DOMENICO GNOLI

I POETI
DELLA SCUOLA ROMANA

(1850-1870)


BARI
GIUS, LATERZA & FIGLI
TIPOGRAFI-EDITORI-LIBRAI
1913

(tutte le poesie sono inedite, e tratte da'suoi autografi)

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All'ombra cheta d'un gentil boschetto Dove s'ode tra i sassi il mormorio Gemere dal vicino rivoletto, Ci assideremo insieme, o fratel mio. Quivi co' versi ne daran diletto I padri e duci del sermon natìo, E l'idïoma ch'or giace negletto Ravviverem col labbro e col desìo. Ecco i maestri della bella scola, Ecco il Signor dell'amoroso canto Per cui l'Avignonese al Mondo è sola. Oh! Qual fia più leggiadro od alto incanto? Quando suona più dolce la parola? Quando discorre più soave il pianto?

1856.

Dolce compagna della mia ventura, Suora, di questo cor parte più cara, Viver teco ognor vuò, se non mi fura A te la morte de pietade avara: Se dee troncarsi nell'età futura Questa d'amore generosa gara, Se lasciar deggio in breve l'uman velo,... Teresa, addio, ci rivedremo in cielo. Verrò dal ciel, com'angiol degli amori, E veglierò sovente a te daccanto: Benedirò dal cielo i tuoi sudori, Ed al tuo canto mescerò il mio canto: Benedirò le palme tue, gli allori, E pregherò per te de' Santi il Santo,... Quando io più non sarò, deh serva anbora La memoria di lei che sì t'adora! Ma se compagna tua mi vuole Iddio, E nella vita, che per te m'alletta, Divida il pianto la speme il disio Teco e le gioie dell'età diletta, Ah non temper che mai ti lasci! il mio Destin pari al tuo in vita a me s'aspetta: D'ogni bell'opra un tuo sorriso il guiderdone. Parmi veder ne la futura vita Un'intreccio d'amori e di contenti: È forse sogno, illusïon gradita, Ma si pascon di lei le umane menti. Senz'amore ch'è mai l'età fiorita? Donde acquistan virtute i bei concenti? Tutto è sogno quaggiù, ma nel dolore Si sogna ben quando si sogna amore!

1857.

Oh quando anch'io discenderò sotterra Là dov'hai da molt'anni il tuo riposo, Cessata, o Madre mia, la lunga guerra Che senza te fe' il viver mio penoso, Udrò, se troppo il mio desìo non erra, Fremer di gioia l'ossa, e desïoso Figgerò l'occhio ove di poca terra Scorga vestigio ad uman guardo ascoso. Oh! i desiati abbracciamenti e cari! Oh la memoria degli antichi affetti, Degli anzi tempo abbandonati lari! Celesti, inenarrabili diletti! Deh, perchè l'alma ad assaggiarvi impari A troncare i miei dì morte s'affretti.

1857.

Deh! come cade innanzi tempo spento Della mia breve giovinezza il fiore; Sento la vita mia fuggir qual vento E la speranza inaridita muore. Sulle labbra divien muto il lamento, Chè non comprende l'uom l'altrui dolore; Onde l'ultimo dì che in cor pavento Chiamo nei sogni d'un felice errore. Già mi si stende innanzi agli occhi il velo Che coprirà mie membra sulla bara Quando fia il corpo in tera e l'alma in Cielo. Veggo splender le faci innanzi all'ara, E i fior non colti da terreno stelo Ch'al mio vergine crin morte prepara.

1857.

O da' primi anni miei diletta al core Come bacio di madre, o tu che molto Tempo invocai fin da quel dì che bella Mi sorridea la giovinetta vita, E i dolci sogni dell'età primiera Talor coprivi d'un arcano velo, O lungamente sospirata, io veggo Pur veggo alfin la tua cara sembianza; Non qual ti pinge la volgare gente Magra il sembiante e sovra il tergo sparse Le scompigliate chiome e nella destra Nuda falce imbrandendo, ma vestita D'un rosato color come all'aurora Talor si pinge d'Orïente il lembo, E nella man rose portando e un serto Di vergini ligustri e di vïole Spiranti olezzo di giardin celeste Vieni, o diletta, nelle vuote case, (Vuote al mio cor da quel funesto giorno Che seppellisti sotto poca terra Le più care speranze e alla materne Amate braccia mi strappasti) oh vieni, Consolatrice mia, vieni! la mesta Alma si strugge in aspettarti, come Sospira mesto prigionier la luce De' bei campi ridenti e la beata Primiera libertà nella romita Diletta stanza mi vedrai, solcata La già ridente giovinetta fronte D'un'arcano dolor che mi consuma E sola vedi, poich'altrui celati Nel profondo del cor tenni i desiri Della vita fuggente; onde talora Maravigliando contemplava il viso Pinto d'alta mestizia, e la spossata Egra persona nel vigor primiero Degli anni giovanili; nè in mio core Presagìa certo che con fermo sguardo Il tuo volto guatassi. Oh alfin m'è dato Veder se pari all'indomata brama È il coraggio dell'alma! Oh pria che tutti Vadano al vento i miei leggiadri sogni E la care memorie, nella dolce Casa ov'io nacqui, e qui dove lamento Presso al vedovo letto in cui le membra Posoò Colei che m'amò tanto in terra Quando del suo mortal carcer si sciolse L'anima desïosa, oh qui deh! vieni! . . . . . . . . . . . . . . . . Esca lo spirto nel tuo dolce bacio. Fra le tue braccia poserò secura Presso colei che troppo presto sola Mi lasciò sulla terra; al sen congiunte Le fredde palme, aspetterò che il grido Mi richiami tremendo, allor che tutte Risorgeran nel fatal dì le salme. Ma quale ascolto per la buia stanza Muover di passi e qual ne le mie vene Gelo discorre? Ah ti comprendo; alfine Morte pietosa a' mali miei tu giungi. Ecco l'ora solenne, ecco io t'accetto. O verginal mio letto, a te la salma Illibata accomando e al Ciel confido Il mio spirto supremo. Addio memorie Dei cari giorni, addio degli anni miei Giovin compagni, e voi suore e tu Padre. O terra addio; contro il mio sen la morte Già vibra il ferro, già veggo la luce Dell'eterno Signor: tutti vi aspetto Ove felici no congiunga Iddio.

1857.