa bello un primo amor, È più dolce del sospiro Che una Madre esalerà, Nell'istante benedetto Che il suo nato bacerà, Quell' affetto che si spande Dall' essenza più gentil, Dello spirito che anela Farsi agli Angeli simil. — Ah di lui, ripieno, o Cara Il mio cor per te sarà! Prendi un bacio — egli suggella Santo patto d' amistà.

CARME

DRAGOMANNI! è sublime il santo affetto D'una pura amicizia, e il cor bennato Che ti palpita in seno, almo tesoro D'Amistade racchiude — ogni tua gioia Trovi in spanderlo, ed io n'ebbi una parte Maggior d'assai di ciò che io merto — Amico! Per tè, si aperse incontro a me la via Degli onor ch'io sognava, e che giammai Trovati avrei, se tù non eri — io sento Tutta la possa dell'immensa e vera Gratitudin che a te forte mi stringe. Oh!! Tu di patrio amor caldo mai sempre, E di sublimi affettuosi sensi Per l'umana Natura eccitatore, Tù della gloria altrui lieto, non tristo, Tù delle Scienze e di bell' opre amante, Tù se'degno d'onori! — E dolce al core Mi è la certezza, che pregiato e caro Compagno siei di forti Spirti, e dolce Emmi il saper che i pregj tuoi son conti Nell'Italia, ed altrove…. Oh benedetto Te che vivi per gl' altri, e non ti chiudi Egoìsta sdegnoso, in mezzo al cerchio Della propria esistenza! A te fratelli Son gli oppressi, i meschini, i buoni, i saggi, A te, che sprezzi la calunnia, e volgi Parola di perdono ai tuoi nemici — A tè, che ridi sull' offesa…. e oblii. — Ti sia lieto il Destino! e s'irradii Di tua vita l'oscuro orizzonte, Come valle che scorga sul monte Il bell' Astro lucente apparir. — Dalla lotta de' giorni trascorsi Ti riposa! — cangiarsi il tuo Fato, Che finor come in flutto agitato Sembrò nave vicina a perir, Tu vedrai — degl' ardenti desiri, Delle sante speranze deluse…. Delle vie di salvezza precluse, Dell' ingiurie, dell' ansie, del duol, De'trionfi che avesti, ti forma Santuario di belle memorie! — Non scordar le passate tue glorie…. Ma ti libra a più placido vol.

CARME

S'inalza un grido d'entusiasmo — ei fugge Da mille bocche, e ripercuote un Eco Che mille volte gli risponde — oscilla Nello spazio e non muore — onnipossente Grido che eterno durerà, trasvola Sulle terre d'Italia, e narra i vanti Dell' onor di Fiorenza — è NICCOLINI L'uomo de' tempi — il benedetto a cui Si porge in vita il venerato culto Ch'altri non spera d' ottener che spento — E bene a dritto gli si debbe! — Ei lancia Dall' acceso pensier tutta la fiamma Dell'Italico Genio — in Lui si rompe Come canna sul ferro, il crudo oltraggio Dello stranier, che con amaro scherno Osa dir, che l'Italia è delle tombe Solo fastosa, e sol ne' morti ha vita…. Venga in riva dell'Arno! — oda i divini Versi di questo Vate, oda le forti Ammirande sentenze, oda gli accenti Con cui palesa l'inspirata mente E l' anima sublime!… oda, e si penta! — Lo vegga nel trionfo — in Lui ricerchi Dell' orgoglio l'impronta, e se la trova Dica, che invan da' nostri Padri esemplo Di modesta grandezza a noi si dava. — Qui trà colli lo cerchi, ove ei nasconde(*) Questi versi furono scritti mentre Niccolini villeggiava a Tracolle. Come Sol fra le nubi il suo fulgore…. Dolce quiete ha d'intorno — in lui le cure Di torbid'alma e d'ambizioso core, Possa non hanno, e solitaria pace Più del tumulto cittadin gli è cara. — Al rezzo delle piante, in faccia al riso Dell'intera Natura, egli si sente Più libero, e più grande — Egli ragiona Più d'appresso con Dio, che in sen gl'infuse Parte sì bella del celeste spiro! Là fra quei boschi, immobile Quasi d' un Nume a fronte, Stetti; e mi scosse un palpito…. L'erba, la terra, il fonte Dir mi parevan = prostrati, Rendi al Grand'Uomo onor. = Presso Ei mi stava — i fulgidi Sguardi fissava al cielo — Spirto parea che libero Squarci il mortal suo velo. Miri a più vasto limite Provi un ignoto ardor. — Parea che intorno un placido Dolce bisbiglio arcano Svelasse a Lui l' armonico Concerto sovrumano, Che imparadisa l' anima D'un fremito immortal. Me benedetta!… i Posteri M'invidieran quell' ora. — Ch'io ne divenga immemore Certo impossibil fora — Bella… ! sublime… ! un secolo Non mi daria l' egual.

CARME

Suffusa il volto di rossor, mi volgo A Te, che dolce sull' Aonia Cetra Tempri canti sublimi, e che t' inspiri Delle prische bellezze al sacro ardore — A Te, che volgi i numeri sonanti De' Greci Vati, in armoniose rime D' Italica favella, e che ci rendi Gli alti concetti e le sublimi idee Bollenti quasi dell' antica vita. — Oh Mezzanotte! io, che chinai la fronte Dinnante al tuo sapere, io, che le ciglia Per stupore inarcai d' incontro al lume Che t' irradia e circonda, io che non vanto Merto nessuno, e che mi trovo allato Di Te, possente e valoroso ingegno, Luccioletta vagante in faccia al Sole, Come oserò, creder che Tu mi degni D' un tuo pensiero, e di tua lode? eppure Questo sogno non è! — vedo le note, Che gìa segnavan con aurato stile Que' Grandi che a noi fur Duci e Maestri. — Poi leggo, vôlto in Italiana foggia Il senso delle cifre, e me profana, Sconosciute ed arcane, e nuova al core Seende ignota letizia…. Oh generoso! Tu mi guardi dall' alto, e in giù ti pieghi Per porgermi sostegno alla salita Che affannosa contemplo — Ah! ben tu vedi Ch' uopo ho d' aita — incoraggiar mi vuoi… Però, mi volgi lusinghieri accenti Che son balsamo e cibo al fiacco spirto. Ecco mi lancio — un rapido Fuoco m' investe — io spiro L' aure di Pindo…. Oh reggimi!… Guidami in vetta u' miro Folgoreggiar di vivida Luce un eletto stuol! — Senti?… mi scuote ed anima Un brivido sublime — Teco già parmi assidermi Sulle beate cime…. Salgo anelando…. Ahi misera!! Reggermi il piè non vuol!… Cado — qual sogno orribile In cui si tenta invano Giungere in salvo, e mancaci Forza al fuggir di mano All' incalzante e gelido Fantasima crudel, Tale, è l' ardente inutile Brama che il cor mi strugge…. Vorrei dal fango estollermi…. Cinger l' Allor…. ma fugge Vigor nell' uopo, e cangiasi Ogni mio fuoco in gel!….
Odo una voce che del sacro Tempio Corre gli archi e le mura, e sulle tombe Ripercuote pietosa. Ogni latebra Dell' anima ricerca, e di sublime Fuoco la infiamma! Carità! Tu scesa Dalle lucide sfere, in sulle labbra Di un Uom spirando il tuo celeste fiato Gl' insegni accenti sovrumani! Ei parla Così, che scioglie l' indurato gelo D' ogni umano egoismo — Egli rammenta Che fratelli siam tutti, e che di Cristo L'alto divino esemplo esser de' base Dell' oprar nostro « Benedetto, esclama, Quel che stende pietoso al derelitto La soccorrevol destra, e quel che schiude Le proprie braccia all' esule, al caduto! Che raccoglie il pentito, e si fa scudo All' oppresso tremante — e quei che mostra Una speranza all' infelice, e toglie Dall'abisso un prostrato — e quei che vive Non per se, per altrui — e quei che raduna Le proprie forze in prò del fiacco, o schiude L' arche de' padri a riversarne l' oro Nelle mani al meschin, che con sommessa Prece domanda sollievo alla fame!… Eguali tutti, Ei grida, in santo accordo Si soccorrin gli umani! Ogni delitto Scompar del loco u' caritade alberga! Carità! Carità! sta chiusa in Ella Ogni legge che il Cristo ha predicata » Ben voce è questa dello tempo antico, Del tempo in cui qual eco ancor vibrava Nell' orecchio ai fedeli il divo accento Del maestro Divin che sulla terra Portò l' esempio di un' immenso amore, E parola d' amor non di vendetta, Dettava ai fidi ch' egli avea prescelti A diffonderla ovunque…. Oh! ben compresa Ha sua missione l' Orator ch' ascolto! Parla in suono di pace e di perdono, Tocca, non scuote i cuori! un dolce pianto Chiama sugli acchi all' affollata gente — Non la spaventa, e non sovra la fronte Fa che gli s' alzin per terror le chiome…. Dolce sorriso di speme divina Ripon sui labbri, a chi temè…. veh quanti Levan le luci al Ciel che l'ebber chine Obliquamente temendo lo Inferno!… Vince chi spera — e chi non spera è vinto. — Segui! t' acclama un Popolo E ti dirige Iddio: Sopra il tuo capo gli Angeli Stanno a dettarti il pio Sermon, che suona all' anima Parola di lassù. Segui! Agli afflitti spiriti Reca conforto e pace — Infaticato Apostolo Corri la terra, e face Di carità santissima Risplenda ove siei Tu.

CARME

Salve o Vate! ti debbe oggi Virgilio Palma novella, e l'ombra sua t' è grata. — Benedetta l' Italia ed il suo Cielo, Che in ogni etade sì pregiati frutti Dal suo grembo produce, e l'un fa degno D' avvicinar sua venustade all' altro! Certo, a Te pur Maron fu duce e mastro, E dell' esserti guida si compiacque, Che più vivido or vede il sarco alloro Verdeggiargli sul crine, in onta agli anni — Forse t' apparve il venerato aspetto — Forse ti cinse con arcano amplesso, E in te transfuse una celeste essenza! Forse tornato, ove fermossi un giorno Sesto Alighieri fra cotanto senno, Vôlto ad Omero, avrà con riso amico Accennata la terra, e « Lassù, detto, Per noi la mente un Generoso adopra. » Oh giardin d'ogni fiore gentile, Oh beata fra mille contrade, Tù, cui ride in eterno l'aprile E feconda col fiato d'amor, Bell'Italia, serena la fronte Che turrita declini alla terra! — Il tuo seno tai germi rinserra Che per sempre sublime ti fa. Può l'estrano insultarti, e caduto Dir, lo scettro che un giorno tenesti…. Che t'importa? — per renderlo muto Mostra ad esso dell' arti il poter! — Poi favella pel labbro de'Vati Inspirati al tuo fervido Sole…. Udirai che cangiando parole Te, maestra di tutti dirà — Sulla tomba de' secoli estinti Serbi ognor monumenti di gloria — Come flutti da flutti sospinti Si succedono i sommi Cantor, E t'adornan d' eterne corone Non bagnate di sangue, e di pianto, Ma lucenti di lume sì santo Che a inchinarti commove ogni cor! Almo spirto che anela alla gloria Nel tuo grembo ricerca l' ardore, E vel trova…. ah! non sol di memoria Sei la terra!… la vita è con Te. — Bell' Italia, col regno dell' armi Non perdesti la sacra scintilla Che fe' chiari i tuoi figli — sfavilla Luminosa, e pregiata tuttor.
(*) Scritto in occasione di aver ricevuto dal medesimo alcuni versi per l' Album. Come Gemma lucente, o come fiore Imperlato di tepida rugiada, Grato mi giunse, o Spirito cortese, L' onorato tuo Nome — io lo contemplo Sopra il candido foglio ove stà seritto, E reverente in esso imprimo un bacio. Benedetta l'Italia! Ella non cessa Riscaldata dal Sol che le dà vita Di produr vigorose utili piante Che sfidan le tempeste, e dolci frutti Danno così, che all' invido straniero Destan desio d' avvicinarvi il Labro. Rosini, Tu, spandi le verdi fronde In spazio così largo che ne coglie Foglia odorosa anco il Francese e l' Anglo. Dio ti protegga! e sull' altera fronte Sede d' alma virtù d' almo valore, Ti dardeggi lung'ora il santo raggio Palesator della divina fiamma Che l'Italico Genio in Te trasfuse! Odi per lunga etade il forte grido Della Fama plaudente, e non t'incresca Pensar che conti, insiem coi mille uniti Per salutarti generoso e grande, Donzella umil, che in ammirarti è prima.

ESTRO

Bella, dal soffio dell' eterno Spiro Usciva un Alma a vagheggiare il Cielo, Ma peregrina sulla Terra, il cenno Del Supremo la spinge: Ella s' invia. Lieve, lieve come aura vespertina Varca gli spazj lucidi, e sereni — Incontra il riso de' Celesti, e passa, Ch' anzi la prova del terren dolore Non gli è dato goder gioje supreme. Segue il placido corso — ma soave Più d' ogni dolce melodia terrena, Più del primo sospir che desta amore, Più dell'accento della donna amata La percuote il temprar d' arpa divina. — Ineffabil delizia!! Il Cherubino Che l' arcana armonia dalla parola E il forte slancio delle idee sublimi Inspira ai Vati, ed anzi tempo degni Gli fa del seggio degli Eletti, e inalza Tanto al di sopra del Terrestre fango, Gli si para d' avanti — a Lui d' intorno Brilla più pura la Celeste luce, E qual fiamma vivace in sulla fronte Gli balena e scintilla. — Un tepor grato Intorno si diffonde e un caro olezzo, Al suonar dell'angelica favella Che dolcissima e pura i santi bea. — « Fermati oh! peregrina! a te fu dato Incontrarti con Lui! — Tu, benedetta Scendi nel mondo dal divino amplesso » Cantar giulivi gli armoniosi cori — E l' alma innamorata il vol trattenne. L' Angelo prediletto del Signore, La guardò con soave atto amoroso, Ambo le braccia le protese e moto Dier le sue labbra come d'uom che bacia — Poi tolto un raggio dalla bionda testa Cerchio ne fece, e la recinse in quello. « Venturosa che in me t' abbattesti Va', contenta di mistico bacio — Quella luce che in dono t' avesti È il suggello d' un santo poter. Sovra l' ali d' un estro possente Inalzata sù mille sarai, Vagheggiar colla mente potrai Tutto il bello che in cielo si stà. Ogni cuore, ed ogni alma rapita Nell' ebbrezza d' un caro delirio, Sentirà raddoppiarsi la vita All'incanto del puro tuo dir. — Va'! — Poeta del dolce sentire Sü l' immago d'un Angelo in terra — Ai compagni d' esilio, disserra Larga fonte d' amore e pietà! — Se m'invochi nell'ore tranquille(1) La campana della sera.
Canto di G. Moutanelli.
Quando tutta natura riposa, Mi vedrai nelle chiare scintille Che fan bello l' azzurro del ciel, Pioverò sopra un raggio di Luna Le visioni di un casto abbandono, Ella poscia dal pallido trono Saprà queta riportele in cor.
Se m'appelli nell'ore del giorno(1) La campana del mezzodi.
Canto del medesimo.
Mi ricerca del centro del Sole, Pari al fuoco che avrommi d'intorno Lancierotti gli accesi pensier. Va'! — tua guida ti miro dal Cielo Nè temer ch' ìo ti ponga in oblio! Con un bacio, il volere di Dio Fra noi strinse un legame d'amor. » …. Scese l'anima in terra, e MONTANELLI Quì la gente l'appella e benedice.
Tu che cerchi parole, onde precisa Suoni a ciascun l' Italica favella (*) Si allude al di lui vocabolario d'arti e mestieri., dove esprimer dèe d' arti o mestieri Gli arnesi multiformi, or deh! ricerca La parola che vaglia a dir com'io Ti onoro, e quella onde adeguata suoni Tua cortesia che ogni parola avanza! Spirto gentil, di sapienza il lume Vivo t'irradia, ma pompa superba Non fai del raggio che da lui sfavilla. — Con vel modesto ne rattempri il dardo Che colpiria le deboli pupille — E amabilmente cangi in mite aspetto L'alterezza del Sofo, onde ciascuno Appressar Ti si possa, e non ti tema. Benedetto se' Tu! Dio ti concesse Spaziar col vasto immaginar fra i sommi Com' Aquila superba, indi cangiando Volo, rader la terra, e con gli umili Ir di conserva…. in duplice maniera Così ti acquisti rinomanza e gloria, Stima, fiducia, reverenza, amore. (*) In occasione di donarle due piante di fiori eseguiti in cera. Vaghi figli dell'Aurora Voi lo Zeffiro cullò Sopra un letto di verdura, Poi cresciuti, accarezzò — Di sue stille la rugiada, Vostre foglie incoronò, Che brillaron come gemme Quando il Sol le contemplò — Voi la brezza della sera Rinfrescò da' rai del di, Poi da calici odorosi Qualche effluvio si rapì — Sopra voi dorato Insetto Quasi in soglio insuperbi, E libato il dolce succo Pria baciovvi, e poi fuggi. Or, rapiti al Ciel d'Italia Qual destin v' aspetterà?… Tal, che ogni erba ed ogni fiore Un simil ne implorerà. — Con Donzella così rara Vostra vita scorrerà, Che il sorriso di Natura Men soave vi parrà. — Come voi leggiadra e bella È un modello di candor, Come voi fu benedetta Dalle mani del Signor — E l' accerchia di virtude Un vivissimo splendor, Sì, che brilla eguale al raggio Che diffonde il Creator. — Dal suo fiato, una fragranza La più pura emanerà — Dell' auretta dell' Italia Più gentil vi sembrerà. — Da' suoi lumi un dolce fuoco Nel mirarvi lancerà — Tal, che il Sol d'Italo giorno Nel fulgore eguaglierà. Perderete il primo vanto Dei bellissimi color, Che la tinta del suo volto Vince il bello anche de' fior…. Pur modesti a Lei d' appresso Siate emblema d' ogni cor! — La CAMELIA è per la Fede — E la ROSA per l'Amor. (*) Nel chiederle per l' Album un Segno dell' Illustre di lei Marito.

Salute!

Donna gentil benignamente inchina Il tuo volere al mio desir — dal serto, Onde superba vai fra le altre tutte, Spicca una gemma e fammene beata! Scegli la più modesta — assai ciascuna Brilla di vivo lume onde s'irradi Il loco ove si pone. — Il Sol dispensa Sul creato i suoi raggi, e ne inargenta L'Astro che a notte abbella il Firmamento, Nè però scema il mar della sua Luce Poichè in lui nasce, e ognor si rinnovella. Volgimi adunque con serene ciglia Benevolo ìl sorriso, e non t' incresca Darmi ciò che io ti chiedo — a Te rimane La Fonte onde deriva il bel tesoro! È Tuo quel Grande che le sculte forme Pone in confronto alle create, e lascia Dubbia Natura in qual suo soffio spiri — È Tuo quell'Uom, che nella mente alberga L'antico Genio Italico possente, Custode della fiamma animatrice Che Dio quì pose a illuminare il Mondo; Quel, che a Dante inspirava il grave canto — Che a Michele immortale Angel divino Guidava i colpi della dotta mano, E al Prodigio d'Urbin dava i pennelli — Quel, che Colombo sui deserti mari Lanciava ardimentoso, onde l' Italia Dir potesse all' Europa = Io che padrona Fui del Mondo già vecchio, ora ne trovo Uno vergine, ignoto, e a Te lo dono = Quello, che schiuse a Galileo gli arcani Degl' Astri roteanti onde securo Stette ne' Cieli col pensier sublime, Ed insegnò come lassù si giunga. Sì, questo nuovo Principe dell' arte, Questo eletto con pochi alla missione D'impor nel petto allo straniero audace Reverenza per l'Italo Paese, È tuo Virginia, e tu ne reggi il cuore Con dolce Signoria — l'altero spirto Che su gli altri s'inalza, a Te si piega — Ciò che vuoi T' è concesso — a lui rapisci Solo un segno, e mi basta! — indi gli chiedi Che il suo NOME vi apponga… assai mi doni!… Assai ti acquisti su di me, per sempre Dritti di gratitudine, e di amore.
CARME
Pianto versar sopra gli estinti è sacra Cosa — piangete oh giovinette il dolce Adorato Garzon, che il braccio scarno Della Morte divelse ai vostri amplessi! — Figli piangete sulle amate spoglie De' Padri vostri! Sul Fratel gemete Derelitte Sorelle! Urlate oh Madri Sulla cuna deserta ove vagiva La Prole tenerella, il dolce frutto De' casti affetti tolto alle speranze! — Spose piangete, e dai gelati labbri Ove i primi d'amor baci suggeste, Prendete il tocco dell' estremo vale Per suggello immutabile di fede, Si che bacio d'altr'uom non li cancelli! — Piangete Amici Sù Colui che in vita Si strinse a voi come fedel compagno! — Piangete o Mesti chi temprò vivendo Le vostre pene, e paghi il beneficio Le lagrime che un giorno Ei vi asciugava! — Tutti piangete sulle care salme!!… È bello il vostro pianto — lo raccoglie Sopra l' ali lucenti il Serafino Che veglia sulle Tombe — al Ciel s'inalza — Col remeggio dell'ali infaticate Seuote le stille, e simile a rugiada Con esse imperla i fior del Paradiso. Àvvi un pianto però che resta in terra Ed infecondo poca polve bagna — È quello che si versa sopra l'Urne De'sommi ingegni — a che plorar sovr'essi? Così pura dell'alma ebber l'essenza, Dal più caldo di Dio, soffio, partita, Che bene a dritto lor parrà gravoso L' impaccio della carne — in chiuso loco Si dibatte l'Augel che anela ai puri Spazzi del Cielo dirizzar le penne, E così cruccia nel terrestre esiglio Que'forti spirti dolorosa lotta. — Scendon quaggiù per sublimar la stirpe Decaduta d'Adamo — in fronte un segno Portano luminoso — esso dirada Le tenebre profonde onde siam cinti — Brilla qual Faro in tempestoso Mare, O come Face a mezzo della Notte — All'apparir del benedetto lume Si destano le Genti — intorno il guardo Volgono, e batton la segnata via — Così l'Umanità dritta viaggia Degli Eletti sull'orme, e non si perde. — Adempion essi la mission divina Ma sospirano al loco onde partiro. — Dio gli mira dall'alto, e come Scolte Poste alla guardia della Patria, attende Che trascorsa sia l'ora, e le richiama Mutandole con altre, — e noi piangiamo?… Perchè tornano a Dio che di sua vista Paga le desiose? Oh ciechi! un canto Di gloria e non di lutto a lor si debbe — Però, levate al cielo i tumid' occhi Voi che proni piangete in sulla tomba Di lui ch'ebbe quaggiù nome MONTALTI! L' alma che mosse il suo caduto frale Vola a bearsi nell'eterno Die!… Con un canto d'amor la salutate! Salve o Farfalla angelica A libertade uscita! Tutta radiante slanciati Al centro della vita, Suggi il supremo gaudio, Posati in grembo al ver! — Scorda gli Allori! il Cespite Che costassù ti accoglie Non teme il gelo — adornasi Di eterni Fior — le foglie Non ha caduche, e a svellerlo Non basta uman poter! Gloria o MONTALTO! Inchinati Dal seggio ove ti stai — Guarda la terra…. un gemito Odi ne parte!… Omai Di'che non hai di lagrime D' uopo, nè di sospir. Stillò prezioso balsamo Pria di cader la pianta — Non lo sperdeva il Turbine Che la sublime ha infranta!… Di lei lo meglio restaci, Nè lo vedrem perir!
Salve, o tutta gentil! Come dell' arpa L'armonïoso fremito soave Giunge repente a lusingarci il core Con segreta possanza, e c' innamora Di chi, non visto, con maestra mano Quelle corde temprava, a me tal suona Dolcissima, gioconda, inaspettata Tua parola cortese, e come raggio Limpido e puro di lontana Stella Vagheggio ne' tuoi versi il benedetto Splendor che la bell'anima t'irradia. Perchè fra i nomi, ond'io mi feci scudo(*) Si allude alla lettera scritta al Chiariss. Pietro Contrucci in difesa delle Donne Italiane. Per rintuzzar l'oltraggio e il crudo scherno Di che l'Itale donne ebber dolore, Pur tuo nome non posi! Oh perchè prima Non lo conobbi! di tua fama al certo Colpa non fu. Sull' orizzonte mio Mancava un' Astro…. in limite più largo Oggi si stende, e l'Astro ecco v' appare. O dell'Italo ciel luce novella, In te riposo il desïoso sguardo, E ti saluto, e dal profondo core Il mistico t' invio bacio dell' alma Che agitata e commossa, in lui raddoppia De' palpiti la foga! — Italia mia, Nelle tue piaghe un balsamo si versa Per man delle pietose in cui Natura Poneva ogni tesor del miglior seme! Leva la fronte addolorata e stanca! — Guarda le figlie a Te d' intorno accolte! Tutte non son…. Ma chiameran ben l'altre, Ed al chiamar delle dilette Suore Non Esse indugeranno — A sollevarti Daran la mano, e con lor posse unite, Forse sul trono, che cadendo a terra Vuoto lasciasti un dì, ti riporranno Regina venerevole e temuta! Finchè l'ora ne giunga, il desir santo Sorella mia ci ravvicini e leghi, Benechè divise di persona e ancora Da'nostri mutui sguardi insalutate; E nol potendo con verace amplesso, Stringiti a me con quello del pensiero!
CANTICA

Ella non voleva la corona….
Ella non ambiva il regno….
L'infelice resisteva a lungo,
Infine il suo destino ve la trasse.
DUCHESSA D' ABRANTES
Vite e ritratti di donne illustri.

I

Invan la fronte avvezza alle ghirlande Celasti o Grey, per non sentirla oppressa Dal peso del Diadema! — A Te funesto Giungeva il dì che il Suocero ti porse Mal tuo grado, lo scettro d' Inghilterra — Sentisti il piede sdrucciolar tremante Sui gradini del Trono, e ti volgesti Col pensiero alle chete erme convalli Ove libasti d' ogni ben l'essenza, Solitaria felice! Il vivo lampo Fin delle Gemme ti sembrò sanguigno, E cupamente ti suonò sul cuore Il grido che Regina ti acclamava. — Forte stringesti a Gilfort la destra, Quasi implorando al tuo salir l'ajuto Dell'amato compagno, ed impaurita Li occhi al basso chinasti come Donna Che dalla rupe guata il precipizio — Ahi! veggente tu fosti!… Ecco, Maria Giunge, e qual Nembo impetuoso, atterra Il delicato Fior che non ha schermo A quell' urto tremendo!… Ecco, Giovanna Tu languisci fra i ceppi! Eppur serena Rinunciasti agli onor da te non chiesti, E solo un voto dal tuo cuor partiva!… = Viver tranquilla ed ignorata in braccio Del tuo sposo fedele! = Oh immacolato Alto desir! soave come Incenso Che dal sacro Turribolo s' elevi!… Ma la figlia d' Arrigo, aver può quèto Il sonno mai se tu non muori?… Il crudo Efferato suo spirto assai di stragi Sazio non è — beve col guardo il sangue Degli infelici martoriàti, e prende Da quella vista stimolo alla sete Maledetta e nefanda — Un sordo ascolta Mormorar delle Turbe…. ode Giovanna Rammentar = così bella, e così pia!!… = Freme — poi raccapriccia… hanno il suo nome Pronunciato imprecando — un fero ghigno Le difforma il sembiante = O stolti, esclama, V' appagherò! Qual'io le appresto, un Trono Salga…. e poscia dall' alto io la sua Testa Farò che vi si getti, onde possiate Nuovamente fregiarla di Corona…. =

II

Le meste gramaglie Giovanna depone — Le trecce dorate con arte dispone — Si copre le membra di candido velo, E bella qual spirto disceso dal cielo Attende tranquilla l' istante fatal! La vita ha per essa perduto ogni incanto — Poc' anzi ha versato l'estremo suo pianto…. Poc' anzi, quand' Egli, l'amato consorte, Passando ricinto di crude ritorte, Forniva il suo tristo viaggio mortal. Non volle l'amplesso dell' ultimo addio — « Oh Gilfort! scriveva, piegandoci al rio Destin che ci abbatte, non torni la mente Neppure un momento sul tempo ridente In che noi vivemmo ne'gaudi d'amor! Potrebbe d'un bacio la cara dolcezza Far doppio l'orrore del colpo che spezza Que'santi legami che in terra ci uniro… Oh sposo! coraggio! nell'ultimo spiro Riuniti si voli nel grembo al Signor!… »

III

Ecco l'ora — la bella Regina Stringe al petto le ancelle dolenti, Poi secura, di là s'incammina Dove cretto stà il palco fatal. — Un compianto d'intorno s' inalza — Fremon tutti di pièta e d'orrore — Di Maria l'esecrato rigore Maledicon nell'imo del cuor — Ahi! Giovanna s'arretra e vacilla! — Ogni fibra commossa le trema… Dilatata l'immota pupilla Par che fissi un fantasma crudel — Forse il raggio di luce sinistra Che lampeggia sul taglio alla scure, Forse il ceppo, d'atroci paure L'han colpita e d'immane terror?… Innocente sublime Creatura! No, per se non conserva pensiero Che non sia della vita futura — Altr'oggetto quell'alma colpi. — Ha veduto di Gilfort il sangue!… Scivolato ha sul molle gradino!!… Ogni ambascia il nemico destino Ogni strazio sovr' essa versò!!… Si è riscossa…. La morte un riposo Un refugio alla fine le dia! E quel palco ove giacque lo sposo Or le sembri il suo letto Nuzial!… Oh Maria, come un Eco incessante Il rumore di un colpo ti assordi!… Ti spaventi — e quell' ora ricordi Che sul capo a Giovanna piombò!
Piangi! piangi! ne hai donde!-è sacro il duolo Che sull'urne de' Padri si riversa! — Empio colui che ti dicesse « Or basta! » Sopra le zolle illagrimate un fiore Crescer non puote — e la paterna fossa Dritto è s' adorni di meste Viole. — A Te mi unisco orbato figlio! — invano Isabella, d'Amica il santo nome, Credimi, non pronuncia! — Ella conosce Quanto egli vaglia, e che le imponga. — Il riso di fortuna non cerca, e non rifugge Dal lato dell' amico allor che il morso Di sventura lo cruccia — anzi più forte Allor si serra al fianco suo — sostegno Gli fà del seno, e ne divide il pianto. Vieni! preghiam su quella Tomba — Iddio Ben ci udirà, che lo invochiam pel giusto! — Ma sua Giustizia di per se si muove! Forse già lo premiò! — forse deliba Già le ignote dolcezze — in grembo al vero Già si riposa dai terreni affanni, E della lotta che quaggiù sostenne Lunga, angosciosa, cancellò l'idea, Poichè la vita dei mortali è punto Che nella immensa Eternità si perde. — Certo però, de' Figli oblio nol prese! Ogni sostanza spirital si lega Con arcana armonia — separa il fango L' Alme nel mondo — ma s'una disciolta Spazia liberamente, il luminoso Suo cerchio spinge a ritrovar l'amica E la bacia con mistico sospiro! E qual più amica essenza e più conforme Aver potrai della Paterna! — oh senti!… Lambe la brezza vespertina il marmo Su cui ti prostri — un brivido ti scuote?… L'alma del padre ti passò vicina E ti ricinse com' Aura che vola!… — Oh conforto! oh lusinga! a te d'appresso Dunque si libra, ed immortal discende Per carezzarti come il dì, che = nato, Gli dicevan = ti è un Figlio! = Egli non spento Si è dunque?… e vive!… poichè vita è vera Quella che scorre in le celesti chiostre, Non la caduca che ci tien quì fiacchi! Stilla scesa dall'alto, in sull'arena S'agglomera di polve, e stà mutata D'aspetto e di color nell'ima valle, Finchè lanciando il Sol nella sua possa Sovr' essa il raggio vivido, la scalda, L'attrae, la scioglie dal terrestre limo E la rende agli azzurri immensi campi Lucida striscia di vapor sottile. — Così si sciolse e nell'eterno DIE Si rilanciò del Genitor lo spirto…. Mira alle stelle!… un nuvoletto alcuna Di lor ricopre, e rapido trascorre L' interminabil volta — il lembo imbianca Al dardeggiar dell'argentata Luna. — Sorridi or via! la lagrima scorrente Con la man ti rasciuga — alto saluta Quel Vapor lieve, e non chinar più mai Le luci al suol se vuoi cercar del Padre! In risposta a un di Lui Carme inserito nell' « Espero » A. 1-N. 30. « Mandi luce immortal d'ogni bellezza In nuovo cielo lo tuo ingegno! » oh D'Aste Tu mi dicevi, allor che l'ispirato Carme muovevi a salutarmi! — in cuore Sentiva io ben quell'armonia gentile, E la lusinga dell'amico accento M' accarezzava l'anima! potente È d'un Vate, qual sei, l' alta parola! — Ed io lanciarmi a inarrivabil volo Quasi sentiami allor, tutta rapita Dal tuo dir generoso…. oh! ma ben tosto Debil ricaddi, ed esser Te conobbi Meco cortese, ed io non qual ti apparvi! — Raggio di luce limpido, percuote Corpo che opaco gli si para incontro, E quei si veste di fulgor — dardeggia Lume non suo… ma par radiante! — Oh credi! — Io pur grande non sono, e fu tua mente Ch'usa ad alti pensier m'insublimava. — S'io mi fossi qual dici, ora potrei Confortata da Te, sciogliere un Carme Che addio dicesse alla mia Patria, a quella Madre dell'Alighier, che tu nomavi Formosissima e sacra! — Il sai che spesso Manca il palpito al cor quando la piena Degli affetti lo inonda, e manca al labbro La parola che dia forma all'immenso Agitato sentir d'alma commossa. — Questo pur anco Amico mio, si aggiunge Questo, all' usata mia pochezza!… eppure Vogl' io tentar se al cenno Tuo rispondo! Oh dolce nido d'ogni affetto, oh Patria! In Te si chiude un invincibil forza Che il cuor ritiene e a star con Te lo sforza! — Rida Fortuna, ed, apparecchi altrove Tutte dolcezze una benigna sorte, Torna l'anima ognora alle tue porte! Inesplicabil volontà di starsi Guardando lo passato — un mesto, oscuro Senso, che lo sgomenta del futuro, Prova ognun che il natìo suolo abbandona. — Ed io lo sento…. e mi sorride invano Amor che mi distende amica mano! Or ch'io ti lascio tu mi sei più bella Adorata Fiorenza, e in Te mi fiso Quasi mirassi ignoto Paradiso! — Odo suonar tuo Nome?… Egli mi pare Divino accordo, ed ogni fibra scossa Mi rivela qual abbi in me tu possa. — Melanconicamente ecco m'aggiro Nel Paterno mio Tetto — ogni parete Bacio, ogni soglia!… e, = Voi che qui starete, Grido, beati!!… = e l'umide pupille Chiudo, pensando alla trascorsa etade, A cui ritorno per diverse strade. — Tutto risorge a me di contro! abbraccio Novellamente un tempo che disparve E mi circondo di dilette larve! — Quivi sorrisi — là sperai — quà piansi — Quì la fronte appoggiai sul sen Materno — Quà confortommi il consigliar Paterno. — Qui stretta in santo armonizzante accordo Con la Sorella e col German, provai Vere delizie, e immaginati guai. — Quà prostrata al Signor porsi una prece — Quivi amistade mi parlò cortese — Quà delirio d' amor folle mi rese. — Oh memorie!!… dinnante una barriera Voi mi formate!… a sormontarla il core Forza non have!… un gelido sudore Tutta m'inonda, e vincemi il ribrezzo Come s' io fossi all' orlo d'una fossa, E il piè dovesse calpestar dell' ossa!… Ahi! che la Vita è un Turbo che travolve Continuamente in dipartenze amare!… Morte non è che un ultimo lasciare. Ben fu potente o mio GABARDI il laccio Di tua virtù, che seco mi conduce Come Elitropio volgente alla luce, Se vale a trarmi fuor di questo cerchio Che in se mi tiene con soave incanto, E che gli Uomini e Dio fecero santo! — E ben a dritto un grande amor ti chiedo, Poichè l' unico fia vero compenso Che dar tu possa al sacrificio immenso Ch'io sull'Altar del nostro Imen ti porgo — E a cui niun altro, fosse pure un Regno, Darsi potria che mi paresse degno. Patria! — Famiglia! — un brivido Nel dirvi « addio! » mi scuote…. Parmi divelta l'anima Aver dal corpo, e vuote Cader le membra… oh rendimi Forza e respiro amor! — Se non mi fai risorgere Col tuo possente fuoco, Io morirò…. che l' Aere Mancante a poco a poco Parrammi, qual se fossene Privo il diverso ciel!… Fiorenza mia! — Tu l' etere Serri che a me diè vita!… Fiorenza mia! — rimangono In te li Miei!!… partita In due mi sento!… oh chiudansi Tue porte innanzi a me!… Vietami il passo! — imprendino Da Te a staccarmi invano!!… Che dico ? altrove spingemi Una superna Mano!… Uom del mio Fato guidami Dove il Signor segnò!….

Parte Prima

Cinzica de'Sismondi Cantica Pag. 3

La Morte di Buondelmonte Cantica Pag. 15

La Morte di Pio II. Cantica Pag. 31

I Vespri Siciliani. Cantica. Pag. 41

La Morte di Galeazzo Sforza. Cantica Pag. 67

Lucrezia Mazzanti. Cantica Pag. 85

La Gioranta del 5 Dicembre 1746 a Genova. Cantica Pag. 101

Carlo V. in Italia. Carme Pag. 113

Il Rifiuto Pag. 119

Alla Repubblica di San Marino. Cantica Pag. 125

Siena. Carme Pag. 145

L'Oblio delle Offese Pag. 151

Alle Ceneri di Napoleone Imperator dei Francesi. Carme Pag. 159

Parte Seconda

Al Professore Ignazio Montanari. Epistola Pag. 169

Il Trilustre Parricida dell'Anno 1837. Fantasia Pag. 175

Sopra un Petto di Donna Lapidefatto da Girolamo Segato. Fantasia Pag. 183

In Morte di Girolamo Segato. Carme Pag. 191

Augurj agli Ottimi e Dolcissimi Genitori miei per l'Anno Trentesimosesto del Secolo Decimonono 197

— Per l'Anno mdcccxxxvii Pag. 200

— Per l'Anno mdcccxxxviii. Pag. 201

— Per l'Anno mdcccxxxix Pag. 203

— Per l'Anno mdcccxl Pag. 205

— Per l'Anno mdccclxi Pag. 206

Alla Sorella Amalia il giorno delle sue nozze con Giuseppe Restoni. Carme Pag. pg. 209

La Nanna d'Amalia al Figlio Guido Pag. 213

Al Fratello Dilettissimo Pag. 215

Alla Cognata Enrichetta Frati il giorno delle sue Nozze con Cino Rossi. Pag. 219

Per regalare alla Suddetta un Album Pag. 225

Ad Olivo Gabardi. Carme Pag. 227

Per l'Incanalamento del Tevere nella Valle Tiberina-Toscana Pag. 231

Omaggio alla Memoria della Marchesa Francesca Diotallevi Pag. 237

A Gualtiero Pag. 243

I Vespri Siciliani. Sonetto. Pag. 247

Cristo che lascia la Vergine per Madre a Giovanni. Inno. Pag. 249

Inno a Maria Pag. 253

Alla Poetesa Massimina Fantastici-Rosellini Augurio per l'Anno Trentanovesimo del Secolo Decimonono Pag. 257

A Carolina Internari. Il Serto del Genio Pag. 259

Nell'Album di diletta Amica. L'Amicizia Pag.. 261

A Francesco Gherardi-Dragomanni. Carme Pag. 263

A Gio. Battista Niccolini. Carme. Pag. 267

Ad Antonio Mezzanotte. Carme. Pag. 273

Al Sacro Oratore Don Antonio Belli Pag. 277

Al Cav. Lorenzo Mancini. Carme Pag. 281

Al Professore Cav. Giovanni Rosini Pag. 285

A Giuseppe Montanelli. Estro Pag. 287

Al Professore Cav. Giacinto Carena Pag. 293

A Nobile Donzella Inglese Pag. 295

A Virginia Bartolini Pag. 299

In Morte di Don Cesare Montalto. Carme Pag. 303

A Metilde Joannini Pag. 309

La Morte di Giovanna Grey. Cantica Pag. 313

All' Egregio Pittore Cav. Antonio Digerini Pag. 321

Ad Ippolito d'Aste Pag. 325

L' Addio alla Patria Pag. 329