Enrichetta Carafa Capecelatro:

MISCELLANEOUS POEMS





Assembled by
The Italian Women Writers Project


The University of Chicago Library

Chicago
2005

Atti dell'Accademia pontaniana (Napoli: Giannini, 1897) vol. XXVII Memoria No. 5, 1897, pp. 1-24.

Ne 'l mar che partori Venere bionda Folleggia il sole fra la spuma bianca. Ellade è in festa, e sboccia una feconda Primavera d' amor che il ciel rinfranca. Nettuno il vecchio inarca da la sponda In su 'l tridente la persona stanca; La vergine Dïana alma e gioconda La tunica succinge a la breve anca, E ne' suoi boschi, fra le cerve, torna. Fauni e Silvani e Driadi escono in coro A danzar su la molle erba de' prati E a ornar di rose le nascenti corna D' un bel capretto. Ne 'l meriggio d' oro Ellade sogna i suoi sogni passati.

2 Maggio 1891.

O saggio imperador, spesso mi piace Fra le tue vecchie carte andar frugando E meditare: e me ne viene un blando Ne l' anima desio stanco di pace. Roma altera ruina: una procace Fiamma la strugge, un turbine nefando Tutta l' avvolge: e andresti in van cercando Di Bruto il ferro: e Cato il vecchio tace. Roma ruina. Ad Orïente il volo D' aquila drizza, a giri fiacchi e lenti, L' alma Fortuna ed abbandona il suolo Sacro de 'l Lazio. Ora gli Dei son spenti, O Marco Aurelio; e tu sereno e solo Filosofeggi con le morte genti.

16 Marzo 1892.

Quando la vita con le sue funeste Larve m' incalza, a te su le bianc' ale De' sogni io volo, a te, patria celeste De l' Ideale. Ivi fiorisce il dolce Maggio in seno A Tempe verde: ivi le Ninfe in coro Danzan su i molli prati ne 'l sereno Meriggio d' oro. Ivi ancor Delfo e Pàtaro si vanta De 'l biondo Iddio: sovra l' ambrosio collo Scende la chioma inanellata, e canta Il lesbio Apollo. E a lui ridono intorno le pudiche Vergini Muse, obbedienti a 'l bello, Su le castalie sue pendici apriche, Dolce fratello. Ivi d' Alceo l' innamorata lira Vibra co 'l vento: ed in fra l' ombre cupe, Su la leucadia ancor Saffo sospira Deserta rupe. E il greco mar risuona ancor de' canti D' Anacreonte e de' banchetti lieti, Fra le rose e gli amori ed i fragranti Dolci vigneti. E per la notte tacita si lagna Eco infelice: e se ne va, pe 'l nero Aere, a la torre che il mar lento bagna Il pianto d' Ero. E ne' meonii campi e le distese Piane di Frigia ancor pascon le agnelle Che il Dio guidò, quando l' Olimpo scese A Zeus ribelle. Amor spiran le rose, amor le selve, Amore il calmo azzurro mare argeo E de la lira a 'l suon miti le belve Guardano Orfeo. Una lietezza sovrumana inonda Tutta la glauca vastità de' cieli, E trionfa Afrodite alma, la bionda Dea, senza veli, Che tiene Cipro e Gnido e la sorrisa Da 'l ciel Citera; la gioconda Dea Che intorno intorno i suoi mirteti affisa E l' onda ascrea: Ed il suo riso piove una fiorita Messe divina. Auliscono le aiuole, La terra posa e a novi amplessi invita Fecondi il sole.

26 Marzo 1892.

Il bosco è tutto uno stormir di fronde: Le vecchie querce spiegano la folta Chioma ne 'l sole, e pe' nidi s' ascolta Un sommesso fruscío d' ali gioconde. Ride il meriggio, e intorno intorno è molta Luce: l' odor de' campi in ciel s' effonde, E l' ampia selva ne le sue profonde, Verdi latèbre in fior giace sepolta. Dietro le siepi, ove fiorisce il bianco Spino, non vista, un' acqua lenía cade Con un lieve rumor continuo e stanco, E a goccia a goccia su la pietra stilla. Un sopor molle dolcemente invade La fresca solitudine tranquilla. Il bosco è muto: e intorno è un'infinita Tristezza, intorno è un' infinita pace. Ogni lieve stormir di fronda tace: Par che nulla ne 'l mondo abbia piú vita Ne l'erba in fiore, quasi seppellita, È un'erma antica, e l'edera tenace Copre mezzo il bel seno e lo disface Con la sua stretta perfida e florita. La bianca faccia come morta cosa In mezzo a l'erbe giace abbandonata, Tutta da 'l tempo e l'umido corrosa. Il bosco è muto : e intorno è una tristezza Sconfinata, una pace sconfinata : Par che tutto di morte abbia vaghezza. Ne 'l fulgore lunare opaco e queto Il bosco posa, e s' odono sommessi Fremiti che se 'n van fra i rami spessi Ed un bisbiglio vago ed inquïeto. Sono Driadi che sorgon ne 'l segreto De l' ampia notte a non veduti amplessi: Sono Fauni che lasciano i recessi Misterïosi in un convegno lieto: Son Silfi e Gnomi in coro, e son Silvani E Ninfe ed Amadriadi a cento a cento, O sacre querce, a voi custodi antiche. Ne 'l bianco plenilunio da le apriche Zolle il lor canto se ne va co 'l vento Altri verdi a destar boschi lontani.

11 Aprile 1892.

Torna Maggio a sbocciar: dimentichiamo Le assidue cure, via per la fiorita China de gli anni giovani lasciamo Fluir la vita. Questo dileguerà ch' oggi la bruna Anima raggio celestiale irrora, Tenebre sorgeran senza più alcuna Speme d' aurora. E invan ripenserai tu le fluenti Chiome e i miei labbri e queste molli notti Primaverili e i canti da i frequenti Baci interrotti: E ne l' opaca chiarità lunare Noi favellanti di si dolci cose, Mentre fa il vento i gracili chinare Steli di rose. L' ora che affretta il misurato giro Cogliamo, amico: i verdi lauri a 'l bosco Son tutti in flore, ma già il nembo io miro Premerli fosco. Io sognar vo' con te questa immortale Primavera d' amor: soli pe' lieti Campi, mirando il mite ciel d' opale, Molti secreti Chiederemo a la terra e a i fiori e a l' acque, E a 'l nostro canto i vecchi Numi argivi Su 'l glauco mar dove Afrodite nacque Torneran vivi. Per noi discenderà ne la materna Selva il bel Dio che l' arco argirio infrena E a' nostri amori temprerà l' eterna Cetra serena. Evocheremo de 'l paterno fiume Le Naidi bionde sovra l' acque chiare E sorgente Anfitrite fra le spume Bianche de 'l mare. A i vecchi tronchi Driadi custodi Raccoglieranno i novi fior' più belli Ad intrecciarne in olezzanti nodi I miei capelli. E ne le sacre a Venere marina Grotte che l' onde baciano tranquille Ci appresti un verde letto la divina Madre d' Achille. E se una cura insidïosa morde A te il pensier, la sopirò ne 'l canto: Io per te temprerò le lesbie corde, E a noi d' accanto Risorgeranno in lunga schiera eletta, Ombre tornanti da i silenzi queti, I dolci de la terra benedetta Sacri poeti. E de la strofa a l' impeto che spande Il plettro d' or ravviseremo Alceo, E reverenti baceremo il grande Veglio smirneo. Suonan le lire doriche con l' acri Tibie pe 'l ciel che de' suoi raggi asperge Febo che di Castalia a' bei lavacri La chioma terge.

15 Aprile 1892.

Si, le rammento le dolci e tepide Sere e la luna mite per l' aria Piovente il suo fulgore E gli aranceti in flore. Rammento il largo cielo di Maggio Chiaro, soave: pia la memoria In cor lieve mi posa Come foglia di rosa. Si, le rammento le carezzevoli Mani, ed i baci lunghi, ed i subiti Rapimenti beati De gli occhi affaticati. Ora su i prati, dove noi taciti Soli andavamo, fresche non piovono Rugiade, ma le liete Corolle il nembo miete. E a noi ne l' anima lenta non germina Più il dolce flore d' amor; ne l' anima A noi non più l' aprico Ride April novo, o amico. Invan richiami tu le fuggevoli Onde, tu invano richiami i floridi Giorni lontani, i gai Giorni, quando t' amai. Il nostro amore fresco dolcissimo È morto, amico: solo a i tuoi gemiti Forse potrebbe indietro Tornarne il nudo spetro. È meglio, credimi, meglio la piccola Fossa scavargli sotto a que' memori Aranci, e, quando tace Il dì, comporlo in pace. E di giacinti molti e di mammole Noi copriremo quel breve tumulo, Mentre la luce blanda Diana vergine manda.

28 Aprile 1892.

Qui, fra le zolle viride che inflora La primavera e ombreggia il dolce olivo, I lunghi archi stendea l' aurea dimora D' Augusto divo. Molli scorreano l' acque e i simulacri Qui sorridevan de la cipria Dea; Qui, teso l' arco e sparsi i crini sacri, Febo sorgea; E Diana e Palla e quei che con eterno Freno le cose e gli uomini corregge E gli Dei su l' Olimpo e ne l' Averno Tiene in sua legge. Esuli un di da i ceruli splendori Venner de' cieli d' Ellade mal doma, E de' gran vinti i Numi vincitori Stettero a Roma. Suono di tibie l' aüro feria Che imbalsamavan le fiorenti aiuole; Giù biancheggiava tacita la via Sacra, ne 'l sole. Qui l' ampie sale e i laqueati tetti Di persici splendean tesori immensi, E ardevano profusi ne' banchetti Arabi incensi. E ancora il vento sibilando parmi L' eco raddurre che gemea, lontano: Questi, si, questi sono i dolci carmi De 'l Mantovano. Quello che indulge a' brevi giorni e a 'l mirto Côlto a le piagge di Citera e a Bacco E a l' atro Dite, armonïoso spirto D' Orazio Flacco, Ancor de' tersi numeri la vena Discioglie a 'l rezzo de le dolci sere; Canta a Lidia e a gli amici ed a Mecena Il cavaliere. In tra le fronde l' usignuol che dice Il suo lamento a l' ora de 'l tramonto Par che narri i sospir' de l' infelice Esul di Ponto. Grave e pensoso i gracili papiri Trattava qui con dotta man Varrone; L' ombra severa par che ancor s' aggiri Di Cicerone Su queste zolle, fatte omai solinghe, A 'l divo Augusto rampognando il vano Promettere fallace e le lusinghe D' Ottaviano. Su l' ampie mense il Cecubo e in rubino Tinto scorre il Falerno: prezïose Di console lontano anfore il vino Serban gelose, Di formïani pampini già vanto: La tarda rosa sovra il cespo muore E de' poeti risaluta il canto L' imperatore. Roma corre a i Circensi de le nove Fortune inebrïata: invan si sdegna L' ombra di Bruto: in ciel sorride Giove E Augusto regna.

12 Maggio 1892.

Fiorivano i roseti umilemente Intorno intorno per le quete aiuole: Sotto i passi cresceano, e in fra le gole De 'l monte e i sassi, l' erbe lente lente. E tu cantavi a 'l dolce frate sole, E a gli alberi e a la terra lietamente, E i passeri scendeano a la cadente Luce de 'l giorno a udir le tue parole. E ad ascoltarti lasciavano il fresco Pascolo le agnellette, e rupi e lande Ti facean coro, e fiori ed arboscelli. Ne 'l grande amor de gli esseri, Francesco, Tu ti struggevi, e ancora il tuo si spande Amor pe 'l mondo e ci fa dir fratelli.

25 Maggio 1892.

Era tacita l' ora: con le brume Serali stanca intorno pe 'l deserto Loco, scendeva una quïete: il fiume Lontanamente scintillava, incerto In quel diffuso livido barlume Crepuscolare, d' umide coperto Nebbie fra i giunchi de la riva: un lume Si spandea, bianco bianco, per l' aperto Cielo, di luna sorgente: le rose Appassivano tutte: umana voce Ne 'l silenzio vibrar non ascoltai. Morte pareano là tutte le cose, Tutte le cose, ne l' affanno atroce De l' ora triste… Ed eì non venne mai.

26 Maggio 1892.

O Marchesana di Pescara, a voi Già l' età nova non tributa onore Solo per quelle che lasciaste a noi Rime leggiadre e 'l vostro alto valore; Nè per la pia virtù, nè per l' amore Che sì vi strinse che sol morte poi Vi svelse a quel gentil vostro Signore, Nè per fè che teneste a i Mani suoi. Ma chiaro avete e glorïoso vanto, E ognor l' avrete, poi che una divina Alma s' accese in voi di foco santo. E ne 'l gelido ancora evo lontano Ogni spirto d' amore a voi s' inchina Chè solo morta ei vi baciò la mano.

16 Giugno 1892.

S'è ver che, come a 'l rimutar de l' anno Mutan le foglie e 'l ramo si rinverda, Anche noi, perchè qui nulla si perda, Mutiam di spoglia per mutar d' affanno; Se de 'l creato l' anima infinita L' essere infonde ne lo vene spente, E in nôve forme in fra la nova gente Risorgeremo a salutar la vita; Se ne la notte de l' etadi incerte, Pe 'l vasto Cosmos atomi vaganti Vivemmo un giorno e risero smaglianti Aurore a noi su per le sfere aperte; E se talvolta ancor d' una lontana Vita il ricordo pallido ci sflora, Se, come un sogno, ci suade ancora Un' indistinta visïone arcana, Io ben rivivo una stagion remota Per la scala de' sccoli: ripenso A un altro mar più de l' oceano immenso, A un' altra piaggia sconfinata e vôta. Ed in quell' onda eternamente azzurra, D' un azzurro che vince ogni zaffiro, Io, verde alga de 'l mar, me 'n vado in giro Co 'l flutto che spumeggia e che susurra. In fondo a 'l mar le madreperle bianche Ridon: vermigli ridono i coralli: E s' intreccian laggiù notturni balli Quando le stelle languono già stanche. Rose che mai non vide occhio mortale Aprono il grembo a profumar la notte E bianchissimi augelli, entro le grotte, Sotto il raggio lunar quetano l' ale. E son danze di Ninfe, e di Sirene Son canzoni lievissime: non fende Prora quell' onde e il lito non offende Orma d' umano piede in su l' arene. Ne la festività d' ogni elemento Nascon le cose: freme una dolcezza Pe 'l giovane Universo: una purezza Ha cristallina l' aria senza vento. La mia vita ne 'l mar lenta si perde Senza spazio nè tempo: e sempre in giro L' onda glauca che vince ogni zaffiro Mollemente mi porta, aliga verde. Invermigliano i cieli albe novelle, Novi germi fecondano la terra, E il firmamento tacito disserra Innumerate pleiadi di stelle. E sorge glorïosa la futura Vita de l' universo: e nôve forme Assumono le specie e mai s' addorme L' eterno lavorio de la Natura. Il desiderio d' essere tormenta Ogni fli d' erba: ed ogni bruco agogna Di diventar farfalla: e il rivo sogna Il mar che ne la notte s' inargenta. E un' indistinta visïon m' assale Laggiù ne la tranquilla onda lontana, Quasi un desio di questa vita umana, Ove ogni cosa de 'l creato sale.

22 Luglio 1893.

Era il mio sogno tenue, velato In un latteo splendor d' alba nascente, E le palpèbre affaticate e lente S' ostinavano in quel sogno beato. In un latteo splendor d' alba nascente S' apriva il cielo pallido di Maggio: Il sole ancora non vibrava un raggio In quel dischiuso gelido orïente. S' apriva il cielo pallido di Maggio E piovevan su me rose disciolte Color di neve ed a roseti côlte Cui non si giunge per mortal vïaggio. E piovevan su me rose disciolte In lunga pioggia silenziosa e molle: Piovean le rose, e intorno a me le zolle Ne 'l biancor de le rose eran sepolte. In lunga pioggia silenziosa e molle I petali cadean su quella riva: Soffio non si sentia di brezza estiva, Raggio non si vedea spuntar da 'l colle. I petali cadean su quella riva Ne la gran pace de 'l quïeto albore: Dolce dolce cadea fiore su fiore E non moveasi intorno cosa viva. Ne la gran pace de 'l quïeto albore Io mi giaceva ed in quel grande oblio; Nè mi turbava il pensïer desio O remoto ricordo o tema o amore. Io mi giaceva ed in quel grande oblio, Come dentro a un oceano smarrita, Ne le vene sentia quetar la vita Sotto un influsso incantatore e pio: Come dentro a un oceano smarrita, Ove più il tempo non misura il giorno: Lentamente le rose intorno intorno Piovean la niveal pioggia infinita.

28 Agosto 1893.

O tele, o marmi, o fulgidi broccati, Draghi trapunti d' oro, opra di mani Lungamente pazienti, o frastagliati Veroni, o di Bisanzio echi lontani; O vecchi santi immoti ne' dorati Piviali, o queti chiostri francescani, O patrizi severi e incappucciati, O Morosini, o Tiepoli, o Grimani; O fulve chiome su di un bianco viso Care al Vecellio; o in un remoto e scuro Canale di Giudecca, a l' improvviso, Un canto; o de' tramonti oro vermiglio, O macchie antiche rosseggianti a 'l muro, O implacato de i Tre sacro consiglio!

Novembre 1893.

Il piccioletto Amore Batte sovra l' incude Con forte colpo e rude Il povero mio core. Ma il fabbro ricciutello Di sotto a 'l rio martello Che ammacca, e picchia, e suona, A 'l mio cor lasso dona De 'l ferro la virtude; E ormai fatto rubello A 'l crudo suo Signore Il povero mio core A libertà rinasce: Finite son le ambasce, Fini la servitude Che lo tenne in catene, Finite son le pene. Batte il martello e stride … Ma sotto a 'l rio martello De 'l fabbro ricciutello Il mio cor lasso ride.

14 Maggio 1894.

Flegrea, anno I, vol. I, fasc. IV., 1899.

Dicon le femmine: « Anacreonte, Sei fatto vecchio: Prendi lo specchio, Vedi che in fronte Non hai capelli, Che il cranio hai mondo ». Ed io rispondo: « Se i miei capelli Ancor ci stanno O se ne vanno Non so: ma bene So che conviene All'uom decrepito Godersi tanto La vita quanto Più presso è al termine ». Beve la terra bruna, Le verdi piante bevono Il fresco umor del suol, Il mar si beve l'aria, Bevesi il mare il sol, Bevesi il sol la luna. Perchè debbon combattere Gli amici il mio desio Se voglio bere anch' io? Di Gige il fasto splendido Che cosa importa a me? Io l'oro non invidio, Io non invidio i re. Mi giova il crin cospargere Di prezïosi odor, Mi giova il capo cingere D' inghirlandati fior. L'oggi mi preme: è incognito Ogni venturo dì. Quando sereno è l'aere Liba a Lieo così. E giuoca e ridi. Pallido Se il morbo a te se 'n vien. Non possa dir che il calice Lasciar ti faccia pien. Tu canti Tebe, ai Frigî Altri rivolge il canto: Io sulla dolce cetera La mia disfatta vanto. Non fu potente a vincermi Fante nè Cavaliero, Nè con le navi rapide Fui fatto prigioniero. Inaspettato esercito Ai fianchi mi apparì, E, inerme e solo, il barbaro Negli occhi mi colpì. Tu che lavori, o Efesto, L'argento, non donarmi Scudo, corazza o maglia: Io l'armi non rivesto, Io non vado in battaglia: Ma ti chiedo di farmi Un cratere profondo Più d'ogni coppa al mondo. E non plasmar sul calice Gli Astri, il Carro o il terribile Orion: di senso vuote Sono per me le Pleiadi E gli astri di Boote. Ma su v' incidi i Pampini E i grappoli dorati Dal bel Lieo pestati, E il diletto al mio core Batillo, e insiem l'Amore. Non mi fuggir mirando Il mio canuto crine Benchè degli anni al fiore Deh! non voler respingere Il mio fervente amore. Le rose porporine, Vedi, ben meglio spiccano Nelle ghirlande, quando Sono intrecciate a fianco D'un puro giglio bianco.

Duchessa d' Andria.

Flegrea, anno II. vol. III, fasc. VI.

Io non i fiori, capricci fragili Della Natura, non le purpuree Rose, nè il giglio, vanto De' chiusi orti, nè canto Le nove primule fiorenti gli umili Prati, nè schive canto le mammole Rifuggenti al divino Sole, nè il biancospino Di cui s' ingemma la siepe rustica. Od il garofano, pegno di villici Amori, che al cappello Acconcia il giovincello, Nè le superbe serre ove anemici Fiori di estrane plaghe agonizzano, Tolti alla terra viva Della zolla nativa. Ma i forti, i sacri canto, i grandi alberi Verdi, i robusti tronchi che i secoli Sfidano: di canzoni Voglio allegrarvi, o buoni Alberi, intorno spargenti tenue L' ombra degli amp' rami che mitiga Del meriggio l' ardore Allo stanco aratore. Ben altre etadi, sereni e vigili. Vedeste e fiere lotte di popoli. Drizzando alla bufera La superba criniera. Quando non anco l' uomo, tardo ospite. D' orma novella premea la polvere Della terra deserta. E nell' etade incerta. La primavera fioria dei secoli. Valli e montagne coprian le vergini Foreste interminate Di fresche acque solcate: Le folleggianti damme celavano Gli amori sotto le verdi látebre. Ed empiva un rigoglio Di vita ogni germoglio. Là, ne' remoti mattini d' Ellade. Di arcani riti custodi e simboli. Nei cortici albergaste Driadi e Silvani e caste Ninfe fuggenti da osceni satiri, E gl' infecondi misteri d' Ecate Vedeste taciturni Ne' convegni notturni; Vedeste al torbido chiaror di fiaccole Nelle furenti danze le Menadi In lunghe teorie Per le selvose vie; Vedeste bianche file di Druidi Per le foreste di Gallia, e mietere Il vischio e con la teda Sacra passar Velleda. O antichi tronchi, vestiti d' ellera. Sia maledetto chi con sacrilega Scure i remoti arcani, Racchiusi in voi, profani! Sia maledetto!—Lasciate libera L' ampia potenza dei rami crescere E sparger d' ombra amica Ogni pendice aprica. Via l' omicida scure! I grandi alberi Verdi onorate siccome gli avoli Si onorano. Se torna Il Maggio e tutta adorna Di novo riso la terra sfolgora, Ai vecchi tronchi s' appedan memori Le ghirlande votive: Fra le lietezze estive Delle feconde messi o fra i garruli Inni sonati nelle vendemmie, O quando fitta e greve Vien giù, vien giù la neve, Sien sacri al culto novo degli uomini, Come già furo nei Miti, gli alberi: Si lascino gli uccelli Intrecciare i novelli Nidi fra i folti rami, ed al vespero Pispigli e canti corran per l' aria, E torni la smarrita Letizia della vita. I forti venti sull' ale rechino Lungi, oltre i mari, possenti pollini: Chè là tutto è giocondo. Dove tutto è fecondo.

Napoli Settembre 1900.

Duchessa di Andria

Flegrea, anno II, vol. V. fasc. I., 1900.

Non Bacco, il grasso dio de le viti, Non Evio, a 'l torbido suon de le tibie Ma Dionisio, ne i dolci riti, Invoco, il biondo Dionisio Re. Cadono in cenere sovra l'altare Le saettanti frecce d'Apolline, Sono d' Artemide deserte l'are, Ma gloria eterna sorge per te. Tu sol festoso, recinto i crin i Di rosseggianti pampini e d' edera, Tu, nuovo Nume, gli estri divini Susciti, bello di gioventù. Miti a un tuo cenno l'aspre pantere Sovra l'adorno plaustro ti traggono E di fanciulle le audaci schiere Cantano gl' inni che insegni tu. Salve! T' invoco ne gli autunnali Giorni che i raggi del sole indorano, Ultimi raggi pria che i nevali Pepli rivesta l' arido suol. Piantiam la dolce vigna, piantiamo L'amico tralcio con braccia valide E Dionisio santo cantiamo Nei larghi campi, nel caldo sol. Biondo, a gli aperti cieli, matura Ricco di succhi vitali il grappolo; È tutta in festa l'alma natura Che un divin soffio rifecondò. Per l'aria immensa corron possenti Fremiti ed inni solenni e musiche: Tutti di nozze vibrano i venti Dovunque il grande Nume passò. Bevete, o vergini, l almo licore, Spremete il dolce succo che inebria, Cantate, o vergini: Amore, Amore! Verdi ghirlande tessendo a' l crin. Ne i larghi solchi, gialli di messi, Per voi si apprestino fioriti talami, Per voi si apprestino fecondi amplessi De' l sole a' l fulgido raggio divin. Sciogliete i cinti, le molli chiome Spargete a' l vento che reca il polline, De' l Dio novello cantate il nome Ed a le danze spingete il piè. A i bei capretti s' ornin le corna Di rose e a i miti giovenchi lucidi: Suonin le avene liete: ritorna Il Nume, il biondo Dionisio Re.

Duchessa d' Andria.

Flegrea anno III vol. I, fasc. I., 1901.

Piovevano i fiori dei salici Piovevano bianchi all' intorno: Ne' pallidi azzurri, ne' pallidi Violacei morivasi il giorno. Piovevano i fiori dei salici Piovevan dai penduli rami, Pe' nidi gli uccelli tacevano Da' lor consueti richiami. Morivasi il giorno e per l'aria Un' alta quïete spirava: Più dolce, più lento il silenzio L' augusto suo canto cantava. E il grande Maestro per l'ultima Fïata veniva al convegno Nell'atto solenne e magnifico Di re che contempli il suo regno Intorno silenti i discepoli Guardavano al bianco suo volto, Più bianco dei fiori dei salici, Di là dall'occaso rivolto, Rivolto a pïagge più splendide Ancor delle rive del Gange, Là dove la Morte non domina, Là dove l' Amore non piange. Il Vecchio sorrise ai discepoli E disse: Stendete il mantello; Là sotto a quei rami de' salici Ancora giacer mi fia bello.— E quelli, accorrenti, distesero Il manto trapunto d'argento: E il Vecchio parlava e volavano Le alate parole col vento. Piovevano i fiori dei salici Piovevano bianchi all' intorno, E il vecchio diceva ai discepoli: « È questo l'estremo mio giorno. Fratelli, mirate: più fulgido È il cielo e la terra sorride. Fratelli, sì dolce spettacolo Terrena pupilla mai vide. Ogni astro, ogni fiore, ogni rivolo, Ogni albero è pieno d' amore, E tutto festeggia quest' ultimo Tramonto del Sommo che muore. » —E al Vecchio sul capo lucevano Di luce divina i capelli, E il viso raggiava più splendido Dell' oro e le gemme— « Fratelli, Ma solo colui mi glorifica Che dritto nel Vero cammina, Mi onora soltanto il discepolo Fedele alla Santa Dottrina. Fratelli, ascoltate: vi parlano Nell' ombra silente le cose, Vi parlano i passeri e l'aquile Vi parlan le querce e le rose. Pietà della foglia che vagola Al vento, del bruco che muore, Pietà dell' umana miseria, Pietà dell' umano dolore. Immensa pietà, senza limiti Spargete all' intero universo. Così, fra le sabbie, dal polline D' un piccolo fiore disperso Germoglia una pianta, e poi l'albero Ridà nuovi fior, nuovi frutti. Abbiate per tutti una lacrima, Abbiate un sorriso per tutti. » E allor per l'incerto crepuscolo Si udiron soavi armonie: Salivano i suoni, salivano Del Ciel per l'ampissime vie. Piovevano i fiori dei salici, Piovevan sui bianchi capelli. — « Beato colui che persevera Insino alla fine, o fratelli. » Il Vecchio parlava ai discepoli. Parlava l'estreme parole: Piovevano i fiori dei salici, Spariva la luce del sole.

Dicembre 1900.

Duchessa di Andria

Flegrea, anno III, vol. IV, fasc. VI, 1900.

Fiammeggia il sole e accende la laguna Quieta: splende nelle guglie d'oro San Marco, e lungi nel meriggio, bruna Murano appare e l'altre isole in coro. Il vecchio Doge passa e la fortuna Veneta ingombra il mare. Il Bucintoro Immoto sta sull' acque e vi s' aduna Fior di patrizî: di sottil lavoro Trapunta è la gran coltre porporina Che lambe l' onda. Nel sole scintilla. A benedir, la croce bizantina. Il vecchio Doge in sul naviglio sale, E trionfando in maestà tranquilla Compie il mistico rito nuzïale.

Flegrea, anno III, vol. IV, fasc. VI, 1900.

La selva profonda stormisce: sul mare La notte discende solenne. Le cose Si quetano gravi nel sonno. Pel nero Silenzio de' corvi si sente passare La nera falange notturna. Le rose Si sfogliano fredde nell' ombra. Il pensiero Tenace martella nel buio e cammina: I sogni inquieti si spargono stanchi Pel mondo a traverso la notte infinita. Ma quando risorga la luce, divina Tu Fata dei sogni, fra i petali bianchi Di rose già morte sarai seppellita.

Duchessa d' Andria