Maria Fortuna:

MISCELLANEOUS POEMS





Assembled by
The Italian Women Writers Project


The University of Chicago Library

Chicago
2006

Parnaso italiano dell'anno 1784, o sia Raccolta di poesie scelte di autori viventi, (Bologna: A spese della Società enciclopedica di Bologna, 1785), p. 35.

Vezzosa Lesbia la tua sorte estrema è tua, ma in altri è passeggier dolore: chi di morte in te vede aspro rigore sul proprio fato inorridisce, e trema. E se v'è alcun, che solitario gema, cerca gli affanni d'alleviar nel core; natura appresta insolito vigore, se l'eccesso del duolo un'alma prema. E come il solco, che nell'onda imprime nel suo passaggio rapido naviglio, sparisce, e torna nelle forme prime; Così mestizia sull'altrui periglio per pochi istanti il fido amico opprime, ch' è il fuggir tetre idèe comun consiglio.

Cicci, Maria Luisa, Poesie di Maria Luisa Cicci tra gli Arcadi Erminia Tindaride, (Parma: Tipi Bodoniani, 1796), p. 84-88.

Tra le canore vergini Vidi Erminia gentil Come nel verde april Rosa novella. Ne' lumi avea fulgor Qual fra notturno orror Lucida stella. Avean le Grazie amabili Ornato il suo bel crin; Il lauro e il gelsomin Le fean corona: Saggio pennel talor A Flora Dea de' fior Tai fregi dona. Inni soavi e teneri, Che Apollo le insegnò, Allor ch'ella formò, Virtude accolse: Paga del suo pensier Rapida il piè leggier A gloria volse. Nè sul cammin difficile La vidi impallidir: Vince vivace ardir Perigli e pene: Il buon cultor così Di sue fatiche un dì Mercede ottiene. Mentre la Diva garrula Per lei dispiega il vol, Di vati amico stuol Le sta d'intorno: Così vezzoso appar Le notti a diradar Il novo giorno. Ammiratrice stupida D'Erminia non sarò; Sul plettro esalterò Suoi fasti egregi: Mia cura sempre fu Vantar della virtù Gl' incliti pregi. Ma che promisi? i placidi Giorni non son per me: Ove son io non è Genio dirceo: Ov' è il piacer non so, E tutto m'involò Destino reo. Puoi solo, o Musa, esprimere Interpetre fedel Il fato mio crudel, L'egro mio stato. Ben pinge egregio dir Qual produca martir Un astro ingrato. Le mie pupille soffrono Di Febo allo splendor, E sentono il dolor D'aspra ferita; Onde schivando vo Quant'essere mai può Caro alla vita. In questo stato misero, E degno di pietà, Mesta solinga sta L'alma dolente, E fugge con orror L'incomodo fragor D'allegra gente. Ah se non vengo gl'incliti Tuoi pregi a contemplar; Meco non ti sdegnar, Ninfa vezzosa. T'appaghi il buon voler; L'oppresso mio pensier Di più non osa.