LETTERE
DI
PAOLINA LEOPARDI
A
MARIANNA ED ANNA BRIGHENTI
PUBBLICATE DA
EMILIO COSTA

PARMA
LUIGI BATTEI LIBRAIO-EDITORE
1887

LE lettere di Paolina Leopardi, che per la prima volta veggono la luce in questo libro, si rinvennero fra le carte appartenute a Marianna, figlia di Pietro Brighenti, morta poverissima e più che settuagenaria pochi anni or sono in Modena. Scampate, quasi per miracolo, con poche altre, dalle mani d' un tabaccaio1 Il carteggio di Paolina fu conservato dal Signor Canonico Mantovani di Gualtieri, a lui affidato da una lontana parente di Marianna Brighenti, certa Luisa Montavoce, alla quale eran toccate in eredità, insieme con poche masserizie, buona parte delle carte Brighentiane. Eccetto gli autografi di Paolina, che la povera donna ebbe la buona ispirazione d' affidare alle cure intelligenti del Mantovani, vendette le altre carte ad un tabaccaio, certo Pecorini, il quale le distrusse quasi tutte.—Fra quelle erano molti autograli del Giordani, del Leopardi, del Pepoli, del Rosini, del Cagnoli. Andaron sottratte alla strage, diciasette lettere del Giordani, ch' io pubblicai nello scorso anno in un volume, edito dal Battei, di lettere scelle del grande Piacentino, due di Monaldo Leopardi che pubblicai nelle mie Nole Leopardiane, e la copia di mano dell' Avv. Brighenti di quasi tutte le lettere a lui dirette da Giacomo Leopardi: di queste, venti sono inedite e vedran la luce fra pochi giorni coi tipi del Lapi insieme con altre, pure inedite del Recanatese, illustrate dal mio egregio e carissimo amico Prof. Camillo Antona-Traversi., le acquistò il chiaro Prof. Angelo Arboit, il quale ebbe la bontà di affidarmele.

Da queste lettere in gran parte io tolsi argomento alle mie Note Leopardiane, accolte da autorevoli periodici letterari e da eminenti cultori degli studi sul Recanatese, con una benevolenza che superò di gran lunga le mie stesse speranze; il favore che onorò il mio modesto libretto m' indusse a pubblicare quasi per intero il carteggio, del quale io m' era valso, e che avrebbe potuto portar luce novella su molti fatti, fino ad ora o del tutto ignoti, o mal noti.1 Vedi anche il mio scritto: Paolina Leopardi e le figlie di Pietro Brighenti, nel Giornale Storico della Letteratura Italiana (Vol. VIII fascicolo 3.).

Ho pensato che sarebber validissimo aiuto per conoscere intimamente la famiglia del sommo poeta delle Ricordanze queste lettere, in cui Paolina Leopardi confida ogni suo segreto più intimo a colei, che fu certamente la prediletta fra le sue amiche, e che da lei fu tenuta in conto di sorella. Da queste lettere inoltre veramente emerge il carattere della buona Contessa, e in queste lettere troviam minutamente descritta la sua mesta istoria: le disillusioni continue che le amareggiarono la vita, e le poche dolcezze che di quando in quando gliela consolarono. L' amicizia della Leopardi con Marianna Brighenti, e la sorella di questa, Annetta, durò inalterata per quarant' anni, dal 1829 al 1869: le lettere delle Brighenti erano a Paolina uno dei pochi conforti nell' abborrito soggiorno di Recanati1 Paolina non odiava certo Recanati meno di quello che l' odiasse il fratello. Udremo in queste lettere parole amarissime, che potrebbero essere bella illustrazione ai fieri versi delle Ricordanze.. Versava nel cuore delle amiche le amarezze che le rendean così tristi i suoi giorni: faceva ad esse il racconto dei suoi amori.

Tutta la sua esistenza fu un continuo desiderio d' amore. E, svanito ogni sogno, diceva vana la vita, salutava sola speranza la tomba, così come il sommo fratello, il quale, poichè aveva conosciute a sè interdette per sempre le gioie dell' amore, invocava, supremo bene, la morte.

«Ho bisogno d' amore, amore, amore!» scriveva Giacomo nel 1822 al fratello Carlo, e così Paolina alle Brighenti: «Io voglio ridere e piangere insieme, amare e disperarmi, ma amare sempre ed essere amata egualmente, salire al terzo cielo, poi precipitare». Esclamava la vita esserle morte continua ed atroce, poichè l' amore era fuggito per sempre da lei. Così Giacomo cantava dolorosamente nella Vita Solitaria:

Amore, amore, assai lungi volasti Dal petto mio, che fu sì caldo un giorno Anzi rovente. Con sua fredda mano Lo strinse la sciaura, e in ghiaccio è volto Nel fior degli anni.

L'ideale dell'uomo che Paolina avrebbe voluto possedere, era infinitamente lontano dalla realtà, sicchè, a quella creazione vaga della sua fantasia innamorata, ella avrebbe potuto dire quello che Giacomo alla sua Donna:

Viva mirarti omai Nulla spene m' avanza.

E, pur sprezzando la vita, infinitamente ella stimò la bellezza, così come Giacomo che diceva la bellezza onnipossente1 Canzone per le Nozze della sorella Paolina..

Nessuno della famiglia Leopardi somigliò tanto a Giacomo, quanto Paolina; per questo principalmente il sommo poeta predilesse a tutti la sorella. Raramente due fratelli si somigliarono tanto, come quei due, così valorosi entrambi ed entrambi così infelici.

Paolina adorò le arti belle: sopra tutte la musica: la sua gran passione erano le opere del Bellini. Anche Giacomo, se non fu per la musica addirittura entusiasta in tutto il senso della parola, amò sinceramente quest' arte, come la grande sorella della poesia: nuova e solenne smentita all' asserto del Gauthier che raramente si trovi nei poeti l' amore per le musicali bellezze.

Paolina amava singolarmente lo strano e l' ignoto e uno de'suoi desideri più fervidi era di viaggiare e vedere tutte le meraviglie della natura: le giacciaie della Svizzera, il cielo di Napoli, un' aurora boreale. Sconsolata di tutto, desiderava quello come il solo conforto alla sua mesta esistenza. «Com' è bella la natura, ella diceva, ma com'è brutta la vita».

E Giacomo:

Alcuna Benchè scarsa pietà pur mi dimostra Natura1 Vita solitaria.

Coltissima in tre letterature, nell' Italiana, nella Latina e nella Francese, era pur versata mediocremente nella filosofia. Era pessimista, come il fratello, specialmente in fatto d' amore. Aveva preso ad odiare acerbamente tutti gli uomini e compiangeva le amiche quando le dicevano d' essersi innamorate, come se le annunciassero allora la più terribile e la suprema delle sventure. Diceva essere il meglio vivere, liberi da ogni affetto, giorni squallidi, ma tranquilli, così come Giacomo diceva di sè nell' Aspasia:

..… sebben pieni Di tedio, alfin dopo il servir e dopo Un lungo vaneggiar, contento abbraccio Senno con libertà. Chè, se d' affetti Orba la vita, e di gentili errori, È notte senza stelle a mezzo il verno, Già del fato mortale a me bastante E conforto e vendetta è che su l' erba Quì neghittoso, immobile giacendo Il mar, la terra e il ciel guardo e sorrido.

In una cosa Paolina non somigliò a Giacomo: in certi pregiudizi di casta, i quali facevano strano contrasto con molte idee filosofiche e sociali ch' ebbe comuni col sommo fratello. Alle Brighenti, che le chiedevano conto d' un certo suonatore, Monaldo Fidanza, dubitando ch'ella lo avesse amato un tempo, Paolina rispondeva secco secco: «Sappi che da suo padre noi compriamo il panno bleu per le livree1 Lettera XXXVI.».

Assai diverse da quelle del poeta della canzone all'Italia furono pure le sue idee politiche. Aveva preso ad odiare i liberali, fino a dirli talvolta indegni dello stesso nome di uomini, e nei moti sfortunati, ma fecondi del 1848 ella non vedeva nulla più che un novello castigo divino.

Nè somigliò al fratello nella fede, fervidissima principalmente ne'suoi ultimi anni. Verità o errore, certo quella fede fu sola a consolarle i giorni amareggiati da tanti e così gravi dolori.

Gli ultimi dolori, e forse i più grandi della sua vita, glieli cagionarono gli scritti del suo Giacomo, in cui egli mostrava teorie religiose, tutte opposte alle sue; quegli scritti le strappavano dolorosamente le mistiche speranze di rivedere in un' altra vita il fratello, e le davano invece la certezza straziante di non aversi a ricongiunger mai più con quell' anima adorata.

Il fervore della sua fede religiosa giungeva a tale, da farle benedire alla impudente menzogna divulgata dal Padre Curci ed imprecare al Giordani, immemore del reverente affetto ch'ella gli aveva un tempo portato. Non pare più la stessa Paolina che un giorno pendeva dal labbro del sommo improvvisatore in prosa, e che non si stancava di ammirare e di amare quell' uomo, al quale doveva pur tanto il suo diletto fratello.

Grandi dolori le arrecavano ancora le accuse scagliate contro i genitori, proclamati colpevoli dell' infelicità del fratello. Ella pure aveva un giorno levato voci di protesta contro il governo domestico, che la costringeva ad una vita priva di ogni gioia, che le rendeva vani i suoi desideri più cari e più ardenti: e amare querele contro quel governo, contro la rigida severità materna e la debolezza del padre udremo nelle lettere ch' ella scrisse alle amiche. Più tardi, affranta dai dolori, spenta la primiera vivacità del carattere, tutta assorta in altre speranze più tranquille e non terrene, parve dimentica di tutto, e si levò a difendere quelli stessi che prima aveva accusati. Però negli anni giovanili vivamente e pur giustamente ella aveva protestato contro l' aspra schiavitù in cui era tenuta. Non le si permetteva di uscir mai di Recanati, tranne le poche volte in cui portavasi coi genitori a visitare la santa casa di Loreto. Le era interdetta ogni corrispondenza, anche con donne, e per iscrivere alle Brighenti doveva ricorrere all' inganno, facendosi complice il buon Sebastiano Sanchini, il quale riceveva le lettere dirette a lei e gliele consegnava poi di notte tempo nella biblioteca, quando tutti dormivano, con gran mistero, quasi si trattasse d' una congiura. Le Brighenti eran venute nel 1831 a Fermo, a poche miglia da Recanati, e Paolina, che pure avrebbe desiderato ardentemente di vedere una volta almeno le amiche, è costretta a scriver loro che, se anche fosser venute nel suo paese, nè alla chiesa, nè dalla finestra avrebbe potuto scambiare un solo sguardo con esse.

«Con una menomissima parte di quella libertà che godono tutti quelli che vivono, scriveva, io godrei almeno un momento dell' ineffabile gioia che voi, o care, mi fareste provare; ma io non mi azzardo a dire il rigidissimo sistema d' osservazione in cui io sono tenuta, e che mi fa sicura di non dover trovare pace fuor che..… già comprendi dove».

Il governo domestico ella non lo chiamava altrimenti, che schiavitù, catena orribile, che la costringeva a vivere senz'anima, senza pensiero.

I matrimoni offerti all'infelice fanciulla, erano mandati a monte l' un dopo l' altro, quasi sempre per questione di dote. E la rigidezza usata in questo con lei, non era diversa da quella che i vecchi Leopardi aveano usato con Carlo, quando sposò, contro l'avviso loro, quell' angiolo vero di bellezza e di bontà, che fu Paolina Mazzagalli. Ma la Mazzagalli, per quanto nobile, non era abbastanza ricca, e per sette anni, dal 1829 al 1836, le fu interdetto di por piede nella casa dei Leopardi. Ma per la povera Paolina tutto fu vano: il suo sogno di avere un giorno una casa propria, di sentirsi riamata da un uomo, a cui avrebbe voluto dare tutti i suoi pensieri e tutto il suo affetto, svanì, e ai genitori principalmente ella dovette l' infelicità della sua vita.

Però, anche quando ella levava quelle amare, ma giustissime proteste contro chi la rendeva infelice, non sospettò giammai, come talvolta aveva sospettato il fratello, del cuore paterno. Paolina amò il padre ardentemente in vita, e lo pianse, morto, con lagrime di dolor vero. E veramente Monaldo era in fondo d'animo buono, amò i suoi figli d'un affetto profondo; il suo peccato furono i molti pregiudizi strani, ai quali, con una cocciutagine piuttosto unica che rara, volle conformare ogni sua azione. Ebbe una fiducia eccessiva nella sicurezza del suo pensare: confessava, senza reticenze, egli stesso che gli pareva sragionasse chiunque non la pensava come lui. Con tutto ciò fu debolissimo verso la moglie, donna più di testa che di cuore e ossequente a massime stranamente rigorose di perfezione cristiana. I rapporti di lui coll'Antici sono mirabilmente descritti dalle parole di Paolina:

«Si dette il caso, quand'io era piccina, piccina, anche forse quando non ero nemmeno nata, che la gonna di mia madre, s' intrecciò fra le gambe di mio padre, non so come. Ebbene, non è stato più possibile ch' egli abbia potuto distrigarsene. Se non era questo fatto, noi ottenevamo tutto da Papà ch'è proprio buonissimo, di ottimo cuore, e ci vuole molto bane; ma gli manca il coraggio di affrontare il muso di mamà anche per una cosa lievissima, mentre ha quello di affrontare il nostro assai spesso, poichè, Marianna mia, non se ne può più affatto affatto.

Io vorrei che tu potessi stare un giorno solo in casa mia, per prendere un' idea del come si possa vivere senza vita, senz'anima senza corpo. Io conto di esser morta da lungo tempo, quando perdei ogni speranza, dopo aver sperato tanto tempo inutilmente, allora morii; ora mi pare di esser divenuta cadavere, e che mi rimanga solo l' anima, anch' essa mezzo morta, poichè priva di sensazioni di qualunque sorta».

Dei bisogni dell' età giovanile, e dei caratteri ardenti dei figli, Adelaide non riuscì mai a farsi un giusto concetto, e le parevano ingiuste le pretese de' suoi figli, di togliersi qualche volta dalla monotonia della casa paterna e del borgo natale, di cercare anche fuori delle mura domestiche e l' affetto e l' amicizia, e di pascere le loro anime d' altre speranze e d' altre dolcezze che non fossero quelle della famiglia e della religione. Poi la famiglia ella non si curò di renderla cara ai suoi figli coll' amorevolezza, colla confidenza vicendevole; voleva comandare a bacchetta, e in casa sua richiedeva la regola d' un convento.

—«E pure, io non sono intesa, diceva, dolorosamente Paolina, no non lo sono— ah si, hanno ragione, è vero! Io ho da mangiare quanto voglio, da dormire quanto voglio; posso lavorare e non lavorare, se mi piace: non sono innumerabili quelli che si chiamerebbero felicissimi se potessero fare questa mia vita? Dunque sono io che non mi contento mai, che ho dei desideri insaziabili (poichè il mangiare e il dormire non mi contenta), che formo l' infelicità mia, e l' altrui. È vero, io non me ne ero accorta! Se io potessi cambiare questa mia testa e questo mio cuore, con la più sciocca testa e il più freddo cuore che fosse al mondo, lo farei volentieri, e certo sarei allora più felice e più lieta».

Quello di Adelaide fu forse errore, più che di cuore, di principi, ma errore che la storia non può perdonarle, come non può perdonare a Monaldo la debolezza eccessiva con cui cedette sempre ai voleri di lei. Fu soverchia la severità con cui giudicarono alcuni i genitori di Giacomo Leopardi:— s' arrivò a far credere Monaldo una mente volgare, e Adelaide una madre priva affatto di cuore. Da questo però al dirli genitori in tutto meritevoli dell' affetto dei figli, ci corre, e, spassionatamente studiando i documenti che li riguardano, mi pare che non si possa formare di essi un così indulgente giudizio.

Non furono tiranni; ma non bastano a scusarli gli errori della loro casta e quelli del loro tempo. Genitori tali nessuno augurerebbe a chi ama, a chi vorrebbe che nella famiglia trovasse quelle dolcezze, che sono le più soavi e le più necessarie.

Ed ora due parole intorno ai criteri seguiti nella scelta e nella stampa di queste lettere.

Le lettere della Leopardi alle Brighenti sono 164; ma io pubblicai soltanto quelle che avevano una vera importanza, o per la storia della sua famiglia o per l'intima conoscenza del carattere di lei. Per questo riguardo le lettere scritte negli ultimi anni sono di assai poco conto, essendo generalmente brevi biglietti in cui la buona Contessa non fa che dare in succinto alle amiche notizie della sua salute, e chiedere della loro. Talvolta le conforta nei dolori molti e gravi che le affliggono, e al conforto la buona Signora unisce di quando in quando un soccorso, fedele all' amicizia antica e affettuosissima che la legava ad esse. Ben poche di quelle ultime lettere io diedi alla luce, per non aumentare la copia delle pubblicazioni inutili; pubblicai invece quasi tutte quelle scritte dal 1830 al 1840, perchè quasi tutte, storicamente, importantissime.

Nella stampa m'attenni scrupolosamente agli autografi. Le date, quando non apparivano nelle lettere, le dedussi da ragionevoli congetture.

Io non so quale accoglienza avrà dal pubblico questo libro; mi riempirono il cuore di speranza le autorevoli parole che ne salutarono l' annuncio. A me basta, pubblicando questi nuovi documenti, la coscienza d' aver fatto opera modesta, ma utile agli studi leopardiani. Coll'odierna tendenza della storia letteraria, i documenti non sono mai troppi, per salvarci da errori o da giudizi troppo avventati.

Parma, nel Marzo del 1887.

Emilio Costa.

Recanati 21 ottobre (1829)

Stimatissima Signora Marianna

Sebbene non abbia io il bene di conoscerla personalmente, pure ho parlato tanto con mio fratello di Lei e de' suoi, e delle cose sue, che molta stima ed interesse io prendo per quanto riguarda si Lei come la sua famiglia. Ed è appunto in favore di questo interesse che io chiedo perdono del venire ora, sebbene sconosciuta, a domandarle nuove del suo Sig. Padre in nome di mio fratello Giacomo, che ansiosamente desidera sapere se il Sig. Pietro, se Lei, se tutti i suoi stanno bene, se si ricordano di lui, e dell'amicizia che li ha legati insieme sino ad ora.

Da tempo immemorabile egli non ha avuto più lettere dal suo genitore; egli spera che goda buona salute, che non lo abbia ancora dimenticato, ma se Lei vuole avere la bontà di accertarmelo, noi le ne saremo veramente obbligati, e cagionerà a mio fratello gìoia grande. Egli saluta caramente Lei, e tutti i suoi uno ad uno. Per la sua salute non molto buona egli mi ha incaricato di questa commissione, quale io con piacere eseguisco, poichè mi procura la compiacenza di attestarle l' interessamento che io prendo per la sua famiglia, e di farle ancora i miei rallegramenti per la nuova carriera da Lei intrapresa, quale io le auguro di vero cuore piena di felicità e di onore, come prosperamente ha già sominciato ad esserle.

La prego dei miei complimenti al Sig. Pietro, ed ai suoi, ed a volere di nuovo scusare l'incomodo che le porto, mentre sono di cuore

Sua Devma serva

Paolina Leopardi.

17 aprile (1830)

Preg. Signora Marianna

Io dubitava bene che non fosse mai pervenuta al suo destino una mia lettera diretta al suo Sig. Padre (dopo la carissima sua da Modena), poichè da quel tempo non abbiamo avuto alcuna notizia nè di lei, nè della sua famiglia. Per commissione di mio fratello scriveva in allora al Sig. Pietro, e lo ringraziavo della sua ultima di lui amatissima al medesimo, e lo assicuravo ch' Egli e tutti i suoi vivrebbero eternamente nella sua memoria e nel suo cuore. Ora vedo che quella lettera si è perduta e me ne duole, chè questa perdita è cagione che lei non mi ha tenuto la parola di darmi notizia delle sue imprese e delle sue glorie; e se non avessi veduto soventi volte il suo nome ripetuto con onore nei giornali teatrali, me ne sarei doluta ancora di più. Ed ora io mi rallegro tanto tanto con lei dei suoi felicissimi passi, i quali la dimostrano chiaramente provetta nell' arte amabilissima da lei abbracciata, e mio fratello se ne rellegra con me, ed entrambi desideriamo che abbia effetto la sua venuta in Ancona per avere allora il contento, egli di rivederla, ed io di fare la sua conoscenza.

Mio fratello seguita sempre nel suo stato di salute debolissimo, con il suo solito male al capo ed agli occhi che gl' impedisce anche la più piccola applicazione, e che rende perciò la sua vita molto infelice. La cordialita e l' attaccamento di lei e dei suoi gli è sempre di consolazione, ed io posso accertarla ch'egli ha i medesimi sentimenti per lei e per tutta la sua cara famiglia.

Che le dirò poi del rame del ritratto di Giacomo? É stata tanta la nostra aspettazione, il nostro desiderio di riceverlo, questo dono graziosissimo del suo Papà, che temevamo pur troppo che non giungesse mai nelle nostre mani:—e così è stato. Noi non lo abbiamo ricevuto! e dopo tanto ritardo possiamo sperare che non si sia smarrito?

Lei non può immaginarsi quanto sia grande il nostro dispiacere per questo caso; ma ciò non fa che mio fratello ed io non rendiamo distinte grazie al suo buon Papà, il quale certo non poteva farci dono più gradito.

La prego di presentare i miei complimenti ai suoi, ed ella mi creda con tutto l' affetto

Sua aff. ma amica
Paolina Leopardi.

17 maggio (1830)

Ecco ch' ella ha riveduto, e lasciato mio fratello! So quanto ed ella, e suo Padre, e tutta la sua famiglia lo amano, e m' immagino bene il contento che avranno provato nel vederlo. Quando poi sia stato quello di Giacomo nel trovare tutti loro costì, dove, per qualche tempo, aveva disperato di trovare, io me lo figuro, conoscendo qual posto distinto tutta la famiglia Brighenti tenga nel cuore di mio fratello, il quale me ne ha parlato sempre con il più grande amore, e mi diceva che il piacere che avrebbe provato nel rivedere il suo papà, era come se avesse riveduto uno della nostra famiglia. Egli sperava di giungere all' improvviso, come avrebbe certamente fatto, se qualche incomodo sofferto non lo avesse trattenuto, e non gli avesse fatto differire la partenza di più settimane, e perciò io non le scrissi nulla in questo proposito, credendo ch' egli potesse eseguire il suo desiderio. Ma, o aspettato o non aspettato ch'egli sia giunto, la consolazione scambievole sarà egualmente stata grande, e deliziosa. Il desiderio mio sarebbe di ricevere da lui lettere frequenti e lunghe; ma come sperarlo, conoscendo quanto gli sia d' incomodo lo scrivere?

Ed ecco che io non so se ha veduto la famiglia Tommasini, s' egli è andato a Parma, se la sua salute col viaggio si è migliorata ecc. Mi perdonerà ella, se chiedo notizie a lei, a quella che deve averlo veduto tutti i giorni del suo trattenimento costì? Mi farebbe certo gran piacere, se ciò non le fosse di noia, e mi compenserebbe un poco per il dolore della separazione ch' ella può credere quanto sia grave. Da costì Giacomo mi ha mandato un caro dono, che io terrò sempre con il più grande affetto, e che m'immagino da quali mani sia uscito, e perciò anche queste ringrazio con tutto il cuore. Sempre più piango e piangerò la perdita del tal pacco; e il nome della Ferrucci non mi sarà mai molto gradito. Si faranno, come Ella dice, delle ricerche all' Ufficio della diligenza in Roma, ma pur troppo saranno inutili. Che fa ella, cara signora Marianna?

Attendo sempre e scorro impazientemente i giornali teatrali, per vedervi il suo nome: ma ora ella riposa, e ne ha ragione, dopo le fatiche del carnevale. Godo nel sentire che anche la sua sorellina si disponga a correre nella medesima carriera, la qualo io ho considerata sempre come dilettevole, e quasi invidiabile.

Faccia, la prego, a questa sua sorella, i miei affettuosi saluti, ed ai suoi genitori i miei distinti complimenti, ed ella riceva un abbraccio della sua amica

P. Leopardi.

La prego a dirigere da ora in poi (nel soprascritto soltanto) le sue lettere al sig. D. Sebastiano Sanchini a Recanati. Se Ella ora suppone ch' io non sia molto felice, ha ragione, perfettamente ragione.

26 Maggio (1830)

Mia Cara!

Ebbene, sia fatto come voi volete, e come il mio cuore giá desiderava, e voleva proporvi; ma anche voi farete lo stesso con me, non è vero? Io lo spero, ed essendo questo il primo favore ch'io vi domando dopo che voi con le vostre care ed affettuose parole mi avete dato il diritto di chiedervene qualunque, non ho alcun dubbio di doverlo ottenere.

La vostra carissima lettera mi ha rallegrato, consolato, intenerito. La viva amicizia che voi mi dimostrate e che io contraccambio con eguale tenerezza, mi fa provare dei sentimenti ch' io credevo di non dover più gustare, ora che da lungo tempo sono divenuta fredda ed insensibile anche all' amore. E come non lo sarei dopo di aver perduto da gran tempo la speranza di unirmi all' oggetto che io amavo, e dopo di aver veduto morire sotto i miei occhi un fratello. giovane amabilissimo, vero angelo di bontà e d' ingegno?1 Luigi, morto nel 1828. Noi avevamo passato insieme ventitre anni, senza separarci un momento, ci amavamo tenerissimamente, ed egli era quasi il mio prediletto! Non potete mai immaginarvi, o Marianna mia, quale spasimo di dolore io abbia provato, e quale inesauribile sorgente di affanno e di melanconia questa perdita terribile sia cagione a me, che desidero con tutto il cuore di vedere finita una vita, che è continuamente abbeverata di dolore e di pianto.…

Ma perchè io vi contristo, o mia cara? Voi dovete essere allegra, brillante; voi, che senza dubbio farete col vostro canto palpitare i cuori dalla gioia e dal piacere, voi non dovete conoscere il dolore nemmeno per ombra—ed io certo non vi avrei parlato mai delle mie pene, se voi medesima non mi aveste ispirata una confidenza grandissima nel vostro cuore e nella vostra amicizia, che mi sarà sempre di consolazione e di superbia.

Spero che anche voi avrete in me la stessa confidenza, e che crederete sortite veramente dal fondo del mio cuore le parole con le quali io vi assicuro di una tenerezza vivissima, e di una amicizia eterna.

Fra gli altri motivi che hanno renduto così triste la mia vita e che hanno disseccato in me le sorgenti dell' allegrezza e della vivacità. uno è il vivere in Recanati, soggiorno abbominevole ed odiosissimo; un altro poi è l' avere in Mamà una persona ultra - rigorista, un vero eccesso di perfezione cristiana, la quale non potete immaginarvi quanta dose di severità metta in tutti i dettagli della vita domestica. Veramente ottima donna ed esemplarissima, si è fatta delle regole di austerità assolutamente impraticabili, e si è imposti dei doveri verso i figli che non riescono loro punto comodi.

Ci vogliamo però tutti un bene infinito, ed a forza di assuefazione si riesce a sentire meno gravoso il peso di queste sue massime.

In conseguenza di questa cosa vede con gran dispiacere, anzi non vuol soffrire ch'io faccia amicizia con alcuno, perchè (dice essa) ciò distoglie dell'amore di Dio; e non può vedere nessun soprascritto di lettera a me diretta, fosse anche del suo Santo protettore. Ed è per questo ch' io vi ho pregata a cambiare la direzione della vostra, come avete fatto, e come vi compiacerete di continuare. Ora dovrei chiedervi perdono dell' avervi parlato tanto di me, e delle cose mie; pure non lo faccio, perchè lo avete voluto voi, e perchè se voi mi parlerete, come io spero, egualmente di voi e delle cose vostre, delle vostre speranze, dei vostri studii, dei vostri successi, io ne sarò estrememente contenta e consolata.

Mi sono stati assai grati i dettagli che mi date di Giacomo e del noto pacco; ma lo credereste? Giacomo nelle sue quattro righe che ogni settimana ci scrive, non ci ha detto una parola di questo affare; ed io, come vedete, non posso mostrare a Papà di saperlo. Scriverò dunque subito a Giacomo affinchè ci scriva, o faccia scrivere, o mandi quel brano di lettera, di cui voi mi parlate. Ma certo è cosa molto curiosa che essendo questo pacco tanto vicino a noi, non sia ancora in mano nostra.

Dunque voi andate in Toscana! È inutile ch' io vi dica quanta compiacenza io ne abbia per voi e per la vostra famiglia, alla quale presenterete i miei complimenti. Terrò sempre gradita memoria delle vostre gentili offerte, e vi prometto di prevalermene con pienissima libertà tutte le volte che mi occorra.

Ma quanto siete buona ed affettuosa! Lasciate ch io vi baci e vi abbracci, come abbraccio pure vostra sorella, alla quale volevo dire una parola —ma non vedete che non ho sito? Che essa dunque mi scusi. Giacomo ha scritto, e ha mandato tutto, onde a momenti speriamo di avere il pacco.

15 giugno (1830)

Cara Marianna mia!

La vostra carissima lettera non poteva giungere nè più gradita nè più desiderata; essa mi ha compensato della pena che mi avevano cagionato i vostri complimenti dell' ultima.

Sapevo bene, e mi ripetevo ad ogni istante che voi mi scrivevate in tal modo per togliermi dei dispiaceri, ed io ritrovavo in essa nuove prove di vostra delicatezza e bontà; ma siamo forse noi sempre padroni della nostra ragione? Con tutto quello ch' essa mi diceva io temevo che voi mi amaste meno di quanto mi facevate credere con la vostra antecedente ed ero in continua smania di averne un' altra la quale mi ridonasse la mia amica, i suoi sentimenti, ed il suo affetto, che sarei inconsolabile s' io perdessi. Ed è venuta finalmente quest' altra, ed io la tengo, e la metto sul mio cuore, cui fa provare della calma e delle sensazioni cosi nuove, così dolci, ch' io vorrei sapere e potervi ringraziare quanto lo meritate per tanta vostra bontà, per tanto amor che mi mostrate, e per le vostre espressioni così affettuose e consolanti. Ma sapete ch' io scorgo in voi una anima rara, un cuore come se ne trovano pochi, veramente invidiabile, eccellente?

Non so se combiniamo insieme nella stima e nella diffidenza generale degli uomini, ma io che so e vedo quanto poco vale questo genere umano, tutto composto di egoismo, di puro egoismo, e quanto sono rari ed impercettibili quelli che si possono, non dico amare, ma stimare, tanto più io vi ammiro, o cara, e vi considero come un ente privilegiato, e stimo fortuna grande, inaprezzabile l' avere acquistata la vostra amicizia, ed il vostro cnore, che voi mi avete offerto, e che ora io considero già come mio.

Quanto mi sono cari i dettagli che mi date di voi, della vostra famiglia! ma quanto vi compiango per avere amato tanto tempo invano. Quanto mai avete dovuto essere infelice! Io sapevo che ai nostri tempi questa è sempre la sorte delle persone che amano come voi, o che hanno un cuore come il vostro; ma e che cosa dunque ha di buono la vita, quando abbia ad essere composta di pene simili, e non è meglio, mille volte meglio, morire nelle fasce? Mi pare che Giacomo mi abbia nominato l' oggetto del vostro amore, ed io l' ho dimenticato; nè crediate ch' io ora voglia saperlo, poichè già non lo conosco, e poi io l' odierei, oh si! l'odierei assai, assai ma voi consolatevi, o anima mia, colla certezza che non meritava certo l' amor vostro chi ha disprezzato un cuore così tenero e sensibile come quello della mia amica.—Ed a proposito di amore, sapete che mia cugina1 Paolina Mazzagalli, che Carlo sposò nel marzo del 1829. è divenuta gelosa di voi, benchè non vi conosca? Giacomo le ha raccontato ciò ch' egli vi diceva di Carlo, nostro fratello, ch' era egli un bel giovane, e la comparazione che voi faceste di lui con Pepoli, ebbene! essa non vorrebbe certo che Carlo vi vedesse, e non vuole ch' egli le parli di voi, e in somma ne è gelosa!

Ma non crediate mica perciò che mia cugina sia una stravagante nè una sciocca; essa non fa altro che amare perdutamente suo marito, e considera come una disgrazia irreparabile il perdere uno solo dei suoi pensieri. E, giacchè vi ho nominato mia cugina, voglio dirvi che anch' essa è per me un oggetto di sommo dolore, nel tempo stesso che ci amiamo tenerissimamente. Io la ho amata tanto questa cara persona che me ne ero fatto quasi un idolo; essa era l' unico mio pensiero vegliando e dormendo, essa era per me il vero tipo della bontà, non avevo altro desiderio che di vederla, e, come potete bene figurarvi, avevo renduto mamà cosí gelosa, che io ne ero disperata; ma ora che mia cugina è divenuta moglie di mio fratello, e che i miei genitori non volevano, io non la vedo più, e sono rimasta sola, affatto sola! Voi non potete figurarvi i miei pianti, il mio dolore, ed io non potrei mai descriverlo.

Da più giorni vi rinnovo assai di sovente, anzi tutte le volte ch'io passo dinanzi ad un certo quadro, i ringraziamenti per il caro dono che il papà vostro ha fatto a Giacomo. Se sapeste quanto mi ha divertito lo svolgere quel pacco, e trovarvi delle carte appartenenti ad una certa mia amica! per esempio un sonetto in onore suo, una coperta di un libro di musica; tutti oggetti ch'io tengo con un poco di devozione e di entusiasmo. Ora vi preparerete al viaggio per la Toscana, non è vero?

Non ve lo vorrei dire, ma pure, v' invidio, se non altro perchè avete uno scopo nella vita; è certo molto onorevole ed affettuoso. E se voi sapeste che vita oziosa che faccio io, vi spaventerebbe: io non faccio che dormire, e desiderare di dormire semprepiù, fosse anche per sempre! Addio cara ed amatissima! Mi seriverai prima di partire per la Toscana?

Oh! mi ero scordata di farvi ridere.

La vostra penultima lettera non mi fu data mica; per un vero caso io la trovai e la presi; potevo forse lasciarla stare?

A voi, o Niuetta mia, sorella ed amica della mia amica, che dividete i suoi piaceri e le sue pene, dirò che io vi amo e stimo sommamente, e che mi fa male il sentire che vi siete cavata sangue. Dunque non state bene? Io spero che avrete la bontà di consolarmi con le vostre buone muove, e di amarmi un poco anche voi, se siete così buona come vostra sorella. Addio care giovani! io vi abbraccio e vi bacio con tutto il cuore.

7 luglio (1830)

Marianna mia,

Se le vostre lettero sono e saranno sempre per me un raggio di luce nella notte tenebrosa in cui vivo, tale è stata particolarmente la vostra ultima da Bologna, la quale, essendosi trattenuta un poco per viaggio, mi è giunta in tempo in cui ero afflitta per la vostra apparente dimenticanza. Ma le vostre care parole fanno obliare tutto, meno il dolore di non vedervi. Oh vi assicuro, o cara, che questo è tanto vivo, quasi quanto quello che mi avete cagionato col dirmi che andate forse ad allontanarvi immensamente. Quali parole, o Marianna mia, e quante lagrime mi fanno versare! Io attendo con più smaniosa impazienza i dettagli che mi promettete; ed intanto io tremo che vi prepariate a realizzare un progetto antico di portarvi in luogo ove certo per l' asprezza del clima voi non potreste vivere, delicata come siete ed avvezza al sole d' Italia. Fino a che mi verrà una vostra io, vivrò nella speranza d' ingannarmi; ma se mai fosse vero, quale spasimo di dolore!—Ora sareto senza dubbio affollatissima di occupazioni, di studio, di affari. Ma quello che mi affligge è di vedere che voi siete melanconica, o cara, che voi avete dei dispiaceri; e pur troppo io credo che ne avrete sempre. Voi siete troppo buona, anzi certamente siete la sola buona fra la schiera numerosa delle vostre compagne, e questa bontà è fatalmente la sicura guarantia di non poter mai essere nè felice nè tranquilla. La mia amica non ne dubiterà, ma io vorrei ch' essa vedesse il mio cuore, e con quale ardore, con quale inesprimibile ardore esso vorrebbe che ogni di lei passo fosse un trionfo, che tutti la ammirassero, la esaltassero, e che trovassero in lei un'altra Sontag—oh allora io sarei veramente felice.

Come siete contenta della Toscana, di cotesto ridente soggiorno? Addio, o cara: raccomando a Nina la cura della tua salute. Salutami tutti i tuoi, dà per me un bacio a tua sorolla e ricevine uno affezionatissimo dalla tua Paolina.

Hai veduto Giacomo? Il giornaletto dei teatri ecc. che si stampa in Bologna annunzia la partenza di Maria Brighenti per Siena e quando tornavi da Piacenza ti chiamava Carolina.

28 lugtio (1830)

Marianna mia,

Lascia ch' io abbracci la cara Giulietta, e che baci le sue belle guancie esprimendole così la parte ch' io prendo ai suoi trionfi, alle sue glorie. Quanta gioia, quanta inesprimibile gioia mi ha cagionato l'ultima tua lettera! e quanto mai avevo desiderato di provare questo sentimento, in tal modo a riguardo tuo!

Ma tu fai prodigi, sei novizza nella tua professione, e tutti i tuoi passi sono trionfi! E ti ammiro immensamente, e sono presa di entusiasmo per il tuo talento, per il tuo ingegno, per la tua voce, per la cara tua persona che io amo tanto, e che spero di sentire sempre esaltata e quasi direi amata, se non fossi gelosa, estremamente gelosa dell' amor tuo. Mi hai chiamato unica tua amica, ed avendoti io tanta fede vorrei crederti, io però vorrei essere sola ad essere amata da te, dopo i tuoi, s'intende; e quasi vorrei anche essere sola ad amarti tanto grandemente come faccio, ma quì temo di sbagliare: quando si ama veramente si desidera, io credo, che tutti trovino amabile l' oggetto amato, ed allora come non sarà amato anche da altri? Però, io che sono piuttosto gelosa di natura (e guai a me se avessi marito, chè la gelosia sarebbe il dolore della mia vita) ho delle massime tutte mie e quasi ridicole; ma non è certo ridicolo l' amore ch' io ti porto, e che vivrà sempre ardentissimo nel mio cuore.

Quanto mai sei buona, e quanto io ti ringrazio, di avermi dato le tue nuove, e quelle di Giacomo in momenti occupatissimi! Sebbene il ricevere tue care lettere sia propriamente l' unica mia felicità in questa vita, pure devo pregarti a non prenderti fastidio per me quando non sei affatto libera; chè io non vorrei certo esserti di noia, nè vorrei che lo scrivere a me ti privasse di qualunque anche minimo piacere. Mia sola consolazione sarà di desiderare e d'aspettare lettere tue, di pensare a te, cui penso ogni momento, alla cara Nina, al giubilo che pure una volta proverei in questo mondo se io vi vedessi più realmente che in sogno, quale incanto sarebbe mai per me! Ridendo e saltando cominciai a leggere l'ultima tua, e la terminai col pianto, precisamente col pianto. Questa Russia mi fa disperare; ma lasciate, o mie care, che vada ancora dubitando sulla fine di tal progetto; io stimerò di perdervi affatto quando mi direte— addio! noi partiamo!—questo pensiero mi rende gia infelicissima; figuratevi poi la realtà!

Ti prego dei miei complimenti ai tuoi Genitori, con i quali io mi rallegro dei plausi che ottiene la loro flglia, e di cui tanto più godranno quanto che è opera loro, chè io ho letto tuo principal maestro essere stato tuo padre, non è vero?—Ed a proposito di tuo padre, nel Giornale di Bologna dei Teatri ecc. vi fu, tempo fa, un articolo Della musica Rossiniana e del suo autore che noi abbiamo creduto essere di Brighenti.1 Ed era infatti del Brighenti; quello scrtto fu anche tirato a parte in opuscolo (Bologna, Dall'Olmo. 1830.) Se te ne ricorderai, mi dirai se ci siamo apposti al vero. Quanto dureranno ancora le tue fatiche di costì? Ti raccomando grandemente la tua salute.

Addio, Marianna mia; ora sarai Egilda, non è vero? Alla cara Nina dirai tante cose per me.

Non ti dimenticare ch'io ti ammiro e ti amo affettuosissimamente con tutto il cuore, e che se questo cuore non cambia forma o natura, questi sentimenti non cangieranno mai—oh non mai!

8 settembre (1830)

Marianna mia,

Ho aspettato finora invano di vedere annunziato il vostro ritorno a Bologna, ma ora non posso più credere che non ci siate giacchè, sebbene non me lo aveste detto, io sapevo che dovevate finire le recite a Siena il 24. E sapete voi che persone Recanatesi erano colà quando voi cantavate?

Quanto mai io le invidiava! quanto mai sarei stata felice nel loro luogo! Ed ora come state, o cara? il riposo, l' aria più salubre vi hanno rimessa in salute?

Che questa notizia sia il soggetto delle prime parole che voi mi scriverete; qualunque altra parola, sebbene con quella mi annunziaste la mia felicitâ, mi sarebbe infinitamente meno grata di quella che mi assicurasse che la mia amica non soffre più. Mentre noi smaniavamo per il caldo, io sempre pensavo a voi, ed alla fatica che sopportavate, ed all'incomodo che necessariamente dovevate sentirne, e mi affliggeva questo continuo pensiero, e deploravo la sorte infelice delle persone anche le più virtuose, che a questo mondo non godono mai nè felicità nè pace, chè anzi più sono virtuose più sono infelici.

Avrete trovato la Ferrucci immersa, senza dubbio, nell'afflizione; se essa vi era amica, io vi compiango bene ambedue! Che fa la cara Nina? Io la ringrazio assai delle sue affettuose amorosissime parole. Oh mie amiche! possiate essere felici quanto lo meritate per tutte le qualità eccellenti adorabili del vostro cuore, del vostro animo. Che care giovani siete mai! Avete riveduto Giacomo? egli mi scrive che sta male di stomaco, che non esce, e che non può nemmeno ricevere visite. Se potete dirmi una parola consolante di lui, assicuratevi chene ho gran bisogno. Come vi ha sorpreso e come vi piace la rivoluzione di Francia?

Addio, cara carissima Marianna mia. Saluto i vostrì buoni e rispettabili Genitori; bacio ed abbraccio con una tenerezza inesprimibile voi e l'affettuosa Nina, mi raccomando di volermi bene.

Mandatemi un sonetto dedicatovi a Siena; già sapete ch' io faccio raccolta di tutto ciò che vi riguarda.

10 settembre (1830)

Cara Marianna mia!

Leggendo il giornaletto di Bologna dei Teatri ecc. non posso fare a meno di serivere nuovamente a voi sebbene lo abbia fatto avant' ierì, e voi mi perdonerete, io spero, questa nuova lettera in favore del motivo che ne è la cagione. E giudicate voi medesima se sapendo che è in vostra mano il ritratto di una mia tenera amica, ottenuto da essa con le sue brilanti fatiche, in una serata piena di gloria, potevo attendere io una o due settimane a pregarla a mani giunte che me lo concedesse? No, non posso tardare un momento a chiederlo, e ad assicurarvi che io lo terrò come cosa preziosa, e la più cara che io abbia. Non saprei, e non vorrei immaginare un rifiuto che mi renderebbe infelice ed in tanto io mi pasco dell'idea di baciarti, o cara, con con tutta l'anima, in figura almeno, giacchè nol posso in realtà.

Mi raccomando anche a te, o Nina mia, acciò m'impetri questo favore da tua sorella, che io riguarderò sempre come il più segnalato ch'essa e tu potreste mai farmi.

26 Settembre (1830)

Marianna mia,

Nel leggere nel giornaletto dei Teatri che alla Cesari avevano fatto il ritratto con penna non compra, io ridevo della domanda che ti facevo del tuo, credendolo veramente un ritratto; e m' immaginavo pure il tuo riso; ma la tua lettera mi ha fatto saltare dalla gioia, vedendo che tu mi avevi esaudita non solo, ma anche prevenuta. E per questo tuo pensiero ricevi un abbraccio affettuosissimo. Otto giorni ho aspettato ansiosamente il tuo dono, e questa sera, pochi momenti fa, io ti ho vista, o mia cara, e ti ho baciata! Finalmente io ho una idea della mia amica… ma i suoi occhi, oh! i suoi occhi io non li conosco. Lasciami credere che i tuoi occhi formano uno sguardo più dolce, più amabile, e più interessante: non è certo possibile che quegli occhi sieno i tuoi. Con quelli tu non potrestì esprimere alcun sentimento nobile, affettuoso, tu non potresti esprimere nulla di quanto senti, poichè tu non sentì nulla che non sia virtuoso.

E poi tu devi avere un aspetto assai più interessante di quello che ti hanno dato, io ne sono sicura. E mi ha dato diletto il vederti nel tuo ricco abbigliamento, che (mi dice mio fratello) assomiglia a quello della Egilda di Ancona, e la tua pettinatura, e insomma io amo assai questa cara figura, e l'amerei di più se mi facesse vedere i tuoi occhi. Ed intanto è questa una prova del tuo grande incontro a Siena, del quale non puoi credere quanto io ne gioisca, e di quanto mi dici delle chiamate che hai e delle tue speranze. Se esse sl realizzano, o mia cara, io non sentirò più di essere infelice. Tuo padre ora menerà vita più lieta e assai meno travagliata di quella che ha menato per parecchi anni, e di cui si lamentava così amaramente con Giacomo? Sino da allora io gli presi amore, e stima grande, e grande interesse, poichè vedevo quanto egli era sfortunato, e quanto poco meritava di esserlo. Allora si doleva ancora dello stato languente della salute di tua madre, ora come sta ella? Salutami affettuosamente e rispettosamente queste due virtuose persone, e dì loro quanta parte io prenda alla loro consolazione.

Sai, o Marianna mia, che bisogna che mi dica per qual motivo non potesti vedere Giacomo? Se sapesti quanto mi hanno fatto male le parole di Giordani, e questo tuo non vederlo! Io mi figuro che egli stia male, e che tu me lo abbi taciuto, poichè altrimenti Brighenti suo intimo amico non avrebbe forse cercato di vederlo? Se mi vuoi bene, spiegami tutto, e dimmi pure quanto sai, chè già l'incertezza mi tiene afflitta estremamente.

Io ti dirigo questa a Bologna, non sapendo se andrai a Firenze, o se vi sei andata. Cara mia, ricordati che l'amor tuo è la mia unica consolazione, e che io penso a te come penserei al mio diletto, se ne avessi uno.—Io ti abbraccio dunque con tutta l'anima, e mi raccomando al tuo amore. La Boccabadati è tua amica? Se tu la conosci dimmi una parola della sua figura.… Ma cosa dico, e cosa mai pretendo? tu sei sempre tanto affaccendata, che non avrai nemmeno il tempo di dirmi io t'amo, ebbene, mi raccomanderò a Nina. Addio.

Nina mia! È vero che non sdegnerai di intrattenerti meco quando quella cattiva di tua sorella farà finta di non potermi scrivere? E poi io non mi meraviglio che non ne abbia realmente il modo; essa ha tanti amanti, che cambia ad ogni stagione, ch'è impossibile che possa pensare ad altro che a quelli. Ed io mi faccio segni di croce della sua prodigiosa volubilità, e quando io cominciai a scriverle non avrei mai creduto ch'essa fosse per diventare coquette a tal segno. Ed è vero che anche la cara Nina andrà per la medesima strada? Ebbene, io t'invidio! Intanto ti godrai di questi viaggi é permanenze che fai in ottime città e sarai allegra, non è così? Oh se io sapessi dove si vende l'allegria, ne farei provvisione con gran piacere; —eppure io ne troverei vicino a voi, o care anime, e ne sto lontana, e forse non ci vedremo mai!—Cara Nina mia, abbracciamoci ed amiamoci.

5 Novembre (1830)

Sappiate, o cara Marianna mia, che io sono in una curiosità (direi meglio, angustia) terribile di conoscere il motivo del vostro silenzio così lungo ed ostinato. L'ultima che io ho ricevuto di voi è dei 14 di Settembre, alla quale io risposi il 26, giorno in cui ricevei il caro vostro dono. Dopo di cio, point de nouvelle! E pure voi siete a Bologna, non siete andata a Firenze, ed io pregava anche la Nina a volermi dire qualche cosa quando la sua sorella fosse stata troppo occupata, ed io sperava che nell'intervallo delle vostre fatiche mi avreste detto di amarmi anche più sovente, ma ahimè, o Rubini vi ha incantato, o io ho perduto il vostro amore. E sebbene questo ultimo caso sarebbe per me di tal dolore, che non saprei esprimerne pure una idea, quella che mi ha determinato a scrivervi, la più terribile di tutte, è che voi stiate male. Se ciò è vero, io sono perduta! Per carità, che la cara Nina mi dica una parola una sola parola, perchè non è possibile che tanto silenzio sia cosa naturale. Oh mie care! il pensare a voi mi era, giorni fa, di conforto, ora egli è un dolore, uno spasimo di più.

Se è vero, come non posso dubitarne, che mi avete amato, non tardate, io vi prego a mani giunte, a consolarmi. Io non avevo altra consolazione che il vostro amore, ma ci posso più contare? Perchè se non è vero che niuna di voi sia stata inferma, non è egli un torto, una offesa alla santa amicizia l'avermi lasciato tanto tempo senza vostre nuove? Io me ne appello a Brighenti, e lo prego di darvi qualche castigo, se è vero che lo meritiate, come io spero.

Con una inesprimibile ansietà sto attendendo un vostro riscontro, una parola di qualcuna di voi che mi dica—noi stiamo bene! Oh allora io sarò felice. Addio, care ed amate anime! io vi abbraccio e vi bacio tenerissimamente, ma con un sentimento di dolore ch'io non saprei descrivere.

Se fosse mai vero che dopo il 14 di settembre voi mi aveste scritto, la lettera si sarebbe perduta o per negligenza di posta o per malvagità altrui. In quel caso, ma solo in quel caso, fate il soprascritto al Conte Carlo Leopardi.

14 Novembre (1830)

Mia cara!

Finalmente è venuta una tua a consolarmi, a mettermi in calma sul conto tuo, dopo tanto tempo che io ne stavo in una aspettazione terribile. Io ero quasi certa che tu stessi male, e puoi figurarti quale pena questo crudele pensiero mi cagionasse. Ma invece ti diverti con Rubini, ed è questo un divertimento ch'io ti invidio assai assai. Si dice che nella primavera futura egli verrà in Ancona; ma non credere per ciò che io lo senta; non ho potuto sentire David, non ho potuto ottenere di andare a sentire una piccola opera a Loreto, due passi lontano da Recanati, ove cantava la Dati, Rosaliti ecc.—vedi con quanta pace io debba sopportare le mie catene! La Dati credo che vada a cangiare di nome; ha fatto innamorare Amedei, organista di S. Casa, bel giovane, e mi dicono, assai bravo nella sua professione, ed egli se la sposa.

Dunque tu andrai ad allontanarti assai? quanto ti invidio! quanto volontieri starei nel posto di Nina! io ti abbraccierei, e ti direi quanto mai mi sei cara, quanto mai io ti amo, quanto mi rende superba la tua amicizia, quella di un cuore come il tuo, e quanto ardentemente desidero che tu sii felice come lo meriti.

Ma io non ti vedrò mai, ne sono sicura; sono troppo avvezza a veder contrariati tutti i miei desideri, anche i più innocenti ed i più lievi, per non dover credere che non sarà mai esaudito questo ch'è ora il più fervido del mio cuore. Frattanto se tu mi ami, o cara, io sentirò assai meno la mia infelicità. Se puoi dirmi una parola prima della tua partenza, già sai qual prezioso regalo tu mi faresti. Quando tornasti da Siena, io mi rallegravo con me stessa nella speranza che tu mi avresti scritto più sovente in un tempo in cui non avevi teatro; ma questa speranza tu l'hai estinta. Addio, cara anima mia. Saluto i tuoi genitori; non saluto la Nina, chè io sono inquieta con essa; alla mia preghiera che volesse scrivermi quando tu non potevi essa non ha badato; dille ch'io non l'amo punto. E poi oggi sono di cattivo umore; non ci sarebbe che il vederti che mi rallegrasse.

23 Dicembre (1830)

Cara mia!

Sappi per tua regola che questa volta ho sopportato il tuo silenzio con più pace, o per dir meglio, con meno amarezza del solito, poichè io gia m'immaginava le perplessità e i dubbi e le inquietudini in cui dovevate essere immersi per la grande sciagura accaduta. Il primo mio pensiero tosto che io la seppi fu diretto a te e al danno che ti avrebbe recato, e per questo solo motivo, come puoi bene credere, compiansi una perdita che in tempo di quaresima avrei sopportato ridendo. E certo noi speriamo che presto tu possa uscire da questo stato d'incertezze, che ti deve annoiare molto; e mi affliggerebbe assai assai il non vedere spuntare un papa a tempo per non farti perdere il carnevale. Ma e non pare anche a te cosa ridicola quanto mai che tutti abbiamo da stare in lutto per una cosa di cui nemmeno ci accorgiamo, e che dobbiamo starci fino a tanto che alcuni vecchi si combinano fra loro di darci uno di essi per padrone, cosa di cui faressimo a meno tanto volentieri? Ora però si vede chiaro che per noi non ci sono riforme o miglioramenti, e che come siamo nati moriremo, e certo ha fatto male Giordani a farsi esiliare1 Il 13 Novembre gli fe intimato di partire da Firenze in ventiquattr'ore, dalla Toscana in tre giorni. (Ep. del Giordani. VI. pag. 71)., egli che stava tanto volontieri in Toscana, sicuro come doveva essere che in Italia non vi sono uomini. Da una lettera da Roma di un mio zio avevo avuto un cenno della partenza di Giordani, ed io avevo indovinato il resto; ma tu mi dirai (o Nina, se tu non puoi) come è andato l'affare, e se egli ha avuto che fare in una certa sommossa che dicono accadesse a Firenze tempo fa. Tu riderai di vedere ch'io ricorra a te per sapere particolarità riguardanti un amico intrinseco di mio ratello; ma gia sai che Giacomo non può serivere affato, e che ci serive assai di rado e brevissimamente; e poi di questo affare non ci parlerebbe, chè le sue lettere si leggono in comune. Dunque, se mi vuoi bene, dimmi tutto, o dove Giordani è andato. Forse in Francia?2 V. intorno all'esilio del Giordani il cap. XI della Vita scritta dal Gussalli.
Il Giordani scriveva il 13 Novembre alla Marchesa Lenzoni di Firenze: «Faccia il possibile e un po'dell'impossibile per discoprire l'arcano. Ma qualunque sia il motivo, qualunque il motore non può esser altro che un'espressa falsità; perchè io sono sicurissimo d'ogni fatto e detto. Se avessi voluto andare in Francia avrei avuta una lettera dell'aurea signora Giulietta al suo intimo amico Generale Belliard, confidente del nuovo re. Ma voglio restare in Italia, finchè mi rimane un palmo di terreno. (Epist. VI. pag. 72).
E non gli rimaneva altro territorio che il nativo ove liberamente dimorare. In Piacenza si fermò per alcuni mesi, finchè risolse di fermar dimora in Parma, che ebbe la gloria d'ospitarlo fino al 1848, anno di sua morte.
. E tu non vai più a Cosenza, nemmeno con quei patti molto più vantaggiosi che ti offrivano? Ma io ne sarò assai contenta poichè ho gia veduto sulla carta geografica che Cosenza sta vicinissima alla Sicilia, per conseguenza sarei tanto più lontana da te, e poi i Calabresi sono mezzo selvaggi, e poi 14 mesi interi! Oh è meglio che tu veda Venezia.

E inutile ch'io ti dica quanta allegrezza mi cagioni il sentirti dire che sei molto lieta del tuo stato presente.

Tu sei degna di essere felice, e lo sei, e lo sarai senza dubbio. Hai veduto che Verger ha sposato la Brambilla? Io ti dicevo che la Dati ha fatto innamorare Amedei di Loreto. Egli l'ha sposata, e si è obbligato di pagare al padre di lei tre scudi al mese sino ch'ei vive.

Veramente io non so perchè ti parli di queste cose che a te certo non importano punto; ebbene! scusami; il desiderio di parlare a lungo con la mia amica mi trasporta, e non mi fa vedere ch'io la annoio.

Bisogna che tu mi spieghi un paragrafo della tua lettera ch'io non posso capire; forse perchè tu avrai scritto in fretta e lasciato qualche parola —«Nina (mi dici) presto ti scriverà dandoti minute relazioni di certo matrimonio, che so io, i vostri affari?»—Queste sono le tue parole, con le virgole precisamente come nell'originale. I vostri affari io non capisco come ci entrino. Se te ne ricordi, e se mi scriverai prima di un mese dammene la spiegazione. Se io potessi ti saltere; al collo, e ti abbraccerei e ti bacierei, ma pur troppo io nol posso, ma tu immaginati ch'io lo faccio con il desiderio il più vivo, o con un cuore ardente per te, o cara anima mia!

Sono inquieta con te, e mi scordava di dirtelo. Perchè non mi hai mandato il ritratto di Rubini? quasi io volevo scriverti a Bologna per chiedertelo; ma, come vedi, non lo feci. Se vuoi, o se puoi (senza la menomissima tua pena) mandalo senza bastoncino, solamente involtato entro una carta. Il tuo ritratto passò alla posta di qui come mercanzia, cosa che gli accrebbe di molto il prezzo, e bisognò farne ricevuta nel libro postale ecc. tutto per il bastoncino che vi era. Ma sappi che io non metto già tanto prezzo nè tanto desiderio ad avere Rubini come quando io io ti aspottava, o Marianna mia, perciò non darti nessun incomodo, nemmeno piccolissimo. Addio, saluto Nina, od attendo sua lettera ansiosamente.

Ho detto una sciocchezza intorno al paragrafo, non mi dire nulla, chè ho capito. Venga dunque questa lettera di Nina e il dettaglio del tuo matrimonio.

… Gennaio (1831)

Nina mia!

Hai ragione, perfettamente ragione di mandare in Paradiso tutti i R. R. ed E. E. perchè non si sa proprio cosa diavolo facciano di buono a questo mondo, ma tutti si ostinano a voler essere papi, e non si vogliono cedere questo bell'impiego, ed intanto rovinano innumerabili famiglie, senza che si degnino dire una parola, la quale, detta che fosse, si penserebbe al conclave assai meno. Non potete credere, o anime mie, con quanto fremito sopporti io questa vostra disgrazia, e con quanta impazienza e furore abbia atteso ogni giorno di sentire fatto un papa, sino al giorno 6, fissato alla vostra dimora di costì; ed io fino allora speravo, ora non spero più; si può cantare il dies irae per il povero carnevale, come lo hanno cantato a Roma per il conclave. Ed io credo, Nina mia, che tua sorella non farà carnevali nel nostro stato, non è vero?

Dici benissimo che tu credi prendere io molta molta parte alle disgrazie vostre; chè io considero realmente come parte della mia famiglia voi due care ed amatissime giovani. Ed io vi compiango assai assai, e comprendo bene come non dovete essere allegre, ma… questo tempo critico passerà, e la bravura della mia amica provvederà a tutto, e conforterà tutto, e voi tornerete ad essere allegre, come è il vostro naturale; e me lo diceva Giacomo che le Brighenti erano di buonissimo umore, e mi par bene che ciò sia vero, almeno di te, Ninetta mia (chè Marianna certo è più seria) e la tua lettera me lo mostra. Sai che il racconto che mi fai di Mori è spiritissimo? Se questo affare non riguardasse una persona a me carissima, io ci avrei riso, ma certo fa ridere il tuo modo di descrivere, e tu passi con una leggerezza mirabile sulle pene che deve aver sentito il cuore della tua povera sorella, poichè, da quanto mi dici, essa lo amava, o so ben io quanto mai costa il dover rinunciare ad una illusione carissima: quella di vodere sotto altro aspetto l'oggetto amato, e di vedersi non amata; ma forse tu non lo sai, o non hai provato mai nulla di simile, ed allora hai ragione. Ed io voglio dirti, nè avertelo a male, che mi pare che tu sia innamorata di qualcuno a Ferrara. Non importa che tu mi dica se è vero o no (sobbene potresti anche dirmelo); ma se mai fosse vero, vedi quanto sono brava a capire le minori nuances delle tue parole! Ora io ti lascio perchè voglio parlare con Marianna. Se mi vuoi bene, scrivimi spesso, chè le tue lettere mi piacciono molto, ed io amo il tuo genio un poco satirico. Abbracciami, Nina mia, ed amami, almeno quanto t'amo io. Addio, addio.

Cara Marianna mia, come stai? Ti è passata la luna, il mal umore, il tuo mal essere di salute? Questo è quello che m'interessa più di tutto, poichè quanto al resto da un momento all' altro si può cangiare. Ma quanto mai mi affligge questo tuo ozio!… Ieri sera prima di andare a letto io scrissi sin qui, ma allora non sapevo ciò che ho saputo quest' oggi (Martedi) e che, mentre io scrivo, tu ancora non sai; il permesso venuto di aprire i teatri. Ho saltato dalla gioia, e per te sola, per te che sei realmente in cima a tutti i miei pensieri.

Ecco dunque soddisfatti i vostri più vivi desideri, eccoti piena di faccende, e vicina a cingerti di nuovi allori. Nina sarà un poco più tranquilla e stimerà di più le berrette rosse Quella ragazza mi pare che sia più focosa di te: voi due siete per me Minna e Brenda di W. Scott, e Rosina ed Elena di Lafontaine, nelle confessioni al sepolcro; già si sa che io ti rassomiglio alle due prime, e Nina alle seconde, ed io voglio molto bene a queste ragazze ideali, appunto perchè le ho paragonate alle mie amiche dacchè le ho conosciute. E tu riderai di questa idea, pure è vera, e quando rileggo questi romanzi mi sembra realmente di sentirvi parlare. Ma tu ora hai altra voglia che di trattenerti meco, e hai ragione; nè voglio essere indiscreta. Solo voglio ringraziarti del Rubini che mi prometti. Ma se non hai scritto a Bologna, non ci pensar più. Io credevo che tu ne avessi qualche copia, altrimenti non te lo avrei chiesto, chè io non volevo incomodarti per nessun modo. Ho molto gusto che non sei per andare a Cosenza; ma quanto debbo ringraziare Iddio che ti ha inspirato di mandare al diavolo il viaggio di Russia! Ora quel maledetto cholera mi farebbe palpitare per te, per la tua famiglia, oltre poi il non saper nulla di te, di persone così care ed amate. Alla tua domanda delle nuove di mio fratello e di sua moglie, io ti risponderò che di queste due persone io non ne vedo che la metà, poichè l'altra è sempre proscritta dai nostri Lari. Io non me ne posso dar pace; ma nemmeno ci è speranza che le cose cangino. I miei genitori sono di una fermezza (disgraziatamente) irremovibile—ed io sono sempre infelice per questa separazione, che è la più gran disgrazia che mi poteva accadere in questo tenore di vita ch'io meno.

Fra due mesi essa diverrà madre nuovamente, lo è già di una Gigia che è andata a trovare il nostro caro Gigio in paradiso. All' altra domanda dei miei passati amori risponderò un'altra volta, chè qui non v'è più luogo, e poi ho le lagrime agli occhi. Oh vi sono dei dolori che non cessano mai, e delle lagrime che verseranno eternamente. Possa la mia amica non aver mai cagione di versarle! possa la felicità e la gioia di questa cara persona scemare la infelicità di quella che le sarà sempre attaccata con la più grande tenerezza.

Ah, Minna mia! ti sei dimenticata di parlarmi dell' amico di mio fratello, di cui ti pregavo assai nell' ultima mia a darmi notizia esatta; ma io non so se tu realmente non ci hai pensato, o se hai fatto apposta. Se hai fatto apposta, hai fatto bene, se no, ripara il torto, o fallo fare da Nina.

11 Febbraio (1831)

Marianna mia!

La carissima tua mi è giunta in tempo in cui io era assai ansiosa delle tue nuove, chè non mi piacevano punto quelle che io sentiva della prima opera di costì; ero però contenta di non vedere il tuo nome, ma quel cangiamento di cantanti m'inquietava. Ma tu sei vittoriosa; e non vi è certo bisogno di dirti come io ne sia esultante.

È veramente mirabile la candidezza con cui mi assicuri di non poter soffrire amanti non belli oh certo sei di un gusto raro! però hai ragione, ed io ti compiango e ti compatisco perchè ti conviene essere amante di una che necessariamente è gelosissima di te, e che, essendo tu più brava non ti potrà soffrire—ed io non so come realmente si possa rappresentare con verità e con passione il carattere rispettivo, quando altri sentimenti e tutti opposti sono nell'animo. Non ti faccio però il torto di crederti per questo o animosa o incollerita; sarai piuttosto indispettita, ma bassi sentimenti non entrano certo nel tuo cuore.

Non si è veduto alcun articolo circonstanziato sull'opera di costi, solo poche parole che dicono il Barbiere di Siviglia avere incontrato molto, e tutti gli attori nominatamente, e prepararsi l'Aureliano, di cui la Fanò rimessa in salute sarà il protagonista. Vedi che bella risorsa! e poi il protagonista dell' Aureliano non è Aureliano? —Quanto mai godrei nel vederti jouer Rosina!

Io ho veduto rappresentare questa parte da una che doveva certo rappresentarla al naturale poichè la penultima notte di carnevale si tolse dalle braccia del padre per sposare il più ridicolo Lindoro che si potesse dare, e tolse così l'unica risorsa al padre suo che rimase fremente e disperato. E questa era brava assai ed ha fatto fortuna, e tu l'hai sentita; ora dimmi chi è.

Io mi lusingo che avrai la tua serata di benefizio, e chi deve averla se non tu? Del tuo ritratto non ti dico niente, poichè ti vedo già ben disposta.

Le tue parole con cui mi dici che forse ci vedremo, mi farebbero palpitare dalla gioia, se io non fossi certa che fin tanto che dura il presente mio stato, non potrò mai vederti… ma non anticipiamo un dolore che non sappiamo ancora se dovremo provare, e di cui la sola idea mi fa rabbrividire.

Quanto mai t'invidio, o cara! Sai che tante volte penso che sarei molto più felice nel posto della tua donna? Se non ci credi, te lo giuro. Tu dici che il nome di felicità è nome vano, ma pure ci è qualche cosa che gli rassomiglia e che io non ho mai e poi mai provato; ma quando tu mi assicuri che mi ami, e che mi amerai sempre, io mi ci accosto.

Ti ringrazio delle notizie di G. ma ancora non mi hai detto ove sta. Giacomo voleva passare l'inverno a Pisa poi non si è mosso da Firenze; egli poco può scriverci, ma ora sta benino. A tuo Padre non scrive mai?

Mi scriverai più da Ferrara? Saluto Nina con tutto il cuore: io compiango quella povera ragazza perche dovrà lasciare un soggiorno tanto delizioso.

Addio cara, carissima anima! Ricordati che io ti amo sommamente e che questo amore non verrà mai meno.

Quanto mi sarebbe piaciuto che tu non avessi aggiunto nemmeno una parola a quello che mi dicevi di avere tutto dimenticato!

È che la tua quiete e la tua tranquillità mi sta a cuore più di ogni altra cosa, e poi il racconto di Nina ha fatto che io togliessi di capo ad una certa persona l'aureola, che, dietro la mia immaginazione, gli avevo posta. Ah! non era egli il fiore di virtù, e nemmeno il fiore di quattro foglie.

Io ti bacio con un ardore inesprimibile, e mi raccomando al tuo amore, alla tua tenerezza.

Per carità riposati dopo tanta fatica, io spero che il movimento non ti avrà inquietato. Io non mi sono mossa affatto.

4 Marzo (1831)

Cara Nina mia,

È vero, io mi sono ingannata! credevo che molte lagrime avessi tu sparse nel partire da Ferrara, o anche credevo che tu potessi diventare tedesca; ma nulla di ciò è accaduto, sebbene poi tu stessa confessi che ci poteva essere gran pericolo. Frattanto io ti ringrazio della tua sollecitudine di scrivermi appena giunta costì, e certo, i giorni in cui ricevo lettere di voi due, care anime, sono sempre per me giorni di festa, e di consolazione grande.… Ma mi viene in mente che Marianna stia male; sarebbe mai vero? e neppure una sola parola ha messo nella tua lettera? Io vorrei allontanare questo pensiero di sommo dolore, pure sempre l'ho in mente, e mi affliggo all' idea che l' eccessiva fatica di Ferrara le abbia fatto male, e non mi tranquillizzerò sino a tanto che non vedrò i tuoi caratteri. Per carità, Nina mia, non mi dire che io potrei vedere le mie amiche; per carità non me lo dire! Con una menomissima parte di quella libertà che godono tutti quelli che vivono, io godrei almeno un momento dell' ineffabile gioia che voi, o care, mi fareste provare; ma io non mi azzardo a dire il rigidissimo sistema d' osservazione in cui io sono tenuta, e che mi fa sicura di non dover trovar pace fuor che… già comprendi dove. Dunque, Nina mia, dimmi che mi hai burlato, e che sarebbe impossibile che noi potessimo vederci. Auguro però e di vero cuore alla mia cara amica il realizzamento del suo progetto, solo mi dispiace che dovrà nuovamente trovarsi con un contratto che non le va troppo a genio. Il mio primo pensiero, quando Bologna divenne libera, fu questo—chi sa che Brighenti non occupi nuovamente qualche posto, per cui debba vivere più tranquillamente la sua famiglia? Ed io mi compiacevo in questa idea, che poi vedo essere anche la sua, ma, come tu dici benissimo, se le cose non vanno meglio, per ora sono assai imbrogliate.

Non credo che questa lettera verrà aperta altro che da te, però posso dirti, senza commettere imprudenza, che noi ci meravigliamo assai che dalla dotta Bologna non esca una forma migliore di governo, delle leggi o regole proprie allo scopo che ci siamo proposti, di esser liberi—chè, se tu sapessi i pasticci, le cose contradditorie che si fanno da noi, ti farebbero rabbia. E ancora non so dirti, e noi non sappiamo ancora se siamo stati conquistati o liberati; certo che le cose vanno con gran disordine, e la libertà è una bellissima cosa, ma pare che noi siamo caduti da una schiavitù in un' altra… pure stiamo meglio ora che ci è lecito almeno di sperare, quando un mese fa non potevamo far altro che sospirare. L'altro giorno passarono i studenti di Bologna (se pure erano studenti) i quali si erano fermati a riposare venti quattro ore a Loreto, ed erano tutti cascanti per le marcie a cui non sono avvezzi. E sento dire vi fossero dei molto belli giovani, ma io non li vidi, chè per colmo di fortuna in questo orribile paesaccio la casa mia, che è quasi la più bella fabbrica dì Recanati, sta confinata in un luogo da dove non passa un'anima.

È veramente gradevolissimo il ritratto che mi fai di una certa Nina, la quale mi pare che sia una molto cara e spiritosa ragazza. Oh! se questa ragazza fosse qua, darebbe molte faccende alla sorellina, se volesse sgridarla tutte le volte ch'essa si trovasse di cattivo umore!

E se noi fossimo insieme, io spererei, ma non sarei affatto sicura di darti nel genio, chè io sono malinconica assai, e non so se potrei eccitare la tua simpatia—e poi tu sei avvezza alla società, ed io non la conosco che nei libri. Ma se io potessi vedere te e la cara tua sorella, fosse anche per un solo istante, la memoria di questo istante quanti giorni mi farebbe passare felicemente!… Ma io non posso compromettere delle persone così care, nè assicurar loro che potressimo vederci, come tu dici, o in chiesa o dalla finestra, poichè in chiesa io vado una volta la settimana (vedi quanto sono buona!) e quello che io posso vedere dalla finestra è sempre sorvegliato da mia madre, la qualo gira per tutta la casa, si trova per tutto, e a tutte le ore; onde per questa volta almono io debbo dirti piangendo di non venire, ed assicurare te e la carissima amica che questa cara offerta io la serberò come un tratto prezioso di amicizia, e la considererò come un permesso di chiedervi un'altra volta, a circostanze cangiate, quello che ora sono costretta a riflutare; perchè se Minna continua nella sua professione, posso sperare che si accosterà qualche altra volta a questi liberi paesi.

Paolina Leopardi1 Paolina Mazzagalli, moglie di Carlo. si è sgravata felicemente di una bambina. Nina mia, mi vorrai sempre bene? io lo spero, poichè dice il proverbio che amore si paga con amore, ed io sono sicura che ti amerò sempre.

Io prego caldamente la cara tua sorolla a scrivermi presto, fosse anche una sola riga, per dirmi soltanto che sta bene. Addio, dilettissime anime! con tutto il cuore io vi abbraccio, e mi raccomando alla vostra tenerezza, al vostro amore.

4 aprile (1831)

Cara mia Marianna!

Ho ricevuto solo ieri la dolente tua dei 22. Già t'immaginerai in quale stato di dolore e di contrarietà io sia da qualche tempo; ora i tuoi lamenti aggiungono vieppiù peso a quello che io ho già nel cuore.

Ah! noi siamo giunti in tempi assai infelici, eppure non erano punto lieti quelli che li precedevano. Che disgraziato affare, che orribile desolazione, che avvilimento, o Marianna mia! Non sono molte (qui) le anime che pensano come noi, e che piangono la schiavitù, e forse la morte di tante nobili persone che vi sono sacrificate, ma certo sono molto intensi i loro dolori. Ed anche noi abbiamo dei parenti, il cui destino ci fa tremare. Ma per te e per i tuoi io non avrei voluto tremare, oh! non lo avrei voluto ad ogni costo! Quanto mai mi dispera quella nomina di Prefetto (che io già m'immaginava, e che mi attendeva di sentire ad ogni momento) e quella tua lettera! ah! io non ho pace sin che io non saprò che voi, o care anime, siete tranquille, e che siete a Ravenna. Alcune parole tue sono veramente disperanti, ei per carità non mi fare aspettare neppure un giorno una tua riga con la quale tu mi dica come vanno i tuoi affari. Io considero la tua famiglia come parte della mia propria; figurati in quale ansietà io sono. Ma spero che le cose si verranno calmando; tu scrivesti il giorno dopo il primo ingresso dei Tedeschi, e ti compatisco assai. Noi abbiamo fremuto alla nuova dell'arresto di C. Z. —pur troppo tutto sarà finito per lui! In Ancona i Tedeschi sono molto esacerbati ed odiati. Da noi vennero il Giovedi Santo, e siamo stati trattati assez bien.

Mio fratello è stato sempre tranquillo in Toscana; egli voleva andar a Parma, ma non ha pòtuto per l'incertezza del tempo. Brighenti deve sapere qualche cosa che lo riguarda, poichè egli deve avere avuto una certa lettera del Comitato del mio paese, se le poste sono state fedeli; ma nè tuo padre, nè mio fratello hanno risposto mai, ed io non posso dire di più per paura, e poi ora tutto è finito. Ti ringrazio, o cara, della stampa che mi mandasti; essa mi fece bene, poichè mi facevano acido assai le lodi della brutta moglie dell'Ebreo. Com'è che non va più a Palermo? Noi siamo così storditi dal turbine, che mi pare impossibile di poter riflettere a nulla, di poter far nulla, altro che pleurer.

L'amico di mio frateilo1 Giordani., il professore di Parma2 Il Prof. Pietro Pellegrini., T.3 Giacomo Tommasini. si sono compromessi? che fanno? Io sempre tremo di sentir nuove sciagure.

Care anime mie, io vi abbraccio, e vi bacio tutte con la più viva tenerezza; ditemi che voi siete tranquille, e quello sarà il più bel momento che io abbia passato da molti giorni in qua.

Saluto caramente i tuoi genitori, ed auguro ad essi e a voi, care giovani, quella tranquillità d'animo e di corpo che rende meno orribile questa infelice vita. Ricordati che sarai sempre amata come meriti dalla tua Paolina, e ricordati che l'amore di una persona sì cara e virtuosa come sei, è l'unica sua consolazione.

29 aprile (1831)

Cara mia!

Un gran peso mi si tolse dal cuore quando io vidi annunziata la tua partenza da Bologna; ed ora, poichè mi dici che tu stai bene, e con te tutti i tuoi, sono molto più tranquilla; e ti ringrazio tanto tanto che ti sei compiaciuta di darmi le tue nuove appena io te ne pregava. I più funesti sogni io faceva di te che mi facevano piangere e disperare, come se fossero stati indizio di terribile realtà, finalmente io sognava che tu eri da me, ed io ti saltavo al collo e ti baciavo con un ardore inesprimibile, e grandi sfoghi facevamo insieme, ed io ero lieta, lieta assai assai di averti pur veduta una volta; ma io non sono lieta e non posso esserla che in sogno. Eccoti d nuovo in mezzo alle fatiche e, spero, ai successii L'ultimo tenore con cui sei per cantare, ha cantato a Recanati tre anni sono, e faceva la parte di Celso nell'Elisa e Claudio, ed egli era al di sotto anche della parte; vedrai se io dico il vero. Io mi rallegrai subito per te, quando vidi nel giornaletto che eri sola donna, ma io temo che in questo giornale non vedrò un conto fedele dei tuoi successi, chè quell'estensore non pare ti sia molto favorevole, ed io lo manderei di cuore al diavolo.

Non dir più male dei Francesi; io non voglio sentire una parola contro di essi, non sai ch'io sono fanatica per quella nazione? Non sono essi che ci hanno traditi; è il fatalismo che ci opprime. Fu scritto a Brighenti, quando il nostro comitato elesse il deputato per l'assemblea di Bologna, che doveva radunarsi il 20 marzo, mandandogli gli atti del consiglio e le credenziali per il deputato da noi eletto che si trovava a Firenze, pregandolo a consegnargli tutto quando questi giungesse a Bologna. Il deputato ha risposto quando tutto era finito (ed in ogni modo non si moveva certo) ma Brighenti non ha risposto mai, e mi fa stupore che questo pacco che doveva giungergli franco, si sia perduto. Mio padre era membro del comitato, e fu suo il pensiero, ed io l'ho interrogato oggi se Brighenti aveva risposto, ed egli mi ha detto di no, e che naturalmente non lo avrà fatto perchè avrà capito che tutto era inutile, ed io non posso dire ch'egli non ha avuto nulla.

Per qualche tempo ho creduto che Papà potesse conoscere la tua famiglia, perchè poteva darsi il caso che andasse come deputato a Bologna od io ne ero assai contenta. Io si che ho ragione di essere inquieta con te per la tua lettera tanto breve, ma fido sulla tua promessa che mi scriverai fra poco più a lungo. E mi sembrano secoli i giorni che passano fra una tua lettera e l'altra. Se puoi, abbreviali questi giorni, io te ne sarò grata estremamente. Addio, cara, dolcissima anima! Io ti adoro con tutto il cuore, e ti tengo come cosa preziosissima e carissima.

Aveva proposto di dirti, ed io me ne scordava, che io stava lì li per innamorarmi di un tenente degli Usseri, che ha allogiato in casa mia qualche giorno. Bel giovanotto, pieno di animo e di fuoco, io lo avrei veduto partire con gran pena, quando egli mi disse che era egli che aveva comandato il fatto d'armi di Novi, il primo di questa campagna o passeggiata. Ebbene! il fuoco di Novi smorzò il mio affatto affatto; ed io l'ho veduto partire senza versare una lagrima. Per carità, non dir questo a Nina, essa certo se ne scandalizza, perchè essa non sa quanto mai sono rare per me le occasioni di sentirmi battere il cuore, ed in questo io sono come le francesi, ed io dico come diceva una di esse, secondo riporta lady Morgan - Ie suis si heureuse quand le coeur me bat!—

20 maggio (1831)

Cara amica!

I dettagli che mi dai dei tuoi successi m'inspirano una gioia assai grande, ed io bacio la tua fronte cinta di un nuovo alloro, e ti abbraccio e ti bacio con una esultazione immensa. Quanto mai sei brava, o Marianna mia!

Se la tua professione è faticosa2 se oltre la fatica vi vuole molta destrezza abilità ed ingegno per saper vivere col veramente genus irritabile dei propri compagni, si trova però bene il compenso di tutto in questa vita di successi, che quelli che sono bravi come sei tu conducono, e sono sicuri di condurre sin che sciolgano la loro voce al canto. Ed intanto tu sei ben lieta, e ne hai ragione. Ma quanto siamo infelici, noi miseri mortali, che, mai contenti del godere attuale, ci rattristiamo sempre e troviamo motivo di intorbidare la nostra letizia col pensiero del futuro! Le tue parole mi hanno cagionato molto dolore, o cara, e tu hai qualche cosa che ti affligge, qualche principio di pianto futuro… o presente, che io non so, e che forse indovino.

In ogni modo io ti compiango, e vorrei asciugare le tue lagrime con le mie, dovessi anche pianger sempre perchè tu fossi sempre lieta, la mia amicizia, la mia più grande tenerezza ti seguiranno per tutto, stanne certa; chè io non potrò mai dimenticare chi è venuto spontaneamente a consolarmi con le sue care parole, col farmi conoscere un angelo di bontà in mezzo a questo caos di infamie e di brutture e che mi fa partecipe delle sue gioie e delle sue pene, oh questa diletta persona io non la dimenticherò mai.

Nina non ha ragione affatto di essere inquieta con me, ch'essa si ricordi chi di noi due ha scritto l'ultima, e faccia pace. Io la abbraccio e la prego a volermi rallegrare con i suoi caratteri, e a dirmi se trova il soggiorno di Ravenna ameno come quello di Ferrara.

Come va col tuo galante? Io credo che abbastanza sovente ti troverai nel seccante caso di disingannare i tuoi amanti; io vorrei una volta… non voglio dire altro.

Il tuo amante di teatro come ti è geniale?.… ma io sono una sciocca; egli è marito, ed è geloso —non occorre altro.

Il genio delle dame di costi ti riescirà molto comodo, non è vero? Egli ti risparmia la fatica dell'acconciarti il capo, che non deve essere breve fatica. Il mio sogno più geniale di tutti, quello che io vorrei vedere realizzato a prezzo ancora di qualche anno di vita, è quello di vederti, di udirti, di ammirarti.

Quanto mai sarei felice di unire la mia voce ai plausi che la tua bravura eccita—oh allora sì che mi batterebbe il cuore davvero più che pel tenente Lanyres. Tutto quello che mi dici su quest'ultimo è perfettamento vero, a tu hai definito giustamento il mio amore.

È a Recanati da qualche giorno un signore di Siena, Orsini, il quale va a Trieste a scrivere musica per quel teatro. Qui lo fanno passare per un eccellente contrappuntista, mirabile suonatore di pianoforte, di una memoria prodigiosa, ecc, Ne hai tu sentito parlare a Siena? La madre di lui, che è una Marescotti, abita a Recanati, come amica di una signora di Siena maritata qui.

Cara amica mia, continua ad amarmi, sii lieta e trionfante, ed io bacio le tue guancie con il più vivo affetto che si possa dare.

Può essere ch'io abbia detto una minchioneria rapporto all' Otello. Non ho alcuna idea dell' intreccio di quest' opera; ma supponevo che derivasse dalla tragedia di Shakespeare.

Dimmi qualche cosa di particolare su Bonoldi e la sua figura. Io già gli voglio bene, poichè è tuo amico.

Ah! se l'entusiasmo ch'eccita Desdemona fosse causa che si facesse il di lei ritratto, io l'avrei, non è vero?—ed allora che gioia per me!

13 luglio (1831)

Nina mia!

Dalla cara tua lettera io vedo con piacere che non mi sono punto ingannata nel qualificare il tuo amore di piccolo genio, e non di quella passione più terribile e tremenda, che io credo bene che tu sapresti provare, ma non molte anime con te. Dalla quale passione se io ti avessi creduta invasa, non ti avrei mica burlato, oh no certo! Ti avrei compianta, ed avrei procurato di persuaderti a cercar la guarigione che ti offriva quello stesso che ti aveva ferito; ma mi avrebbe fatto troppo dolore il tuo caso, perchè avessi cuore di schernirti; chè già so con qual mano delicata vadano toccate simili piaghe. Vedi dunque che Marianna mi aveva detto di te il vero, e null'altro che il vero.

La tua professione di fede poi mi fa sicura che non ti accadrà di sovente l'innamorarti veramente e con tutto il cuore, e poichè tanto raramente accade di poter conseguire la felicità, trovata che anche si sia, io quasi ti auguro di non trovarla mai, per non provare quel dolore che è tanto difficile a superarsi perduta che sia quella speranza che sola rendeva cara la vita. Ma tu non vuoi che ridere, e se questo è il solo tuo scopo riderai spesso, ne sono sicura.

In questo sei il mio contrario—io non ho riso mai, appunto perchè non mi sono contentata di ridere solamente: io voglio ridere e piangere insieme: amare e disperarmi, ma amare sempre, ed essere amata egualmente, salire al terzo cielo, poi precipitare—ed io sono veramente precipitata.

Nina mia, ma al terzo cielo non sono salita mai.

Non posso affatto esprimere quale sensazione dolorosa, quale affanno indescrivibile mi cagioni la vostra venuta a Fermo: tutti i miei dolori, tutta la rabbia, la disperazione si sono risvegliate in me in modo eccessivo.

Sapervi a poche miglia da me, e non potere corrervi addosso, nè dirvi venite ch'io vi aspetto a braccia aperte, è cosa che mi umilia, e mi dispera ad un segno estremo,

Nina, se tuo padre non ha letto nel dizionario storico di Feller che si stampa ora a Venezia, l'articolo di Babini, fa che legga queste parole che ne formano l'ultimo paragrafo—Morì (il Babini), il 21 settembre 1816, e glorioso ed immortale ne fece il nome l'amico suo, il dotto Brighenti, coll'elogio che di lui compose, vestito delle più severe e forbite eleganze del dire.

Nella rivista letteraria dell' Antologia vi è un opuscolo di papà tuo; è quello ch'egli stampò nel giornaletto di Bologna?

Io non vedo l'Antologia, ma ho veduto il nome di Brighenti in un elenco dei suoi articoli.

Nina mia, divertiti o sta allegramente.

Già a te non manca l'allegria e non può mancare finchè tutti i tuoi stanno bene. Spero che Marianna mi dirà quali sono le altre piazze per cui essa è fissata. Abbracciami fortemente quella cara anima, e dille ch'io le sto sempre vicina col cuore, sempre, senza mai vederla! Fa ch'essa non si scordi di parlarmi di Salvatori: io ho molto impazienza di sentire il suo giudizio. E tu dimmi un poco se la Mosca si è mai maritata. Essa è mia parente assai stretta—io la conobbi per un istante due anni sono.—Una giovane bolognese è venuta a purgare i suoi peccati a Recanati sposa di uno già garzone di pettinaio di costì. Io la vedrei con molto piacere per farle certe interrogazioni sopra certe persone che tu non conosci affalto. Cara Nina, addio. In mezzo ai tuoi trastulli pensa qualche volta a me per amarmi, e per compiangermi.

Non ti venga mai in pensiero che le tue lettere mi diano noia: già sai quanto le Brighenti mi sieno care: ora pensa se qualunque cosa che venga da alcuna di esse potrà mai dispiacermi. Il viaggio non ti darà certo fastidio: quest'anno l'estate non si conosce.

Per me, che non c'è che il sole e il caldo che mi rallegrino, è oggetto di pena anche questa stagione cosi infelice. Ora debbo chiederti scusa io delle mie ciarle, ma il piaciere di discorrer teco mi trasporta, e poi tu sei tanto buona!

22 luglio (1831)

Bene arrivata, Marianna mia! Hai fatto buon viaggio? sei lieta? cosa te ne pare del cielo della Marca? Io credo che il cielo ti piacerá, ma la terra..… oh la terra l'abborrirai!

Quando sarai più à ton aise, e quando avrai fatto le tue osservazioni, dimmi qual differenza enorme avrai trovata fra i marchigiani e le altre razze d'uomini e di donne che tu conosci, se ti pare che il sangue scorra infinitamente meno bollente qua che altrove, che mancanza di educazione, o, se non altro, di raffinamento di educazione avrai trovato negli uomini, e particolarmente nelle donne. Io non ho viaggiato, come sai, nè sono stata in Romagna; ma sento sempre che le donne vanno assai migliorando più che si cammina verso il nord. Le dame poi di Fermo, e ne conosco alcune, e le sento dipingere quai cameriere—anzi queste sono più svolte e meglio educate.

Anche la città di Fermo poco ti piacerà, non è vero?

Il desiderio che hai di vedere questa povera sfortunata non può accrescere punto il mio; no perchè egli è immenso, come immenso è il dolore di non vederlo esaudito. Oh! questa tua venuta ha riaperto tutte le mie piaghe; ora sento più che mai di essere sovranamente infelice. O il signor Natali (ch'io non ho mai inteso nominare da mio padre) sogna, o egli intende parlare di mia nonna, giacchè mia madre non è stata mai a Fermo.

Io poi non ho passato mai Loreto da una parte, e dall' altra non sono stata mai a Macerata E se io potessi avere la più lieve speranza che le mie più ardenti preghiere fossero esaudite, non ci sarebbe cosa ch'io non facessi per ottenere una tal grazia (prometterei anche di essere buona!) ma tu non conosci le persone dalle quali io dipendo.

Si dette il caso, quand'io era piccina piccina, o anche forse quando non ero nemmeno nata, che la gonna di mia madre s'intrecciò fra le gambe di mio padre, non so come. Ebbene, non è stato più possibile ch'egli abbia potuto distrigarsene. Se non era questo fatto, noi ottenevamo tutto da papà ch'è proprio buonissimo, di ottimo cuore, e ci vuole molto bene;—ma gli manca il corraggio di affrontare il muso di mamà anche per una cosa lievissima, mentre ha quello di affrontare il nostro assai spesso, poichè, Marianna mia, non se ne può più affatto affatto. Io vorrei che tu potessi stare un giorno solo in casa mia, per prendere un' idea del come si possa vivero senza vita, senza anima, senza corpo. Io conto di esser morta da lungo tempo; quando pordei ogni speranza, dopo aver sperato tanto tempo inutilmente, allora morii —ora mi pare di esser divenuta cadavere, e che mi rimanga solo l'anima, anch'essa mezzo morta poichè priva di sensazioni di qualunque sorta.—

Solo le tue lettere la risvegliano di quando in quando, e troppo dolorosamente la risvegliò l'annunzio della tua venuta costi, che mi fa gemere e disperare. Perdonami, o cara, questo sfogo; con te sola io ardirei di farlo, con te che mi hai dato il permesso di considerarti come una sorella, e come tale ti riguardo; ed infatti con una sorella soltanto io parlerei della debolezza di mio padre, sicura ch'ella non lo farebbe sapere all'aria.

Quello che mi dici di Bologna, e di uniformi tricolori, mi pare incredibile. Che si permetta la guardia nazionale ora che son partiti i Tedeschi, può essere; che la scelta cada sopra i liberali, il governo non lo sa certo; ma l'uniforme, non si permetta che venga composto di tre colori, e questo pure sarà un artifizio dei partitanti.

Quì da noi non si sa nulla; sempre notizie di sommosse in Romagna; ma di vere non si sanno che quelle di Rimini, per le quali si diceva sospesa la partenza dei Tedeschi; tu saprai se è vero. Ora si parla di una sommossa a Forll, e si predicono sconvolgimenti a Sinegaglia in tempo di fiera. A Roma i cervelli esaltati, particolarmente dei preti, sognano continuamente congiure, colpi prossimi a scoppiare, mali terribili.

I preti sono, come saprai, malissimo contenti del Papa che perdona troppo troppo, e poi le riforme! Oh il nostro stato non avea bisogno di riforme!!! E pure la Francia ci ha aiutato, non è vero? se non altro ci ha tolto la gravissima spesa del mantenere i tedeschi.

Salutami tanto Nina, e dille che io ho veduto sin dalla mia camera il rosso colore che suffuse (direbbe un traduttore di Walter Scott) le sue belle gote quando seppe di dover passare quattro mesi in compagnia di Comer. Ecco dunque per essa 4 mesi di risa! Se è vero, come dice Sterne, che ogni riso allunga la vita, chi sa di quanti anni di vita andra essa debitrice al Sig. Marzi!

Addio, anima della mia anima! Di nuovo perdonami se io ti ho annoiato—io non l' ho fatto apposta.

27 luglio…

Come hai veduto, io scrissi questa il 22, ma in quel giorno non potei mandarla alla posta poi sono stata tre giorni a letto, ora ho saputo (e lo saprai anche tu) che i bolognesi hanno chiesto al Papa di potere usare i loro colori, e si dice che lo abbiano ottenuto; ed ecco spiegato l'uniforme tricolore o bicolare, perchè manca il verde. Mi dirai come la impicci per il prolungamento della fiera di Sinegaglia. Addio, o cara.

Se non sai i nomi di coloro che sono esclusi dall' ammistia, dimmelo.

17 agosto (1831)

Cara Marianna mia!

Il racconto che mi fai del tuo viaggio è veramente delizioso, ed io credo che oramai non resti all' uomo dabbene altro piacere da gustare che nel contemplare le bellezze infinite della natura; tutto il resto non è più fatto per lui, o egli non vi si può adattare. Io lo sapevo che saresti rimasta assai malcontenta di cotesto paese, e fa pur conto che tutta la nostra Marca, meno due o tre città, sieno la sua copia, ed anche queste eccezioni non credo che abbiano molti punti di somiglianza con le città di Romagna; là si educano gli uomini, e qua si lascia fare alla madre natura, la quale in questo non ci fa vedere quelle cose meravigliose di cui parlavo più su. E dunque io ti compiangerei assai se il tuo soggiorno costì dovesse esser lungo, e compiangerei di più Nina, ma saranno brevi momenti quelli che vi passerai. Anche l'incertezza del tuo destino è cosa ch'io t'invidio assai; quel non sapere dove andrai da qui a pochi giorni, quello sperare di dover andare in una ottima cittâ, di fare un viaggio delizioso, sono cose che mi farebbero andare in estasi, ed i giorni mi scorrerebbero volando.

Ma, e che cosa non debbo io mai invidiarti, o Marianna mia? Quella tua cara anima, quel tuo carattere eccellente, quel tuo cuore pieno di una bonta angelica, mi fanno sembrare realizzato un sogno che io credevo non fosse più questo il tempo di poter vedere avverato. E se sapessi quanto mi fa insuperbire la tua amicizia! quando leggo le tue lettere, e penso alle tue parole, al tuo amore, io levo la testa e mi stimo molto di più di quel niente ch'io sono al tuo confronto… Poichè, sappi e tieni per cosa certissima, che tu sei infinitamente più buona e più brava di me in ogni genere. E quando io penso al delirio di gioia che il conoscerti mi cagionerebbe, il pensiero, che è continuo in me che quando mi conoscerai non mi troverai degna di tanto tuo amore, mi mortifica, e quasi mi fa desiderare di non vederti mai per continuare a godere della dolcezza de' tuoi sentimenti, che forma l'unica e vera delizia della mia vita.

Quanto mi dici di Bologna mi fa un ribrezzo e m'infonde una melanconia che non ti so descrivere. Nel breve regno di pochi mesi indietro dei liberali, io non ho certo veduto da essi grandi esempi di bravura, di genio, di nobile animo, ma ho creduto sempre che il fuoco sacro fosse là, nei vostri paesi ch'io credevo assai felici, ma tu vuoi togliermi anche questa illusione, e ne hai ragione —la verità, sopra tutto la verità. Che infame mondo, Marianna mia, in quai tempi mai siamo! Ma, se puoi, lasciami il mio entusiasmo per la Francia, lascia ch'io faccia dei voti perch' essa sia felice e vittoriosa, perchè possa continuare sempre nel suo linguaggio franco ed ardito e non temere le minaccie e i digrignamenti di denti di chi ha ora abbastanza da fare a causa sua, e di chi pare siasi già dimenticato di tutte le sconfitte che la Francia gli ha fatto toccare, e di tutti i suoi nemici. Se sapessi con qual battimento di cuore, con qual gaudio ho letto il racconto dell' apparizione nella Camera de' deputati della bandiera già conquistata da Napoleone all'Austria, e il disprezzo di Semonville, e la risposta del giovane duca di Orlèans. Un giornale francese vuol dire ch'era questa una scena preparata; quanto mai è egli crudele! Vedi ch'io non parlo dell' Italia—ah essa merita che venga abbandonata al suo destino, ora che la memoria dei suoi passati tempi è estinta, o non serve a nulla.

Marianna mia, se il tuo papà può, fa ch'egli mi tolga una curiosita.

Io vorrei sapere chi è la moglie del conte di Alopens, già ministro di Russia a Berlino, morto poco tempo fa, e di cui dice il giornale di Francfort che, malgrado la differenza d'età, si sposò ad una donna, di cui la bellezza era una celebrità europca. Queste due parole mi hanno ispirato una curiosità terribile, che solo il papà tuo potrebbe togliermi.

Ma sai, o cara? rispondendo a quest'articolo non scrivere come mi scrivesti intorno a Salvatori —adoperasti per quello un certo carattere di cui io non potei comprenderne una sola parola. Mi dirai chi sono i tuoi compagni? quando terminano le tue recite costi? se vai in Ancona? se conosci Melchiorre ex-tenente dei carabinieri, celebre fanfarone? se mi vuoi bene? se me lo vorrai sempre? se credi ch'io ti adoro? se credi ch'io smanio di sapere quale incontro hai fatto? se credi ch'io ora vado a letto, poichè è già vicino il giorno? Vedi quanti atti di fede hai da fare—altro che l'andare dalla Morigi!

Abbraccio Nina teneramente, saluto con grande affetto i tuoi genitori.

.… Settembre (1831)

Carissima anima!

Per quanto io sia avvezza ai tuoi trionfi, il racconto di essi mi produce sempre una commozione, ch'io non saprei spiegare, e che mi è in vero dolcissima. Il tuo genio, i tuoi talenti, la tua bravura te li assicurano per lungo tempo, ed io sono felice, nel pensare che la mia amica si fa grande onore, e riscuote sommi applausi che devono renderla assai soddisfatta di se stessa, e devono farle passare i giorni molto lietamente e molto attivamente.

Anche questa volta stai bene, chè non hai da combattere alcuna donna: i combattimenti con gli uomini non sono certo tanto violenti. I tuoi pensieri, le tue parole, le tue opere mi fanno sempre maggiormente vedere quanto cara cosa sei: nella tua professione conservarti così pura, così ragionevole, non è un vero miracolo? e non è il più bell'elogio questo che si possa fare alla educazione che hai ricevuta, ma anche di più al tuo cuore? Io appena ho idea di una donna che non sia civetta, e non puoi credere il disprezzo e quasi la rabbia che sento (perchè, e qual ragione abbiamo allora di lamentarci degli uomini?) figurati ora l'ammirazione che mi desta la tua virtù, i tuoi purissimi sentimenti… Ma tu già lo sai cosa sei per me, e cosa sarai sempre, onde lascia ch'io ti baci e ti ribaci, e mutiamo discorso.

Finalmente posso ringraziarti dei dettagli che hai la bontà di darmi intorno a Salvatori per cui, sia detto fra me e la mia maliziosa amica, la Paolina Leopardi non ha verun interesse.

È vero ch'ella si era già accorta ch'egli è un bell'uomo; che il suo canto essendole piaciuto, poichè non ha ragione di essere tanto difficile, amava di sentire il parere di una persona intendente, il di cui silenzio la piccava assai; è vero che ad una festa di ballo ella non vide che lui, ma ciò era perchè tutti gli altri la annoiavano, è perchè quella era l'ultima sera in cui lo vide— ma tutto questo cosa prova? Io sfido le malignità di chiunque, anche quella di una certa signorina che io conosco, a dire che ciò provi, che io ho dell'interesse per Salvatori. Ed io spero che a quest'ora sarai pentita del tuo sospetto calunnioso, ed ora che avrai letto questa mia giustificazione, mi chiederai perdono umilmente.

E poi sappi che il genio e la bravura in ogni genere, ma singolarmente nel canto, m'inspirano una ammirazione particolare, che io mi sforzo di sostenere anche quando m'accorgo che essa non era provocata che da un'illusione.

Ed io ho creduto sempre che quelli che esprimono così bene le passioni nel teatro, fossero capaci, anzi dovessero sentire, e fortemente sentire, tutte le nobili passioni, inclusiva quella dell'amore e però dovessero essere sempre buoni, generosi, sensibili ed essere stimabili e stimati. Ma non pensare che sia questa una giustificazione,—no, perchè io non ho delitto.

Del resto come ti pare che quello che esprime la fisonomia di Salvatori, lo esprimano pure tutte le fisonomie della nostra età? Io non vedo che un pensiero, che un'idea in qualunque uomo io vedo; e mi pare che questo dovrebbe essere un gran preservativo per noi, che non giungeremo mai ad essere amate per noi stesse. Che ne dice Nina?

Io non ti ho fatto mai un complimento per il matrimonio di Mori: e che complimento? Ah! no, di condoglianza: egli ha deposto la speranza troppo presto: le mie regole sono più austere. Io volevo molto bene a quest'uomo, una volta… ad un certo racconto, oh! allora egli mi piaceva molto—poi tutto è finito: ma io vorrei che a te non avesse prodotto della pena questo matrimonio, ma non lo credo.

Io non posso credere che tu andrai a Pesaro, chè le feste colà sono a settembre, e tu ci andresti in ottobre. Ma sai che quest'anno fai un gran faticare? e non ti fa punto male il riposare sì poco?

Se mi è permesso il dirlo, io ti raccomando assai la tua salute, ed il tuo petto che una volta era molto gracile, non è vero?

Ti voglio raccontare un mio sogno. Io sognava, prima della ultima tua lettera, che l'opera a Fermo terminasse prima degli otto di settembre, e speravo che se io ti avessi detto, Marianna mia, fa di trovarti a Loreto il giorno otto, io ti ci avrei trovata; chè in quel giorno noi siamo soliti di andarvi. Vedi che bel sogno, e come mi dilettava! È vero che è morto Tommasini, e che aveva avuto dei disgusti a Parma per gli affari di questa primavera? La moglie (cui io avevo scritto una volta per Giacomo) mi mandò l'anno passato una copia della sua operetta, e mi scrisse molto affettuosamente, e volle ch'io non le dessi più del lei, e che seguissi a scriverle, ma non ci scriviamo più, perchè son io creditrice di risposta, e tutte le lettere sommano a tre, una sua e due mie.

Giacomo sta molto meglio. Ci dice che ha cangiato tenor di vita, che mangia come mangia tutto il mondo, che ha fatto conoscenza con Ia vedova Bonaparte, ch'egli trova molto amabile1 Epist., lett. 478., ma egli ci scrive pochissimo. Hai veduto il nuovo volunetto dei suoi versi stampato e che noi non abbiamo ancora potuto vedere?

Marianna mia, ti è venuta la fantasia di avere il mio ritratto? Hai ragione che non ti po so negare nulla, perchè, se sapessi!

Mia madre non fece tempo a sacrificare alle grazie prima di partorirmi; gravida di 7 mesi cadde dalle scale, ed io mi affrettai tosto di uscire fuori per godere di questo bel mondo, di cui ora mi affretterei di uscire se potessi. Confesso dunque a te, o mia diletta, e a Nina, che P. Leopardi non è grande assai, non è grassa, non ha carnagione bianca, non ha capelli biondi, non ha occhi bianchi, non ha viso lungo, non ha bocca grande, non ha naso lungo—anzi il naso, ah! o forse per la fretta di uscir fuori, o perchè mamà avcva cattivi modelli innanzi agli occhi (come dice), il mio naso ha della rassomiglianza con quello di Rosselane a tempo di Solimano secondo. Vedi che con tanti negativi non è cosa troppo gustosa il fare il proprio ritratto; ma tu lo hai voluto; sia fatta la volontà tua!

Cara mia, mi vuoi bene? me lo vorrai sempre? ah! le tue parole io le conservo nel fondo del cuore; esse non si cancelleranno mai. Io riguardo la tua amicizia come la cosa più preziosa ch'io m'abbia: assicurati che io ti corrispondo con la più viva tenerezza, e con un entusiasmo sentito al maggior grado. Salutami i tuoi genitori, abbracciami Nina, ed io ti bacio, amor mio, con tutto il cuore.

Mi è stato molto grato il ricevere il tuo libretto: te ne ringrazio assai.

Settembre (1831)

Che caro dono, ragazze mie, che cosa deliziosa mi avete mandato! Io non mi sazio di guardarlo e riguardarlo e di ammirare quella facciotta placida e robusta di Rubini, che non sa sdegnarsi neppure in un momento di tanta violenza, come è quello in cui viene rappresentato. E Marianna già me lo aveva detto che la sua fisonomia indica una tranquillità di un animo ammirabile, che non si turba nemmeno sulla scena. E quella è una fisonomia molto geniale, ed io trovo a contentare il mio gusto per i baffi e la barba. Ma Rubini non mi vuol cantare, ed io lo prego, lo scongiuro, ma mi sta sempre zitto, e per una parte è anche bene, perchè se mamà se ne accorge, poveretta me!

Se io vedessi la mia amica ai piedi di Rubini forse non piangerei; ma con un altro… oh io non la potrei vedere senza piangere. Facevo vedere questa sera a mio fratello questo ritratto, senza dirgli il nome ed egli diceva che l'Imogene era Marianna, e sostiene che le rassomiglia, e mi ha fatto convenire che in qualche tratto è vero.

Che doppio seggetto di allegrezza per me, o mia cara, e quanto mai vi ringrazio!

Ti ringrazio poi, o Nina mia, perchè hai voluto accompagnare il dono con una cara lettera, la quale continua a narrarmi i plausi che riscuote la mia amica, e mi fa vedere che tu sei più quieta e tranquilla che non credevo. Nina mia, questi uomini non valgono la pena che noi gittiamo per essi un sospiro. Non vedi come ci trattano, come ci disprezzano appena mostriamo loro che non siamo rimaste impassibili alle loro proteste? Essi sanno bene il male che cagionano, e non solo non se ne dolgono, ma ne vanno più lieti e trionfanti. Ebbene, disprezziamoli: facciamo loro vedere che non siamo poi tanto infelici quanto essi suppongono, e sopratutto guardiamoci bene dal prestar fede alle loro parole. Oh bisogna provar lungo tempo gli uomini prima di azzardasti a crederli degni del nostro amore, ma per nostra disgrazia il cuore umano è impenetrabile, e noi povere donne restiamo quasi sempre ingannate e non ci è permesso neppure di lamentarci apertamente e di accusar gli uomini di iniquità, poichè essi hanno il diritto di far tutto!

Nina mia, già ti sarai accorta che il mondo non è così bello come lo promettevano i libri, non è vero? Noi entravamo piene di confidenza nella vita, sperando di trovare un mondo delizioso, sicure di trovar un cuore, almeno un cuore che ci amasse, ma di quell'amore puro e celeste, come credevamo che si trovasse, e che noi meritavamo poichè eravamo preparate ad amarlo con tutto l'ardore in spirito e virtù e poichè non eravamo in niente inferiori a quelle anime fortunate che ci dipingevano aver trovato la felicità in terra, poi troviamo che questo mondo delizioso si converte in luogo pieno di spini, pieno di nemici, in cui non basta nemmeno stare immobile per non soffrire, e addio speranze, addio cari sogni dei nostri primi anni; bisogna cangiar pensieri, bisogna prepararsi a combattere sempre, ad ogni momento, e stare in guardia assai sopra di noi stesse per non cambiar natura, per non diventar tutt' altro da quello ch'eravamo, poichè non v'ha dubbio che il rischio è grande.… Ma tu sai queste cose meglio di me, chè le vedi più sfacciate e clamorose ed egualmente schifose.

Mio fratello senti Gentili a Sinegaglia qualche anno fa nella Semiramide, ed anche allora le donne s'interessavano per lui; e Carlo stava in un palchetto con la figlia del principe di Canino maritata in Onorati, ed essa lo invitava a battere le mani per Gentili. Ed a Carlo piacque la sua azione che egli si agitava molto e con molta passione. Io dico bene a Marianna ch' essa non sarebbe andata a Pesaro. Oggi un signore venuto di colà ha detto che l'opera non si fa perchè non vogliono que' signori spendere ecc. Ed il soggiorno di Pesaro ti sarebbe piaciuto assai, ne sono certa. La Marchesa Azzolino ossia Del Bagno come ti sembra bella? Prima di maritarsi passava per una gran bellezza, ma credo che la sia svanita.

Si diceva che per piacere ad un suo amante che non voleva vederla tanto grassa prendesse giù molto aceto (vedi che eroismo) e che questo le procurasse una malattia pericolosa assai. Ma tutto questo non deve essere vero perchè l' aceto avrebbe fatto il suo effetto, e non sarebbe ora così grassa come dicono che sia. Quel signore di Fermo che disse a Marianna che noi eravamo soliti di andare a codesta fiera, sai di chi, credo, intendeva di parlare? Del fratello di mio padre, il quale ha una figliastra del mio nome, ed egli la portava costi per toglierle dalla mente il pensiero di un certo amante che a lui non piaceva. Se giovasse per andare a vederti l' aver un amante fingerei di averlo, e fuori della porta di casa mia, appena montata in legno, manderei l'amante al diavolo, e volerei in braccio a voi, mie carissime, con una smania che voi non potreste mai comprendere che quando io fossi vicina a voi.

Nina mia, mi vuoi dire quai libri hai portati da Bologna? Se sapessi! mi è venuta un' idea che quando saresti in Ancona, potresti dare a qualcuno di essi un congedo di pochi giorni con licenza di venire a farmi una visita. Ti dispiacerebbe che venissero a fare una visita alla tua amica? Penserei io a mandare a prenderli, e non si tratterrebbero meno che quel tempo che tu vorresti fissar loro. Io sono cosi affamata di libri, che non puoi credere, e qui non si leggono che quei che si comprano, figurati quanti possono essere. Intendo libri moderni, perchè la nostra libreria è abbastanza grande, ma io provo un senso di rabbia ogni volta che vedo quegli immensi tomi in foglio: i S. S. Padri, e Poliglotto, e i libri teologici e ascetici e tanti altri che per me sono inutili, e che tanto volontieri cambierei con tanti tomettini in 12 o anche in ottavo purchè fossero leggibili. Dimmi il tuo parere sopra questo affare senza ombra di riserva, perchè fra noi non ve ne deve essere. Ti lamenti dell' umido e del vento di Fermo? Oh beata te che almeno hai vissuto in paese asciutto e senza vento. Io non posso reggere a questa nostra infame aria, che è una vera rovina per la salute, per i denti, per tutto. Ed io non esco mai, ma è lo stesso. Nina mia quanto ti debbo avere annoiato!

Fa che la mia cara Marianna e la sua sorella sappiamo quanto gran piacere mi abbiano fatto col dono di Rubini, e quanto io sia loro riconoscente per tanta amicizia, per tanta tenerezza, la quale sebbene io la divida con esse, vi è infinitamente più di generosità dalla parte di quelle care amatissime anime.

21 settembre (1831)

Cara Marianna.

Sono sempre giorni di festa per me quelli in cui io ricevo le tue lettere—lettere che mi fanno provare la più cara consolazione ch'io possa ora provare, quella di sentire che sei tanto ammirata, esaltata, lodata. Oh tu mi hai fatto riconciliare con quel paese per cui avevo una cattiva prevenzione, dicendomi che i suoi abitanti sanno distinguere ed applaudire il vero merito. Che essi abbiano ammirato la tua bravura nel canto non mi fa meraviglia, chè so bene che tu sei brava assai; ma quello che mi piace di più è che abbiano compreso quanto sei differente e distinta dalle altre tue compagne, e di quanto rara e divina bonta tu sei fornita. Questo è quello che io ammiro, e vorrei essermi trovata alla tua passeggiata in fiera, ove la mia voce si sarebbe fatta sentire con le altre, oppure non si sarebbe sentita perchè l'emozione che avrei provato mi avrebbe tolto certamente il modo di espremire il mio entusiasmo per te, o cara, carissima Marianna mia. Che pena il sentirti così vicina e non vederti! Io provo tutte le pene di Tantalo—ah non puoi credere quanto io ne sia infelìce.

Marianna mia, ho una malinconia terribile. Quando mi scriverai? Oh scrivimi presto, per caritá. Non hai avuta una lettera mia scritta a Fermo due giorni prima dell'ultima a Nina? Dimmi come ti piace Ancona, e se hai trovato codesto teatro più bello di quanti ne hai calcati: puoi credere che io non l'ho veduto. Quando ti riposerai? Oh quest' anno hai faticato troppo troppo, davvero.

Carlo non ti ha veduta mai, ma gli parve di vedere qualche punto di somiglianza fra il tue ritratto e l'Imogene. S'egli non avesse moglie fra poco ti conoscerebbe, e ne avrebbe grande piacere, ed io pure, ma! io temo: già ti ricordi cosa ti dissi una volta, e credo che si continui nel medesimo umore. Ma se mai tu lo vedessi non gli dir niente, sai? Forse potrebbe spiacergli ch'io ti parlassi della gelosia di sua moglie, la quale è tanto buona che non merita davvero che le si diano dei dispiaceri. Se io potessi parlarle mi farei dare il suo permesso a forza di preghiere acciò che mio fratello potesse venire da te, ed allora egli mi diventerebbe anche più caro, ma io non la vedo più.

Se senti nominare un conte Leopardi abitante costì, sappi ch'egli è mio zio, fratello di mio padre. Quella giovane di cui io ti parlai che andava alla fiera a Fermo è la sua figliastra. Se costì senti nominare un Cav. Antici, sappi ch'egli è mio zio, fratello di mia madre. Egli è conservatore delle ipoteche; e tutto questo cosa t'importa? niente affatto. Salutami Nina con tutto il cuore ed i tuoi genitori. Ti ringrazio dei sonetti. Se sapessi quanto mi rallegra il vedere il carattere di tuo padre ch'io conosceva fin da quando scriveva a Giacomo! Ma più, infinitamente più, mi rallegra il tuo, ossia quello di una certa persona che io amerò per tutta la vita, e che accupa da lungo tempo una gran parte del mio cuore e dei miei pensieri.

Addio, cara anima. Continua ad amarmi, ed io ti salto al collo e ti bacio con la maggior tenerezza ed ardore.

8 ottobre (1831)

Marianna mia,

Cosa ti è accaduto che non parli più? Sei inquieta con me, o sei innamorata? Il primo caso io non lo crederei, poiche certo io non ti ho dato ragione, mentre ti amo come la pupilla degli occhi miei—il secondo caso poi, ah quello potrebb'essere. Ma e perchè non me lo dici? Già sai che io non ti griderei per questo, nè ti vorrei meno bene, ma questo silenzio, oh questo m'inquieta assai, e mi fa essere in collera con te. Non posso credere (e cio mi consola) che tu stii male, poichè continuamente sento dirmi che l'Opera di Ancona è molto buona, che la prima donna è brava assai; ma il tuo nome non lo sento mai nominare, nè io lo pronunzio, almeno in presenza dei miei genitori, chè potrebbe essere che la vivacità del mio colorito in quel momento desse ad essi qualche indizio che io la amo assai. Però se continui a volermi bene, se io non ti ho fatto alcun dispiacere, se mi vuoi consolare in questo stato di curiosità e d'incertezza in cui sono per te, dimmi una parola, una parola sola. Non ho avuto più lettera da te dopo quella dei 12 dello scorso mese, alla quale io risposi il 21 in Ancona. Forse Nina sta male? Io spero di no, ma lo tomo, chè questo tuo silenzio sì lungo non è naturale: figurati dunque quanto io ne sia sconsolata. Marianna mia, non posso dirti altro so non che io ti amo con la maggior tenerezza, e che ora ti stringo al mio cuore più strettamente ch'io possa; ma non tardare a scrivermi più per carità.

Dimmi di Ancona, e come ne sei contenta.

Ottobre (1831)

Cara Marianna,

Sì, è verissimo che io sopportavo con dolore ed impazienza il tuo silonzio, e ne avevo ragione, poichè tu mi hai avvezzata ad avere le tue nuove abbastanza sovente, sebbene non tanto, quanto io lo bramerei; ed ora era tanto tempo che non sapevo più nulla di to, e siamo due passi lontano.

Oh quando vai via! io non vedo l'ora che ti allontani, io non posso accostumarmi a sopportare con calma l'idea della tua vicinanza, della possibilità di vederti, di sentirti, di dirti a voce quanto mai mi sei cara, quanto immensamente io ti amo—oh no, non lo posso, non ho tanta forza per sopportarne il dolore senza urlare di rabbia, e dare in moti di disperazione.

Ma tutto è inutile; la mia sorte è pronunziata.

Io ti ringrazio della tua cara lettera: essa mi ha consolata, ma… Nina è malinconia, ciò mi fa molta pena. E come mai essa non si sfoga con te, non versa nel tuo cuore le sue pene? essa ne proverebbe sollievo, e tu ne saresti meno afflitta —ma spero che quando si scioglierà la compagnia con cui siete, allora l'aria di Toscana le gioverà.

A proposito di Toscana, se vuoi niente da Giacomo, sappi ch'egli è a Roma e vi passerà l'inverno.

Sento sempre grandi elogi di te e dei tuoi, e non puoi credere quanto mi ecciti dei battimenti di cuore quando si muove il discorso di questa benedetta opera di Ancona.

Giacchè me lo dici io ti devo credere; ma è questa la prima volta che sento che cotesto teatro la ceda a quello di Fermo, il quale non ha costato certo quanto il primo.

Ma io me ne informerò bene, e se non è vero, guai a te.

Ti rimando la nota dei tuoi libri insieme con vivissimi ringraziamenti perchè non hai sdegnato di compiacermi. Appena io ti feci questa richiesta mi pentii di non avertela fatta a Fermo, da dove non con più facilità, ma con meno pericolo avrei potuto mandarli a prendere; poichè subito mi venne in mente che avrebbero forse potuto ricevere in Ancona qualche soverchieria per parte della inquisizione doganale. Ora però vedo che fra questi non ve ne è che uno che mi avrebbe solleticato un poco e che io non conosco; ma l'ora assai tarda, ed il timore di un'inquisizione più vicina fa che superi ogni tentazione e mi penta di averti dato inutilmente questa seccatura. Ma io ho veduto anche qui quanto mai sei buona, ed io ti amo e ti ammiro sempre più. Non posso indurre mio fratello a venire costì, ed egli ne avrebbe molto desiderio, ma fortis ut mors dilectio.

Dimmi quando partirai da Ancona, e dove andrai poscia. Dimmi sempre se mi vuoi bene, e se sei buona; io te lo raccomando assai. Salutami i tuoi genitori, e abbracciami Nina: quella povera ragazza io vorrei vederla più allegra. Ma e non siamo tutte di un umore? Addio, dolcissima anima—io sono tutta tua, e non mi sazio di abbracciarti e di baciarti con la maggiore effusione del mio cuore. Tu sei l'unica mia consolazione. Dimmi che te ne pare di Camerata, e come lo trovi amabile. Me lo hanno descritto per un caro giovine; ma ciò non impedì che il generale tedesco gli desse il grazioso titolo di asino, quando egli si presentò a lui con un certo uniforme, che non mi ricordo quale fosse.

La vostra orchestra continua ancora a suonare prima della sinfonia l'aria sul tema—chi per la patria muor?—Ah quanto siamo valorosi! Cosa diresti se tu vedessi comparirti innanzi quello cui indirizzi le mie lettere? Mi ha detto che ha voglia di venire a sentire l'opera, ed allora ti farebbe una visita a nome mio, e tu conosceresti il maestro di tutti i giovani Leopardi. Ti bacio di nuovo affettuosissimamente.

Il giorno di tutti i Santi (1831)

Cara Marianna,

Prima di tutto, non credere che io abbia tralasciato di scriverti in Ancona nè per pigrizia, nè per qualunque altro motivo non lodevole; no tu sei sempre per me la stessa cara cosa, il solo mio pensiero delizioso, ed io ti amo sempre (lasciami usare di una tua espressione) a furore. Ma vedi, le mie lettere, non so perchè, ti giungono sempre molto ritardate, anche le tue ritardano un pochino, onde io non ho creduto che la mia lettera potesse giungerti colà prima della tua partenza, e perciò non ti ho scritto più presto, sebbene con dispiacere; perchè, sai, io non vorrei che neppure per un istante tu pensassi male di me, nè che credessi la mia amicizia, il mio entusiasmo raffreddato. Come desidero ardentemente di trovarti verso di me, così, ma con infinitamente più di ragione, io sono per te, ed il mio cuore su ciò non cangierà mai sentimento, mai.

Sei troppo buona, Marianna mia, a desiderare tanto di conoscere il tuo amico. Ma sai? egli non ti corrisponde con egual tenerezza, e poi che si è posto in un confessionario di monastero, non ha avuto cuore di abbandonarlo un giorno o due per venire a trovarti, cosa che pure gli sarebbe piaciuta assai, e gliene era venuta la volontà, ma ha resistito a tutte le mie premure, ed anche alle tue parole, chè io gli ho detto quanto tu lo desideravi. Ma, oltre l'impedimento del confessionario un altro, e non lieve per lui, lo ha trattenuto; il dispiacere di spendere—e se io ho creduto per un momento che fosse efficace la sua volontà, l'ho creduto, facendomi il gran desiderio che tosse vero fare astrazione da tutto quello ch'io sapevo di lui. Intanto io ti ringrazio del tuo buon cuore, e di quello della tua famiglia che già si preparava a riceverlo come inviato di una sua tenera amica.

Povera Marianna mia, quanto hai sofferto! mi ha fatto fremere di rabbia il tuo racconto, ed io piangevo per te nel leggere la tua lettera, nel vedere quanto mai devi aver sopportato di amarezze, di dolori, se volevi sciogliere la tua scrittura, e quanto ti resta a sopportare ancora, poi che devi passare un mese in compagnia del tuo persecutore! Ma quanto sono cattivi questi nomini! e come mai possono essi rivolgersi contro chi non fa loro alcun male, e che anzi con la sua ottima ed innocente condotta dovrebbe conciliarsi l'amore di tutti? Ah! sarà sempre per me una cosa difficile da comprendere come mai la virtù in questo mondo venga sì crudelmente odiata, quando in sostanza non si stimano che i soli virtuosi, e non si ha ammirazione che per essi! Questo mistero non sarà compreso in questa vita, e non vi ha per noi rifugio che nell'altra; ma intanto, in questo mondo si passa una ben infelice esistenza; e tu lo sai, cara mia, e lo provi continuamente, ed ove poi non lasci questa professione, lo proverai sempre, ne sono certa. Tu sei troppo buona per questo mestiere; pare necessario che chi vi si dedica debba andare fornito di tutti i vizi, senza educazione, senza morale, ed invece, tu sei tutto l'opposto; e come vuoi dunque combattere con armi tanto disuguali, e come vuoi vincere? Ah! io sospiro per te, e fremo, e, lo credi? dico sempre qualche Ave Maria per te, affinchè il Cielo ti protegga, e ti faccia godere una volta quella felicità che meriti. Ho sentito i tuoi applausi, ho veduto quanto ti ha renduto di guadagno la tua serata, solo la tua voce non ho potuto intendere, solo la mia amica io non ho potuto vedere per quanto io lo sospirassi ardentemente. Ah Dio mio! quanto soffro! ora ti sei allontanata, e mi pare di respirare più liberamente, che il cuore mi palpiti meno, poichè meno soventi ti sento nominare; ma è stata troppo grande la facilità che si è data di poterti vedere, perchè io non risenta tutte le volte che penserò a te il dolore immenso che mi hai cagionato col partire di qua senza ch'io mi sia gettata fra le tue braccia, senza che abbia potuto esprimerti a voce quanto mai io ti amo, ti ammiro, quanto mai di entusiasmo m'inspiri continuamente il saperti così buona, così virtuosa, eppure non felice!

Non puoi credere quanto mi giungano care le poesie che mi mandi: esse formano per me una raccolta preziosa. L'invito per la tua serata di benefizio di Ancona mi è piaciuto molto: il suo stile è troppo diverso da quello solito ad adoperarsi in tali cose, perchè io non ne abbia subito riconosciuto l'autore. Se mi vuoi bene, non ti stancare di mandarmi sempre tutto quello che ti riguarda, sicura che tutto viene riguardato con molta devozione ed amore.

Ti pregai una volta a dirmi se è vero che il prof. Tommasini è morto in conseguenza dei dispiaceri sofferti a Parma dopo il ritorno dell'antico ordine, io ti chiedevo ciò a Fermo in quella medesima lettera in cui per compiacerti ti mandavo il ritratto di una tua amica, se esso si è perduto (come credo, perchè ti dicevo tante cose, e non me ne hai mai parlato) tutto è finito; il ritratto si è perduto e non si può più trovare.

Se andavi a Roma io ci avrei avuto molto gusto, e Giacomo ancora. Forse lo vedrai quando tornerai da Pisa. Un'altra volta ti dirò il motivo della sua partenza da Firenze, quando io ci vedrò un poco più chiaro; se tuo padre sa qualche cosa, dimmelo per carità.

Abbracciami Nina, cui seriverò prestissimo e salutami amorosamente i tuoi Genitori. Dimmi se mi vuoi bene, se me lo vorrai sempre, e se credi alla tenerezza indefinibile con cui la tua Paolina ti dice addio.

Sento che seriva, anzi abbia scritto Antici da Ancona di una piccola sommossa accaduta colà una sera dopo il teatro, in cui alcuni giovani si posero a gridare viva la libertà, e che terminò subito per opera della truppa con l'arresto di alcuni. Io credo che sia una stessa cosa che l'affare di Gentili che tu mi racconti, non e vero?

8 Novembre (1831)

Nina mia!

Il mio uccellino mi ha detto che sei inquieta con me, ma non ne hai ragione affatto, sai? Sono stata io l'ultima a scriverti, e dopo di quella io non ho avuto più tue lettere: onde chi di noi due deve lamentarsi?

Ma per far cessare i tuoi ingiusti lamenti vengo a chiederti cosa te ne pare di questo nuovo soggiorno, se ti senti più lieta che non eri poco fa, se l'altrui malignità ti lascia respirare un poco più liberamente, ed insieme con te e con i tuoi la mia cara amica? Io sono in gran desiderio di sapere la continuazione delle tue avventure, dei successi di Marianna, i quali certo devono ben compensarla della invidia e della gelosia che essi destano. Tutti voi altri sapete bene quanta ammirazione cagioni il contegno vostro, e della mia amica in particolare, sì raro a trovarsi tra gente della sua professione; tutti voi altri lo sapete, pure non posso fare a meno di dirvi che quasi ho sentito io medesima fare un elogio grande della eccellente educazione, della condotta irreprensibile e savissima, di tante doti di spirito e di cuore, dell'eccellente carattere della prima donna dell'opera di Ancona, senza dirvi poi nulla intorno alla sua bravura nel canto, di cui quello che parlava si mostrava contentissimo. Io non ti so dire qual emozione mi cagionassero queste parole, quanto soavemente mi scendessero al cuore, che mi batteva più forte del solito nel sentire che la destinèe ha renduto la sorte della mia amica assai felice, quando le ha concesso di far parlare di sè in questo modo. Se tu vedi questa cara giovane dillo, dopo di averla baciata e ribaciata per me, che non mi mostri mai del malcontento o della noia: queste cose non sono per lei, ed io non le voglio sentire.

Naturalmente ti verrà voglia di sapere da chi ho sentito tale elogio, ed in verità io non l'ho sentito punto da lui medesimo, ma mi è stato riferito da uno che ha veduto Imogene, e che ne parla con entusiasmo. Hai conosciuto in Ancona Antici, il Conservatore delle Ipoteche? Il parlare ch'egli fa di Marianna in modo si lusinghiero mi fa credere che le si sia presentato, ed io lo voglio sapere da te precisamente.

Nina mia, come vanno i tuoi amori? Comer ti sta più in mente? Sei poi disposta a fare in Pisa la parte di Isoletta? Quanto t'invidio il passare che farai quest' inverno colà, in quell'aria deliziosa! Scrivimi presto, e dì a Marianna che faccia lo stesso. Ah! tu sei partita senza ch'io ti abbia potuto vedere, non ti puoi mai immaginare con quanto mio dolore.

Addio cara. Salutami i tuoi Genitori, e conserva per me una parte di quell'affetto che portavi a Comer, e ch'egli non si meritava.

Sabato andò in scena in Ancona il Mosè non so i nomi dei cantanti nè come possa essere che quest'opera debba durare solamente sette giorni.

10 Dicembre (1831)

Marianna mia,

No, non credere che la tua ultima abbia bastato per sopire la mia ardente collera contro di te, e contro Nina. Non so chi avesse potuto sopportare senza somma rabbia un silenzio ostinato di trentotto giorni, cui non si poteva dare il pretesto che io non avessi scritto; chè avevo ben scritto due lettere, una a te ed una a Nina—ma certo non son io quella; giacchè ti so dire che l'ho sopportato molto impazientemente. E sono certa che tu mi darai ragione, e vedrai che posso bene lamentarmi di te che da Ancona in poi non mi avevi più scritto. La lettera di Nina io non l'ho avuta punto. Nè io sapevo che cosa pensare di te, cara Marianna mia; io ero stordita e confusa: tremavo che tu fossi caduta ammalata; ma poi cacciavo questa idea con quella che ti fossi dimenticata di me e questa non era pure una idea che mi consolasse.

E se ti ho da dire la verità, con la cìma della mente (se si può usare tale espressione) io pensava di te le più strane cose, ma solo con la cima, chè il mio cuore abiurava immantinente questi pensieri come indegni affatto di una creatura sì cara come sei. Mi rallegro con te che hai finito di penare con una compagnia così pertinacemente incomoda e cattiva. Io spero e desidero vivamente che debba trovarti più lieta con questa nuova. Già immagino che il contralto sia tuo amico, poichè ha un nome che assomiglia al tuo. Dagli un bacio per me, e digli che non farò con lui pace sin che non mi scriva da Ascoli.

Se hai saputo a Firenze qualche cosa di Giacomo, dimmi tutto. Io credo che il vero motivo della partenza di lui da Firenze non si sappia nemmeno colà. Se Brighenti non lo sa, io lo confiderò a te ed alla famiglia tua con gran segretezza, stimando che voi altri, o care anime, facciate parte della mia. Giacomo è fuggito da Firenze per allontanarsi da una persona che amava assai o per la quale ha molto sofferto. Chi sia questa noi nol sappiamo, ma un lontano indizio, o piuttosto nessun indizio, ma il trasporto d'indovinare, ci fa supporre che sia la giovane vedova Bonaparte1 V. le mie Note Leopardiane. Parma, Battei - 1886.. Con gran mistero e senza nominare alcuno mio fratello ci ha detto una parola di questo affare, dicendo che i suoi amici di Firenze non sanno che pensare di tale assenza, e che conta di ritornarvi forse a Febbraio. Parte perch' egli non può scrivere a lungo, parte perchè le sue lettere sono tutte vedute in famiglia, solo una volta ci ha scritto su ciò nascostamente, raccomandando il più gran segreto. Ed io volevo dirti tutto ciò prima che tu venissi costì, acciò nel passar per Firenze potessi informarti di quello che se ne dice colà, ma il tuo silenzio mi ha rovinato.

Forse il papà tuo sa ogni cosa; se è vero, non mi nascondere nulla, io te ne prego ardentemente. Ora Giacomo viene dall'essere stato ammalato dal grup, ed ha passato parecchi giorni in letto, e ci dice che prevede di dover passare tutto l'inverno a casa.

Ed allora perchè non venire da noi? Mi hai promesso di scivermi a lungo; deh non mi tradire!

Dimmi come ti incanta cotesto cielo, cotesta deliziosissima situazione. Dimmi come si chiama il male della Granduchessa, chè i fogli non vogliono dirlo.

Hai veduto che il giovine Bonoldi è divenuto compositore di opere in musica? e tu lo conosci?

Addio, cara, carissima anima! Io sono inquietissima con te, già lo sai, e ne ho tutta la ragione: nell'ultima brevissima tua neppure una parola mi hai detto se mi vuoi bene, mentre io te ne voglio tanto.

Quanto invidio un tale signore di Ascoli che invece di cantare la messa si è posto a fare il ritratto di due belle ragazze! deve essere certo questa un occupazione molto dilettevole; ma vorrei sapere da Nina come ha trovato geniale il suo pittore, poichè questo suo ritratto mi fa naturalmente pensare a qualche cosa.

L'ultimo dì dell' anno (1831)

Nina mia,

Tu sei un fuochetto veramente singolare! tu strepiti e mi condanni perchè io non avevo cuore di sopportare con abbastanza di calma l'apparenza della vostra dimenticanza; perchè fremevo al solo pensiero che qualcuna di voi fosse caduta ammalata, ovvero le fosse accaduta qualche disgrazia; perchè non sapendo immaginare cosa potesse impedire che persone che mi sono eccessivamente care mi dessero quella consolazione ch'esse sanno bene che per me è la maggiore di tutte, quella di avere le loro lettere, pure non pensavo niente che fosse indegno di quelle care anime, e mi dolevo quasi più di me che di esse, poichè cercavo in me stessa il motivo di un così strano contegno, nè sapevo ritrovarvelo; chè, se mi avete una volta reputata degna di essere amata da voi, ora non ho demeritato certo del vostro amore, e voi continuate ad essere quelle care creature che siete sempre state.

Ma tu, Nina mia, hai fatto bene ad inquietarti, ed a scrivermi una lunga lettera. Oh, a questo prezzo io ti farei inquietar sempre. E se ti ho a dire la verità, io trovava te meno degna di scusa di tua sorella, chè le tue occupazioni sono minori delle sue senza dubbio, e con maggior facilità avresti potuto trovare il tempo di dirmi una parola.

Ma tu lo avevi fatto, o cara, ed il diavolo ha voluto che si perdesse quella lettera con sommo mio dolore, perchè la vostra bontà non mi aveva avvezzata ad un silenzio così lungo, ed io non mi ci sapevo adattare. La povera Marianna è stata dunque abbastanza male per tenervi in pena? Io già me l'immaginava che la troppa fatica non le avrebbe fatto bene, ed in quest'anno ha faticato troppo davvero. Ringraziamo Dio che ti guarì presto, e che ora passi l'inverno in un clima delizioso. Oh quanto mai ve l'invidio, o care mie! In una situazione come quella io mi riconcilierei colla fortuna malgrado tutti i torti che ne ho ricevuto. Io spero che la cortesia della signora Nina vorrà usarmi la grazia di darmi dei dettagli su cotesto soggiorno, e come essa lo trova piccante, ma chi sa se questa lettera ha la fortuna di piacerle? ed essa mi ha promesso ed assicurato che non mi darà altre notizie se io non avrò la fortuna di darle più nel genio. Ah è molto bizzarra questa signorina.

Io non credevo che Ascoli fosse così orribile come lo descrivi.

Se il soggiorno di voi altri nelle Marche fosse stato meno lungo, avreste portato con voi un'idea di questo molto vantaggiosa intorno al suo clima, chè il nostro autunno è stato una vera primavera. Ma se il viaggio da Bologna a Fermo lo avete avuto delizioso, mi pare che non sia stato lo stesso di quest' ultimo: le avventure che mi racconti non sono deliziose certo. Quanto avrei avuto piacere che il vetturino vi avesse ribaltato (giacchè doveva farlo) vicino a qualcuna delle nostre possessioni, e vi avesse costretto a rifugiarvi presso qualche nostro contadino. Oh allora sì che diveniva sacra per me quella casa, ed i contadini persone invidiate! Ma dimmi un poco, Nina mia, sei passata per Recanati?… anzi, se ci sei passata non me lo dire, per carità io ne fremerei.

Tu non vuoi ammettere le mie opinioni sul ritrattista—pazienza—ma perchè non dirmi una parola del Contino Emidio? Ah, Nina, tu sei furba assai, e fai tutto il racconto del secondogenito (che mi ha divertito assai), e di te non dici nulla, nulla affatto. E che credi che io non debba e non voglia sapere ancora i fatti tuoi? E dovrò aspettare che me li dica tua sorella quando potresti bene raccontarmi tutto sinceramente tu che hai più tempo di essa? Dunque io starò aspettando, e frattanto mi rallegro con la mia amica, che il suo amore questa volta è stato approvato da sua sorella.

Ma mi pare che questa sorella sia troppo capricciosa ed insolentella, perchè si arroga il diritto di approvare gli amori della sua sorella maggiore, dei quali questa è la prima volta che parla con rispetto. Oh Marianna mia, tu sei troppo buona: io vorrei che tenessi un poco più in soggezione quel cervellino di Nina che pretende di regolare i tuoi affetti, e non vuole che si parli punto dei suoi.

Avevo saputo che Tommasini era vivo, malgrado la sua lunga malttia. Giacomo lo ha veduto a Roma1 V. Epist. lett. 489 e la moglie mi ha scritto. Anzi, se alcuno dei tuoi è in relazione con essa, se gli occorre mai di scriverle, io vorrei che le diceste che io ho risposto nel momento che l'ho ricevuta, alla sua dei 9 Novembre, dalla quale ho veduto con dolore che si sono perdute tre sue lettere senza che io possa saperne il perchè. Se il caso volesse che anche la mia si fosse smarrita, io gradirei assai che la signora Tommasini sapesse che non è per colpa mia se essa non ha più sovente le mie nuove, le quali con gran bontà ed affezione mi raccomanda di darle. Tutto ciò nel solo caso, ripeto, che qualcuno dei tuoi dovesse scriverle, altrimenti sia per non detto.

Di a Marianna che mi faccia fare la conoscenza dei suoi compagni, della Lorenzani particolarmente, se è maritata o no, se è bella o no, se canta bene o no.

Salutami i tuoi genitori, e siccome in ogni tempo ed in ogni giorno dell' anno sono eguali i miei voti per il bene e la felicità della tua cara famiglia, così ora non ti dico ciò che per lo più ha l'aria di puro complimento.

Se mi vuoi bene, scrivimi presto.… ma già so che non me ne vuoi punto, e perciò addio, cattivella. Sii buona.

Alla cara Marianna, al mio pensiere dolcissimo io do un bacio con il maggiore affetto e con la più gran tenerezza.

14 Gennaio (1332)

Mia diletta Marianna

Si vede bene che i tuoi successi ti guastano; non si può più combattere con te; sei divenuta imperiosa, irriflessiva, stravagante: non sei capace di distinguere ciò che è possibile da ciò che non lo è: ad una lettera ricevuta il 25 a Recanati, chiedi risposta a Pisa il 28. Ah! se quei ragazzi che volevano portarti a braccio ti conoscessero bene, poveretta te! E poi, giusto vieni a gridarmi a proposito, in un tempo in cui tutto fuori di me, entro di me è agghiacciato, sangue, anima, mente, e quasi direi anche il cuore, se non sentissi che batte straordinariamente al sentire il tuo nome, al vedere i tuoi caratteri. Se sapessi quanta gioia m'ispira quando all'aprire la mia finestra appena levata, do un'occhiata intorno e vedo… un piccolo vaso ad una finestra di rimpetto alla mia: quello è il segno che una tua lettera è arrivata e la tua ultima venne in tempo che il parapetto del mio giardino quasi cuopriva la finestra opposta, pure un palpito di gioia mi riscaldò; e per tutto quel giorno fui felice, anche malgrado i tuoi rimproveri ingiustissimi e crudeli, (sai, rileggo in questo istante quest' ultimo paragrafo, ed un riso inestinguibile mi assale, perchè vedo che ho spiegato benissimo che in quel giorno la neve sopra il parapetto lo poneva quasi a livello della finestra).

Ma tu non puoi pensare al nostro orribile stato, tu che godi sempre di sì bel sole che io t'invidio con tutta la potenza dell' anima mia. E credimi pure che se io non valgo mai nulla, in questo tempo poi divengo meno del nulla, perdo ogni sentimento, meno quello del soffrire grandemente in questa stagione dolorosa, alla quale non vi è modo di avvezzarci, chè ogni anno cagiona un nuovo affanno, un tormento nuovo. E se un inverno rigido è fastidioso in una città brìllante, immaginati cosa debba essere in un paese orribile come il mio, ove bisogna assaporarlo goccia per goccia, ed ove ogni momento strappa un sospiro. Hai fatto bene a scegliere il tuo albergo lungo l'Arno, del quale Giacomo mi ha fatto una descrizione incantevole, e di cui egli mi diceva che non potrà mai dimenticarsi1 Epist. lett. 353. Mi scrive però una signora di Pisa che costì quest' anno fa freddo grande e che vi ha nevicato abbastanza: e tu non te ne sei accorta? Sai chi è questa signora? È la moglie del prof. Regnoli; era la Lazzari di Pesaro, pronipote di mia nonna paterna, per conseguenza un poco anche mia parente, che è stata in monastero a Recanati, che mi vuol bene, e che mi serive che vuole che vada a Pisa a star con essa. Sebbene sieno due o tre anni ch' essa è costi, pure non può accomodarsi con cotesta gente che non usa riguardi ai forestieri, e con cotesto paese ch'essa dice essere pieno di rospi. Dimmi se la conosci, e che te ne pare, perchè io posso dire di non conoscerla, avendola lasciata andar via di qua che non era ancor donna. Troppo presto vuoi che mi persuada che il tuo cuore resterà libero tutto questo Carnevale io ti auguro propriamente con tutta l'anima che tu seguiti per lungo tempo a mangiare come fai (e come faccio io in questo momento con un mostacciolo di Napoli) ma non credo che il tuo appetito ti durerà a lungo, chè coteste faccie possono bene umanizzarsi; e poi tu ecciti troppo entusiasmo, troppa vivacità di sentimenti e con il tuo canto e con la tua nobile condotta!

Basta, ne riparleremo da qui a poco, e se con me ne parli tu, me ne parlerà Nina, la quale sai? mi dice tutti i fatti tuoi, senza farmi punto motto dei suoi intrighi, che Dio sa quanti sono. Ah! quanto è cattiva quella ragazza! come mangia adesso? dalle un grosso bacio per me, e dille che mi scriva.

Da Roma mi si scrive essere stato esiliato un tenore, che doveva cantare colà, per canti patriottici fatti a Bologna. Se ciò è vero, vogliamo dire che sia Gentili? Forse ne avrai inteso dire qualche cosa, e se è lui; ci ho gusto, chè così sconterà tutte le stravaganze che ti ha fatto soffrire. Pare inevitabile che la morte della granduchessa debba accadere entro il carnevale, e me ne dispiace assai per te, che ogni anno in questo tempo hai da avere qualche traversia, l'anno passato la morte del papa, e quest' anno un'altra morte. Non sono ancora due mesi che è morta di questa medesima malattia a Pesaro una mia cugina Antici, che in questa estate era stata a Recanati per vedere di migliorare, e che poi partì lasciandoci sicuri dolorosamente di non vederla più.

E non più lontano di un anno fa essa era un colosso, di una statura, di un personale ch'io non le invidiavo davvero, ma che era il ritratto della floridezza e di una robustezza maschile. Vedi che è finita l'anarchia bolognese? essa ha durato un pezzo, ma veramente era ora di finirla, e tutti ne eravamo annoiati grandemente, e meravigliati di tanto ardore, di tanto acciecamento. Dicono che Bologna era divenuta una spelonca, che i mercanti non facevano più affari, che forestieri non ne venivano più, che gli alberghi eran chiusi, e che il malcontento era generale.

Prosegui nei tuoi trionfi, o mia diletta! essi ti compenseranno certamente delle fatiche che devi sostenere; formeranno il gaudio della tua famiglia, e dei tuoi amici, fra i quali contami per sempre e per tutta la vita… Ma, cosa dico? non è vero niente, no, non è vero tu non vuoi salutarmi, non vuoi abbracciarmi, ebbene addio!

Quando non saprai cosa fare, perchè non andrai a fare una visita a nome mio alla Regnoli? Essa non può uscire di casa a motivo della sua gravidanza che le è molto incomoda, ma già sa di te, quanto cara cosa sei, io credo che la troverai molto gentile, ma ti dirò la verità dicendoti che conosco assai meglio un certa giovane amabilissima (che ha una soavissima voce) che essa

14 Febbraio (1832)

Cara Nina!

Non ti sembra cosa troppo crudele l'avermi lasciata un mese senza le vostre nuove di alcuna sorta?

Che, tu forse non senti i miei lamenti, non vedi le mie smanie, quando scorrono per me i giorni pieni di dolore per non veder mai arrivare ette re da quelle care giovani che io amo con ardentissimo affetto? E pure finalmente tu mi hai scritto, e Marianna dal 28 di Decembre non ha pensato più a me un solo istante, a me che non mi accade mai di passare un'ora della giornata senza pensare ad essa, alla sua angelica bontà, alle sue fatiche, ai suoi felicissimi successi? Oh quanto ti ringrazio. Nina mia, dei racconti che mi fai dei lieti eventi della mia amica! oh come mi fanno essi sentire vivamente il piacere di essere amata da tal persona, che eccita tanto entusiasmo con le sue qualità angeliche! Tu cre lerai bene che questo è per me l'unico piacere a questo mondo, ed in questa desolata vita ch'io meno, ed il più puro, e quasi l'unico ch'io pur desideri di provare.…

Ma sai? mi è venuto in mente che tua sorella non mi ami più, giâ perchè è tanto tempo che non mi scrive, poi una frase della tua lettera parrebbe indicarlo in maniera positiva, ed io ero per piangerne disperatamente, ma un pensiero consolante mi è venuto in mente, che tu abbi scritto quella lettera in gran fretta, e che ti sia sfuggita un'espressione non calcolata. Ma se è vero che la mia amica mi ha abbandonata, tu non hai idea, e non potrai mai averla della mia infelicità.

Nina mia, sta allegra, e divertiti in cotesta cara città. Vedi che la Granduchessa non muore? Raccomandami a Marianna e dille ch'essa è sempre per me il tipo della virtù e della bontà, dille ch'io mi rallegro con lei delle sue fortune, del suo contratto per Roma, del furore ch'eccita costi, della buona notte che deve dare ogni sera ai giovanotti di Pisa, di tutto io mi rallegro con quella cara anima, e ciò mi serve di consolazione nel vedere che il cielo accorda i suoi favori ancora adesso alle anime buone, si mi serve di consolazione, sebbene non mi resti più un'ombra di speranza.

Addio, cara Nina. Seguita a darmi le tue notizie, chè già sai quale inesprimibile favore mi fai. Dimmi della Regnoli, poichè siete tanto buone, o mie care, a voler compiacermi anche in questo. Dei liberali, Nina mia, è meglio non parlarne. Essi ci hanno fatto veder troppo chiaro che sono molto diverse le cose dalla teorica alla pratica, e oramai per me anche i liberali di Francia e di tutto il mondo prendono un altro aspetto. Ti bacio e ti bacio.

… Marzo (1832)

Marianna mia!

Prima di tutto (solo per non scordarmene)' mi dica un poco, signorina, s'ella ha conosciuto in Toscana il signor Gustavo Romani, e qual sorta di relazione ella ha avuto seco; ma favorisca di dirmelo, perchè è lungo tempo che ho desiderio di saper quest' affare.

Poi, o mia diletta, io ti abbraccio strettamente, e mi rallegro con te dell' esser giunta costì, spero felicemente. Che te ne pare di codesto paesetto? come ti piace, come t'incanta? Io spero che mi renderai conto delle tue sensazioni, delle impressioni che tante bellezze gigantesche producono sul tuo animo, il quale si deve commuovere alla vista di una terra classica, di una terra che ha prodotto per tanti secoli un popolo che sarà famoso in tutti i tempi. E poi il contrasto fra gli abitatori antichi ed i moderni ti farà ridere, non del riso ordinario, ma piuttosto di quello con cui era solito ridere Democrito—e poi compiangerei noi che diventiamo sempre tanti scheletri per ingrassare codesta canaglia romanesca che si crede essere la regina del mondo.

Ma tu ti divertirai assai, ne sono sicura, e avrai tempo da vedere tutto, ed ora ti goderai questa primavera che costî è una vera delizia, un incanto. Giacomo non vi ha voluto aspettare; io smanio di sapere se a Firenze lo avete veduto. Dimmelo, o Marianna mia, e se puoi, dimmi cosa fa, cosa spera, come è lieto, come lo ha consolato il vedervi, il vedere tuo padre; non lasciare di dirmelo, per carità.

Egli parti di Roma il 171 V. Epist., lett. 500., non so se voi altri lo abbiate incontrato per viaggio.

Che ne dici dei terremoti di Lombardia? Che disgrazia, che orrore! Avrei tremato che si fosse fatto sentire anche dove eravate voi altre, ma tu nella tua dei 14 non ne fai motto, e ne sono ben contenta.

La vicinanza della Santa Casa pare che ci preservi sempre da questo flagello orribile, anche questa volta noi lo abbbiamo appena sentito.

I nostri affari vanno sempre in un modo.

I Francesi non fanno nessun preparativo di partenza, e già saprai che i Tedeschi sono arrivati a Fano. Le voci che si dicono sono talmente moltiplicate e diverse, che fanno perder la testa.

In Ancona i Francesi hanno voluto il teatro aperto; una sera vi si canta l'opera che si faceva a Fermo nel carnevale, ed una sera vi recita la compagnia comica che avevamo noi, ma i francesi la soffrono impazientemente, poichè vogliono solo sentire la musica.

Dicono che il teatro è sempre vuoto, chè gli Anconitani non ci vanno punto.

Mi ha fatto veramente ridere il vedere fra quelli che Montresa ha fissati per gli Stati-Uniti, la Saccomani, quella che noi abbiamo sentita cinque anni fa e che faceva rabbia ai Recanatesi, portarla in America e nella capitale degli Stati-Uniti, è cosa veramente ridicola. Ancora non mi hai detto quali sono i tuoi compagni e qual' opera canterai; non sai che di te voglio saper tutto? Ma pur troppo avrai ragione di non scrivermi tanto sollecitamente; lo stordimento in cui devi essere te lo impedirà certo.

Ed io starò aspettando a braccia aperte che tu rinvenga un poco da questo stordimento, affinchè possa scrivermi…

Alla Regnoli ho scritto, e puoi bene immaginarti con quanto affetto dopo che mi hai detto che ti ha ricevuta amorosamente.

Mandami, se ne hai, le stampe che ti hanno fatto a Pisa, e particolarmente l'invito per la tua serata a benefizio.

Bacia Nina per me, e salutami i tuoi genitori. Io non potrò mai arrivare ad esprimere con quanto affetto, con quanta tenerezza io abbracci la mia Marianna.

Nina mia, sii generosa meco. Io dovevo una risposta ad una tua lettera che mi consolò assai (ma già lo sai, che tutte le tue lettere mi sono sempre carissime), pure non te l'ho fatta.

Ma non credere che ciò sia provenuto da poco amore, no, non lo credere. Io ti amo sempre ad un modo, ma se sapessi, Nina mia, la malinconia che mi porta per aria, e tu mi chiedevi che ti scrivessi in modo da farti ridere: ora vedi se ciò era mai possibile. Ma tu che sei veramente buona e allegra, scrivimi, come mi hai promesso, e fa che io sia consolata udendo i divertimenti delle mie amiche, e vedendo com'esse sono liete e felici. Già voi altre sapete che io conto i momenti che passano fra una vostra lettera e l'altra, onde abbiate pietà di me. Addio, Ninetta mia: dammi un bacio, e divertiti anche per me (che in questo momento non posso tenere più gli occhi aperti dall'aver pianto).

14 Aprile (1832)

Cara Nina

Bisogna sempre ch'io ti repeta che le tue parole mi scendono dolcissime al cuore: a questo cuore che ti ama tanto, che batte più violentemente quando pensa a te, che ti brama felice con un ardore ineffabile, che crede che lo sarai; oh si, lo crede perchè tu lo meriti, o Nina mia. Ma, deh non pensare giammai che la tua amicizia, che quella della cara tua sorella, non sia un balsamo che ristora, che addolcisce tutte le mie piaghe; senza di voi, ragazze mie, io sarei estremamente più infelice; il pensiero di voi m'infonde una dolcezza di paradiso, e quello delle vostre virtù, delle vostre purissime anime, mi dà coraggio e forza a procurare di migliorarmi, e di essere sempre degna di tanto vostro amore, della vostra tenerezza. Credimi pure, Nina mia, ch'io so apprezzare e valutare per quello che propriamente valgono i sentimenti affettuosi che hai per me, e già sai quanto io ne vada superba.

Non vorrei mai averti afflitta per mia cagione quel giorno in cui ti scrivevo piangevo caldamente; ma non è vero che il pensiero di te non mi consolasse in quel momento, come mi consola sempre. Bisognerebbe ch'io fossi vicina a te per farti vedere quanto mai mi sei cara, ed allora io piangerei assai meno l'acerbità del mio destino. Il mio destino mi fa orrore, cosa ci vuoi fare, Nina mia? omai non si può più cambiare, ed è lungo tempo che io sapevo di essere nel numero copiosissimo di quelli, di cui la vita non consiste più che in desiderii, in speranze destinate a non compiersi mai—pure, potrei dire—contra spem credidi—ma mi sono ingannata, crudelmente ingannata, e questo pensiero mi rende malinconica, e questa malinconia mi fa piangere—poi io mi vergogno del pianto, e dico che la vita è breve: ma come posso dirlo, se i giorni per me sembrano secoli? E non deve essere così, quando in ogni giorno dell' anno al mio destarmi non vedo avanti gli occhi un sol minuto di questo giorno che mi prometta una sensazione piacevole, nemmeno uno? Oh io lo dico sempre, che sfido chiunque, anche di un animo il più ottuso, il più privo di sentimenti vivaci, che sia capace di vivere questa mia vita per una settimana sola, e pure io non sono intesa, no, non lo sono; ah si, hanno ragione, è vero! Io ho da mangiare quanto voglio, da dormire quanto voglio, posso lavorare e non lavorare se mi piace: non sono innumerabili quelli che si chiamerebbero felicissimi se potessero fare questa mia vita? Dunque sono io che non mi contento mai, che ho dei desideri insaziabili (poichè il mangiare e il dormire non mi contenta), che formo l'infelicità mia, e l'altrui. È vero, io non me ne ero accorta! Se io potessi cambiare questa mia testa e questo mio cuore con la più sciocca testa ed il più freddo cuore che fosse al mondo, lo farei volontieri, e certo sarei allora più felice e più lieta.

E vorrei che tu fossi lieta, Nina mia, e che godessi della tua vita viaggiatrice ed osservatrice che io ti invidio con furore. Non vi è che una voce sola intorno al governo di Roma, e tutti sanno che non può andar peggio. Ci scrive Giacomo che è impossibile l'esprimere il sentimento delizioso ch'egli ha provato entrando a Firenze, e godendo della quiete e della sicurezza che vi regna1 V. Epist., lett. 501. a confronto dei timori e spaventi continui che non poteva far a meno di provare a Roma per i suoi amici. Ed a proposito di Giacomo, ti ringrazio delle sue nuove che mi dai; poi vuoi sentirmi a delirare? senti.

Egli non ci ha mai scritto di essere in compagnia di Ranieri, e non lo ha mai nominato. Sei ben sicura che questo signore sia napoletano? ch'egli si chiami di cognome Ranieri? ah Nina mia! io mi faccio rossa, perchè il mio delirio ha del ridicolo, e quasi mi pento di essere entrata in questo discorso, e di formare tali sospetti. Ma se questo giovine non è napoletano, se si chiama Ranieri di nome, non di cognome, il mio dubbio potrebbe non esser più si ridicolo. Io ho amato un giovine signore marchegiano, di nome Ranieri, che tre anni sono stava a Bologna; io l'ho amato, tu non puoi immaginare con quale ardore; io era sua sposa, poichè tutto era combinato, e sebbene egli non fosse ricco, i miei genitori erano condiscesi ai miei desiderii; pure, Nina mia, lo crederesti? io lo ricusai. Ed egli era quale io lo avevo desiderato nei miei sogni; giovine amabilissimo, che io adorava: ma un giorno mi venne un dubbio, egli non me lo seppe sciogliere; e, addio care speranze, addio sogni lusinghieri, addio felicità: io sono rimasta con la sua immagine nel cuore indelebilmente scolpita, e con il crudele dolore di non avere saputo inspirargli quell'amore, che io sentivo per lui, ardente, furioso. Puoi credere se il mio cuore palpita ogni volta che sento il suo nome, e se lo hai fatto palpitare tu con il racconto dell'amico di Giacomo, ch'io mi misi subito in testa che fosse uno solo con quello che fu il mio. Chè se tu sei sicura ch'io m'inganno, dimmelo subito, per pietà. Egli è stato molto infelice dopo quell'epoca; i suoi affari erano rovinati affatto: egli andò a Bologna, poi a Roma; ed è un pezzo che non so più nulla di lui: me se so ch' egli è felice, quasi lo sono ancor io. Nina mia; non mi burlare; ma brucia questa lettera, essa non val niente. Io sono quasi pazza per il dolore quando si toccano certe corde……, ora che tutto è finito. Addio, Nina mia; amami sempre per carità. Alla mia cara Marianna dì mille cose per me; dille che le sue care spiritose parole mi fecero ridere assai, ed ammirarla, sempre più e per il suo cuore e per il suo ingegno. Dille che io la bacio colla più viva effusione dell' animo mio, come faccio con te, Nina cara.

il sabato Santo (1832)

Mia cara amica,

Non mi piacciono niente quelle tue parole di timore, di diffidenza sul riuscimento che farai nel teatro di costì: tu sei tanto brava! e poi, se ti accadesse ancora quello ch'è successo alla Ungher, alla Boccabadati, a David, come dici, non ti potrebbe mica pregiudicare nella tua riputazione, e tu seguiteresti sempre ad essere quella che è stata ammirata ed applaudita dovunque è andata, e dovunque si è fatta sentire. Fatti dunque coraggio, e non temere: io già lo vedo che tu sei protetta dal Cielo; ebbene continuerai ad esserla senza dubbio.

La tua cara lettera mi divertì assai, come puoi credere, per i tuoi racconti e per la grazia e lo spirito con cui li fai; se tu mi desideri teco per dividere le sensazioni che le sublimi cose di costì ti fanno provare, figurati cosa ne sarebbe di me in compagnia tua, ed in un paese come codesto ove ogni passo inspira ammirazione ed entusiasmo, ove si vive una nuova vita, secondo quello che tutti dicono.

La sola cosa che debba temersi in Roma è la stanchezza dell'ammirazione, dice Stendhal, ed io lo credo bene; ma per guardarsi da questa stanchezza forse gioverà il calare gli sguardi sul popolo che abita questa Roma per alzarli poi con più coraggio sopra le sue magnificenze.

Hai letto mai Corinna? Sè non l'hai letta, ti sei privata certo di un gran piacere. Quella lettura raddolcirebbe le tue ideo sull'unione che vedi costì del sacro col profano: madama di Stael non se ne meraviglia punto, e sotto la sua deliziosa penna tutto prende un aspetto incantevole. Siccome questo è il mio libro favorito (come lo sono tutte le opere di questa celebre donna) così vorrei che fosse anche il tuo, e poi al tuo esaltato spirito deve piacere assai.

Mi farai sempre cosa gratissima se mi darai la continuazione delle tue osservazioni: io non mi avvedo punto che le tue lettere sieno lunghe— anzi esse non lo sono giammai.

Leggendo i giorni scorsi i volumi dell' Antologia di Firenze di due anni a questa parte, vi ho veduto un nome cui ho voluto bene una volta, per poco tempo, finattanto che tu gli volevi bene; il nome di Mori di Siena. Si vede ch' egli è amante delle belle arti, poichè i suoi articoli riguardano queste esclusivamente. Questo nome mi ha fatto pensare per forza a te, a te cui non penso mai; e mi ha fatto ricordare che questo fu il tuo primo amore1 Fra le carte appartenute alle Brighenti, esiste una lettera di codesto Mori all' avv. Pietro, in cui egli chiedeva Marianna in isposa. (o almeno, primo che mi hai confessato) dopo cominciata la tua carriera, e poi penso quanti ne abbiamo cambiati in appresso; ma non rido sai, oh non rido niente; piuttosto piangerei perchè qualcuno di questi ti ha apportato troppa pena. E bisogna che ti dica, o mia diletta, che la prima volta che mi dirai;—sono innamorata —io ne sentirò un dolore vivissimo, perchè di te non mi fido niente. Con quella tua vivace fantasia, con quel tuo cuore ardente, con quella testa simile alla mia, no, non sei capace affatto di giudicare se il tuo amante è degno di te, della tua purissima anima, non sei capace di giudicare qual sorta di dolore ti farà provare quando vedrai ch' egli non è simile a te, quando vedrai ch' egli non ti ha mai compresa. Se si potesse come con una spugna cancellare dalla mente tutto il passato, oh allora meno male: mandato al diavolo il supposto eroe noi resteremmo rannicchiate in noi stesse e tranquille nella purità della nostra coscienza— ma ciò non si può fare: è troppo rapido il passaggio della beatitudine di quello stato, quando ci credevamo amate da un oggetto che c'incantava al reveil dalla disperazione, e troppe volte questo fatale reveil è più terribile di quello che si pensa.… Ma tui hai vicino un uccellino che ha molto giudizio e che, con molta ragione, segue il sistema attuale del giusto mezzo. Fidati in lui, Marianna mia, e non gli nasconder nulla: egli ti ama quanto sè stessa, me lo ha detto tante volte, e parmi che le persone le conosca prima di te, forse perchè giudicherà prima con la testa che col cuore, cosa che non devi tu aver fatto sempre sino ad ora, benchè la tua testa sia buona come la sua. Ed una volta io era un poco inquieta con questo uccellino perchè ti contrariava, e perchè io credeva che il tuo amante fosse affatto simile alla descrizione che io ne avevo. Poi è chiaro che il pennuto augello aveva ragione, e quello che tu mi dici mi fa fremere. Si, ho conosciuto Monaldo Fidanza quando suonava in orchestra nel nostro teatro: ma non ci ho mai parlato. Se tu avessi creduto che io ci avessi fatto qualche altra sorta di conoscenza, t inganni: e poi, sappi che da suo padre noi compriamo il panno bleu per le livree!

Addio, carissima. Ho scritto a Giacomo come hai voluto, ma non ve n'era bisogno. La Regnoli ti saluta, e saluta tutti i tuoi.

Se hai conosciuto una volta Staccoli di Urbino, è morto. Ho corso il pericolo di esser gia vedova, poichè ho corso una volta quello di sposarlo. Andata che sarai in scena, scrivimi, non te ne scordare. Molti Romagnoli sono partiti da Ancona sul vascello il Suffren con 500 francesi. Colà non si poteva più vivere con quella canaglia che non voleva sentir freno.

Saluta i tuoi genitori, mentre bacio te e Nina con inesprimibile affetto.

Se ha vezzo per te quello che richiama il concorso di tanti forestieri, avrai veduto le funzioni della Settimana Santa, e sentita la musica del Miserere che la Staèl dice essere celebre in tutta l' Europa.

Sabato Sera. Ricevo la cara tua dei 19, della quale, e della tua sì grande amorevolezza la tua Paolina ti ringrazia quanto più affettuosamente può; sebbene tu sii ostinata nel sostenere ch'egli1 V. la lettera precedente. si chiama Antonio, ch' è napoletano, ch' è grande, ch'è biondo, essa ti assicura ch'è uscita almeno da una penosa incertezza

7 giugno (1832)

Cara Marianna,

Quanto mai mi sieno care le tue lettere io non te lo posso esprimere; una viva gioia, una ineffabile gioia mi prende il cuore quando vedo il segnale che una tua lettera è giunta. Debbono però scorrere molte ore prima che io l'abbia in mano, perchè una cosa che si potrebbe quasi prendere dal muro del nostro giardino alla finestra opposta con le mani proprie, fa d' uopo che il mio confidente vada a prenderla di notte per non esser veduto. Poi egli viene in libreria e mi consegna la tua carissima che io apro con una ansietà inesprimibile, ci leggo le care tue parole, poi la pongo sul mio cuore che batte sempre più fortemente quando pensa a te. Oh mia diletta! se dopo domani in luogo di una carovana de' miei parenti che vengono da Roma, in luogo di andare incontro ad essi potessi gettarmi nelle tue braccia e in quelle di Nina, oh sarei stata felice almeno una volta! che pensiero delizioso è quello in cui, facendo astrazione dal vero, vado sognando ad occhi aperti, di aspettare la mia Marianna, di essere sicura che a momenti devo vederla, devo provare quella felicità tanto desiderata!… e io continuo a delirare più lungamente che posso… poi mi scuoto con un dolore, come quello provato da don Rodrigo, nel Manzoni, al suo destarsi sentendo un male acuto nel fianco, io lo sento nel cuore dopo aver conosciuto che quello era un delirio. Ma così potessi delirar tutti i momenti, chè non sentirei allora tutto il peso di una vita inutile e disperata, e non sentirei nemmeno che tu non sei felice, nè lieta, nè tranquilla!

Con il racconto delle tue fatiche veramente eccessive, dei torti che ti fa il tuo impresario, me lo fai odiare assai assai. Spero che ora avrai riposato e riposerai, ma credo che non sarà vero riposo fin che non sarai libera da colui. Del tuo andare a Corfù, se ne sarai lieta, certo ne godrò anch' io, ma procurerò di reprimere allora quel senso di dolore e di pena che di già sento al pensiero che ti allontani per tanto tempo. Pure farai bene a uscire da questo caos di nequizia in cui ci troviamo, e da cui non mi è dato di uscire per quanto il desideri.

Il giorno di domani è sempre peggiore del giorno di oggi; e noi veramente non ne possiamo più di questa vita di pena e d'incertezza; no, non ne possiamo più! Avrai sentito tutti gli orrori di Ancona, e la morte del Gonfaloniere, e la mutazione di Governo (se questa mutazione è vera, te lo dirò, prima di chiudere la lettera) e gl' insulti, e i trionfi dei liberali, i quali fanno bestemmiare il loro nome, e vergognare che persone onorate portino un nome istesso con essi che appena meritano quello di uomini. Tu che hai veduto le scene di Bologna, non ti prenderai meraviglia di questo, ma è certo che ora il mondo è una cosa molto infame.

E perchè nasconderò a te (come lo vorrei nascondere ad ogni altro) a te che mi hai dato il diritto di chiamarti sorella, e che ti considero sempre come tale, perchè ti nasconderò quel tormento che ci cruccia, e che ci toglie affatto la pace? Ebbene, sappi che ora noi tremiamo che ci accada un giorno di vedere rinnovata in casa nostra la scena di Bordari! La mia mano è convulsa nello scrivere tali parole, e la mia testa si perde perchè è certo che uno di quelli di cui ti parlavo più sopra ha proferito parole tali da far gelare. E vi è da sperare che simili sorta di gente si plachi, o tema di qualche cosa? O mia diletta, prega Iddio per noi, chè se egli non ci aiuta noi siamo perduti.

Abbracciami Nina, e dille che stia pur cheta, che non son io che faccia l'amore con Arturo;— e che, non si accorge che è la Menghini? Sebbene io veda benissimo queste due persone, pure non capisco bene se essa è bella o brutta, se è brava o no, e perciò dimmelo. Io non te lo posso dire, ma immaginalo tu, che sai quanto io ti ami, con quanta tenerezza ti baci e ti abbracci la tua Paolina.

Il dì del Corpus Domini (1832)

Marianna mia,

Io già lo sapeva che andava a finir cosi. Le inquietudini, le amarezze, le fatiche che da tanto tempo sostieni, dovevano senza dubbio portare ad ammalarti. Credimi, o mia diletta, che la tua amica non può sopportar questo pensiero, pure Nina non mi dice nemmeno una parola che tu abbi migliorato, figurati dunque quanto dolore, e quanta smania. Non so poi come farai ora che ti indossano quest' altra fatica, e che ti deve riuscire anche più insopportabile, per tanti motivi. Io spero che ne uscirai con onore perchè sei brava, ma frattanto quanti palpiti, quanta incertezza! E poi, come vuoi cantare se ancora stai male? come vuoi studiare, come vuoi affaticarti? lo non capisco nulla, non so nulla; so che vorrei vederti fuori di questo intrigo, e lo vorrei con tutto il cuore. Poi vorrei che guadagnassi in breve tempo la metà, o anche un terzo di quanto ha guadagnato la Malibran, e che lasciassi andare di camminare per questa spinosa via, dove ad ogni passo s' incontrano guai e fastidi, e dove un animo come il tuo non può trovarsi lieto e tranquillo mai. Ed intanto goditi la celebre donna con cui canti, e ridi dei suoi vezzi e dei suoi capricci e parlamene e raccontami qualche cosa di lei. Ma sopratutto guarisciti, Marianna mia, e dimmelo subito: mi faresti torto col supporre che io non fossi in un desiderio ardentissimo di sentirti bene: ora non posso pensare che a te.

Non ti venga più in mente se non yedi mie lettere che io possa essere sdegnata teco; no, per carità, non lo pensar più.

Se io non cambio natura tu sarai sempre per me quello che ora sei, l'unica mia consolazie, e quasi vorrei dir con San Paolo—gaudium meum et corona mea—e non sarà mai possibile che io non riguardi in te il modello della bontà, della dolcezza, dell' amor filiale, di tante virtù che tu possiedi, e che sarebbe buono che tutte possedessero. Figurati poi se, avendo tale stima di te, non dovrò amarti sempre, e desiderare col più vivo del cuore di esserne amata! Ma in quei giorni aveva una malinconia che mi uccideva: già sai qual nuovo affanno è venuto ad opprimerci, e fu appunto allora che la prima voce di tal cosa m' istupidi dal dolore e non potevo nè scriverti, nè far nulla, chè uno soltanto era il mio pensiero, quello che mi agghiacciava dallo spavento; e non avevo cuore di tormentarti con i miei lamenti, con i miei pianti. Già sai che il tempo raddolcisce tutto, e perciò crederai che ora siamo un pochino più tranquilli, e quelle voci infami che si erano sparse nel paese e che ci facevano riguardare come assassino chiunque vedevamo, sonosi ammutite o forse erano sogni di fantasia alterata… ma forse anche erano vere, e di qui, ora o non si esce di notte, o si esce accompagnati con armi ed armati, il che Marianna mia, è cosa molto brutta e nuova per noi che eravamo finora innocenti e puri come l' acqua. Da tutto ciò vedi che se non abbiamo menato una vita lieta, ora poi è finita ogni speranza di pace, perchè nemmeno valerebbe il mutar paese, anche se il potessimo. e tu lo capisci bene. Fa che io veda presto i tuoi caratteri: ora mi sono necessari più che mai, ed ho bisogno di sentirti bene, e lieta più di quanto mi dici. Fa di salutarmi i tuoi genitori e di riconciliarmi con la mia Marianna, poichè sebbene Alaide abbia supplito per lei allorchè era inquieta, io non mi fido di Alaide la quale sta per andare in fumo e sparire, ed io avrei perduto per sempre un' amica dilettissima.

Nina mia, mi hai pur dato le cattive nuove! La malattia di tua sorella mi fa pena assai, ed il rimanente di quanto mi racconti mi fa rabbia, sicchè tutto insieme forma una bella dose di malinconia e di dolore che non puoi credere.

Mi raccomando a voi altre, ragazze mie, acciò, se avete tempo, mi scriviate presto. Io vivo con il pensiero di voi, anime dolcissime, e con il desiderio ardentissimo di sentirvi liete e contente. E tu (signora Nina) lo sarai presto; all'arrivare di un tale costì il tuo cuore batterà più forte, ed io vedrò tutto, e vedrò le tue belle gote colorirsi ad un certo suonare di campanello, e vedrò le tue smorfie e i tuoi vezzi… mi spiace che non potrò sentire i discorsi, pure chi sa? Oh allora sì che Arturo va un miglio lontano; perchè credi, Nina mia, che io non sappia niente?

Con quanta gioia verrei a rimpiazzarti nel posto d'infermeria di tua sorella! Bada che un giorno tornando dall' aver tenuta una lunga conferenza col forestiere (forse per affari spirituali) non abbia a trovare il tuo posto occupato, che io non ti cederei più!

Addio, Nina cara; credi alla tenera amicizia della tua Paolina.

9 Luglio (1832).

La tua carissima ultima di Roma mi ha ricoperta di confusione, e se non trovassi nell' intimo della mia coscienza la consolante certezza di non averti non solo mai dimenticato, ma anzi di aver pensato ogni giorno, ogni momento a te come ad oggetto carissimo ed amatissimo, io non prenderei punto la penna per dirti che sei sempre la mia diletta, che ti ho amato, adorato sempre teneramente dal punto in che mi hai offerto la tua amicizia che io considero come la più cara cosa che m'abbia, e che, se tu non mi ricusi, sarò sempre tua, desiderosissima di conoscerti, di gettarmi fra le tue braccia, e convincerti che fra noi non vi può esser, per parte mia, nè dimenticanza, nè oblio.

Dunque non dirmi più, per carità, quello che mi hai detto nell'ultima, che mi parleresti della Malibran se non avessi paura di annoiarti. Marianna mia, tu non sai, e io non valgo a dirti quale impressione dolorosa mi abbiano fatto quelle parole, ed il pensiero, che me le ero forse meritate col mio silenzio aggravava il mio dolore.

Ma tu hai a promettermi di non dirmele più, no, se mi vuoi bene! Se una ragione vi può essere nel mio silenzio, se vuoi persuaderti ch'egli non è stato punto capriccioso, bisognerà pure che ti dica che, da persona cui non posso onninamente dir di no, sono stata pregata a fare delle traduzioni dal francese, il che mi teneva impiegata in quel tempo in cui solo posso scriverti in tutta la giornata, e che appena avuto il primo giorno di vacanza ti ho scritto a Bologna, credendoti là. Ora io voglio che tu mi creda quando ti dico che ogni giorno avevo un nuovo dolore, pensando che lasciavo senza risposta una tua lettera, che non potevo aver più nuove delle mie amiche, e che facevo ad esse pensar male di me. Ma ciò non succederà più, siine certa, ed ora amami, o cara, chè io non ho cessato di meritare l' amor tuo, e dimmelo presto, prima di partire da Bologna. Poi parlami della Malibran, dei tuoi ultimi giorni a Roma, parlami di Nina, anzi no, lascia ch' essa mi parli da sè, e poi parlami di un' altra cosa che ora ti dirò chiedendoti il tuo consiglio.

Un giovine signore di Recanati sono già parecchi anni che mi fece domandare in isposa, più volte. Io l'ho ricusato sempre costantemente, e ciò per i motivi che seguono.

Prima di tutto, la sua casa non può stare (come si usa dire fra noi) alla mia per suola di scarpa. Poi egli è un buonissimo giovine, e lo è stato sempre, non si è unito mai agli altri giovani, non ho sentito dir mai una parola della sua ragazza, è cristiano, religioso, etc. Poi egli non conosce letteratura affatto, ed io dovrei passar la vita con uno, cui non potrei mai dir nulla di quelle poche cose che so io; credo che abbia poco spirito, ed anche poco talento.

Poi, ha un padre ed una madre, la madre poi è un vero orrore in ogni genere.

Poi è figlio solo, con due sorelle maritate; una delle quali lo è con uno di una piccolissima famiglia di un sobborgo di Recanati, ove io avrei difficoltà grande di andarla a trovare. Per tutte queste ragioni il mio amor proprio si rivoltò all'idea di un tale matrimonio, e mi pareva impossibile di poter lasciare il mio cognome, cui voglio assai bene, per uno tanto meschino.

Quando ero sposa del mio Ranieri, non mi pareva sacrifizio quello che andavo a fare, poichè l'amore velava il tutto, ma qui la cosa la vedo troppo chiara. Ora questo signorino mi ha fatto chiedere un' altra volta, e mi è venuto la diabolica idea di dargli mente. Però sorgono vivacissime tutte queste difficoltà, e la ripugnanza di lasciare il mio nome è grande, e poi lasciarlo per prenderne uno chè non ha valuto mai gran cosa! Solamente per togliermi all'immensa ed insopportabile soggezione in cui vivo ho dato adito a questo pensiero, non vedendo altra speranza di bene, poichè se non te l'ho detto mai, te lo dico adesso, che mio padre non vuole ch'io mi mariti, ed ha mandato al diavolo quei partiti che si sono presentati, ed ora tutti sanno che non gli si può far più parola di questo. Mia madre è stata del suo sentimento finora, ed adesso vorrebbe ch'io sposassi quello, di cui ti parlo. Marianna mia, tu mi hai a dire cosa credi ch'io debbo fare, cosa faresti tu nel caso mio.

La troppa riflessione mi uccide; io so ch'ero disperata qualche anno fa quando ero sposa d'un tale di Urbino, che mi voleva un bene grande, e che io non potevo soffrire, al quale ho detto di no tre volte, e di sì due, poi non ebbi cuore di dire il terzo sì; ed ero disperata allora che riflettevo meno di adesso, figurati che ne sarebbe di me in questo caso, ove di tutte le illusioni che per forza devono accompagnare questo salto importante non ve n'è alcuna, nemmeno quella del cangiare paese, e di montare in un legno con otto cavalli di posta.

Sono certa che il signorino mi vorrebbe un gran bene (io non gli ho mai parlato), ma non lo sono egualmente se glielo vorrei io; per la sua bontà lo meriterebbe, ma..… Della sua figura non parlo, credo che non sia brutto.

Io ti ho detto tutto: ora parla, Marianna mia, dimmi quello che ne pensi.

Ne parlavo a Giacomo qualche anno fa, quando si trattava di questo, ed egli non vi trovava niente di strano; ma gli uomini cosa ne sanno dei nostri affari? Perdonami, o cara: ma se non debbo chiedere consiglio alla mia amica, a chi lo chiederò? Le tue parole mi saranno di gran lume; tu conosci il mondo meglio di me, ed avrai più forza di quanta ne ho io per vincere i pregiudizi. In ogni modo il tuo consiglio mi sarà carissimo. Addio, mia carissima: io sono tua con una tenerezza inesauribile: bacio Nina, e te pure.

Il delegato è entrato in Ancona il l.°ree; di agosto: venne incontrato dal generale francese, dalla banda,—la sera vi fu illuminazione—egli era accompagnato da 80 dragoni.

23 agosto (1832)

Vedo Roma sulla carta geografica, poi cerco Cremona, e vedo.… quanta Italia hai percorso in pochi giorni, ma una tanta lontananza mi affligge, e vorrei piuttosto che, come nell' anno passato, tu ti aggirassi per queste nostre parti senza pensare poi al dolore che provai tutto quel tempo in cui con due salti ti potevo vedere, e ahime! non ti vidi. E mi rallegra il pensiero che hai fatto il viaggio con cuore quieto, come mi dici: e se è vero, ti devi essere divertita assai, ed avrai veduto molte belle cose, le quali se io te le invidio, immaginalo da te stessa. Spero che mi farai presto far conoscenza con Cremona, ma sopratutto spero che i suoi abitanti si faranno amare da te, e che tu ti farai amare dai suoi abitanti. Parlami dei tuoi compagni; la Cesari la conosco da un pezzo, cioè da Siena in qua. Se sapessi quanto interesse io prendo a questa sorta di artisti, e come tengo bene a mente i loro nomi ora che sono in relazione con una brava cantante, quando prima, leggendo i giornaletti e i dettagli dei teatri, non potevo pure ricordare giammai la distinzione delle loro voci ecc., anche da ciò comprenderesti quanto bene io voglia a quella giovine.

Sono pochi giorni, mi fu fatto il tuo elogio da un signore di Fermo con parole tali che mi cagionarono una commozione dolcissima, e puoi credere se anch'io feci coro alle lodi che ti si davano. Mi parlò dei teatri che in seguito hai fatto con tanto onore, mi parlò della tua famiglia, e tante altre cose volevo chiedergli e tante altre saperne..… ma un' importuna persona, cui non era prudente il far conoscere qual relazione io abbia con te, troncai questo discorso, lasciandomi una memoria deliziosa di quella sera, e di quel momento. Se hai sentito parlare di un maestro Persiani, e della di lui nuova composizione I Saraceni in Catania, rappresentatasi un momento fa in Padova, sappi ch' egli è recanatese, e che le sorelle si raccomandano a me per saperne le nuove.

Io sono inquieta con Nina, inquieta assai. Che per M. Comer dimentichi la sua amica, pazienza; ma per un Tonino… non la posso mandar giù. Io non capisco come Brighenti non le proibisca di scrivergli—ah! quella signorina Nina è una gran furba!

E poi essa invece di piangere, ride—ride quando un amante va in Inghilterra senza di essa, ride quando trova quattro lettere amorose di uno sguaiato studente, ride quando gli risponde, e mi figuro già che riderà anche a Cremona, e chi sa quanto vi riderà. Vorrei sapere però quando piangerà, perchè se non ha pianto per Comer, e di chi pianger suole? Avrei voluto molto bene a quel signorino se faceva ch'io avessi un'amica in Inghilterra: oh allora sì ch'egli era impagabile! Se Nina lo ha desiderato anche in sogno, io la compiango e mi affliggo con lei, malgrado lo sdegno che mi ha inspirato col suo silenzio. E qui la bacio e l'abbraccio, e saluto affettuosamente i tuoi genitori.

Ti ringrazio del sonetto—ma vorrei ancora ringraziarti della poesia di Pisa, se quel caro sig. Ignazio (chi è?) mi avesse fatto il piacere di lasciarne qualcuna; chè così la mia raccolta è assai incompleta.

Marianna mia, io ti ringrazio delle tue schiettissime parole, le quali non ti doveva passare neppure un istante pel capo che mi potessero offendere. No, con esse non mi hai offeso, e poi sappi che io già me le immaginavo—così vorrei che già ti fossi immaginata che non ho seguito punto il tuo consiglio. Perdonami, o cara, ma se io parlassi con te saresti certo del mio parere, e diresti che ho fatto bene a ricusare quel tale ch; mi voleva. Quello che dici, che le azioni e le virtù formano il più bel cognome, va bene; ma, se io non avrò per marito uno del mio grado, che conti, come dici, i quarti di nobiltà che ho io, almeno dovrà essere uno che per i suoi talenti, per il suo ingegno, per le sue azioni si sia fatto un nome, non uno di cui debba arrossire ogni momento, ogni volta che parla—mi ami egli pure quanto vuole, non è affatto certo che io possa amarlo, che possa amare una persona tenuta da tutti per meschina in ogni genere: l'amore di una tal persona non ha nessun pregio agli occhi miei perchè io non posso nè stimarla nè amarla—e se un' occhiata della persona amata compensa di tutto, se, come dice la Staël, questa occhiata è una felicità tale che pare non vi sia forza per sostenerla, e bisogna chinare gli occhi, bisogna ch'essa sia realmente amata di fatto e non di solo diritto. Ora, Marianna mia, quel signorino è di un ingegno oscuro come il suo nome! Ma non ti ho detto che i suoi compagni lo motteggiavano e che perciò egli non se ne è allontanato: non ti ho detto che si fece mettere in ridicolo tempo fa per un ricorso ch' ei fece contro una inferocita giumenta; non ti ho detto che pochi giorni sono mio fratello mi parlava con disprezzo di lui raccontandomi alcune cose che gli aveva detto qualche momen to prima ed erano tutte sciocchezze, e mio fratello non sapeva niente del mio affare, non ti ho detto tutte queste cose, o non le credi?

Credi pure, o cara, che eran troppi i sacrifizi che dovevo fare—poi, propriamente in questi giorni una lieve aura di felicità gustata per un momento mi ha fatto comprendere per chi io farei senza neppur pensarvi qualunque sacrifizio, e mi ha fatta misurare l'immensa distanza e differenza fra uno ed un altro—e, passato quel momento, la di cui rimembranza vivrà un pezzo nel mio cuore, presi la mia risoluzione e non ho voluto sentir più parlare di questo affare.

E se io ti posso anche giurare che, appena proferito il no, mi sentii togliere dal cuore un peso enorme, e che ogni volta che penso di essere liberata dal pericolo di accettare quell'offerta odiosa mi sento felice, estremamente felice, non crederai che questo sia segno sicuro ch'ei mi era antipatico? e perchè non lo crederai, Marianna mia? Io già lo so che mi sono ricalcati i miei ferri da me stessa, pure credo che non verrà mai un momento in cui abbia a pentirmi di questa risoluzione, dovessi anche stare in ferri tutta la vita! Ma tu quanto sei buona, o cara! Io ti bacio con inesprimibile affetto, e ti prego a non sdegnarti meco,—io sarei perduta!

7 settembre (1832)

Marianna mia,

Le tue lettere sono sempre il sospiro della mia vita, quando esse vengono io mi sento veramente felice; e se vi trovo poi che tu sei lieta e contenta, non ti puoi figurare quanto io lo sia. Spero che il soggiorno di Cremona ti piacerà in appresso maggiormente che nei primi momenti; capisco che dopo Roma non avrai occhi per veder altro, ma devi procurare di effacer quanto puoi dalla memoria quello che ti renderebbe un altro soggiorno disgustoso. Già, la tua affacendata vita non ti permetterà certo di pensare a cose estranee alla tua professione, escludendone però una, la quale, mi pare, che non voglia mai dimenticare. Dico, mi pare, ma però non ci vedo chiaro, perchè il mio uccellino si è guastato.

A proposito, se lo vedi, digli che ho paura che si sia abbruciate le ali, chè non può più venir da me, dalla sua amica, e digli che questa disgrazia io già la prevedevo. Aspetto con ansietà le nuove dell'opera, le quali spero mi darai presto, e buone.

Ti ringrazio di quanto mi dici di Persiani, e te ne ringraziano anche le sorelle.

Marianna mia, quel signore di Fermo che mi parlò di te con grand' elogio, è un certo Papalini. Sembra giovine colto e di buona apparenza, intendente di musica, ecc. Dico, sembra, ma io l'ho veduto una volta sola. Mi dirai poi se l'hai conosciuto.

Può essere che qualcuno abbia saputo piacermi, senza però ch'egli il volesse, e quasi anche senza che me ne curassi io, ma già te l'ho detto che fu cosa momentanea, e proprio venuta in tempo per aiutar la mia ragione a prendere il miglior partito, quello che mi conveniva, e cui non mi pentirò giammai d'aver preso. Fu un istante solo, furono pochi minuti, io gli dissi addio, e non sapevo chi era. Se io ti dicessi che non so di dov'è (egli è forestiero), e non mi curo di saperlo, ho gran paura che mi tratteresti da romanzesca, ma non è vero. So che non lo rivedrò più, ma non credere che sia con gran dolore, no, perchè la testa viene in aiuto del cuore, e gli fa intender ragione. Sono sicura che la tua testa è migliore della mia, e che gioverà a te benissimo se vorrai, e se no serviti di un'altra testolina che hai vicina la quale pensa… pensa tante cose… poi sospira— ma io credo che sogni. Addio, non ci vedo, addio. Tu sei la mia cara Marianna.

9 settembre.

Nina mia!

Finalmente tu mi scrivi, ah! ne sia ringraziato Iddio! Oltre il piacere che mi dai, facendomi vedere i tuoi caratteri, essi mi consolano ancora vedendo che tu puoi respirare almeno per un momento.

Oh certo vi è della crudeltà nel mandarti quattro lettere per volta, ma pure è anche un piacere, non è vero? Ciò mostra che si è amata, ancorchè non si ami colui che scrive, non importa, si fa finta di amarlo, e gli si risponde lusingandolo, poi chi sa?… Da Pisa si passa in Inghilterra, dall' Inghilterra a Roma, da Roma e Cremona, e poi… Dio sa come andrà a finire la faccenda.

Nina mia, io ti voglio molto bene, perchè sei una cara ragazza; ma non posso sentire le tue promesse di scrivermi una qualunque cosa a lungo, come hai fatto nell' ultima tua; no, non lo posso sentire, chè già so che non mantieni la parola. E poi quando tra una lettera e l'altra vi corrono dei mesi, tutto è finito, non ti ricordi più di nulla. Ma se mi vuoi bene, fammi presto quel racconto che mi hai promesso, ed allora farò pace con te, con te che sei tanto dissipata.

Ti ringrazio delle nuove dell'opera, e me ne rallegro con voi, ragazze mie. Nel Corriere delle dame, si è parlato di Cremona, e degli attori non si lodano che i due principali, la Brighenti e Cosselli. Non v'ha dubbio che avrete già veduto quel giornaletto, se no vi copierei quel che dice della mia amica, la quale io bacio con la più grande tenerezza e col più grande amore.

Ti vorrei dire che fai bene (quando puoi) a riderti delle cose di questo infame mondo, a…… ma non posso più scrivere una parola. La penna mi fa arrabbiare, il sonno mi ammazza. I personaggi delle tragedie terminano le loro parlate col dire io muoio, ed io farò lo stesso dicendo vado a letto.

Addio, cara Ninetta, perdonami, ma sono delle notti che non dormo; salutami i tuoi genitori— ti abbraccio con tutto il cuore.

24 Ottobre (1832)

Che cosa è successo, Marianna mia, che non ti ricordi più di questa povera ragazza, cui nei tre anni che conta la conoscenza che abbiamo fatto, non hai giammai fatto sopportare un silenzio tanto lungo e crudele?—O credi ch' essa sia dotata di una bontá e di una pazienza, rarissima al giorno d' oggi, acciò che possa portare in pace questa nuova sciagura? Sì, è per me una sciagura lo stare sì lungamente senza nuova di persona tanto cara ed amata, poi, credi che la mia mente stia in ozio, e che non pensi le più strane ed insolenti cose che si diano?—l'ultima tua lettera fu dei 28 agosto e di Nina dei 3 settembre.

Oh, Marianna mia! io non ho più ove posar la mente con dolcezza—tutto mi punge, e mi trafigge con una asprezza indicibile—io non dubito punto dell'amor tuo, ma spiegami per carità, poichè la mia testa si perde in un mare di congetture. Ho veduto nel giornale di Bologna che tu sei costà, l'ho veduto ieri, ed oggi ti scrivo; volevo farlo prima, ma non sapevo dov' eri. Se io ti dicessi che mi ha umiliato assai l'apprendere dai fogli il luogo dove sta la mia amica, io ti direi la pura verità, ma io non ho torti con essa, e posso per questa parte almeno alzare il capo. Quanto t' invidio la Malibran!

A proposito di questa, lessi nella Gazzetta di Francia che a Roma essa non ha incontrato; è vero? Ma se fosse vero, non sarebbe tornata, anzi venuta da Napoli per cantarvi altre due sere. Addio, sai, giorni sono, papà, uscendo di casa una mattina di buon'ora s'incontra proprio innanzi al portone con… Ranieri, che passava in diligenza per tornare a Napoli, e voleva vedere la casa del suo amico; ma non la vide che al di fuori, poichè ricusò tutte le offerte di papà, chè la diligenza non si trattiene qui che per cangiare i cavalli. Ma Giacomo è stato male due volte in Firenze, ed ora è appena guarito.

I miei occhi si chiudono ad ogni istante, poichè ho pianto assai, chè ho perduto… un uccellino cui voleva tanto bene, ch'era il mio amico, e che passava con me molti momenti del giorno.

Tu non hai idea del mio dolore, e della rabbia per tanta contrarietà.

Marianna mia, se tu non mi vuoi bene, addio! —io te ne vorrò sempre.

Non saluto Nina, non saluto i tuoi genitori; io sono adirata con tutti.

25 Maggio (1833)

Nina mia,

Finalmente ti sei risuscitata: oh sia ringraziato il cielo! ma per carità non morire più, sai, almeno per sì lungo tempo, chè io ne provo troppo dolore, o, in termini più veraci, troppa rabbia. Ma come mai ti salta in testa di fare da maman, tu che sei vivace, leggiera, e vorrei dire anche volubile? tu che hai tanto da pensare a governare la parte sinistra di te stessa, come puoi pensare a faccende corporali, ad affari materiali?… oh io non so!! Vedi da ciò quale opinione delicata io mi sia fatta di te, che ti considero come persona, tutta spirito (non spirituale) tutta vaporosa… eppure, sai fare anche da maman! Ma cosa ne hai fatto deila vera? dove l'hai lasciata? A quel che vedo essa si è annoiata della vostra vita vagabonda, di quella vita ch'io v'invidio tanto: ma, come mai annoiarsene? e i trionfi di Marianna non le accrescono sempre anni di vita? Nina mia, baciami quella tua sorella, e dille che non posso esprimere l'emozione che mi cagiona il racconto delle sue buone venture, le quali desidero il più vivamente che posso che prosieguano lietamente e lungamente. Ringraziala poi della premura che ha avuto di scrivere a Fermo, e pregala ad iscusarmi se ho dovuto annoiare una occupata com'è essa in tutti i suoi momenti. Aspetterò ansiosamente di sapere ove ve n'andiate dopo finite le recite di costì; io spero che ve n'andrete a Firenze; ho gran bisogno che persona amica mi dia notizie vere e precise di mio fratello, sentite, ragazze mie, cosa ci è successo. Negli ultimi giorni del mese scorso, un signore, nostro parente strettissimo, scrisse da Roma alla sua casa di Recanati che nel miglior modo preparasse gli animi nostri a sentire una nuova terribile, quella (ho appena la forze di dirla) che il caro mio fratello Giacomo era agli estremi. Nina mia, furono scene di desolazione e di morte quelle che presentò la mia famiglia al sentire una tal notizia; furono giorni di agonia spasimante quelli che passammo prima che potessimo avere nuove da Firenze, che tutto era stato un sogno! Il nome di Vieusseux mi risuonerà sempre dolcissimo, e mi farà palpitare di consolazione tutte le volte che lo sentirò, poichè egli fu che si affrettò di rispondermi che vedeva Giacomo quasi tutti i giorni, e che niente poteva aver dato luogo ad un tal equivoco. No, non è mai possibile ch'io sappia dire cosa sentii al leggere quella lettera, cosa mi sembrasse la vita dopo quel momento. Ho riveduto poi i caratteri di Giacomo; ed egli si affretta a dirmi che non tema punto, poichè non può morire 1 Epist. lett. 520.: ma che consolazione è questa per me quando pur troppo dalle sue poche righe si vede bene ch' egli è tutt'altro che lieto, tutt'altro che sano?

Nina mia, è una situazione veramente terribile la nostra, la quale con tutta la smania di rivederlo, con la certezza che abbiamo che solo tra la sua famiglia può trovare quella tenerezza e quegl'immensi riguardi ch'esige il suo stato, non ci permette di poter desiderare ch'ei venga tra noi; no, noi non lo possiamo desiderare, chè sempre ci è dinanzi agli occhi il suo malcontento orribile, la sua disperazione! A causa della sua salute, e della debolezza degli occhi scrive rarissime volte, e brevemente assai; e con nessun'altro abbiamo relazione a Firenze per averne notizie frequenti, e perciò passiamo la vita sempre in incertezze, in dolori.

Che triste cosa è mai questo mondo, Nina mia, che cosa abbominevole, odiosa! Se andrete a Firenze, oh dite a Giacomo, anime mie, che così non possiamo vivere, che questo è un continuo dolore, una morte continua. Aspetto dall'amicizia, dalla tenerezza vostra dettagli esattissimi, così possiate darmi notizie consolanti. Vi abbraccio intanto, o mie care, colla più viva effusione di cuore, e vi raccomando di volermi bene.

23 giugno (1833)

Nina mia,

Ricevo la cara tua da Arezzo e ti ringrazio con tutta la vivacità del mio cuore delle notizie che uni dai di Giacomo, ma io spero che a quest' ora lo avrai veduto; e bene! dimmi che te ne pare, dimmi come lo hai trovato, se più emaciato del solito, se più malinconico, se soffre molto, se ci vuol più bene, se pensa mai a noi. Dimmi tutto, Nina mia, e dimmi la verità, qualunque ella sia, altrimenti è inutile. Digli che siamo inquieti con lui, ch' è tanto tempo che non ci ha più scritto, e che papà non ha avuto mai risposta alla sua: digli che ogni ordinario si riaprono le nostre piaghe, che non possiamo pensare più a lui senza gemere. Perdonami, Nina mia, ma io confido in te come in una mia sorella; il tuo cuore è tanto buono, che senza rincrescimento e senza riserbo io mi affido al tuo, e spero che tu non mi farai sospirare lungamente dettagli tanto cari e bramati.

Sebbene non sieno più nuovi per me i trionfi della mia amica, pure il loro racconto mi desta sempre costantemente una emozione dolcissima, una vivissima gioia. Oh quanto strettamente abbraccio quella cara giovine! Oh come bacio affettuosamente quella nobile fronte che si cigne di tanti allori. Nella gazzetta di Firenze ho letto l' annunzio di Feroci che assicura il pubblico fiorentino che l' opera andrà in iscena il 20: dimmi quante recite saranno, e dove andrai in appresso. La Tosi riscuote in Ancona sommi onori. Nella serata di benefizio guadagnò trecento settanta scudi, fu accompagnata a casa con sessanta torcie e la banda, e fu pregata molte volte di affacciarsi al balcone. Io sento tutto, ma non ho potuto sentire la cara sua voce, no, non l'ho potuto.

Nina mia, amami sempre, chè ne ho gran bisogno. Dì a Marianna che ricevei a suo tempo le informazioni sull' affare di Fermo, e che la ringrazio assai che mi abbia fatto fare buona figura presso il mio amico, poi assicurala ch'io non credo affatto ch' essa mi manderà le poesie avute in Arezzo, poichè sempre promette e non mantiene.

Addio, care anime, io vi abbraccio ambedue colla maggior tenerezza. Dimmi una parola della sposa del granduca.

Sai? una persona che ha veduto il granduca ed ha veduto Carlo mio fratello, dice che si rassomigliano molto.

I complimenti miei a tuo padre.

16 lugtio (1833)

Marianna mia,

Tu mi hai talmente avvezzata ai tuoi successi, ai tuoi trionfi, che essi non mi giungono più nè nuovi nè inaspettati; ma non posso dire però che non mi sieno sempre carissimi e non mi commovano grandemente, no, non lo posso dire, che la fortuna della mia amica sarà sempre la mia fortuna, e la tua felicità mi valerà più della mia. E tu devi essere felice, Marianna mia, devi sentirti la vita assai leggiera, quella vita che ti passa tra i plausi, tra la contentezza di vedere che tutti ti lodano e ti ammirano, di vederti amata da tutti, deve scorrere assai leggiermente, dev'essere una vita deliziosa.

Ma io ci perdo, ci perdo assai, chè tu non mi parli più della Brighenti, non mi racconti più la sua vita privata, non mi metti più a parte dei suoi pensieri, degli affetti suoi, ma solo mi descrivi la sua vita pubblica, quella soltanto che è nota a tutti per via dei giornali (anche il corriere delle dame ha descritto la tua beneficiata in Arezzo). E quello che rende la mia condizione più triste si è che non me ne posso lamentare, comprendendo abbastanza quanto tempo ti occupino i tuoi studi, ed il pensiero e la necessità di fare il proprio dovere (la Tosi in questo t' imita perfettamente: dalla prima all' ultima sera ha cantato sempre collo stesso impegno, colla bravura istessa), e poi non prendi mai riposo, non vi è più stagione in cui non stia in attività, ah tu diverrai ricca assai! troppo ricca! Non so, ma mi pare di avere scritto a Nina che voglio sapere qual' è lo sposo di Giuditta Grossi. Tutt' i fogli francesi eran pieni di lodi per le sorelle Grossi, ed in particolar modo per Giulia (forse perchè più bella) ed io leggendo quei fogli andava pensando al tempo in cui vi leggerò il nome di un' altra cara giovine, alla quale vi è chi augura non chè eguale, maggior fortuna. Non è vero ch'io ti scriva più di rado; é che ricevo più rare le tue lettere, quelle lettere che mi riempiono di gioia, che.… ma te l'ho detto tante volte quanto esse mi sieno care, e non te lo voglio ripetere. Ti ringrazio assai delle nuove di Muccio, tu mi hai tolto di una gran pena. Neppure una parola ti ha detto che possa far supporre che dobbiamo rivederlo? Che cosa fa il mio uccellino? Scommetterei che svolazza, svolazza assai. Se lo puoi fermare un momento, digli ch'io l' amo tanto ed appiccicagli un bacio, dicendogli poi all' orecchio da parte mia che si guardi dalle reti.

Addio, cara, carissima. Io confido nell' amor tuo, e so che il mio non ti lascierà mai, mai.

23 agosto (1833)

Marianna mia,

Io non ne poteva più del tuo silenzio, io smaniava di avere nuove di te; ma tutto inutilmente. Figurati che alla rabbietta che mi cagionava la tua ostinazione era succeduto un timor grande che ti fosse accaduta qualche sciagura, o a te o ai tuoi. E siccome non sapeva dove stavi, aveva risoluto di scrivere a tua madre e di pregarla a volermi riassicurare sulla tua sorte, ma è venuta la tua che mi ha consolata. Ma tu sei cattiva assai: 22 Giugno, e 14 Agosto, vedi quanto spazio vuoto di tue lettere! Per questa volta te la perdono, poichè Feroci ha fatto le mie vendette, e ne sono contenta, ed assicurati che tutte le volte che mancherai ai doveri dell' amicizia, o auche a qualche altro dovere, il gastigo seguirà il fallo, e lo vedrai.

Povera Marianna, il tuo impresario ti ha fatto una brutta figura, dopo che ti aveva pregata tanto di venire a Firenze! Ma tu sei tanto buona, e virtuosa, che sei stata capace di non farne con me neppure un lamento, tu devi essere molto dolce, non è vero? non devi andar soggetta ad inquietarti spesso; dimmelo un poco, perchè se è cosi procurerò che mi serva di lezione, chè ho paura di essere il tuo opposto, e spesso me ne vergogno, ma invano.

Marianna mia, quello che mi dici di Muccio mi fa piangere per dolore! Egli non può nè leggere nè scrivere, e in quattro mesi ha scritto solo due righe a mio padre, e poi nemmeno esce di casa, poichè mi dici che sorte un po' di casa; ma dunque cosa fa? se non esce sompre, è segno che sta male, e se sta male, Marianna mia, io non ho più pace! Ma perchè non torna fra noi? Ora già è veduto che non trova sollievo nell'aria straniera, e stando male non lo troverà neppure in altre cose, mentre poi soffrirà assai per la mancanza di quelle che si trovano solo nella casa paterna, e in mezzo ai suoi. E riguardo a questo non ti ha detto mai una parola, non ti ha fatto mai capir nulla, quale sia la sua intenzione? Oh Marianna mia, se tu mi vuoi bene, se me lo hai mai voluto, dimmi per carità quello che sai: dimmi se possiamo sperare di rivederlo una volta, o vero per quanto tempo dovremo stare in quest' aspettativa dolorosissima, sempre palpitanti e frementi.

Pochi giorni sono (e te lo voleva scrivere a Firenze acciò lo dicessi a Giacomo) leggendo i fogli francesi divenni di fuoco vedendo che Muccio era stato arrestato all' Aquila in conseguenza della congiura di Napoli!! Propriamente: il corriere francese, il nazionale, ed anche un foglio belga dicevano queste parole: parmi les personnes arretées on cite le nom de M. le comte Iacques Leopardi. Vedi che cosa curiosa: dimmi un poco se Muccio ne sapeva di questo suo arresto, ma dimmelo, sai, non te lo scordare.

Altra dimanda. È vero che molte signorine bolognesi si maritano con uffiziali tedeschi? Il corriere francese pretende di si e ne fa una colpa terribile al governo austriaco, come di una sua manovra ecc.

Se ti prendesse curiosità di sapere i nomi delle signorine, li vedrai appiedi. Ora, Signora Marianna mia, mi senta bene. È lungo tempo ch'ella mi ha promesso di mandarmi i suoi sonetti, le sue stampe ecc., e me lo ha promesso più volte, e da varii luoghi; e me lo ha promesso peusando che chi promette deve mantenere, e non so poi come ella abbia fatto a superare la vergogna di aver promesso sempre invano. Ora io, mossa a compasione dei di lei rimorsi interni, e volendo porre in calma la sua coscienza, le offro, anzi le ingiungo di servirsi del mezzo che le presento per farmi avere tutto (senza sua spesa e senza mia). Ella faccia un pacco di tutte quelle cose che avrà la bontà di mandarmi, sonetti, canzoni, biglietti amorosi, inviti per serate di benefizio, stampe litografiche, ritratti, poesie, insomma tutto quello ch' ella ha di piccante e di caro per la sua amica (che le vuole molto bene, anzi troppo, riguardo alla di lei cattiveria), con la direzione al mio vero nome, cioè alla Coutessa Paolina Leopardi, e con sopraccarta diretta al Sig. Annesio Nobili, Pesaro, e lo consegni al principale della stamperia Nobili di costì, acciò, lo mandi a Pesaro, ed ecco come io l'avrò immediatamente, ed ecco com' ella si sentirà più lieta nell' aver fatto una buona azione e soddisfatto al suo dovere, ed ecco come la tua amica è già esultante fin da quest' ora, Marianna mia, all'immaginarsi il piacere che proverà nell' aprire il tuo pacco, del quale non devi prenderti pensiero se viene grande e grosso, chè non importa punto. Ma tu non puoi immaginarti la gioia che mi arrecherà; cosi potessi vedere Anna Bolena, e un ritratto di Nina! Avrai sentito il rimbombo della Fiera di Sinigaglia, e i cinquecento scudi di Rubini nella sua serata (si vuole ch' egli abbia detto che non ne ha fatti mai altrettanti e i cinquecento della Ungher (altra versione, 730) ecc. Mi rallegro con te, oh mi rallegro assai, della tua libertà, della tua fortezza: ma sai che sono un po' incredula? In quanto al non esserti più innamorata (nel vero senso) lo credo; ma in quanto alle galanterie poi, oh lascia che me la rida. Se il mio uccellino, non so perchè, non avesse perduto la voce, te ne racconterei delle belle.

Addio, cara, carissima. Riposati in questi mesi di vacanza, chè ne avrai gran bisogno. Voglio molto bene al papà tuo per questo: addio, salutami i tuoi genitori, quasi vorrei dire salutami Nina; ma mi accorgo che non sono con essa in perfetta pace. Io ti bacio.

La marchesa Bovio, la marchesa Amorini, la Zambeccari, la marchesa Conti (col comandante la piazza), la Ercolani, la Giusti. Una parola di riscontro su ciò, se le piace, o madama!

P. S. Viene in questo punto un pacchetto di costi, quanta gioia io mi sento al solo vederlo te lo ha già detto il vivissimo desiderio che io ti mostrava. Una cosa solo mi spiace, e, stante la confidenza che vi è tra noi te la posso dire, che tu lo abbi francato. Io spero che non lo farai più: altrimenti non posso chiederti più nulla, ed io amo di esser libera. Abbiti, o cara i miei ringraziamenti e lascia ch' io vada a deliziarmi colle tue lodi, con quelle della mia diletta amica.

15 Settembre (1833)

Cara Marianna,

Oh ti sieno rese le grazie più vive perchè non hai sofferto che la tua amica vivesse più a lungo in un mare d'angustie!

Le notizie tranquillizzanti che mi hai date di Giacomo mi hanno fatto benedire una volta di più il tuo diletto nome, come mi sarà sempre carissimo. Ma sai che Muccio se n'è andato a Napoli con Ranieri? Egli partl da Firenze il 2 di questo mese, e va a piccolissime giornate, a quanto sembra, a Napoli per passarvi l'inverno, e per curare i suoi occhi tanto infermi, e ci promette di rivederci a primavera, ora figurati che bella primavera dovrà essere quella per noi!

Ma non dir più ch' io non conosco te, non conosco il tuo carattere! Già sai, ed è inutile che te lo ripeta, quanto cara cosa tu sei per me, quale immensa fiducia abbia nel tuo cuore, nelle qualità tutte, si di esso che del tuo spirito…… ma non poteva essere che per affetto mi nascondessi la verità? Se tu sapessi quello che noi tutti proviamo allorchè passano i mesi senza avere lettere di Giacomo, vedresti che vi è luogo allora a credere per vere le notizie le più assurde.

Non aveva io sentito nè pure una parola della lettera di Giordani, nè del supposto di lui arresto ed avrei caro assai che mi dicessi qualche cosa più in particolare, e, se si potesse avere quella lettera, tanto meglio1 Probabilmente la lettera al Ministro Vincenzo Mistrali. (V. la Carcerazione di Pietro Giordani. Opere, vol. XI pag. 289).. Ma che, Giordani ha perduto la testa affatto?

Per commissione altrui bisogna ch' io ti preghi di un favore, ed è di sapermi precisamente dire l'età del cavaliere Rusconi, direttore della posta di costì. Io credo che non ti sarà molto difficile il saperlo, ma io te ne ringrazierò come se ti avesse costato assai.

Dunque andrai a Livorno il carnevale? vorrei che quel soggiorno ti fosse grato come quello di Pisa, e di Arezzo e di tutti quei luoghi ove sei stata il meglio accolta. Saprò una volta i tuoi compagni, che adesso non so quali siano perchè quell' impertinente di Nina dice di non potermeli dire non sapendoli nè meno essa, come se questa fosse una ragione sufficiente…, E giacchè ho nominato quel folletto, addio cara Marianna mia, vado da lui a dirgli due parole, non senza averti prima stretta fortemente al mio cuore, dove la tua memoria è scolpita per sempre.

Nina mia, è un tempo questo di grande carestia di notizie amorose, come vedi. Ma che, i bei giovani sono spariti, o hanno perduto l' arte di farsi amare? o i vostri cuori sonosi ricoperti di doppio usbergo, o sono già diventati quale adamantina selce.…? Ah! ci vuol pazienza! e bisognerà ch'io mi adatti a ricevere le carezze del mio uccellino senza ch'egli mi parli più di quell'altro oggetto alato come lui; me non simile a lui. Ma io frattanto vi lodo assai e vi ammiro poi grandemente, o ragazze mie: e voi sarete sempre per me il tipo della bontà, si della bontà pura ed angelica, quale dovrebbero essere tutte le donne, e quale sfortunatamente nol son punto. Non vi è certo bisogno d'incoraggiarvi, o care anime, me se fosse possibile che i più vivi applausi di una persona innocente sino ad ora, e che lo sarà sempre, vi potessero lusingare, essi sono tutti per voi, che le mostrate come si dee vivere in questo luogo d'inganni e di tradimenti, ma che pure presenta troppi allettamenti e troppo vezzo, per non dover camminar sempre ad occhi chiusi, particolarmente poi nella vita vagabonda e piena di vita menata da voi.

Nina mia, cosi potesse esser vero ch'io potessi tenerti in gabbia, e baciarti e accarezzarti ogni momento come faccio al mio canarino, il quale pare che mi voglia quel bene che mi vorresti tu, ma non mi vuol parlare, non vuol dirmi nè pure una parola.

Oh, addio Nina mia; amami sempre, te ne prego vivamente, e lascia che ti ami io egualmente coll'ardore il più vivo, abbracciami Marianna e salutami papà.

20 Febbraio (1834).

Marianna mia,

Ambedue in una volta ho ricevuto le tue ultime di Livorno: esse mi hanno consolato assai, chè mi hanno dato prova dell'amor tuo nei lamenti che mi facevi perch'io non ti scriveva. Ch'io possa disgustarmi teco, oh non lo creder mai, o cara; già sai in quanta venerazione ti tengo, e quanto cara cosa sei per me, cui mi è d'infinita dolcezza il pensare ogni momento, il baciare assai di sovente il tuo ritratto, il parlare con lui non potendo coll' originale, ma quello non mi risponde mai, e non mi ha detto mai una parola sola, per quanto io lo preghi a dirmi almeno se mi vuol bene.

Oh sono disgraziata assai!

Sommamente care mi sono state le buone nuove delle tue fatiche, le quali vado sempre via via leggendo nei fogli, con qual giubilo puoi bene immaginarlo. E vorrei che tu vedessi il cambiamento di colore e il palpito che mi assale quando vedo un nome amato, e leggo i suoi lieti successi; oh allora sono veramente felice. Ora però riposerai Marianna mia, e ne avrai bisogno davvero, ora almeno mi scriverai più sovente, e mi racconterai qualche cosa di te e delia Venier come mi hai promesso, la quale Venier, sebbene tua partente, pare che ti abbia dato molto fastidio.

Io crodeva bene che fossero frottole quelle cose che mi si scrissero sul conto tuo, ora poi ne son certa, e non dubitare che non le dirò ad alcuno; ma tu sii pur certa, Marianna mia, che il desiderio più ardente ch'io m'abbia è quello di sentirti felice e lieta.… nè parmi che per esserlo abbi preso una cattiva strada ora che mi dici esserti resa forte ed insensibile. Ed invero è gran tempo che non ho più nuovo del tuo lato manco, e perchè il mio uccellino non mi parla più, io debbo crederti, e ti credo certo che non abbi più avuto nessun impegno serio, ma qualche amoretto, qualche sospiro.… possibile che non sospiri più? E quel Salvi, lo hai poi riveduto a Pisa? poichè tu gli vuoi bene o gli hai voluto bene, sarà un bello e bravo giovine, a me però è molto antipatico il suo nome, come quello che mi ricorda un certo Basilio Salvi romano che aveva da fare con papà, il di cui carattere (leggendo le sue lettere) mi dava molta melanconia. E se questo tuo tenore è di Roma chi sa che non sia figlio di Basilio?

Vorrei sapere se hai veduto più Gustavo Romani, che hai conoscinto una volta in Toscana, e a cui tu piacesti assai; questo nome, vedi. mi è simpatico assai, e mi dà l'idea di un caro giovine.

Dì a Nina che non pensi più a quel tale di Livorno, a quel Rochefort e che non pianga più, altrimenti ne soffriranno danno i suoi begli occhi, i quali io bacio con tutta la delicatezza possibile, ma con Nina sono inquieta assai assai, chè non posso contar più i giorni nei quali non mi ha più scritto. Non mi dici come hai trovato di salute la Regnoli, di quella sua delicata salute che fa tremare. Io vorrei sapere da te come le trovi adattato quel suo marito, e se non pare anche a te che siano due contrapposti, però credo che Regnoli sia un brav' uomo.…… ma essa aveva bisogno di un marito poco meno delicato di lei.

Cosa dici del matrimonio della Tosi? Io credo che se Lucchesi-Palli non fosse ricco, essa avrebbe fatto male a sposarlo. ma in sostanza io non so altro se non ch' egli è già marito della Berry, e se tu sai qualche cosa dimmela. E giusto a proposito di questo matrimonio saputo per via di giornali, andava pensando I' altro giorno, se mi accadesse di sapere nello stesso modo il matrimonio della Brighenti? Oh povero quel foglio che mi fosse capitato sotto le mani con quelle nuove! perchè non è vero ch' io non l' ho da sapere dai giornali ma da un' altra diletta persona? non è vero che sarebbe gran torto se quella non me lo avesse già annunziato, ed io non avessi potuto dirle,—cara, questa tua felicità è anche la mia,—non è vero tutto questo, Marianna mia? Ma poichè spero che cosi non succederà, io me ne sto quieta aspettando che tu mi scriva il nome di quello che tu renderai felico.

Addio, mia carissima. Sonto tuttora vivissima l' emozione ed il palpito col quale mi son destata questa notte nel momento ch'io ti abbracciava, qul, in casa mia ove tu eri di passaggio, con quella tenerezza ineffabile con cui ti abbraccio e ti bacio in questo punto istesso. I miei saluti affettuosi a papà.

2 Maggio (1834)

Nina mia,

Forse sei inquieta con me? Forse credi di aver ragione? O credi di avere tutta quella che aveva io quando mi lagnava di te? Ma sappi che se è un mese ch' io ho avuto la lettera tua, e se è un mese che non ho risposto, ho avuto sempre però una spina al cuore, e tutto mi rimproverava questa mancanza proveniente da moltissime faccende e occupazioni che non mi lasciano vuoto un momento di tempo.… Ho sentito la cara tua voce, Nina mia, e mi ha rallegrata tutta, e mi ha fatto quella grata sensazione che mi produce l' udire quella dell' usignuolo e del passero solitario suoi compagni, ch' io sento ora tanto sovente e con gioia infinita.

Egual piacere mi fecero i dettagli sulle buone fortune della diletta mia amica, alle quali ora è tanto avvezza che non le dovrebbero più recar sorpresa, ancorchè si dimenticasse di averle sempre meritate per la sua bravura ed invidiabile condotta. E certo voi altri le dovete molto, quando le dovete quella vita di emozioni e di entusiasmo che vi fa vivere di continuo. Abbracciala per me strettamente, Nina mia, e pregala a volermi sempre bene, a non iscordarsi di me, di quella che prende, sebbene di lontano, una parte sì viva a tutto quanto la risguarda.

Come va colla vostra Amina, Nina mia? La povera Lalande ha fatto fiasco in Ancona, e tutta l' impresa non val niente. Se tu non avessi le ali troppo lunghe, non faresti tanti giri e rigiri dintorno a.……, e se io fossi vicina a te avrei ben cura di tarpartele malgrado i tuoi strilli; ma hai ragione ch'io son lontana. Addio, cara Ninetta, io ti voglio un gran bene. Di a Marianna che mi scriva, chè ho gran bisogno di vedere i suoi caratteri. Poco fa sognai una notte due belle ragazze ch'io andava baciando e ribaciando con grande affetto, chi sa chi fossero? salutami papà, e addio di nuovo.

Anche dai fogli francesi seppi l'arresto di Giordani1 Avvenuto nel Febbraio e durato ottantotto giorni. ora vorrei sapere cosa ne è stato.

30 Maggio (1834).

Qousque tandem abutere, Marianna, patientia nostra?

Se una volta giudicai essere stoltezza il supporre soltanto che la nostra amicizia potesse raffreddarsi, stoltamente giudicai. Se una volta io contava sull' amicizia, sulla simpatia di una diletta mia amica, se giunsi a chiamarla mia diletta, ed a volerle un bene.… oh un bene grande, se io ho creduto di ossere corrisposta, ad uno che mi avesse detto—e bene, questo amore tanquam fumus deficiet!—io avrei detto tu menti per la gola, ed a queste mie parole saria forse succeduta qualche brutta cosa, cui avrebbe pensato a por riparo il mio cavaliere.

E Salomone avea pur detto ranitas vanitatum et omnia vanilas, ma quando io mi sentiva battere violentemente il cuore all'udire un nome amato, quando mi si imporporavano le gote al sentire i trionfi della mia diletta, avrei pur detto al re d'Israele, no, tutto non è vanità.

Perchè poi noi abbiamo dei minuti che valgono dei regni, ma i minuti sono corti, e le vita è lunga! e io lo sento bene che i minuti miei sono stati brevi assai.

Vorrei pur dire al mio dolore, taci! e m'arrabbio perchè non valgo a tanto. Ah! temo che non vi sia nulla di vero sulla terra, fuor che la tomba! (e la tua pazzia, forse dirà una voce).

Ma io non accorderò mai di esser pazza: ma sono addolorata, sono stanca, oh stanca assai! Se il mondo è questo per tutti, non v' è altro che passar via silenziosi sotto le cappe di piombo come i dannati di Daute.

11 giugno (1834)

Cara Marianna mia,

Tutti i ragionamenti del mondo, e nemmeno i tuoi, varranno a provarmi essere sopportabile senza lamentarsi un silenzio di tre mesi, in tempo di vacanza, vale a dire di assai minori brighe e fatiche. No, io non me ne persuaderò mai, nè avrò forza e coraggio di sostenere un sì lungo silenzio, un tratto sì lungo di tempo in cui non sentirò più la voce della mia amica, senza dolore vivissimo ed eguale impazienza. Nè ti prometto di non far più uso di testi latini: ora che vedo produrre essi tosto il loro effetto, chè senza di quelli aspetterei ancora una tua parola.

Quanto sei buona, Marianna mia; lascia ch'io ti abbracci e ti baci colla maggior tenerezza. La tua cara lettera mi ha colmata di gioia: ora, io son più lieta d'assai perchè mi hai assicurata che mi vuoi bene e che me lo vorrai sempre. Oh lasciami questa deliziosa idea, Marianna mia; lasciami questo pensiero soavissimo: esso sarà il mio conforto nelle amarezze della mia vita, di questa mia triste vita, la quale ormai non ho più lena di sopportare.

Vengo dall'avere assistito alla monocazione di una cara giovine, ove ho pianto assai, ed ove ho attinto pensieri stranissimi. Pure con tutta questa stravaganza di pensieri, non posso pensare senza palpitar di dolore che la Malibran verrà a Sinigaglia e ch'io non la sentirò. Fino a tanto che i fogli non ne hanno data la sicurezza, ho fatto sempre voti ardentissimi perchè non fosse vero ch'essa venisse qua, ora pensa che ho sempre una spina al cuore, ed una melanconia da non poter reggere sentendo sempre parlare di lei senza sperare di vederla. Un'altra cosa pure ch'io bramerei tanto di vedere, sarebbe.… le gambe della mia amica quando sosterranno un Romeo.

Oh si! io verrei apposta a Livorno per vederla in devoto pellegrinaggio. Intanto ti raccomando lo studio della scherma, il quale servirà a farti diventare cavaliere perfetto ed intrepido. S'io potessi verrei con grandissima allegrezza a sollevarti dalle tue faccende domestiche, e siccome io sono molto attiva, credo che ne sbrigherei molte e lascierei a voi, ragazze mie, il tempo per istudiare e per iscrivermi più spesso. Che ne dici? Se mi vuoi, dimmi una parola.… ed io vengo tosto ma col patto di seguirti sempre e di non lasciarti mai come vorrebbe fare il tuo innamorato.

Sono impaziente di sapere ove andrai dopo Livorno; non vorrei che andassi a Messina perchè è troppo lontana, ma se vedi Giacomo digli.… anzi non gli dir niente, chè siamo inquieti con lui. Egli ne avea promesso di venir qua a primavera, e poi non viene e non scrive mai.

Mi fa gran pena la sorte del nostro amico1 Forse il Giordani. essa è molto severa: ma di giudizio egli ne ha avuto poco.

Chi sa quando mi scriverai nuovamente! se da costì, o da Livorno? vedi ch'io non son poi tanto pigra quanto tu dici, e, sebbene gli occhi miei stentino a stare aperti per il troppo pianto, pure ho scritto fin qui, strofinandomeli sempre e pregandoli a sopportare la luce un'altro poco.

Intanto io ti saluto, e ti bacio col più vivo del cuore, o cara anima, e ti prego ad accarezzare per me la Nina, e a salutarmi caramente il papà, mentre sono sempre tutta tua.

24 Ottobre (1834)

Cara Nina

Hai fatto bene a scrivermi e a togliermi di pena dopo il terremoto del 4 corrente, ed io te ne ringrazio assai, chè i miei pensieri andavano al di là della realtà, e mi tenevano grandemente agitata per voi, mie care anime.

Vorrei credere che a quest'ora foste tutti tranquilli costì, nè aveste più a temere da quella sciagura che per me è una delle più grandi: leggo sempre con ansietà i fogli di Bologna, e mi ha fatto pena il vedere che, pochi giorni sono, si sentivano ancora altre scesse. Dalla carissima tua però mi pare che questo flagello non ti metta grande spavento, poichè ne fai la descrizione con una cert'aria che mostra in te un gran coraggio, coraggio ch'io certo non avrei. La tua lettera mi ha fatto destare parecchie notti con un gran palpito parendomi di sentire il terremoto, cosa che, grazie a Dio, non era punto vera.

Quando tu mi scrivevi non cri niente allegra; chè la tua lettera assomiglia un poco al Miserere: pure, non fa niente, almeno ho veduto i tuoi caratteri, ho avuto le nuove delle mie carissime amiche, sento ch'esse mi vogliono ancora bene Non puoi credere, Nina mia, con quanta vivacità di sentimenti io desideri la felicita di quelle ch'io risguardo ed amo come mie sorelle, e però non puoi immaginarti quanto cruccio mi rechino i tuoi lamenti sulla sciagura di questi nostri tempi, nei quali più soffre chi più è virtuoso. Ed essendo così, non v'ha alcun dubbio che voi, o mie care, non dobbiate esser punto felici e fortunate in questo infame e scellerato mondo; oh certo! noi non lo saremo a meno che non rinunziamo ai nostri principi, a meno che non ci condanniamo da noi stesse a non avere più il coraggio di guardare il cielo senza arrossire. Come è stato nel passato, così sarà sempre per me oggetto di ammirazione grande e di compiacenza vivissima il trovare in voi, o dolcissime anime, quello ch'io credeva non vi fosse più su questa terra, una virtù rara, una illibatezza esemplare in una professione in cui ne sembrerebbe impossibile il preservarsi, in mezzo ad occasioni continue, a pericoli sempre rinascenti. Non v'ha dubbio che questa vita di sacrifizi sarà una volta premiata, e che abbiate finalmente a godere il frutto della vostra bontà, o mie carissime anime. Sarà un giorno bello assai per me quello in cui saprò che la mia Marianna si è tolta alla sua laboriosa carriera, portando seco l'ammirazione e la stima di quelii che sono stati degni di conoscerla. Io affretto sempre con i miei voti un si bel giorno, e sebbene sia avvezza a non vedermi troppo esaudita nei miei desideri, spero che il cielo mi consolerà almeno in questo.

Sei veramente troppo buona, Nina mia, nell'aspettare e desiderare di sapere quella certa notizia di me ch'io credeva di averti a dare. Io allora lo credeva, o almeno lo sperava, ora, non vi è altro. Si trattava di un matrimonio statomi proposto da una mia amica di costì, al qual matrimonio, dietro relazioni ch'essa me ne dava, io non mi mostrai lontana, se non altro per il grande contento di venire a Belogna. Se l'affare fosse andato innanzi, prima di conchiudere avrei chiesto informazioni esatte alle mie amiche; ma poi non ne ho inteso più parlare, e naturalmente, a quest'ora, l'idea di maritarmi non mi fa più ridere. Anzi se la mia situazione fosse o promettesse di essere un tantino meno miserabile non permetterei che mi si parlasse più di tale materia. Non credere ch'io ti faccia volontariamente mistero del nome dello sposino: non te lo dico perchè non lo so.

Io già sapeva di un incendio accaduto costì nell'appartamento della Marchesa Ricci assente, ma certo non mi passò affatto in mente che la cara Ninetta se ne stesse dalle sue finestre a contemplarlo, intrepida e senza timore che quelle vampe si dilatassero fino a lei, ed affrontando per curiosità freddo e reuma. Anche noi abbiamo avuto un'estate piena in un certo tempo di fulmini, i quali cadevano a mucchi, e per uno dei quali morì all'istante una povera donna. Giacomo ne scrisse sui primi di settembre che a momenti sarìa venuto da noi1 Epist., lett. 528., poi non ci ha scritto più e non è più venuto, ma sappiamo che sta benissimo. Due bellissime sorelle del bellissimo Ranieri si fanno monache a Roma e stanno per giungere colà, noi crediamo che in loro compagnia Giacomo se ne partirà di Napoli, ma che venga da noi non lo crediamo punto. Addio, cara Nina, amami quanto io ti amo. Amen.

A te, Marianna mia, do con tutta l'anima un bacio affettuosissimo, e mi raccomando all'amor tuo, alla tua tenerezza. Se mi vuoi bene scrivimi presto, e dammi conto di te, dei tuoi affari, delle tue speranze. Oh come ti anguro una vita tranquilla, oh come vorrei che avessi finalmente a godere di quella pace e di quella felicità che meriti! la tua amica non forma voto più ardente di questo. Il solo pensiero di venire a trovarti (pensiero mantenuto più giorni) mi faceva balzare di gioia, ora, non balzo più; sono ricaduta nel solito inerte e melanconico mio stato. Cosa n'è di Giordani?

7 novembre (1834)

Marianna mia,

Se tutte le volte che mi vengono le tue lettere io ringrazio il cielo che mi ha dato il conforto dell'amor tuo, figurati s'io debba averlo fatto, e di cuore, quando mi giunse l'ultima tua di Bologna. Certo non feci allora come al ricevere l'antecedente, quella in cui mi aprivi gli occhi; perchè, leggendo le prime parole, e giunta a quelle che dicevano: a malincuore ti scrivo, chiusi la lettera e me la posi nel taschino del grembiule, e me ne andava cercando distrazioni e divagamenti per vedere di togliermi quelle tue parole di mente e prolungare un altro poco quell'illusione e quella speranza che mi accompagnavano da tre mesi in poi. Ma tu avevi ragione, o mia cara, ed io ringrazio il papà tuo ch'ebbe il coraggio, e volle inspirarlo anche a te di dirmi tutta la verità. E se dopo il sole mi sembrava meno brillante, il cielo meno puro, cosa importa? era una cosa che dovea finir così! Quello che non finirà si è l'amor mio, la mia vivissima tenerezza per tutti voi, o miei cari. Inestimabile conforto è per me la sicurezza di essere amata da sì eccellenti persone, e se non mi venisse niente altro di bene in questo mondo, com'è probabile, sento che non mi debbo lamentare della sorte mia.

Ora sei a Novara, eppure mi fa pena il saperti tanto lontana, giovedi mi pareva di separarmi da te e andava sospirando per le camere al pensare chi ti allontanavi tanto, e che per lungo tempo non avrò lettere tue.

É delizioso il quadro che mi fai dei tre viaggiatori che mi fanno dimandare, ed appunto per essere troppo delizioso, io non lo vedrò mai altro che in pittura, ma se mai questi cari viaggiatori si abbattessero da queste parti.… oh! ch'io lo sappia alquanto prima, chè potrebbero giungere in una di quelle ore in cui la loro amica sta inchiavata, e non può uscire di camera.

Ti lascio, Marianna mia; oggi son di festa fuori di casa. Papà fa da padrino ad un signore inglese che oggi diviene cattolico, ed io sono della compagnia insieme con sua moglie, la quale aime! è troppo, troppo poco per lui, ch'è un brav'uomo. Addio dunque, o mia diletta! Salutami il più affettuosamente che puoi il papà tuo e la cara Nina cui non ho tempo di dire due parole, non so se di rallegramento per essere scappata al pericolo di divenir moglie di uno capace di andare in carrozza con una donna, o vero di condoglianza sul dubbio che non sia ben guarita, nè vorrei che facesse un'altra malattia a Novara, oh non lo vorrei certo..… Ma io non mi so staccare da voi, mie carissime, e debbo andare a vestirmi per uscire. Addio dunque! il pensiero di voi, dolcissime anime, verrà sempre con me, e mi terrà compagnia gratissima in caso che mi annoiassi, il che succederà certo, dovendo stare tutto il giorno fuori di casa.

Giacomo ne scrive di venire in questo mese. Dimmi i tuoi compagni: ti abbraccio e ti bacio un'altra volta, Marianna mia.

7 Dicembre (1834).

Marianna mia,

Una volta ad un mio amico lontano da me, e fuori di stato scriveva in questo modo, e le mie lettere, o sieno i miei biglietti gli giungevano felicemente1 Mandava questa lettera acclusa in un giornale.. E perchè mi sono detta a me stessa, non farò cosi anche a chi sta a Novara? io credo che non vorrà dispiacere questo filantropico pensiero, seppure il diavolo non vi si mette in mezzo onde non farlo riuscire nel suo scopo.

Marianna mia, dimmi prima di ogni cosa, come stai? come sta il tuo raffredore? hai sofferto nel tuo viaggio? Oh quanto mi ha afflitto la tua ultima di Bologna in cui mi parlavi dell'ostinatissimo tuo raffredore!

Oh come tremo che il viaggio in questa fredda stagione, e lo strapazzo che ti conviene di prendere nelle prove ti faccia male, o non ti faccia guarire. Senza che io te lo dica pensa quanto deside io abbia la tua amica di saperti bene arrivata costì, lieta del novello tuo soggiorno, e piena di speranza del buon successo. Se stai bene, spero che vorrai dirmi tutte queste cose assai presto, sicura che nol sarà mai quanto io lo bramo E se non mi parli tu, io non avrò più nuove di te, nè meno nel Carnevale, chè tu stai troppo lontana da noi, ed i giornali ch' io vedo poco parlano di paesi si lontani. Ed a proposito di giornali ti voglio copiare quì a piè un tratto del Feuilletton della Gazette de France sulla Malibran, e vedrai che ovunque essa canta, lascia una impressione sola. Mi dirai poi chi sieno i compagni tuoi, mi dirai cosa fa Nina, cosa fanno i tuoi genitori, come ti piace Novara.

Se vuoi sapere quanto io sia forte nella geografia, sappi soltanto che credeva fermamente che Novara fosse nel Piemonte, ed oggi soltanto me ne sono disingannata colla carta geografica innanzi agli occhi. Vedi meglio di me ch' io non merito verun elogio per la traduzione dell' operetta di Maistre, essa indica soltanto che ho molto ozio, e che Nobili ha voluto stamparla: il libro nel suo originale è graziosissimo, vorrei che si potesse dir lo stesso nella lingua nostra. Se tu non hai avuto un esemplare col mio carattere si è perchè, temendo che partissi da Bologna più presto di quel che hai fatto, scrissi a Nobili che ti mandasse una copia immediatamente stampata, chè altrimenti non era in tempo, ed egli lo fece, ma ma non ti può cadere in mente che sia stato per mancanza di amicizia od anche di delicatezza; tu sei sempre la mia diletta, e non ne devi dubitare neanche un istante, no, se mi vuoi anche una piccola parte del bene che ti voglio io.

«M. lle Malibran qui pouvait devenir le charme des auditeurs les plus difficiles, avait fini par se rendre le supplice de ses amis les plus dévoués. Combien de fois n'-a-t-elle pas fait changer le spettacle! De combien de relàches n' a-t-elle pas été coupable au moment le plus inattendu! Quittez donc vos familles, ajournez vos affaires, négligez vos amis, hàtez votre diner, pressez votre toilette, crevez vos chevaux dans l' espoir d' arriver a tems pour le di piacer mi balza il cor ou le se il padre m' abbandona; puis vous trouvez sur l' afficher il matrimonio avec M. lle Tadolini, ou l' ultimo giorno di Pacini, ou la bande, la bande encore moins fatale du relàche par indisposition de la prima donna que vous aviez recontré le matin caracolant au vis sur un cheval fingant, ou que vous apperceviez le mème soir dans quelque loge des Varietés ou de la Porte S. Martin. Il n' y a théàtre ni admiration qui poisse tenir à de pareilles incartades. M. lle Malibran ruinerat tout à la fois enthousiasme et administration. Moins de génie dans l' éxécution et plus de bonne fois dans les engagemens. Un bonheur troublé est un agrément insupportable».

Mi sembrò tanto caro questo lamento allorchè il lessi, che giurai di fartelo sentire, ed era quando le tue orecchie e l' animo tuo dovevano essere inebbriate dall' incanto della sua voce. Marianna mia, io ti stringo al mio cuore, a questo cuore cui non puoi mai comprendere quanto tu sii cara, quanto ti ami.

11 Febbraio (1835)

Nina mia,

È un pezzo che ho ricevuta la tua carissima, ed è un pezzo che non ti ho risposto, benchè avessi sempre in mente di farlo. Ma qualche occupazione e un po' di pigrizia mi hanno trattenuta fino ad ora. Il mio cuore però è stato sempre con voi, mie care anime, ed ho assistito ai nuovi successi di Marianna, ed ho battuto le mani assieme con quelli che le facevano plauso… Ma non ho potuto capire quale opera sia la presente; dopo la Norma, non so in che cosa siasi trasformata la mia amica.

E m' inquieto con i giornali, i quali di tanti teatri parlano, e di uno di cui ricerco sempre notizie con interesse vivissimo, non mi dicono nulla. Ma io non dubito punto che le cose seguano sempre ad andare ottimamente, e che la carissima Marianna continui ad essere l' idolo dei Novaresi. Salutami tauto, Nina mia, quella cara giovine, e dille che mi lasci stare il signor maestro.

Cosa fai, Nina mia? il freddo come ti tormenta, i tuoi amori come vanno? Già, a sentir te non sai cosa sia amore, e tu sei innocentina come il mio canarino. E se questo è vero, oh! hai ragione, prosegui pure a far questa vita, chè te ne troverai bene.

Giacomo non è venuto più, e non si è mosso di Napoli.

Quanto mi dici di Giordani mi riesce nuovo affatto; io non sapevo nulla ch' ei fosse in collera con Brighenti1 Non mi consta di quale collera si parli, chè non parmi verosimile trattarsi qui di quella lettera un po' piccata del Giordani per l'invio fatto dal Brighenti delle quatro copie del Pattrinieri (V. Epist. VI, pag. 258). Certo, dopo che nel 1813 si sciolse fra il Giordani e il Brighenti la primiera amicizia, non potè il Piacentino riamare quest' ultimo di quell'affetto tenerissimo, che gli avea portato dapprima., e non sapeva nemmeno se fosse tornato in liber tà. Forse nel ripassare che farete per Parma lo rivedrete, e diventerà più calmo, e dopo me ne dirai qualche cosa, non è vero?

Anche noi abbiamo musica, ma oh Dio! che musica! Vado pensando ogni momento in teatro a voi, miei cari, e al piacere, anzi al gaudio che avrei di sentire Marianna, e di vederla, poi di abbracciarla e baciarla, con la più gran tenerezza dopo di essere stata presente ai tuoi trionfi, dopo che il suo canto mi avrebbe fatta provare quello che questi cani nemmeno s'immaginano che con l' arte sia possibile far provare.

Oh che gran condanna è mai quella di dover vivere in canile! Nina mia, io sono inquieta e annoiata assai, e mi pare che lo sia anche la mia penna. Almeno avessi presto una lettera tua, ma passeranno molti e molti giorni con questo desiderio. Ricordami al papà tmo, e baciami Marianna, la quale prego ardentemente di farmi vedere i suoi caratteri, dille ch'io le voglio sempre, sempre bene.

Dico lo stesso a te, Nina cara, e baciandoti molto affettuosamente ti lascio in pace.

25 marzo (1835)

Mia carissima,

Hai giudicato bene della tua Paolina quando hai creduto che con infinita gioia aprirebbe la tua tanto desiderata e tanto aspettata lettera, e che ti perdonerebbe la pena che le hai data col tuo eterno silenzio. Oh come m' ha pesato questo silenzio, Marianna mia! Come mi è sembrato eterno e doloroso questo interminabile carnevale in cui non ho veduto pure una riga di te, o cara, una riga sola! Oh come vorrei che gli affari tuoi ti ritenessero sempre a Bologna, perchè altro che costì posso sperare che ti ricordi di me! Però sarei tutt'altro che ragionevole, se anche col desiderio impedissi che tu volassi a nuovi trionfi, a nuove serate brillantissime, quasi direi a nuovi amori, se lo potessi dire, ma nol posso dire in verità.

Quanto mi faccian pena i tuoi racconti non te lo so dire, io fremeva di rabbia per l'indegno procedere del signor maestro, non so cosa avrei dato perchè l'amica mia non avesse avuto l'umiliazione di non trovarsi amata come si merita di esserlo, umiliazione tanto più indegna, quanto meno degno di lei era colui cui essa avea rivolto il suo affetto, ed io avrei voluto che tu mi raccontassi che non l' avevi voluto più vedere, che in presenza sua e senza leggerlo avevi gittato al fuoco il suo biglietto, avrei voluto che nel montare in legno non gli avessi stretta la mano, tutto questo io avrei voluto sentire. E mi è piaciuta assai la tua risposta alla sciocca ed insolente e temeraria sua domanda, quando egli voleva da te una parola di compatimento, di stima.

Oh tu gli hai risposto bene, ma come sono temerari questi uomini! dopo di avere ingannato colle loro melate artificiose parole un cuore cui facevan credere di non palpitare che per lui, dopo di avere noi esaurite tutte le facoltà dell' anima nostra nell'amarli, dopo di averne riempiute delle più care speranze, ne riempono di dolore e di angoscia —e poi vengono a dirci—compalitemi! stimatemi! Oh non vi son parole che valgano ad esprimer tutto il disprezzo che ne inspira questa orribile condotta. Ma tu sei troppo buona, Marianna mia, sei troppo confidente; il tuo cuore è troppo sensibile, e si affeziona con troppa rapidità, e poi soffri, soffri, e piangi quando invece le tue lagrime dovrebbero inaridirsi al fuoco del disprezzo, quando la cognizione di te stessa, dell'angelica tua bontà, delle tante tue virtù, ti dovrebbero preservare dal porre la tua affezione in chi ne è affatto indegno, in chi non arriverà mai a comprenderti. Dio voglia che tu persista nel proponimento fatto di non più amare alcuno, di non fidarti di alcuno, ma io non ti ho troppa fede, me l'hai detto tante volte!

Quanto riderei se Ninetta diventasse la moglie del signor Gaetanino! Sai che questa idea mi si è fitta in capo, e che non me la posso togliere? Già sono sicura che al mio uccellino debba un giorno o l' altro succedere di sentirsi tarpare le ali, e finirà allora di alzare tanto il capo. A proposito di Nina, una volta, ma è un pezzo, mi scrivevi— chi sa che tu non abbi presto in gabbia l' uccellino, o qualche cosa che gli somigli?—Marianna mia, ogni volta che mi tornano in mente queste parole, mi arrabbio per la curiosità e pel dispetto di non trovarmi in gabbia altro che il mio canarino. Ti ringrazio del sonetto, il quale leggo e rileggo, destandomi grande piacere il vederti tanto ammirata e lodata. Ringrazia per me papà tuo del dono fattomi nel passato carnevale, dono che ho gradito assai, e pel proprio pregio e per vedervi un nome che io amo tanto.

T' invidio le diecisette ore passate con Giordani, oh te le invidio assai! già non mi scordo mai quelle che passammo con lui tanti anni fa, ore nelle quali io ero sempre in estasi dinanzi a lui, non parlando, ma ascoltando sempre con grandissima avidità e piacere. Godo di sentire ch' ei stia benone, e avrei amato assai di sapere se è libero… ma se sta benone, perchè non fa più niente?

Prima di andare a Reggio, voglio una tua lettera, sai—addio, carissima. Salutami papà e mamà il più affettuosamente che puoi, ed a Nina dà tanti baci per me. Oh avrei voluto vederti abbigliata di raso bianco! come avrei voluto stringerti al mio cuore e baciarti con ineffiabile tenerezza!

10 giugno (1835)

Mia carissima,

Oh non gridarmi per carità! già non ne avresti nemmeno ragione, chè io tengo dinanzi gli occhi la tua di Reggio (senza data), ove mi dicevi di non essere per anco ben sicura di andare tra 25 giorni a Ravenna, ed io stava aspettando di vedere annunziato il tuo arrivo colà prima di scriverti, ed oggi che ho ricevuto la carissima tua di Bologna, oggi stesso ti dico ch' io ti amo sempre con eguale; ardentissimo affetto, che ho pensato sempre a te, alle noie sofferte a Reggio con quel seccante Uggeri, alla emicrania della cara Nina la quale pure avrei voluto consolare nei suoi dolori, a tutti voi altri i quali mi state sempre in mezzo al cuore. E certo nulla potrebbe farmi dimenticare sì dilette persone, non gli affari, non i divertimenti, non gli amori (se ne avessi), nulla, nulla. Oh figurati dunque se potrei farlo in una vita così inerte, così vuota d' interesse come questa mia!

Ma perchè non mi dici del tuo andare a Genova? Io ne palpitai di gioia al leggere l' avviso, e tu non mi dici niente! Fino a tanto che non mi dirai di avere abbandonata questa tua carriera, io mi rallegrerò assai quando vedrò il caro tuo nome associato ad un bel teatro, più bello di quello di Ravenna.

Oh certo! sarà un gran bell' annunzio per me quando mi dirai che il papà tuo ha ottenuto un impiego e che la mia amica riposa sui suoi allori, e ha terminato un genere di vita pieno di emozione e di trionfi, ma pieno ancora di palpiti e di pene, e di mille altre cose fastidiose e incomode a sopportare, sì: oh certo sarà quello un bel giorno per me! Spero che me ne dirai presto qualche cosa.… Ho tenuta sospesa le penna qualche momento, incerta di dirti o no due parole—già tu non mi credi di certo ambiziosa, nè vantatrice; dunque posso dirti che per un certo canale ho potuto ottenere un impiego a mio fratello, come amica di una persona di ottimo cuore e che ha infinite relazioni a Roma. Se questa notizia ti servisse, fa di me quello che vuoi, ma non mi credere però peggiore di quello che sono vantandomi di cose insussistenti.

Con impazienza sto aspettando la poesia che annunzi, la quale oggi non è venuta. Io l' accoglierò con grande gioia, si perchè è in lode di una mia cara amica, sì perchè essa stima molto e la poesia è l' autore; il quale autore è troppo buono di dar fede a certe persone cui l' amicizia e il loro buon cuore illudono grandemente. In ogni modo io son gratissima del dono, e naturalmente le sono ancora del motivo che lo ha mosso a farlo—e se tu hai occasione di scrivergli, fallo consapevole di questi miei sentimenti.

Ho cercato qui e fatto cercare in Ancona il libro di poesie che mi indicasti, e non l' ho potuto trovare.

Giacomo ne scrisse tempo fa che è prossimo a stabilire a Napoli un'impresa letteraria insieme col suo Ranieri, la quale impresa sarà per essere di lucro all' uno e all'altro(1) Epist… lett. 532.. Se ne ha scritto qualche cosa più chiaramente a Brighenti me lo puoi dire.

Ho gran piacere di sentire che non hai lasciata parte del tuo cuore a Reggio, già me lo avevi promesso, e mi hai mantenuto la parola. Ma Nina non se la vuol finire, e ormai il cuore di lei è disseminato per tutta Italia—oh che obbrobrio! Bacia per me quella cara ragazza, e dille che abbia giudizio per carità.

Il primissimo debutto della signora Corradi fu a Recanati ove cantò due carnevali di seguito— il primo con gran furore il secondo con assai, meno, ed essa per consolarsi si maritò con Pantanelli che faceva da tenore; vero salame, simile in tutto, nella figura, al nostro cuoco—oh buon gusto!

Addio cara anima mia! Saluta tutti tenerissimamente, e a te e a Nina dà mille affettuosissimi baci.

Rossini ha composto dodici arie o duetti con accompagnamento di pianoforte sulle parole di Metastasio e di Pepoli.

Berlioz dice: «On ne saurait imaginer rien de plus doux, de plus élégant, de plus raphaëlesque, de plus gracieusement expressif que le divers marceaux qui composent ce reveil». Perchè non ti rallegri meco dell' Incs di Persiani?

26 giugno (1835)

Cara Marianna mia,

Come ti dissi nell' ultima mia, appena ricevuta la tua scrissi immediatamente una lunghissima lettera al mio amico, e puoi credere se impiegai tutta l' arte e l' eloquenza di cui sono capace acciò egli s' impegnasse per me. Certo io m' immaginava ch' egli non esiterebbe punto ad usare tutta la sua attività, e mi pareva sicuro che dovesse esservi almeno qualche chance di ottenere l' intento bramato, perchè mi ha fatto vedere realmente che qualche cosa ha potuto. Ora però egli mi scrive che con tutto il cuore s' impiegherebbe e per me e pel Brighenti di cui ha molta stima, se non fosse affatto sicuro di non poter ottenere cosa alcuna.

Varie circostanze hanno cangiato la sua posizione da quella ch' era due anni fa quando ottenne per mio fratello la sopravvivenza al direttore della posta di Ancona, gli hanno fatto perdere il favore di molti, e l' amicizia strettissima che aveva col sotto aiutante di camera del papa, il quale lo ha per il passato favorito in molti e molti casi. Perciò egli mi dice essere impossibile in questo momento di fare quello che il suo cuore e la sua amicizia vorrebbero. Ed io ho letto oggi la sua lettera, e ho scritto questa col cuore pieno di amarezza e di dolore. Oh Marianna mia, io spero che il Cielo e i tuoi amici ti consoleranno una volta, e che tutti voi, o miei cari, riceverete il premio delle vostre virtù.

Mio padre crede che il posto di console pontificio a Milano verrà soppresso; e siccome fu creato per Alborghetti, così ora ch' è morto non venga più rimpiazzato da alcun altro, ma il papà tuo sarà meglio informato del mio. Sai che adesso il nome di Brighenti mi fa provare una certa sensazione (quasi di timore) ch' io non avea mai provata, chè questo nome mi è stato sempre dolcissimo; ma ora mi pare che voi altri siate inquieti con me, e che non dobbiate più amarmi come fino ad ora? Oh sarebbe questo per me il colmo della sciagura, nè io vi ho detto nè vi dico quanto peno a sopportar questa idea, nè qual effetto mi abbia cagionato la lettera ricevuta questa mattina.

Eppure sono avvezza ad avere cattive nuove, a provare i rigori della fortuna, a non vedere mai un raggio di sole; ma vorrei vederti consolata, o mia cara, vorrei vedere compiuti i vostri voti, o anime mie, e allora dimenticherei l'infelicità mia.

Spero che non respingerai il tenerissimo abbraccio ch' io ti do, o mia diletta, e mi rallegro delle nuove tue vittorie. Gli occhi miei non mi permettono di dire altro.

29 luglio (1835)

Mia carissima,

La tua ultima mi ha consolata assai dicendomi che papà si è guarito, e che voi tutti siete più tranquilli. Ciò fa che lo sia anche io; ma anch' io mi dolgo delle tue perdite non lievi, dei torti che ti si fanno, dei dispiaceri che soffri. Oh io vorrei esserti vicina per vedere come sai sopportare le disgrazie, per vedere quanto mai sei coraggiosa. Già mi pare ch' io ti debba, anche in questo, invidiare assai, ma, e in che cosa non dovrei invidiarti? In questi giorni sono stata piena di dolore per la morte di.… D. Sebastiano Sanchini! Figurati quanta pena mi abbia cagionato il perdere una persona che ho veduto sempre dacchè son nata. Ho passato le sere della sua malattia fisa dinanzi alla sua finestra nel mio giardino, e li vedeva e sentiva i suoi lamenti, e piangeva e mi riempiva di amarissime riflessioni, poi la sua finestra un giorno si è aperta, ed egli non ci era più! Ed ogni volta che vado in giardino il cuore mi si stringe, e vorrei rivolgere lo sguardo da quella finestra, ma non posso. Ora, se vuoi, scriverai alla signora Marianna Corsetti.

Mi domandi se ho relazione con Persiani. Io non l' ho veduto che una volta sola mentre dirigeva l' orchestra nel nostro teatro, e dacchè è partito di Recanati non vi è più tornato. Non gli siamo nè meno parenti, chè egli è di onesta ma bassa condizione. Ha due sorelle, le quali lavorano per vivere, dilettanti di musica anch' esse, orribili a vedersi come il fratello. Quando leggo nei fogli relazione dei bei fatti di lui, lo faccio sapere loro, ma posso dire di conoscerle appena. L'impresario dell' opera di Ancona, ossia Lanari, ha fatto loro molto onore questa primavera, e le ha tenute in casa sua molti giorni, e si è impegnato di farle chiamare a se dal fratello, o pure di farle soccorrere da lui più abbondantemente. Ricordati che mi hai promesso di dirmi molte cose; fra queste fa che ci sia una parola della bella contessa Marescalchi, che a quest' ora devi avere conosciuta.

I versi di Viani hanno eccitato la critica dei redattori del giornale l' amico della gioventü che si stampa a Modena, i quali non vogliono che si chiami l' Italia ospizio lagrimato delle muse, nè vogliono che le arti debbano ora chiamarsi sventurate e sfortunate, nè vogliono sia vero ch' esse ora vanno paurose per monti e per scogli ecc. A me poi quei cari versi hanno inspirato molta simpatia per quel caro giovine, e ammirazione pei suoi talenti, e desiderio ch' egli viva meno sconsolato di quello che le sue parole mostrano che sia, seppure questo desiderio può venire mai realizzato in questo mondo. Se non è morta, abbracciami e baciami Nina. Dimmi quando partirai per Genova; oh quanto mai t' invidio questi tuoi viaggi! Se Nina volesse, io le cederei il mio posto, e verrei a prendere il suo, e credo che nessuno di voi altri, miei carissimi, avrebbe a lamentarsi della mia affezione, della mia tenerezza per voi. Addio, addio, ti lascio stringendoti vivamente al mio cuore e baciandoti con grande amore.

9 agosto (1835)

Marianna mia,

Non istare in pena per la carissima tua diretta al povero Sanchini, chè essa mi fu recapitata immantinente. Toccava a me a compiangere la perdita di quella cara lettera, ove realmente essa si fosse smarrita, essa è piena di troppo cari ed amati dettagli, perchè io non ne avessi a regretter amaramente la perdita. Oh! ti ringrazio assai, Marianna mia, della bontà e della pazienza tua nel narrarmi tutto quello che mi narri, nel farmi assistere ai preparativi per la festa di Nina, nell' invitarmi a pranzo con tanta amorevolezza (ma io non potei venire, proprio non potei). nel farmi vedere il regalo preparato per quella briccona… solo, in tanta distanza, non potei capire certi versi, parto di una giovine musa (il di cui muso bacio e ribacio) ma spero che me li mostrerai.

E tocca a te Ninetta mia il mostrarmeli; già son sicura che non ti farai rossa come non ti facesti rossa all' udirli, al ricevere il bel regalino che ti fu fatto, e al vedere quello che rappresentava. Mirabilc dictu! Nina non arrossi, ma se lo pose subito, e la sera il povero signor Gaetanino glie lo vide portare e ne rise esternamente, ma di dentro fremeva. Povera Nina, mi vuoi bene? dimmelo presto altrimenti m' inquieto assai assai.

Addio.

Poi, Marianna mia, ti ringrazio dell' amor tuo, il quale ha voluto confortarmi nel dolore che provo. Oh vicino a te molti dolori mi verrebbero scemati e molte lagrime asciugate, ma io son avvezza tanto poco a parlare, che quando avviene talvolta che parli un poco, la gola mi avvisa che ho parlato troppo, chè tosto mi si riscalda, e prima non era così.…

Ma com' è possibile ch' io ti abbia finora parlato di tutt' altro che di quel dolore che mi sta fitto in cuore? Oh miei cari, non andate a Genova! Non so se Iddio vorrà permettere che noi siam liberi da quest' orribile flagello che ne minaccia; ma quell' andargli incontro è cosa che mi fa raccapricciare. Certo, quest' anno è stato cattivo per te, e prometteva di essere tanto buono, ed io fui tanto lieta quando ti sentii fermata per Genova, poi non ti so descrivere il dolore che provai, il brivido che mi scorse per le vene quando sentii vero il chelera di Nizza, e pensai a te, Marianna mia, che dovevi andare verso quelle parti. Oh certo io non avrò pace finchè non mi dirai: non andiamo più! e allora, dopo il piacere, la gioia che ne sentirò, penserò alla perdita che farai di quel danaro, ma pazienza, è quello un pensiero assai più sopportabile.

Non ti dirò niente della tristezza infusa dal timore del cholera: già non si deve aver paura, e per me io non l' ho, perchè il morire non mi spaventa, mi spaventa bensì il veder morire. Ma pensiamo ad altro. Diamo addio alla Pantarelli e alla graziosa sua Alaide, e crediamo pure di non vederla più, già mostrano di avere poco giudizio. Era male se avessi lasciato il tuo cuore a Ravenna, ma giacchè l' hai riportato tutto con te, va bene. Certo, vorrei insegnare io a quel signorino di non venire più a disturbare le ragazze colle sue confidenze, si vede bene ch' ei non conosce il mondo, o che non sa leggere negli occhi tuoi; i miei non avrebbero saputo nascondere il ribrezzo che quei discorsi mi cagionavano. Fa che papà riprenda le sue forze, fallo mangiare un pochino di più, salutamelo tanto tanto assieme con Mamà e la cara Nina, e tu, mia carissima, vieni ch' io ti bacio con tutta l'anima mia. Non andare a Genova, per carità.

26 agosto (1835)

Nina mia,

Mi hai fatto un bel regalo colla cara tua lettera; peccato che questi regali vengano di rado! Intanto ti dirò che mi ha consolato assai il sentire che tu sempre mi vuoi bene, che non sei morta altrimenti, che papà tuo si è guarito bene, che con eroica indifferenza aspettate voi altri di sentire cosa dovrete poi fare. Oh come mi dispiace e mi affligge questa perdita che fareto non andando più a Genova, perchè sono sicura che non vi andrete, non è vero? Io ne sarei desolata se mi diceste, addio, noi andiamo a Genova. Sebbene, grazie a Dio, sembri che il cholera nè si avanzi, nè faccia grande strage in Italia, pure l' andare a cercarlo mi sembrerebbe una grande stravaganza, e sino ad ora la famiglia Brighenti non mi ha mai mostrato di essere stravagante.

Ti compatisco assai, Nina cara, nel dolore o nella rabbia che ti fa provare il viaggetto del signorino colla Marchesina. Certo questo dolore e questa rabbia trapela da tutti i pori della tua lettera, sebbene tu abbia voluto nasconderla e velarla meglio che potevi, ed io vorrei che fosse più nascosta e più velata, anzi vorrei che tu non provassi affatto questo sentimento e nessun altro che gli somigliasse. Io vorrei che questi uomini, poi che li abbiamo bene conosciuti, cessassero di annoiarci, già noi campiamo bene senza di essi; e quando non hanno saputo inspirarci nè amore nè stima, perchè esser sempre soggetti alle loro smorfie?

Nina mia, lascia andare il tuo inamidato, e non mostrargli, per carità, quello che hai mostrato a me, che ti è dispiaciuto il suo viaggio in campagna. Già io non so cosa mi dica: ho la testa smarrita, chè uno spaventoso temporale oggi ne ha riempiti di spavento e di terrore, e sono piena di paura che si ripeta domani.

Oh non vi è un giorno sereno, non vi è un giorno in cui poter dire: oggi sono stata felice!

Mi chiedi nuove dell' opera di Sinigaglia; mi dice mio fratello, ch' è stato colà, che non vi era maggior tormento dell' andare in teatro e starvi cinque o sei ore nelle quali non si provava altro momento di piacere che quando cantava Donzelli. La Palazzeri non gli è piaciuta, la Ferlotti poco. Anche da noi ha fatto gran sensazione la macchina infernale, e mi dispiace che sia italiano quegli che ha mostrato di avere un cuore di tigre, un animo perverso e scellerato al di là di ogni termine. Nina mia, che brutta bestia è l' uomo!… e qui vorrei dire tante cose, ma invece ti dico addio! Abbracciami la mia Marianna ed ubbidiscile quando essa ti dice di scrivermi. Salutami papà e mamà e ricordati di volermi sempre bene.

Hai veduto mai i baffi di Canosa?

16 ottobre (1835)

Nina mia,

Finalmente l' avete fatta! Non potete credere quanto mi abbia fatto rabbia il sentirvi a Genova, o miei cari. Iddio vi protegga! ma io mi sento una grande afflizione.

Ti ringrazio, o cara Nina, della premura che hai avuta di scrivermi, e di raccontarmi tante cose di voi altri, tutte a me carissime. Certo, avrei riso assai nel sentirvi partite per l' altro mondo: Oh! vi sarebbe qui materia di un quolibet, parlando della vostra andata costì; ma non è questa materia su cui mi piaccia di scherzare. Marianna mi diceva tanto male di Clorinda perchè andava all' Avana, e poi voleva tenerle dietro, oh che briccona! Poco dopo che la compagnia di cantanti s' imbarcò a Livorno per l' Avana, qua da noi corse voce che quel bastimento erasi affondato, ed erano periti tutti meno Clorinda; sarebbe stata una disgrazia orribile. Spero che le cose vostre andranno benone costì, non è vero? La musica dell' Elisa e Claudio non dovrebbe dar molto fastidio alla mia amica. Per riconciliarmi con questa musica bisognerebbe che la sentissi cantare dalla mia amica. Non che non mi sembri cara, ma la ho sentita non solo a sazietà ma a nausea, e la so a mente come so il pater noster. E il povero Bellini? oh che disgrazia immensa! credo che Marianna avrà pianto come la Malibran, essa che lo conosce anche di persona. Povero giovine! la sua morte viene compianta da tutti universalmente, ed io feci un grido di dolore al sentirne la prima nuova, e sempre quel pensiero mi fa sospirare.

Di a Marianna che ho fame; fame dei suoi caratteri, i quali da luglio in poi non son più venuti. Abbracciami assai quella carissima giovine e dille ch' io l' amo sempre con parzialissimo affetto e con vivissima tenerezza.

Salutami papà, e tu, Ninetta mia, non ti scordare di me, ma amami come ti ama la tua Marianna Corsetti.

11 novembre (1835)

Mia carissima,

Veramente ho combattuto molti e molti giorni tra me stessa prima di prendere la penna, ed ora che l' ho presa sono per anco nell' incertezza e nel dubbio medesimo, vale a dire ch' io non so se faccio bene, non so se faccio male. Nè è già perchè io dubiti di te, o cara, e non abbia una piena intera fiducia nell' amor tuo e nella tua bontà, ma l' irresoluzione e il non saper volere fermamente una cosa fanno sempre il tormento dei miei giorni; e perciò parlandoti ora di questo mio interesse, ed ora implorando ancora l' aiuto tuo e di papà, son pronta a deferire pienamente a quei consigli che da sì care e buone persone mi verran dati.

Scrissi a Nina giorni sono che mi era stato fatto vedere possibile uno stabilimento in Bologna: ora ecco come sta la cosa. Una mia amica di Pesaro mi scrisse nell' agosto passato, sapere essa esservi a Bologna un tale (non posso dire signore), dottore ed avvocato in legge, ricco di 4 in 5 mila scudi di entrata, di 50 anni, religiosa e brava persona, vedovo da pochi mesi della contessa Muzzarelli di Ferrara, senza figli, il quale cerca moglie, e bramerebbe una signora senza curarsi di molta dote.

Altre particolarità e ragguagli mi dava questa mia amica, e mi diceva che s' io vi acconsentiva andava tosto a scrivere a Bologna ad un suo amico, per entrare in discorso con quel sig. avvocato (il quale non fa più l' avvocato ma bensi ha un impiego ch' essa non mi ha voluto dire), e sentire se poteva esservi principio di trattativa; il che essa ha fatto. Due mesi dopo la prima sua lettera mi scriveva che quel suo amico non le aveva per anco risposto, e che perciò tornava a scrivergli; poi non ho saputo altro. Ora che le cose finiscano così non è troppo naturale: nè io posso dubitare della affezione e premura della mia amica, la quale senza alcuno stimolo ha voluto pensare ad una cosa ch' io non le aveva mai nominata; ma, o è poca premura del suo amico, o anche egli ha veduto che l' affare non potrebbe combinarsi. In ogni modo io avrei da saperne la fine, e non mi dispererei certo per nessun caso negativo.

Ma, ho detto tra me stessa, non potrebb'essere che Brighenti forse amico di questo sig. avvocato, o pure di qualche suo amico? e se è cosi, non farei bene a metter quest' affare nelle mani sue, ed affidarlo al suo buon cuore e alla sua prudenza? Io non so se valga la pena di cangiar posizione a quest' ora; certo ci penserei assai assai con un partito che offerisse meno bella prospettiva di questo (chè il solo venire a Bologna mi farebbe girar la testa), poi avrei da penare crudelmente per ottenere l' assenso di papà (quello di mamà già l' ho avuto), e per ottenere ch' ei non guastasse tutto invece di accomodare, cosa in cui non sono affatto sicura di riuscire, per tutto questo non so se sia conveniente l' entamer questo discorso, mentre poi da un' altra parte mi piacerebbe assai se l' affare riuscisse. Io mi rimetto però intieramente ai consigli tuoi e di papà tuo: egli sa bene come regolarsi, e quando egli mi dica ch' io non pensi più a questo, allora non vi penserò più davvero.

Vedi, Marianna mia, s' io faccio conto di te, e se ho il menomo dubbio sulla tua affezione e dei tuoi. Ora che ti ho detto tutto, mi pare di esser più libera, io mi sentiva stanca di pensar sempre qui senza mai decidermi. È un pezzo che non mi dai più le tue nuove, mia carissima; ancora non so dove passerai il carnevale, io spero in qualche brillante capitale.

Addio addio, abbraccia per me la cara Nina, e salutami tanto papà, cui se debbo dire qualche parola di scusa, la dirai tu a nome mio. Addio con tutta l' anima.

19 Novembre (1835)

Cara Marianna,

Due righe sole per ringraziarti il più teneramente ch' io possa della bontà e dell' affezione tua che non ti ha permesso di lasciarmi un momento senza risposta. Sì, care e dolcissime anime! io già era certa di aver posto tutto il mio amore in persone di cuore eccellente, e di animo perfetto, si, io era certa di non avere sperato invano quando sperava di ottenere per mezzo vostro consigli e aiuto. Se il cuor mio sia altamente commosso per tanta bontà, è inutile ch'io lo dica:—ma certo il mio amore per te, o Marianna mia, la vivissima mia affezione per tutti i tuoi, il mio rispetto pel papà tuo, contano già più e più anni. Leggo e rileggo la tua lettera, e le parole del papà, e le vado meditando e vado consultando me stessa… e trovo un grandissimo desiderio di cangiar posizione, una smania, un presentimento di piacere ineffabile all' idea di gittarmi una volta tra le tue braccia, di giungere pure a conoscere tante care ed amate persone… ma vorrei che tutto ciò si potesse fare (se pur fosse possibile) senza diventar moglie di alcuno. All' età mia molti e molti velì son caduti dagli occhi, e se, quando Giacomo celebrava anzi illustrava co' suoi versi il mio imminente matrimonio, io gli andava incontro senza un' eccessiva festa, figurati con quanto tremore debba farlo adesso. Se fosse meno pesante la catena ch' io porto, oh certo allora io morirei col solo mio nome; ma quello ch' è troppo è troppo! Perciò, se le informazioni che mi darai saran buone, se Iddio mi aiuterà, mi preparerò a questo nuovo stato senza pensare ad altro e rimettendomi alle cure della Provvidenza.

Le tue parole mi hanno riconciliato colla Pasta, chè io le avea perduto l' antico buon concetto vedendo che quest' anno costì non faccia furore. Ma vedo che ne sei innamorata, e perciò adesso mi metto a difenderla con chi ne dice male. Un mio cugino venuto costì nell' ottobre passato, e sentitala nella Norma e nella seconda opera che non piacque, dice che non val niente, ed io gli credeva, ma ora gli dico che non capisce niente, e che tu non isbagli certo.

Dunque vai a Novara? oh ne son contenta, chè sono sicura che ti accoglieranno con gran festa e con grande amore. Ti raccomando l'antica tua abitazione alla porta che conduce a Torino e ti raccomando di rammentare alla tua donna che non chiuda le finestre se non a notte fatta, onde non toglierti presto la bellissima vista del Sempione.

Addio, mia diletta. Infiniti saluti a tutti i tuoi, e tanti baci a Nina, la quale spero già guarita dal suo male alle orecchie. Addio addio. L' amor mio e la mia tenerezza ti seguiranno sempre ovunque: tu sarai sempre per me cosa preziosa.

26 novembre (1835)

Mia carissima,

lo andava preparandomi per venire costì e per godere dell' ineffabile consolazione di pure una volta vederti ed abbracciarti; io mi preparava… ma ora che mi dici non ti vogliamo, addio, miei cari! non ci vedremo più.

Io credeva che piovesse ma non che diluviasse, secondo quello che dice un proverbio: credea di dovere ingoiare molte cose amare, ma non tante poi. Certo, io non son fatta per levarmi di notte a spegnere i lumi; non per esser moglie di un ex-mastro di casa. Grazie sieno adunque rendute a te, o mia diletta, grazie sieno rendute all' ottimo papà tuo, a tutti voi, miei cari, che avete avuto tanta bontà per me e con tanta sollecitudine mi avete levato questo pensiero di capo, e mi avete messo l' animo in pace, chè, sempre la mente mia andava lì, e mi teneva incerta e sospesa. Pochi momenti prima di ricevere la tua (che per una combinazione mi è venuta due giorni dopo giunta) ebbi lettera dalla mia amica di Pesaro la quale mi diceva queste parole. «Scrissi poco fa a Bologna perchè mi richiesero di tue informazioni che detti, puoi credere, per la verità come meriti: fino ad ora però non mi è venuto altro riscontro», ora io non le dico nulla, ma se il discorso riprendesse fiato, lo troncherò io immantinente. Essa mi aveva però annunziato esser questo signore molto economo e quasi spilorcio, cioè amare che in casa sua non si sciupasse, e che in questo non andava troppo daccordo colla moglie sua; se la mia amica sapesse poi tutto quello che tu mi dici; io nol saprei, mi par di vedere ch' essa lo supponga molto conveniente a me.

E mi par di vedere ancora che tu abbi più buona opinione di me di quello ch' io meriti, poichè quando parli di una giovine nobile ricca, educata, gentile, di talento, oh mi pare che non parli di me certo. Io bramo col più vivo ardore di conoscerti, di esprimerti una volta a viva voce quanto immensamente ti ami, e per quanto cara cosa io ti tenga, pure, le tante e tante volte penso che mi coverrebbe di raffrenar questo ardore quando io non volessi scapitare nell' amor tuo, quando non volessi espormi a farti cangiare affatto opinione di me, cosa che accadrebbe certo e accadrà qualora noi c' incontriamo un giorno. La bontà tua, l'eccellente tuo cuore ti fanno vedere in me qualità ch' io non posseggo punto, la lontananza poi ti fa credere ancora ch' io sia ricca, e qui immaginati di sentire un sospiro, e ne capirai bene il senso. Con tutte queste qualità negative che tu puoi pur credere ch' io posseggo veramente, mi sento non di meno più che mai difficoltà e ripugnanza nel fare un matrimonio che non mi convenisse perfettamente, vale a dire nel prendere per marito uno che non mi facesse arrossire ogni momento, che non mi facesse pentire di continuo di aver preso il suo nome, e questo per le qualità morali, chè per le fisiche e le estrinseche sarei ancora molto esigente. Vedi adunque quanta probabilità vi sia ch' io mi mariti. Ma io non mi accorgo, o me ne accorgo soltanto troppo tardi che ti annoio da lungo tempo, te ne chiedo perdono, o mia carissima; già tu sei tanto e tanto buona! Mi raccomando a te onde papà tuo sappia quanto io gli son grata di quanto egli ha fatto per me, ma digli ancora ch' io contava pienamente sulla perfetta amicizia di sì care persone, alle quali non posso promettere di non le avere ad incomodare tutte le volte ch' io avrò bisogno di loro.

Addio, mia cara ed amatissima! lascia che con affettuosissimo abbraccio ti esprima tutta la vivacità dell' amor mio e della mia tenerezza.

Salutami mamà e bacia Nina per me, già prima di partire per Novara mi farai rivedere i tuoi caratteri, non è vero?

7 lugtio (1836)

Marianna mia,

Ieri fu un giorno di vera festa per me, festa tanto desiderata e sospirata che non ne potea più. Oh come mi giunse cara la carissima tua lettera, oh come me la strinsi al cuore, come la baciai, come avrei voluto baciar te, o mia diletta, e la cara Nini! E mi pareva leggendo le tue parole aver notizie di mia famiglia, da cui era divisa da tanto tempo, e da tanta immensità di spazio. Quando ricevei l' ultima tua di Vicenza in cui mi annunziavi la prossima tua partenza per costì, detti in uno sbotto di pianto e non vi era cosa che valesse a consolarmi al pensare che il mare ne dividerebbe, al pensare che i miei cari andavano a fare una navigazione nel tempo più procelloso dell'anno al pensar ch'io dovea stare in una incertezza orribile una infinità di giorni. Poi ogni vento che soffiava (e ne soffiarono grossi assai) io palpitava e piangeva per voi, care anime, e vi raccomandava a Dio, non potendo fare altro di meglio. Ora poi ho inorridito al racconto che mi fai di quanto hai sofferto nella traversata, e inorridisco al pensar che ti ci esporrai di nuovo. O Marianna mia, che vita è mai quella di questo mondo! Ei pare impossibile di poter reggere a tanto dolore, a tante angoscie, e pure si vive soffrendo sempre mali crudeli, chi di animo e chi di corpo, e questi sono spesso più sopportabili di quelli.

Giorni sono, passò per qui il nuovo nunzio alla Nuova Granata: se sapessi quanto io lo invidiava! Nei miei secoli di ozio e di noia mi andava figurando di andar con lui, e non puoi immaginarti quanto quel sogno mi deliziasse. Nè il mare mi spaventava punto, oh no, chè ho bisogno grande di emozioni forti, ho bisogno estremo, furioso di veder cose nuove, di respirare un' aria diversa da questa essicatrice di polmoni. Figurati se sarei venuta volentieri teco; figurati se t'invidio poco! ma se vorrei passare il mare io, non vorrei che lo passasse neppure una delle persone che mi son care, neppure uno della famiglia Brighenti, e mi vado consolando col pensiero che forse passerai per terra (ridi?). Sei tanto ricca!

Puoi credere se mi han fatto piacere le notizie dei tuoi affari teatrali. Iddio ti consola e ti esaudisce, perchè sei così buona, e non ti stanchi mai di esserlo in mezzo a tante occasioni; e mi dispiace che non canterai il carnevale, e che ne sentirai danno. Ma non si può rimediare? Mi scrivevi ch' io avrei avute notizie di te da Mammina tua o da un tale di Bologna, e non le ho avute mai; figurati quanto dolore ne provava, e quanto mi stava fitto in mente il pensiero di te. dei tuoi, di papà tuo, di voi tutti cui voglio tanto bene. È meglio che stiate lontani da questa nostra Italia, ora che Iddio permette che il cholera vi faccia strage grande. Quest' anno il governo austriaco non permette che le gazzette ne parlino, e le gazzette tacciono; ma da lettere particolari si sa che nell' alta Italia infierisce; p. e. scrive Coloredo da Udine che colà è un lutto grande, e così è a Brescia ecc. Anche a Milano vi è cholera e noi abbiamo i giornaletti di mode senza alcun segno di fumigazione, così lasciano ognuno alla Provvidenza divina. Quando tornerai in Italia chi sa se la tua Paolina sarà più viva: ma se n'è dato nell' altra vita di pensare con amore a quelle persone che abbiamo amato in questa, oh sii certa che tu sarai sempre la mia diletta.

Come vedi questa lettera non è troppo lieta, eppure la tua mi ha fatto tanto bene! Oh quanto volentieri piangerei sul tuo seno, o Marianna mia! piangerei la mia vita inutile, piangerei i miei pensieri, i miei vani banchè innocenti desideri!… Ti rallegrerai dunque se non mi troverai più in Italia, chè avrò finito allora di desiderare, e prega allora per me acciò la terra mi sia leggiera come dicono i poeti, o piuttosto perchè Iddio mi accolga nel beato suo seno.

Tu sarai già annoiata di me, io lo credo bene; ma non lo sono però io di discorrer teco. E tanto tempo che non ti ho detto più io ti amo, è tanto tempo che sospirava di dirtelo, a te e a ognuno dei tuoi!

Oh perdonami se ti ho annoiata, chè non lo farò più.

Ninetta piange la patria, o gli amici lasciati in patria? Baciami questa cara ragazza, e non me la lasciare in Portogallo, per carità! Addio, mia diletta, col più grande amore e con ineffabile tenerezza ti bacio e ti abbraccio mille e mille volte.

Un foglio inglese ha detto che la natura non ha messo mai una tal mole di carne intorno ad una donna dell' età di donna Maria, come a donna Maria; che la vedova di Don Pedro è bella sopra tutte le donne ecc. che il principe era melanconico il momento dello sposalizio, ch' egli è molto bel giovinotto ecc., tutte cose che tu sai meglio di me.

Se sapessi quanto mi fa pena il leggere nelle gazzette che gli affari di costì vanno male assai, le finanze a rotta di collo ecc! ma tu dici che si vive bene, e mi consolo.

Sai che Giulia Cresì si è maritata a Londra con un Francese, e perchè non saprò io che la Brighenti si è maritata a Lisbona con un portoghese?

2 Febbraio (1837).

Marianna mia,

È vero che ricevetti la tua del 27 agosto, ed è vero che non vi risposi, perchè le cose stavano per cangiarsi costì, poi si cangiarono, poi vidi che saresti andata in Oporto e non sapeva quando, sicchè io smaniava di dirti che non ti dimentico mai mai, che penso sempre a te con grandissimo affetto e con dolore vivissimo, chè la tua lontananza mi fa tanto male! Oh non puoi credere quanto mi affligga questo pensiero, e il vedere la diletta tua immagine al di là dei mari, ove io non posso raggiungerti, nè le mie braccia possono stringerti al mio seno! Immagina dunque quanto mi abbia rattristata il sentire che non tornerai per lungo tempo, io sperava che nella primavera saresti di ritorno fra noi; ora chi sa quando mai sarà! Ma se tu stai bene assieme con tutti i tuoi, se gli affari ti vanno bene, se tu sei quieta e tranquilla, guardandoti cautamente dal mondo che ovunque è tanto cattivo, io sarò contenta, e starò aspettando che un vento propizio ti conduca in Italia ove pure potrò sperare di vederti una volta prima di morire, e prima che tu ti stanchi della tua vita girovaga. Ma quanto mai invidio questa tua vita! Davvero ora vedo bene che tutto è vanità a questo mondo come a' tempi di Salomone, e per questo se potessi mettermi in un legno di posta, e girare tutto il mondo (scendendo qualche volta per prender posto su qualche bastimento) per quei pochi anni che mi restano a vivere, vivendo sempre sola, e vedendo, vedendo sempre sempre le bellezze e le bruttezze della natura, oh allora sì che sarei felice. Perchè, non puoi credere quanto mi abbia tormentata sempre il pensiero che vi sia qualche cosa a questo mondo ch' io non vedrò mai! e se queste cose poi sono belle, belle assai, come le ghiacciaie della Svizzera, il cielo di Napoli, un' aurora boreale e Pietroburgo, immagina quanto devo penare io che non posso arrivare ancora a vedere tutti i bei punti di vista di questo mio villaggio, che non sono pochi, e quanto soffro nel reprimere i palpiti del mio cuore e gli slanci della mia immaginazione tutte le volte che m' incontro a leggere dettagli di viaggi, descrizioni di luoghi ameni, e allora piango e gitto via il libro, poi non so darmi pace di questo triste mio stato, e di questa vita monotona e uniforme da morire. E sempre più invidio la sorte dei contadini, ai quali la loro testa non dà punto tormento come la nostra a noi, che ne fa passare tutti i giorni pieni di desiderii ardenti che non giungeranno mai a realizzarsi. Ma perchè ti vado parlando dei miei delirii, e non parlo di te, di te, mia carissima, ch' io vorrei veder lieta e felice quanto lo meriti per le rare tue virtù, per la tua bontà angelica? Oh lascia ch' io ti abbracci e ti stringa tenerissimamente al mio cuore, e questo cuore ti dica quanto mai gli sei cara, quanto mai egli ti ami.

Noi abbiamo un inverno mitissimo, direi un caro inverno, se queste due voci potessero stare insieme. Credo che non potrai dire lo stesso di costì, chè si leggono cose grosse del freddo della Spagna e di altrove. Il Cholera ci è stato vicinissimo, quasi nel nostro territorio, contiguo ad alcuni nostri poderi; pure la misericordia divina e Maria S. S. ce ne hanno preseverati, ma abbiano passato dei giorni tristi assai. Tutti di mia famiglia stanno bene, e Giacomo che si è lasciato chiudere dal cholera a Napoli forma il nostro dolore continuo. È andato in villa e viene scrivendo, ma di rado: Iddio ne aiuti! Non dubito affatto che anche tu avrai pianto sulla morte della povera Malibran: povera donna, quanti sospiri, quanti regrets ha cagionato quella improvvisa morte! Marianna mia, salutami caramente il papà tuo, abbracciami Nina, e non ti scordare della tua Paolina la quale non si scorderà mai di te, della cara ed amata tua famiglia ch' io considero da gran tempo come parte della mia. Addio dunque, miei cari!

1 luglio (1837)

Piangendo e delirando pel dolore vengo a gittarmi tra le tue braccia: o Marianna mia, vengo ad esser a parte del dolor tuo, di quello di tutti voi, miei cari amici, ora che una disgrazia orribile ne ha colpito.

Certo, io non trovo parole da esprimere il mio dolore, nè la mano può scrivere il nome di quella cara persona che abbiamo perduto, di quell' angelo che non è più in questa terra, del nostro Giacomo!

Oh Marianna mia, cosa è mai questa vita! di quanta angoscia è capace il cuore umano senza che cagioni la morte!—Almeno si morisse di dolore! andavamo dicendo noi nel ricevere quella desolante notizia—la quale poi ci venne mentre noi eravamo oggetto a tutti di compasione, e nella nostra casa succedevano scene di lutto, di desolazione ineffabile per una terribile disgrazia da cui venivamo minacciati, e dalla quale la misericordia infinita di Dio ci ha poi liberati—allora si empì il paese di tal notizia, e tutti rifuggivano dal darcela, anche chi era espressamente incaricato: finalmente il povero papà se la lesse egli stesso giuntagli per la posta. Oh piangiamo insieme, amici miei, piangiamo insieme, che abbiamo perduto tutti il nostro fratello, il nostro amico, nè lo rivedremo più in questo mondo dopo tanta speranza, dopo tanto desiderio. Io ne metteva da parte da lungo tempo tante cose a dirgli, tante altre da dimandargli, io che pensava sempre a quel primo momento in cui lo avrei riveduto, e alla dolcissima emozione che ne avrei provata, io che son rimasta quasi sola, perchè quella era l' unica mia compagnia ch' io avessi ad ogni ora, ad ogni istante— ah soltanto Iddio può vedere la misura della desolazione in cui sono, ed egli solo può consolarla richiamandomi a lui, eve anelo incessantemente.

Ed il povero Ranieri, oh se lo sentiste! Iddio voglia conservarlo in mezzo a tanta strage che il cholera fa a Napoli; ma noi tremiamo che soccomba a tanto suo dolore e a tanta fierezza di male.

Già ha promesso di scriverci, e non scrive, ah, poveri noi! La notte del 15 Giugno «quell' angelo, il quale Iddio ha chiamato alla sua eterna pace, ha fatto la più dolce, la più santa, la più serena e tranquilla morte» così scrive Ranieri. Dacchè si è parlato di cholera a Napoli noi non abbiamo avuto più calma, e sempre quell' orrido pensiero ci tormentava e ci toglieva la pace—eppure non è morto di cholera, ma d' idropisia di petto «Iddio ha conceduto a tanto mio affetto; dice Ranieri, a tante mie lagrime, a tanta santità di amicizia, il ritrovare un modo di salvarne il corpo di quel grande uomo dall' esser confuso con tutti i morti di cholera e portato nel Campo Santo. Ma vincendo mille pericoli e mille ostacoli è stato portato nella chiesa di S. Vitale di là della Grotta di Pozzuoli, non lungi dai sepolcri di Virgiglio e di Sannazzaro». Ma chi ci ridarà la pace, Marianna mia, chi potrà guarire questa piaga orribile poveri noi! ogni riso è finito, non vi è più giocondità, non allegria, la mano del Signore si è aggravata sopra di noi e noi non possiamo morire!

Perdonami, o mia diletta, tanto dolore, tanta desolazione, perdona alla tua amica se da lungo tempo non ti ha scritto ma era tanto afflitta e malinconica che non voleva affiggere anche te coi suoi lamenti—ed ora son venuta a piangere teco, a confondere le nostre lagrime, a chiederti preghiere e suffragi per quella cara anima cui speriamo tutti di rivedere un giorno in luogo ove non saranno più pianti, ma consolazione eterna. Dammi nuove di te, dei cari tuoi, dei tuoi affari, ah perchè sei così lontana! che pensiero desolante è anche questo per me! Se tu fossi ora a Bologna conosceresti a momenti un mio fratello, l' unico che abbiamo in casa, (1) Pier Francesco. Monaldo s'indusse a lasciarlo viaggiare perchè guarisse da una forte passione amorosa alla quale il vecchio conte, questa volta con ragione, si opponeva risolutamente. È a codesta passione che allude Paolina in questa lettera stessa quando parla di scene di desolazione e di lutto e d' una grave disgrazia che minacciava la sua casa. che va un poco a divertirsi, o per dir meglio a divagarsi, andrà a portare i miei saluti alla mamma tua a Modena e a chiederle le tue nuove delle quali sono veramente smaniosa—Marianna mia, se una tenerissima amicizia non unisse le nostre anime, questa sarebbe una lettera molto sciocca, e sarebbe più sciocca cosa ancora il mandarla si da lungi—ma tu non sei mia sorella?—e il caro papà tuo non era il migliore amico di mio fratello? Io bacio adunque la mano di questo amico, e abbraccio piangendo le mie dilette sorelle, cercando consolazione e riposo nel loro seno, nella tenerezza loro.

24 agosto (1837)

Marianna mia,

Ho ricevuto la lettera di Nina, e tre giorni dopo la tua, la quale ho posta sul mio cuore, su questo addolorato e ferito cuore cui vorrei stringere tutti voi altri, miei carissimi, benchè piangendo, benchè singhiozzando. Io già sapeva di recare a voi una ferita insanabile con quella crudele mia lettera; io già sapeva che avressimo pianto insieme, e che le nostre lagrime non saranno mai per asciugarsi, e sapeva ancora che non mi avresti detto parole di consolazione, perchè non ve ne sono. Ma la tua carissima mi fece bene, perchè sempre più mi mostrò quanto mai era amato il diletto nostro fratello, quanto immenso desiderio lascia di sè, quanto dolore quante lagrime amarissime eccita la sua perdita. O Marianna mia, io non trovo pace ancora, nè mi pare che mai troverolla; sempre quel pensiero mi è fitto in mente, sempre sempre. Qualche volta mi pare un sogno, mi pare cosa impossibile che dopo aver passato sette anni nella speranza di rivedere in ognuno di essi il mio caro Muccio, non debba vederlo più, mai più a questo mondo! che pensando sempre a lui, vedendo sempre la cara sua immagine, io non possa sentir più la sua voce, non possa nemmeno dargli l' ultimo addio. Oh le mie lagrime scorrono a torrenti, e il mio cuore si spezza dal dolore! Per compiacere a Ranieri ho dovuto ricercare tra le sue carte rimaste a noi; tu non puoi mai figurarti il mio penare. Fra i pianti e gli urli io scorreva quei cari caratteri, poi rimetteva ogni cosa al suo luogo, precisamente com' egli le aveva lasciate, chè mi pareva ch' ei dovesse tornare e voleva che trovasse a suo luogo ogni cosa, avondone lasciate le chiavi a mo, e sperando che fosse contento della mia esattezza, poi io mi svegliava e mi dava pugni nella fronte per quell' orribile pensiero che tutto è già finito, e per quell' inganno che per un momento mi aveva trattenuta.

Perchê non ti posso far leggere le lettere di Ranieri, di quel povero Ranieri, che noi amiamo come nostro figlio, come nostro fratello, il quale è rimasto solo, e dice che non può vivere, e che anzi ha un presentimento certo di dover presto morire? Oh quanto mai egli è infelice! Ma almeno egli ha raccolto le sue ultime parole, e le sue sorelle hanno fatto quell' uffizio che doveva far io, io che in quella notte ch' egli parti l' ultima volta da noi lo salutai e l' abbracciai in quell'ultimo momento in cui egli montava in legno dicendogli in pianto: caro Muccio mio a rivederci! poi tornava in camera senza che il cuore mi dicesse ch' io l' aveva veduto per l' ultima volta. E quel non poter baciare nemmeno quel sasso che lo cuopre, quel non poter pregare su quella tomba adorata, come facciamo per quell' altro angelo che abbiamo perduto e piangiamo ogni giorno, ogni momento, oh che desolazione, Marianna mia, che pene di morte! E come mai potrà esservi più pace per noi, e come potremo formare altro desiderio se non che Iddio si degni accoglierci nel santo suo seno, e riunirci a quei cari oggetti che non ci sarà dato di veder più su questa terra? Eran parole di Ranieri quelle stampate sul giornale napolitano (non ricordo quale) e ne promette delle altre, e per questo ha dimandato a noi notizie, e noi piangendo le abbiamo raccolte da un pozzo, e glie le abbiamo mandate, ma è un pezzo che non scrive e quel tremendo cholera ne fa sempre palpitare. Adesso il cholera è in Roma: Iddio ci aiuti!

Se lo scriverci ti è grato, se lo sfogarti con noi ti solleva, scrivici: ecco le tue parole: ora vedi se ho fede in te, se ho fede in voi, miei cari amici, i quali vorrei pure una volta sapere in Italia, e allora oh allora, se il caso vi porta da queste parti, non in sogno solamente potrò abbracciarvi, e dirvi più che nol può questa fredda carta quanto mai mi siete cari, quanto mai questo ardente mio cuore vi ama.

E se Nina si lamenta di me, e mi chiama cattiva perchè non le dico parola, io dico ch' è cattiva essa e non io, perchè la sua lettera mi recò consolazione grande, perchè io bacio lei assieme con te, o mia diletta, perchè vi stringo tutti al mio seno con tenerezza ineffabile.

Se non ti dicessi parola degli affari tuoi, forse ti sembrerebbe ch' io non pensassi a te, o non mi stessero a cuore. Ma vieni in Italia, o mia cara, vieni tra noi! non vedi che quel clima ardente ti fa male? Io sto in pena per te, per papà, oh vieni, fa che la pazienza ti scappi. Già da un pezzo è scappata a noi che non vediamo mai la fine di cotesta interminabile guerra. Povera Spagna, com' è crudelmente straziata! Tu racconti le cose come le contano i fogli, ma io sono stufa, e lo sarei anche più, se i miei amici non fossero costì, di leggere quelle date di guerra civile. A Dios, mi querida, yo te abrazo con mucha aficion.

… Giugno (1838)

Mia carissima,

Fu la mattina di Pentecoste, passeggiando sotto i viali del nostro giardino, ch' io respirai più liberamente e resi grazie a Dio nel leggere che feci nel giornale di Bologna il vostro arrivo costì. O miei cari, io vi abbraccio tutti con lagrime di gioia e di vera esultanza, io vi stringo tutti al mio cuore, a questo cuore che si doleva tanto della vostra sì lunga assenza, e che ora è tanto lieto e si sente tanto felice nel sentire che avete fatto prosperamente un viaggio così lungo e disastroso.

Oggi (mercoledi) ricevo la cara vostra, e mi affretto a risponderti, Marianna mia, per dirti che non ho lasciato mai di amarti, di pensare a te, di dolermi per un si languido commercio epistolare, di far voti per la felicità di voi tutti e pel vostro felice ritorno. Ed ora che il cielo ha esaudito questi miei fervidi desideri, ora che vi sento tutti lieti dell' aver riveduta la mamma e questa nostra Italia, anch' io son lieta ed esco dal mio stato di abituale melanconia e mi sento intorno un certo ben essere non più sentito da gran tempo. Al leggere nella tua lettera ch' eri vicina a non venir più, ch' eri vicina ad andare in America, mi si stringeva il cuore e io voltava tosto la lettera per veder di nuovo la marca del soprascritto, e diceva: Qui pur dice Bologna! e mi tranquillizzava: e mi consolo colla speranza che tu abbi bisogno di riposo, e di molto riposo dopo tante fatiche e tanti viaggi e sentirai il bisogno del dolce far niente degli Italiani. Già m' immagino che ti sarai fatta ricca non di sola fama ma ben anco di denaro, e me ne rallegro con te, e col papà tuo il quale raccoglie ora il frutto di averti fatta tanto buona e tanto brava. Mio fratello ed io non facciamo che regretter la tua assenza da Bologna in quel tempo che egli vi è stato, e vi è stato sette mesi! Eppoi non ha potuto nemmeno conoscere Mamà Brighenti, perchè nessuno seppe dirgli a Modena dov' ella si trovasse, e non sapeva ch' era in villa. Ai dieci di marzo ti scrissi a Madrid, ve lo che non ti è giunta. Cre lo che questa sia la prima lettera che si perde tra noi due in otto anni di corrispondenza, e di un' amicizia affettuosissima. In essa io diceva che la famiglia Leopardi aveva l' onore di partecipare alla famiglia Brighenti lo stabilito accasamento di un membro di essa colla contessa Ferretti di Ancona, e ti diceva altre particolarità di questo affare; ed io, che non posso narrarti cose belle di Recanati. come tu di Madrid, mi dilungava su tali particolari, mettendo a prova la tua pazienza, ed invocando ancora la tua indulgenza. E se questa carta non fosse così scellerata, e non ne fossi già al fine, ti direi come ben mi sono avveduta che il racconto ch' io ti feci dei nostri guai l' anno passato, la cui memoria vi fa fremere, non ti piacque punto, cioè non ti piacque il modo con cui riacquistammo questo caro figlio, il qual modo se non era così violento, egli era perduto per sempre, ed a quest' ora era già disperato in compagnia di una miserabile di beni di fortuna e di spirito e di corpo. Ma queste son cose assai difficili a farsi comprendere per lettera senza fare un racconto eterno, solo ti dirò che papà mio è uomo di senno e di coscienza grande, e sa bene come va operato a questo mondo. Ora il più felice di tutti noi è questo caro figlio, il quale in breve sarà consorte di una bella e virtuosa giovane, che reputa fortuna grande l' entrare in casa nostra, stante il lieve numero di scudi che porta. Marianna mia, vedi come abuso di tua bontà, dell' amor tuo. Oh abbracciami, io ne ho gran bisogno. La vita mia è sempre una morte, senza mai morire, e senza avere mai vissuto. Abbraccio la cara Nina, la quale oramai non conosco più. Chiedo al papà tuo anch' io quella benedizione che ogni sera versa sulle dilette sue figlie, e bacio e ribacio con immenso affetto la mia Marianna.

PS.—Oh perdono, perdono per questa infame carta che certo non adoperò più.

La Corradi è più viva? o la febbre gialla se l' ha divorata? Terrò sempre come cosa carissima la piccola carta dei fanciulli poveri di Madrid, tutto quello che mi vien da te, è per me cosa sacra. Il cachet della tua lettera indica che hai valicato i mari, quel cachet mi ha fatto piacere, ed io lo guardo e lo riguardo, e mi par di vedere quel vascello americano ch' io vidi non ha guari in Ancona, e che mi metteva tanta voglia d' andarmene da questo all' altro mondo.

8 Iuglio (1838)

Marianna mia,

Subito rispondo all' ultima tua. Ho parlato con Papà del desiderio di Papà tuo, e senza difficoltà acconsente di mandare il rame, il quale tutti ricordiamo essere dono di Brighenti. Solo si raccomanda che non se ne faccia sciupo onde avesse a patirne il rame; egli è rimasto intatto come ce lo mandaste, non avendone noi mai fatto tirar copie, appunto per non lasciarlo in altrui balìa, e da lungo tempo non abbiamo più nessuna figura, meno quelle nei quadri i quali ci fanno piangere appena li vediamo; sicchè se potessi in questa occasione col ritorno del rame averne qualche copia, credo che Papà ne sarebbe contento. Ora sta a te il dirmi come te lo avremo a mandare, e ti serviremo subito. Mi pare che tu non sappi come Montanari di Pesaro ha scritto l' elogio del nostro angelo (poveramente e miseramente) l' ha stampato a Roma, e l' ha ornato col ritratto, fatto dietro una copia in carta data da un mio cugino Antici. Non dubito punto la scelta di lettere del nostro Muccio fatta da Brighenti, verrà eseguita con amore e con onore, non ne dubito affatto, come non dubiterò mai del tuo virtuoso carattere, Marianna mia, delle tue angeliche qualità. Assicurati pure ch' io ti venero sempre come cosa carissima, e anche quando, non con parole, ma col silenzio ho creduto che mi manifestassi un' opinione contraria alla nostra, io accusava piuttosto la mia penna di non essersi saputa spiegare e di non esser riuscita a darti ad intendere come le cose erano veramente, anzi che accusarti di cattivo giudizio, o di giudizio men che retto, Ma lasciamo qaesto discorso che per me è penosissimo, come quello che riapre tante dolorosissime ferite, e che un lunghissimo corso di anni non mi farebbe mai dimenticare (e poi se le tue parole non bastassero a persuadermi del tuo eccellente e retto cuore, non vi è la tua vita? oh! io posso specchiarmi in quella ed arrossire, io che internamente rodo sempre il freno). Oggi non ti dico altro perchè ho fretta, prestissimo penserò a Nina, essa ti dirá qualche cosa per me. Intanto bacio ed abbraccio l' una e l' altra avec tout mon coeur (parlo in francese acciò non mi parli più in spagnuolo). Se sapessi quanto mai mi è antipatica quella lingua e quella nazione! Dopo avere imparato lo spagnuolo tanti anni, e letto Don Chisciotte e Famiano Strada, non ho più aperto un libro in quella lingua, e spero di non aprirlo più. Però in qualunque lingua mi parli sarai sempre la mia diletta, e troverai sempre in me quell' affezione vivissima che ti ho vouèe dacchè ti ho conosciuta.

Sebbene io abbia fretta, pure voglio dirti quello ch' io penso in questo punto: penso che mi pare non vero che non ci siamo vedute mai, e penso che se ci incontrassimo, tu diresti subito, questa è Paolina, come io direi questa è la mia Brighenti, non è vero? Non mi curo affatto che tu lasci il solito indirizzo alla Corsetti, anzi non lo puoi lasciare. Sebbene i miei genitori sappiano che ci scriviamo, e una volta ho letto a Mamà qualche brano di tue lettere, pure siccome le lettere della posta vanno tutte in mano a Papà, così temerei di dovere andare talvolta a cercare le mie in fondo alle sue tasche; fossi almeno sicura di trovarcele sempre! sicchè toujours alla Corsetti. Addio, miei carissimi, addio con tutta l'anima.

18 Iuglio (1838)

Nina mia,

Io ti scrivo, ma veramente non so se sei più viva, o vero se sei rimasta in qualche castello dei Pirenci rapita da quei contrabbandieri, o pure se i vezzi di qualche gentile hidalgo spagnuolo ti abbian trattenuto di là dai monti; precisamente non so cosa sei divenuta, e lo saprò soltanto che ti piaccia rispondere a questa mia. Certo è però che non ti ricordi più di una povera marchegiana la quale non ha messo mai piede fuori di casa sua, che non ha passato mai nè mari, nè monti, nè ha veduto altro che in figura un battello a vapore; certo non te ne ricordi più, altrimenti io saprei cosa ne è stato di te, saprei come hai impiegati tanti giorni di ozio, se in comporre romanzi o nel darne piuttosto il soggetto. In ogni modo spero che la tua salute sia stata sempre buona, e spero che a poco a poco ti ritornerà in memoria quella Paolina che lasciasti in Italia piena d' affezione per te e per la cara tua famiglia, e che ritroverai sempre eguale nei suoi sentimenti e negli affetti suoi. Se hai scritto romanzi, mandameli a leggere, e se non li hai scritti tu, fa che la mia Marianna faccia dono alla sua amica di quelle novelle che ha scritto essa, si in francese che in italiano, e fa che il dono sia compito col mandare gli originali e non le copie. Potete ben vedere, o miei cari, quanto prezioso dono sarebbe questo per me; tocca però a voi giudicare se ne sono degna.

Quanto mi affligge il vedere soffrire disgrazie persone tanto a me care! Oh! a questo mondo non si ha da aver mai pace, nè la virtù è pegno sicuro di felicità in questa terra. Ma fatevi cuore, amici miei, e non disperate della fortuna, la quale avete più volte veduto quanto mai sia instabile.

Già una grande consolazione avete nella vostra scambievole affezione, affezi ne che debbe versare un balsamo dolcissimo sulle vostre pene.

Spero e bramo ardentemente di sentire diminuita la pancia di Mamà: abbiatele cura, e fatele i miei complimenti,… non già alla pancia.

Tutta questa sera l' ho passata in finestra al lume dei baleni che abbarbagliavan la vista, ed al romoreggiar del tuono, priva come sono sempre di qualunque causa di emozione, mi lancio ove spero di trovarne, e io che ho gran paura dei temporali, questa sera al guizzare del fulmine in aria, palpitava un poco, ma non mi porrei certo in finestra quando il temporale è grosso o vicino, chè avrei timore che Brighenti mi tacciasse allora d' ignoranza delle leggi fisiche della natura. Ma non è questo ch' io voleva dire: voleva dire soltanto che i lampi mi avevano offeso alquanto gli occhi, i quali si ricomporranno dopo di aver dormito fino a midì e che per questo motivo dopo di avere baciato ed abbracciato con espansione grande di cuore le mie dilette Brighenti, do ad esse la buona notte, e spengo il lume.

PS.—Lessi la vita di Mozart in francese, una volta, e la ridussi in Italiano; poi ad una signora che mi chiedeva qualche cosa da fare un libretto in occasione di nozze, diedi quella, poi la censura di costì ne tolse i più piccanti pezzi e mi fece gran rabbia; la nipote di Mozart che trovavasi in Bologna ne volle copia da mio fratello, e se la portò in Germania.

9 settembre (1838)

Marianna mia,

Veramente mi par cosa curiosa il venir da te in questo momento, in cui sei in mezzo al tumulto dei divertimenti, in mezzo a feste continuate e vivacissime. Ma è detto che la mia amicizia e le mie lettere ti seguiranno ovunque volgerai i passi; a meno che non li rivolgessi all' altro mondo, come mi hai tante volte minacciata ed ove ti verrei dietro, ma di rado. Ecco dunque che ti fai sentire di nuovo in Italia, ecco dunque che riceverai grandi applausi in una lingua nella quale è gran tempo che non li hai più sentiti. Vicenza sarà ben lieta di riceverti, essa che già ti conobbe e ti ammirò e fece plauso grande. Poi ti divertirai in quest' epoca di feste coll' insolito lusso di principi che vedrai, e coi loro corteggi ed i loro seguiti; questa pure è cosa ch' io t' invidio, io che non veggo nulla, e che, inosservata vorrei pur vedere quello che vedi tu, e sentirti, oh, si, sentirti una volta dopo tanto desiderio di te. Ma la vita passa in desiderii inutili ed in speranze variissime, se pure vi è più forza di sperare o bramare. Fra questi desiderii vi sarebbe ancora di vedere le portrait di un mio amico in baffi, di un caro giovine ch' io non mi farei punto scrupolo di abbracciare posto chè ne vedessi l' originale! E non so perchè Nina non fa la collezione dei tuoi ritratti secondo i vari personaggi che vai rappresentando (essa che si occupa di pittura): e sarebbe quella una raccolta interessante, particolarmente per la tua famiglia.

Non mi dici nulla di Mamà Brighenti: spero dunque che la sia guarita, e che a ragione ora io mi rallegro con essa. Ancora non è venuto alcun avviso pel rame del mio Muccio: egli sta ai comandi tuoi. L'elogio che hai veduto nell'Omnibus non è di Ranieri? Io non lo conosco, chè l' Omnibus qua non viene.

È gran tempo che non abbiam più nuove di Ranieri, di quello ch' io riguardo come mio fratello. Voleva partir di Napoli dopo l' inverno e ce lo scrisse, poi non abbiamo saputo altro; se tu ne sai qualcosa, dimmelo.

Ricevei a suo tempo la piccante lettera della nostra Nina; quella ragazza che non ha voluto mai cantare in teatro, vuole andare pel mondo vedendo e sentendo, divertendosi a piene mani, lasciando il suo cuore a brani, ora qua ora là; scommetterei che se essa lasciasse fare la notomia di quel suo cuoricino si troverebbe non solo, che non è più pesante del cuore di un uomo, per esempio di quello di qualcuno dei suoi amanti (come han trovato adesso che il cuor della donna pesa più di quello degli uomini), ma lo troverebbero mancante di vari pezzetti, i quali se si volessero riunire tutti, converrebbe ormai fare le tour du monde. Ah! poveri noi! quando mai metterà giudizio?

Marianna mia, io ti abbraccio strettamente: con baffi o senza baffi tu sei e sarai sempre la mia diletta. Abbraccio poi Nina, e faccio piano per non sciuparle il suo abito color rosa. E Brighenti? Ho in testa il tipo della sua fisonomia, ma non so se è somigliante; ma lo saluto caramente, e raccomando a lui le mie amiche, e alle mie amiche il nostro Brighenti.

24 aprile (1839)

Mia carissima.

Cosa ti dirò per iscolparmi da tanto lungo silenzio? Ti parlerò forse della pigrizia, io che non ne ho punto? o ti dirò che mi ero scordata di te, dell' amor tuo, delle care affettuose tue parole? No, nulla di questo dirò, perchè nulla di questo è vero. Ho pensato sempre a te, e la tua ultima letterina, accolta da me quasi come accoglierei te stessa, mi passava sempre sul cuore come quella che richiedeva ch' io non stessi lungamente senza scriverti. Ma tu non mi hai giammai chiesto se eran successe, o quando succedevano le nozze di mio fratello, e per castigarti di questa tua noncuranza voglio dirti che sono imminenti; sicchè vedi che siamo stati alquanto occupati, e quando io non ho la mente libera, non son buona a scrivere. Però sono stata buona a ricordarmi sempre di te e dei tuoi, a pensare ai tuoi affari e specialmente a quel fatal giovinotto ch' io vorrei vedere un poco più lontano, ai tuoi trionfi musicali al tuo nome ch' io non vedo più nei giornali teatrali, il che m' indica che ancora non sei fissa con nessun impresario e mi dispiace il sentire che non ti puoi liberare da questa faticosa vita come speravi, e che non puoi indurre il tuo debitore a soddisfarti com' è suo dovere; sicchè vedrai altri paesi, e voleva dire altro mondo, ma no, il solo pensiero mi spaventava.

La Corradi sembra che vi si trovi assez bien, giacchè si è rifermata per altri tre anni, e manda denaro a Jesi per rinvestimento. Non ti ho dimandato mai perchè Nina non canti; una volta mi dicevi ch'essa era per montare in palco, poi vedo che la pigrizia l' ha vinta. Già, quella cara ragazza non è buona che a far l'amore, come si vede bene: studiare e faticare non lo vuole affatto; e cangia sempre i nomi dei suoi amanti e se li tira dietro, e poi se ne annoia e lascia a te la cura di risponder loro; oh! certo, questa è una bella vita! Colla sommità delle labbra ardisco appena baciare le sue gote, chè ho timore che il suo cattivo cuore corrompa il mio, e mi accosto a lei tremando. Perciò ti raccomando assaì a non istancarti di tenerle gli occhi addosso; sebbene poi, per dirla tra noi, mi pare ch' essa pure dovrebbe tener gli occhi addosso a te, e mi pare che papà Brighenti faccia male ad assentarsi per tanti giorni col pericolo di venire rimpiazzato da un altro papà, non dico di lui più diletto, ma diletto con altra dilezione; e questo è quello che mamà mia chiama sempre metter la sloppa vicino al fuoco. Povero papà! Sicchè quando giungerai al dì 27 di questo mese, e si accosterà l' ora dell' aprés dîner penserai: Ora la mia Paolina sta immersa in un mare di ricevimenti, ch'io pure chiamerei mar di noia, chè quello sarà il giorno in cui accoglieremo la sposa di mio fratello. Blessées come siamo noi a quest' ora, puoi ben immaginarti ch' io faccia voti acciò passino presto quei giorni in cui sarò condannata a vedere gente ed a sorridere, chè fra tanti che vedrò non vi è certo nessuna persona amata (nessun papà), nè mi curo più che vi sia. Questo matrimonio non è brillante per nessun conto; papà mio si è messo in tanta apprensione della cattiveria e delle esigenze donnesche, che ha studiato sommamente di evitare tutte le possibili chances di malcontento domestico, ed è andato a togliere dal Conservatorio di Ancona una giovine, di cognome illustre ma che non si era mai sognata di portare il nostro nome. Dicono che sia giovine di talento, ma già la sua educazione è mancata, come quella che è stata educata in un povero luogo; dico povero per mancanza di abili institutrici. E quando io vado sognando in piedi, penso al delirio di gioia che proverei se in mia cognata abbracciassi una, conosciuta da me ed amata come le mia Brighenti. Certo, allora non passerei le notti dormendo come faccio ora. Sicchè in quei giorni pensa sovente alla tua amica, ed essa troverà ristoro in questo pensiero. Addio, mia diletta! Abbraccio Nina Peretti e saluto teneramente i tuoi genitori: a te ripeterò quello che ti ho detto già tante volte, che sei l' anima dell' anima mia. (Credo che si dicesse anche nel cinquecento). Addio, addio.

21 giugno (1839)

Mia carissima,

Veramente è cosa meravigliosa che;, avendo avuta è già un mese una tua amorosissima, tenendoti sempre in mezzo al cuore, amandoti con tutta l' anima mia, non abbia scritto a te da sì lungo tempo. Veramente io non ti chiedo scusa, chè già la trovo nell' amor tuo e nella tua tenerezza, che mi lusingo e son certa di possedere; pure ti dirò che la venuta di questa cara creatura che abbiamo accolta per figlia, ha alquanto variato il mio sistema di vita, senza però aver variato in nessuna cosa la vivezza dei miei sentimenti per la mia amica di ormai due lustri. Essa già ti conosce e partecipa della mia affezione per te e per i tuoi; affezione tanto ben meritata e che non verrà mai meno.

Godo nel sentirti tanto ben collocata, in situazione amenissima che ti eccita a dolci pensieri, a care reminiscenze. Oh! Come vorrei venire a goderne, a sorprenderti una sera al chiaro di luna, quando la mia amica se ne va a diporto tra i boschetti o lungo le sponde del Panaro, tutta immersa nei più dolci suoi sogni! E se la sua mente si fissasse per un istante sulla sua Paolina, ed un sospiro indicasse il dispiacere di averla così lontana, quella da cui è tanto vivamente amata, un' ombra allora ti si appresserebbe, e il corpo che anima quell' ombra ti si getterebbe fra le braccia, e quando l' emozione le permettesse di parlare, eccomi, ti direbbe, son io! E allora incomincierebbe una vita che non vivo più da gran tempo, allora incomincierebbero i dolci ragionamenti, le spiegazioni, i racconti; allora dopo lunga passeggiata mi presenteresti ai tuoi lascian lo ad essi indovinare chi fosse quella che viene ad assidersi alla loro mensa come un' altra loro figlia; e già m' imm gino che papà Brighenti mi salterebbe al collo, o io prima salterei al suo, e piangeremmo insieme al ripetere un nome che sarà sempre il nostro dolore.

Ora decidi s' io appartenga ai classici o ai romantici, ma siccome questo è di poca importanza, ti dirò piuttosto: ora vedi s' io sono sempre la tua amica, se il desiderio di vederti è il mio più vivo desiderio. Al sentire che tu eri per venire a Macerata, certo il primo pensiero fu di sdegno perchè non ti vollero, (ma assicurati che tu sei troppo per quella covata di sciocchi provinciali) poi mi rappresentava il delirio di gioia che avrei provato nel vederti e ne piansi di dolore. Ora, mi pare che non pensi più a calcar le scene, ma è vero? Certo molto presto avrebbe suonato per te l' ora del riposo, ma non mi sorprende che tu il desideri. Scrivimi cosa pensi di fare, dove andrai, spirati i sei mesi della locazione del vezzoso tuo casino. Chi sa che quelle dolci aure non ispirino pensieri più miti alla nostra Nina? Chi sa che i nuovi versi del suo menestrello la rendano men severa o più indulgente? Però non so condannarla, e sono anzi certa di serbare sempre per essa come per te la più viva ammirazione.

Mio fratello e la Cleofe ti salutano caramente. Per dirti qualche cosa di essa, ti dirò che non ci potevamo imbattere in una giovine il di cui carattere maggiormente si addattasse a quello di Mamà. Buonissima e cara creatura, niente istruita o guastata dall' arte e dalla letteratura, promette di passare tranquillamente con noi i suoi giorni, sembrandole questa una fortuna cui non aveva mai sognato, e vien circondata da noi con tutta la nostra affezione, e speriamo che questo le terrà luogo di quei divertimenti, cui già essa non sembra molto inclinata, e che il nostro paese non può certo darle. Il giorno otto del mese futuro, il suo zio, arcivescovo di Fermo, verrà creato Cardinale. Ti scrivo oggi (15 di giugno) giorno della festa del Santo protettore di Recanati, poco prima di uscire pel passeggio; e son certa di non poter meglio ricomprare la noia imminente, che coll'abbracciare e baciare amorosamente te, mia diletta, e la nostra Nina. Ai cari tuoi genitori saluti infiniti, e a te anche un altro abbraccio, e addio! Vado ad immergermi nella noia dell' acconciamento.

16 ottobre (1839)

Mia carissima,

La cara tua lettera ultima io l' ho baciata e ribaciata più d' una volta, poichè come sai, essa è giunta mentre io era smaniosa di avere tue nuove, e veramente afflitta per tanto lungo silenzio. Ora, il sapere che nessuna disgrazia aveva colpito gli amici miei, e le tue dolci parole colle quali mi assicuri sempre della cara e pregiata tua amicizia, mi hanno confortato il cuore, e mi han tolta la lena di sgridarti, come veramente meritavi, e forse anche di bastonarti come ne avrei desiderio grande. Hai girato mezzo il mondo e mi hai scritto sempre; hai trovato sempre, in mezzo a tante occupazioni, il tempo da scrivere alla tua amica, e ora che godi di un dolce riposo dopo tante fatiche e tante traversie e tanti trionfi, e ora che il vedere e l' essere in mezzo a tanta bellezza della natura dovrebbe eccitarti a dolci sentimenti, non hai trovato un momento per dirmi: Paolina mia, io son viva! Questa è una cosa che mi faceva strabiliare e temere. Ora però abbraccio te e Nina e papà e mamà, e mi rallegro con tutti delle speranze che avete di una vita tranquilla, della quale la mia Marianna credo ne sia la causa principale. Dunque di teatro non se ne parla più? Sei dunque annoiata veramente, e veramente blessée anche dei trionfi tuoi e dei tuoi viaggi per mare e per terra? O pure il tuo pettorello (come dice mamà mia) è troppo affaticato, e ti si raccomanda acciò gli abbi cura? Certo, la vita tranquilla e silenziosa che ora meni, è opposta affatto alla passata tua così agitata e svariata, vita di pene e di trionfi, e per questo forse ora ti sarà più cara, e godrai del dolce far niente, che si vuol per forza attribuire a noi italiani.

Dunque nel 42 noi ci vedremo, non è vero? Benchè il termine sia ancora troppo lontano all' amor mio che smania di baciarti, e lo smania da si gran tempo, pure s' io credessi che nel 42 un legno di posta potesse mettermi un dì verso sera alla porta del tuo casino, e scendendo da quello ritrovarmi tra le braccia delle mie amiche, un tal pensiero conforterobbe tutti i momenti della mia vita, e mi toglierebbe la possibilità di mandare un solo sospiro in tutti questi mesi che dovrebbero scorrere in mezzo. Ma se le cose durano in questa guisa, non vedo che questo sogno non sia sempre un sogno.

Ora starà sul finire la tua villeggiatura, e ti porterai non so dove; e ti ricorderai nell' inverno di questa bellissima estate che hai passata, e che ancor dura; prima estate di tranquillità, nella quale sembra che il sole abbia voluto solennizzare i tuoi riposi e rallegrarli con un più vivo e più continuato splendore. L' idea però e la memoria di questa cara estate e di questo caro sole, non varrà a scemarne la noia e il dolore dell' inverno che pur troppo è assai vicino… Fra Cleofe e il canarino ti ho scritto sinora: sul tavolino di lavoro di questa cara e bella creatura, la quale pur vorrebbe anch' essa baciarti e salutare tutti i tuoi.

Credo che ti porterai a sentire Ievanoff non è vero? Addio, mia cara, ed amatissima. Se Ninì ancora è viva abbracciala per me e baciamela assai; e tu non ti scordare che con amore immenso sei amata da quella che ti chiama sempre la sua diletta.

Martedì di Pasqua (1840)

Cara Nina

Peccato che la tua lettera non mi sia giunta ieri, sabato santo, che almeno sarebbe venuta al suono delle campane, e allo sparo dei mortai, degno ricevimento di una lettera attesa da anni ed anni! Se anch' io non mi sentissi non leggermente tocca dall' istesso tuo male, oh allora non valerebbe la distanza che ne separa a smorzare la mia collera, e a non farti sentire i miei ruggiti (!) Ma … non posso parlare, e convien bene che mi freni nel giusto mio sdegno perchè anch' io ho bisogno di molta e molta indulgenza. E poi, non è vero che da quì a due giorni io debbo prender Pasqua, vale a dire, non ho da avere nel cuore il menomo risentimento secondo quanto ne avea detto il nostro predicatore nella predica della dilezione degli inimici? Dunque, ecco ch' io ti abbraccio, o cara Nina, e ti ringrazio della tua amorosa lettera, e della memoria che hai di me, e dell' amore che mi porti. Il quale amore già sai che viene pagato con altrettanto amore, e le vostre lettere giungonmi sempre grate e carissime.

Ti ringrazio poi assai della nuova che mi hai data di quanto dice il padre Curci, e dici bene che quelle sue benedette parole son fatte per riempirci di consolazione. Noi ne avemmo nuova da uno con cui parlammo reduce da Napoli, che portò di là questo libro, e poi l' abbiamo cercato a Roma e il padre Roothaan ne ha fatto dono di una copia. E siccome credo che Brighenti non l' abbia avuto in mano, e sperando gli faccia piacere il sentire quelle sue parole, le quali (mi pare) non son quelle precisamente che scrive Viani, quì a piedi le copierò, e copierò pure quel brano dal foglio di Parigi che parla di Giacomo, di cui Marianna si mostrò desiderosa. Essa capirà quanto dolore mi costa il ripetere e il leggere quelle parole, e mi compiangerà, ne sono sicura.—La Poesia in Italia—Gazz. ital. N.°ree; 78.

… Ma il poeta di cui volli parlare quasi per ultimo perchè il tengo come il primo, egli è G. Leopardi. Contemporanco di Tommaseo, esso non gli è affatto dissimile. Ma non è cristiano il Leopardi e perciò si abbandona senza contrasti, alle melanconiche sue dottrine. Giovinetto, è già di mal ferma salute… infelice, perchè non amato dal padre ch' egli d' altronde non poteva stimare. G. Leopardi accudì con ardore agli studi in cui fece rapidissimi progressi. Giunse però l' età che reca ad ognuno nuovi desiderii, nuovi pensieri, nuovi affetti, e nuove sorti, e giunsero i desiderii, i pensieri, gli affetti, ma non le sorti, chè niuna donna nè lo amò, nè consentì tampoco ad essere da lui amata. In altri paesi la vanagloria di essere unita ad un gran poeta gli avrebbe procurato una compagna, e forse l' anima sarebbe stata una volta abbellimento al corpo, e una donna avrebbe amato l' anima ed il corpo come sua veste. Non così in Italia. Ivi l' amore non va disgiunto dalla bellezza e almeno da certo vezzo delle forme che può essere inteso per bellezza. Nel Leopardi si ammirava l' ingegno, si compiangeva il destino, ma le donne non consideravano ch' ei fosse uomo, e potesse nonchè amare, essere amato. Crebbe allora l' umor tetro, crebbero i patemi, scemò la fiducia in Dio, negli uomini, in se medesimo; ma si svolse e grandeggiò mirabilmente quel genio desolato. Egli si mostra perseguitato da un aspro pensiero: perchè nasciamo? perchè si vive? perchè la morte? E perchè si piange sui cari estinti mentre la vita sarebbe stata cagione di pianto a loro stessi? Sovente quando ci parla d' amore, sembra raccontare i sogni della febbre, piuttosto che le agitazioni della vita. Ma quanto egli fosse propenso all'amore e con quanta propensione fosse destinato ad amare, il provano a parer mio le tante incantevoli strofe che pari non hanno se non nel Petrarca. Tenerezza di sensi, sublimità di pensieri, meravigliosa maestria d' arte, tali sono i pregi che fanno del Leopardi il primo di tutta la schiera dei lirici poeti… Il Reumont ha capito a meraviglia il divario che corre fra la lirica armoniosa, pura, celeste, tra la speranza, tra la soavità del Manzoni, e la poesia sconsolata, tetra, disperante e tutta desolazione del Leopardi. Dalle sue canzoni tutta appare la di lui anima nobile e generosa, ma vinta dal dubbio, atterrata dal dolore ed oppressa dalla sventura.

Ed ecco le parole del padre Curci:—Vo'darvi una notizia. Signor Gioberti, la quale vi sarà carissima certamente. Giacomo Leopardi da voi si altamente ammirato come l' ultima scintilla del genio italo-greco; e compianto non meno perchè orbo quasi al tutto di religione, in fermossi a Napoli, come sapete, e venne a morte. A quel termine il Signore gli ebbe pietà, domandò per confessarsi ed ebbe un prete Gesuita, e gli morì fra le braccia. Ho voluto toccare questo fatto sì per confortarvi di quella perdita, sì per supplire alla dimenticanza di chi scrivendone la vita, trascurò questa parte che sicuramente non ignorava, non per la qualità del ministro, chè certo non ci entrava, ma sibbene pel ricevuto sagramento: circostanza che in uomo vissuto senza religione, come era il Leopardi, era di qualche momento.

Ecco, Nina cara, quanto in mezzo alle lagrime di dolore e di consolazione ho scritto per compiacere Marianna che mi aveva chiesto l' articolo del foglio parigino, e per far vedere la poco unità o esattezza sulle righe scritte da Viani dalle quali trapela una mal celata ironia. In sostanza è da benedire e ringraziare Iddio che ha inspirato al Curci di pubblicare quelle parole che hanno riempito di giubilo l' addolorato cuore dei genitori di Giacomo e di noi tutti. Dopo di avere scritto, fin quì ho letto la cara lettera del padre Curci diretta al Rettore del Collegio di Loreto, in cui ripete quanto ha pubblicato in istampa, e che Ranieri ha voluto tener celato. Di nuovo ringrazio te e i tuoi di tanto amore. Oh! Come vorrei che gli affari vostri prendessero buona piega! Addio, addio! Mille saluti alla mia Marianna e tante cose al papà. Virginia bacia le due sorelle e al genitore non dice nulla per vergogna.

(Martedi di Pasqua). Nel foglietto di Bologna ho veduto la lettera di Brighenti ed ecco che nascono le ire di Giordani, il quale sta per iscrivere un nuovo poemio alla ristampa degli Studi giovanili.

… Aprile (1840)

Cara Marianna,

Oggi ho ricevuto la tua cara, dolcissima lettera, che tu chiami bibbia ed a cui io do un più caro nome; ed oggi (martedi santo) incomincio a risponderti, sotto l' impressione ch' essa mi ha destato. Prima di leggerla ho baciato e ribaciato quei finissimi capelli che abbelliscono il tuo capo e quello di Ninì, dall'amore di voi, mie care anime, donati a me che li serberò fra le più care memorie.

Troppo mi duole della tua indebolita salute, e del caro tuo pettorello (frase di mamà) offeso dal troppo cantare, e più me ne duole perchè ti vedo disposta al canto di nuovo. Io sperava che di teatro non se ne parlasse più, e però vedeva i tuoi affari andar benissimo e riposarti poi dai tuoi viaggi e dalle tue fatiche nella villa presso Modena. Mi fanno pena i travagli che soffre la cara tua famiglia per la malizia degli uomini, e il nome solo di lite mi spaventa; spavento lasciato in noi giustamente da tante che ne hanno i miei sostenute. Spero però che la tua avrà buon fine e lo desidero ardentemente, ma già essa ti fa danno obbligandoti a ricalcare quei luoghi ove ti verrà cinta la fronte di nuovi allori, ma che ti costeranno senza dubbio fatiche e pene.

Non vado però affatto d' accordo con te e colla tua massima di non scrivermi quando non hai che cose tristi da narrare. Non sai ch' io faccio parte di tua famiglia, e che solo per caso siamo divise, ma i nostri cuori stan sempre insieme? Non ti serva dunque mai più per iscusa un simile motivo, chè esso quasi mi fa torto. La nostra Cleofe bacia teneramente te e Ninì, e ti ringrazia delle care tue parole colle quali cerchi di confortarla a soffrire con coraggio i mali presenti alla vista di quel bene che spera. Questa cara figlia già ha passato il periodo più doloroso (meno quello del parto), ed ora si trova meglio, e non facciamo che parlare della piccola Virginia ch' essa spera dare alla luce, e ci par quasi di averla tra noitanto già le vogliamo bene. Così Iddio le accordi un parto felice, al quale io non posso pensare senza pianto, riflettendo quello che Dio disse alla prima nostra genitrice. Va bene che Ninì si consoli della perdita del Menestrello(1) Probabilmente è il poeta Antonio Peretti, che era stato amante di Annetta, e che così soleva firmarsi nelle sue lettere amorose.; egli non era degno di lei, e ciò le mostri quanto è triste la condizione nostra, che ci espone a soffrire, solamente a soffrire. Pare ch' essa se ne consoli con Petrarca, ma chi consolerà la mia Marianna, la quale ora sta sotto l' impero dell' illusione e della speranza? dico speranza di non essersi ingannata nella conoscenza di quegli che ha saputo inspirarle tanto amore.

Ma ricordati, Marianna mia, quanti falsi giudizi hai fatto di tanti ai quali la tua viva immaginazione, il tuo cuore sensibilissimo avean fatto dono di brillanti e care qualità che essi non avevano punto, ricordati dei castelli che hai fatto nella Spagna, e poi sta in guardia più che puoi, e Ninì ti consoli e ti consigli, essa che ha la mente fredda e il cuore pieno di amore per te. Oh! Non fidarti degli uomini, Marianna mia, non è questo, tempo per anime come le nostre. Divagati, fa ritratti (ma non già il suo) allontana il pensiero di lui quanto puoi, e parti presto da Forli; io voglio saperti consolata e désillusionnée. E poi aspettami a sentire Donzelli; non è vero ch' io vengo? Non è vero, come dici, che il viaggiare conviene ai signori? Non è vero che il vederti sarebbe la suprema mia felicità, quella oltre la quale non ne spero nè ne bramo alcun' altra in questo mondo? Si, Marianna mia, tutto questo è vero, e pure io non vengo. Nella mia famiglia (cioè in che ne regge il freno) vi è tale antipatia al viaggiare, che più non puole essere; sicchè tanto è dire di fare un viaggio, quanto è dire a un asino che voli per la spaziosa via dell' aere. Mio fratello sarebbe lietissimo di conoscerti, e parleresti con lui di cose artistiche, chè egli si è fatto entusiasta di opere antiche e moderne di incisioni, disegnatori ecc., ed ammirerebbe i lavori tuoi e quelii di Nini, e sopratutto ammirerebbe le rare vostre qualità, o care anime. Sempre egli si duole della vostra assenza da Bologna, nel suo soggiorno colà. Nulla io sapeva della lettera di Giordani(1) La lettera a Felice Carrone., anzi neppur sapeva s'ei fosse più vivo. Pur troppo conosceva l' ingiuria fatta al nostro diletto Giacomo, e lagrime di sdegno e di dolore mi piovevano dagli occhi a quella dolorosa lettura. Non dico di bramar di leggere quella risposta, sarebbe indiscretezza il pregarti a copiarla di nuovo; ma certo è stato un balsamo salutare il sapere che pur qualcuno ha saputo vendicar l' ingiuria fatta a chi ha tanto onore recato all' Italia ed è un italiano che scrisse quei fogli! Il di lui nome mi produce sempre un fremito d' indignazione impossibile a descrivere. Addio, cara, carissima. Guarda l' azzurro del cielo, e lì trova conforto; non val più sperarlo su questa terra. Abbracciami ed amami, già io ti amerò sempre, sempre. E Papà perchè non mi abbraccia? forse egli sta troppo immerso negli affari e si è scrodato di benedire la figlia sua. Addio, cara Nini; oh, come mi hai fatta lieta pel diletto tuo dono!

Il di di Pentecoste (1840)

Mia carissima,

Quanto m' affligga il sentirti ancora malata certo puoi ben immaginarlo, sapendo quanto immenso amore ti porti la tua Paolina. Il tuo pettorello si è affaticato di troppo nella spinosa e laboriosa carriera che hai percorsa, ed ora sono ben lieta che il parere del dottore sia di precluderti quella carriera per sempre, chè sono ben sicura che gli darai retta, non è vero? Non è punto vero ch' io abbia inteso di predicarti, nè che abbia voluto dire non essere più tempo per te d' innamorarti. Oltrechè tu abbi da passarne ancora degli anni prima di cessare di esser giovine, nemmeno voleva dirti non dovere innamorarti, ma ti esortava soltanto a stare ben in guardia con questo sentimento che è il vero nostro nemico, appunto per la soavità e dolcezza con cui ci viene incontro. E non vale il dire: Ciò non mi può far male perchè io vi sto attenta, no, credo che non valga punto, maggiormente poi essendo in continuo contatto col nostro nemico. Ma su questo ne sai certo più di me, e son sicura che sei vigilante, e se fai disperare alquanto la sorellina che t' incalza coi suoi sermoni, lo fai ancora per seguire un poco quel maledetto impulso che prova talvolta l' umana natura di mettersi in opposizione coi suoi simili. Del resto poi, anch' io ti pregherò a dar retta a Ninì, e alle ragioni ch' essa ti adduce, fondate tutte sull' affezione che quella cara creatura ha per te, e sulla conoscenza del cuore umano, e dei pericoli cui può portare (anzi direi, porta necessariamente) la propria sensibilità, e tanto più quando questa ritrovasi in persona dotata di sì eminenti qualità di animo com' è la mia Marianna. Sicchè, lasciati pure regolare da Nini, essa pure è giovine e sensibile, e colta, e d' ingegno; ora io non vorrei sentir nulla da una persona indotta, chè non vi sarebbe via di persuadermi; ma non chiuderei mai la bocca ad una che avesse le qualità di Ninì, e il suo cuore e le sue massime. Scrivimi presto, e dimmi come stai fisicamente e moralmente; scrivimi se siete tutte in calma come è dovere: e se ti godi dell' opera e della voce di Donzelli.

Ringrazio vivamente l' amor tuo che non ha permesso ch' io stessi senza la lettera di Giordani, la quale pure mi ha grandemente consolato, come di facile proi credere, vedendo ch' è sorta almeno una voce (e una potente voce) per difendere il nostro Giacomo. Ma a Papà non ho fatto veder nulla; già, noi nascondevamo sempre a lui gli scritti del nostro Muccio, ch' egli punto non approvava, sicchè sarebbe cosa affatto misera ed inopportuna il parlargli di ciò Nel cuor mio però Giacomo ha sempiterna stanza, e l' avrà fin ch' io viva e mi sia a lui ricongiunta in Cielo.

A Ninì poi dirò che carissime mi sono state le sue parole. Ninì mia, non ti stancare di volermi bene, e non ti stancare di voler bene sopratutto alla mia Marianna; già vedi ch' essa merita tutto il nostro amore, e tanto più lo merita quanto il biondo nume le si avventa; e per contrabilanciare le tue parole colle quali mostri di voler fedelmente eseguire i consigli evangelici, di scuotere cioè la polvere dalle tue scarpe, dirò anch' io con altre parole scritturalì clama, ne cesses; ma con moderazione e con amore. Iddio ci liberi sempre dalle eredità come le tue, esse non fanno che accrescere il numero degl' inutili e dolenti pensieri e desiderii.

Ora, a noi pare che debbasuccedere il contrario affatto. Una eredità la quale credevamo fin da bambini non esser più per noi, adesso, alla morte avvenuta ieri del possessore (e che morte!), sembra che quella credenza fosse ingiusta pienamente. Ma io mi dolgo delle tue speranze deluse, e bramo che almeno te ne consoli nel delizioso Campiglio in questa beata stagione.

La nostra Cleofe bacia amorosamente le giovani Brighenti e si trova molto onorata della amicizia che queste le accordano. Essa prosegue felicemente nella sua gravidanza e spera di felicemente ancora uscirne, piacendo a Dio. Addio, care e dolci anime. A papà saluti infiniti, e a te, Marianna mia, rendo un bacio… quel bacio che mi mandasti… uno solo, ed amorosissimo.

22 luglìo (1840)

Mia carissima,

Ricevetti puntualmente la cara tua sebbene diretta a Marianna Corsetti, ed oggi ricevo l' altra tua a me diretta. Da ora in poi scriverai al Signor Giuseppe Corsetti. Tutte le tue lettere sono la mia consolazione, e il caro amor tuo è il mio conforto in questa mia triste vita, ma io vorrei vederti lieta, se pure la letizia è per animi come i nostri, o almeno tranquilla, Marianna mia. Già non puoi dubitare ch' io mi affiigga al tuo dolore e pianga al tuo pianto, e vorrei essere tra le tue braccia per confondere le nostre lagrime, le quali sarebbero allora più dolci; e vorrei esser teco per trascinarti via più sollecitamente da cotesto luogo, fonte di tanto dolore, e ti consiglierei a far lavorare la mente in quel luogo delizioso ove sei per andare, e tacere il cucre, che parla sempre più per nostro tormento che per consolazione nostra. Io mi sarò spiegata male, ma non ho voluto dire che sei in contrasto con Ninì; ho conosciuto troppo bene il tuo carattere per giudicarti male: io porto invidia alle tue rare qualità, al tuo cuore, al tuo ingegno, al tuo discernimento rarissimo. Ma volea dirti che, siccome Ninì è più calma e più fredda di te, e vede le cose senza velo e giudica rettamente, cosi dessi retta ai suoi consigli, i quali poi, guarita che fossi, troveresti anche tu sani ed imparziali, e giustissimi; e non credere ch' io non ti compastica assai, Marianna mia. Oh, non so far rimprovero ad alcuno di seguire i movimenti del proprio cuore, particolarmente poi nello stato nostro (il quale, lo dico solo all' orecchio tuo, è il più ridicolo stato che vi sia al mondo), e capisco bene quanto sia difficile a te più che a chiunque altro il guarire e il preservarsi ancora da simili mali. Sto aspettando con impazienza il tuo lavoro portoghese (mi pare); lavora sempre e non stare in ozio, fa di non lasciarti sedurre dalle bellezze di Campiglio per non andare a rever al lume di luna, cosa ch' io ti farei proibire dal confessore, come perniciosissimo all' anima tua. Raccomando pertanto a Ninì di non lasciarti mai sola a spasso per quei beati luoghi, essa pure sarà, credo, del mio parere. Baciala tanto per me, e dille che ami sempre la mia Marianna, come degnissima di tutto l' amor suo. L' opera di Sinigaglia ha fatto fiasco; già non son più i cantanti promessi. La nostra Cleofe saluta ed abbraccia affettuosamente le due sorelle Brighenti, e fa i suoi doveri coi genitori. Essa vede accostarsi lietamente il giorno del suo parto, così Iddio si degni accordarglielo felice! Nel mese futuro crediamo ch' ei debba succedere, io vi penso sempre con dolore, non reggendomi il cuore di veder penare quella cara creatura. Raccomando alle mie amiche di voler dire ogni giorno un'Ave per essa. Auguro a Brighenti un esito felice ai suoi affari, e molta pazienza per isbrigarli. Addio, cara Marianna mia! Vorrei esser teco, fosse anche per un solo momento, per darti un bacio, che valesse ad esprimerti l' immenso amor mio; almeno avrei avuto un momento di vita!!

Questa mattina io mi pettinava quando mio fratello mi ha data la tua lettera, e siccome tutt' altro pensava fuorchè tu potessi diriger la lettera a Paolina Leopardi, non mi pareva affatto il carattere tuo, e non aprendola subito in presenza della cameriera, andava fantasticando di chi fosse quella lettera non conoscendo io nessuno di Forlì, e credeva che ti fossi maritata e tuo marito mi scrivesse. E qui vorrei farti una domanda, e non la posso fare! Ai cari tuoi Genitori mille e mille saluti.

29 settembre (1840)

Veramente ti sta benissimo, Marianna mia, di lamentarti meco per avere io adottato il nuovo modo d' indicar la data, io che l' ho imparato proprio da te, e la prima volta non capiva cosa volessero dire quei tre numeri! Piuttosto tienti un po' meno distratta, e fai i conti meglio, e vedrai non esser colpa mia se Cleofe partorisce un mese prima di quello che credevi. Del resto poi, ero io che doveva scriverti prima di ora la consolazione che ci avea data questa cara Luisa col dare alla luce una graziosissima Virginia il 30 agosto; e volea farlo, e lo avrei fatto se ne avessi avuto il tempo. Però tutti noi siamo grati alle care tue parole ed all' affezione di voi altri, carissime anime. Luisa è sensibilissima all' amicizia che le mostri, e te ne ringrazia assai, e vuole che accosti Virginia al tuo viso acciò tu le dia un bacino, ora che Virginia non te lo può ancora dare. E già avrai veduto come questa bambina assomiglia alla mamma, e come questa l' ha fatta bella e sana e buonissima, di una bontà rara veramente. E poi noi siamo stati veramente lieti di vederla (la mamma) superare felicemente tutti i dolori dell' enfantement con coraggio, non essendo però stati nè molto lunghi nè eccessivi. Sicchè rallegrati pure meco un' altra volta. Ma non mi rallegro mica io del sentirti quasi malata ancora, e di un male tanto incomodo e doloroso. Abbiti cura per carità, e fa di guarirti presto, altrimenti non potresti godere le bellezze del caro luogo ove sei per andare, e ch' io ti invidio tanto tanto. Io mi consumo pel desiderio di aria, di sole, di moto; e mi consumo sempre inutilmente. Ma il tuo Campiglio deve ridarti la pace, quella pace che hai perduta e che devi procurare a tutti i costi di riacquistare.

Nella situazione mia, le pene che tu provi e mi dici essere molte e crudeli, sarebbero eterne, i ma il tuo stato è assai diverso; tu hai modo di distrarti, e devi farlo, e lo farai se vuoi veramente bene ai tuoi, e anche a me che mi affiggo al sentirti afflitta. Marianna mia, io ti compatisco e t compatisco assai, perchè un cuore com' è il tuo non è fatto per viver solo, e per questo io diceva che il nostro stato è ridicolo: intendeva dire il nostro stato di donne non maritate. E qui, bisogna pure che ti faccia quella domanda che mi mori in gola l' ultima voltà: non ti mariti? Ora vai ad esser ricca, e giacchè è quasi impossibile, o almeno è assai difficile il prender marito senza che ci accompagni una buona quantità di denaro, fattene accompagnare e scegli bene. Non so se ti ho mai detto che questo matrimonio di mio fratello mi ha riconciliata col matrimonio, facendomi vedere che quella è pur la dolce vita. Ed io credeva che senza amore violento prima del matrimonio, senza conoscersi prima ben bene, non vi fosse mai felicità, ma vedo che non è così; vedo che l' amore viene anche dopo, e può durare e dura, e rende questa vita meno triste e meno infelice. Sicchè…?

Ti ringrazio del tuo lavoro che mi manderai; puoi credere se io andrò superba di questo caro dono, e sarò lieta che il tuo amor propio non l'abbia vinta. Col marchese Antici domiciliato in Ancona non ho alcuna relazione, sebbene sia mio zio carnale. Ma vi sono certe antipatie che non vi è forza di superare; io l' ho avuta sempre per lui. Non so di qual corrispondenza parli Galvani; una volta gli ho scritto pregandolo a consegnare ad un tale un involtino ch' esso aveva, diretto a me. Me lo mandò senza rispondere; ecco la corrispondenza. Abbi cura al tuo male e fa del moto; io consolo Luisa col raccontarle questo tuo incomodo; essa pure incomincia a partirne, sembra per effetto del puerperio, e vuole sentirti guarita. Ti raccomando all' amore dei tuoi genitori e di Ninì, i quali abbraccio e bacio con tutto il cuore.

Addio, cara Marianna, già sai di essere sempre la mia diletta, e che l' amor tuo è la vera consolazione della tua Paolina.

16 luglio (1841)

Cara Marianna,

Le tue lettere mi son sempre care come già ti ho detto tante e tante volte, che mi sembrerebbe affatto inutile il ripeterlo; ma l'amicizia è come l' amore e gode molti de' suoi privilegi, uno dei quali è quello che mi accorda il permesso di assicurarti sempre nuovamente che tu godi tutta, tutta la mia affezione e la godrai in eterno. Se io non ti avessi già da tanto tempo conosciuta degna di tutto l'amor mio, s' io non mi fossi innamorata già da lungo tempo di te, se non considerassi la tua famiglia come facente parte della mia, se..… ma non è questo quello ch'io vogio dire. Decisamente! oggi non son felice nei termini, e non arrivo a spiegarmi per quanto fatichi! Ancorchè fosse tuttora tempo di far nuove amicizie e ne contraessi ogni dì una nuova, io ti amerei sempre colla vivacità, colla tenerezza di un primo sentimento; la mia Marianna, sarebbe sempre la mia prediletta.

Oh! Mi fossi almeno spiegata adesso! Dico che, siccome non è più per me il tempo di far nuove amicizie, così sono ben fortunata di possedere la tua e quella dei tuoi, son ben fortunata di conservarla, di tenerla come la più cara cosa che io m' abbia, e non sarà mai ch'io la perda per mia colpa, sicura che quella perdita mi farebbe piangere tutta la vita. Sicchè, Marianna mia, non mi parlar più di dubbio o di signoria, finchè non ti verrà detto Paolina Leopardi è morta, saprai ch'essa ti ha sempre in mezzo al cuore e che tu sei la sua diletta. La tua lettera aveva un profumo di malinconia che mi faceva pena; non eri certo allegra quando mi scrivevi.

Oh! come vorrei averti fra le mie braccia, Marianna mia!

Quanta consolazione nei discorsi che faressimo, quanta ineffabile gioia nel piangere a vicenda le care illusioni perdute! Se sapessi quanto tempo è ch'io non discorro più! precisamente dacchè la Mazzagalli si sposò con mio fratello, e che la mia famiglia se ne allontanò. Essa era la sola in tutto Recanati che fosse capace di discorrere; e noi c' intendevamo tanto bene! e passavamo tutta la sera in trattenimenti serii, filosofici e morali; e poi tutto è finito. Sono dodici anni ch' io non so più con chi sfogar la piena dei miei pensieri e dei miei dolori. E siccome ti ho nominato la Mazzagalli, e i dodici anni che dura questo contegno, voglio spiegarti l' affare, acciocchè tu non creda i miei genitori capaci di tenere una condotta crudele, o di portare odio si a lungo. Dopo che il matrimonio di Carlo successe senza il consenso dei genitori, esso andò ad abitare in casa della moglie, ma veniva da noi ogni giorno, e ci amavamo come al solito; solo le Mazzagalli non le vedevamo più, e questo fin dal 1829, sino al 1836 epoca in cui una forte malattia della Mazzagalli madre fece che mamà mia si portasse a vederla, e così la parte offesa fu la prima a dar segno di dimenticanza e di perdono. Un anno durò la pace, e in quest' anno le cose eran tornate come prima; ma quando nel 1837 s'incominciò a parlare del matrimonio dell'altro mio fratello, la pace fu rotta. Carlo poco più si vede, le Mazzagalli mai più da quell' anno in poi. Al matrimonio non è venuto alcuno di loro, la figlia di Carlo non vien più da noi, e tutto cammina così con un freddo di paradiso. Ora mi dirai chi ha ragione e chi ha torto. Forse ti avrà annoiato questo racconto, ma già sai che appartieni a noi, e devi subire i racconti sì delle cose piacevoli, come delle noiose. Non mi è passato affatto pel capo che non si possa dire per esempio: luncdi 7 maggio, voleva dire che il 7 maggio non era lunedì, come ne fa fede il lunario.

Marianna mia, scrivi presto e parlami di te, e delle tante tue speranze; dimmi della vita che fai in villa, dimmi del tuo amore, ch'io vorrei per la tua pace fosse già finito. La nostra Cleofe prosegue felicemente nella sua gravidanza, e si diverte colla sua bambina, alla quale vogliamo tutti tanto bene. Essa ti saluta e ti abbraccia con Ninì e così mio fratello ti fa i suoi complimenti. Ricordami alla memoria del papà tuo e digli che non si scordi di amarmi; a Nini vado a parlare io stessa dopo di averti stretta al mio cuore con tenerezza indicibile.

Nina mia, quello che mi racconti del tuo sposo non mi piace niente. Dopo tanta aspettazione e tante informazioni, io credeva che il soggetto riuscisse assai più piacevole. Se io non conoscessi papà tuo, forse, potrei dire qualche parola di consiglio, ma non v' è bisogno quando gli sei vicina. Amerò piuttosto di sentire come quest' affare finisca, e puoi credere se la Paolina brami con tutto il cuore che la risoluzione che prenderai non abbia nel seguito a produrre rincrescimento nè in te, è in alcuno della tua cara famiglia. Quello di cui son lieta però si è il vedere come procede allegramente senza piangere come faceva una volta una persona di mia conoscenza quando doveva ricusare qualche partito d'altronde ad essa conveniente. Sicchè, segui sempre così, cara Nina, e fa lieti i tuoi col gioviale tuo amore. Cleofe ti bacia, ed io ancora il più forte che posse.

27 ottobre (1841)

Cara Marianna mia,

Si, è vero io dovea scriverti assai prima d'ora, chè è lungo tempo ch'io ricevetti la tua carissima; proprio il giorno innanzi alla venuta del Papà. Nemmeno saprei dirti il perchè non abbia più presto di oggi presa in mano la penna per dire a voi tutti quanto vi amo; non ho altra scusa se non nella mia pigrizia, la quale vires acquirit eundo; non l'avrei certo nei miei affari, chè io non ho mai da far niente. E, per parentesi, (se questo è il bel far nicnte degli Italiani, tanto vagheggiato ed esaltato dagli stranieri) oh è pur la brutta cosa! Cosa di cui sono annoiata fin sopra gli occhi. Ma intanto, datemi un bacio ognuno di voi, e perdonatemi le mie colpe. Sicchè la nostra cara Nini è sfuggita al pericolo di fare un matrimonio che non le convenisse! Oh! io me ne rallegro veramente di cuore con essa e con i suoi parenti, e quasi vorrei compiangere il povero Virgilio, il quale dovrà andare in cerca di altra sposa. La sorte però ha compensato Ninì della perdità delle sue speranze colla realtà della donazione della vostra parente, ed io ne sono assai contenta; così riuscissero bene egualmente tutti gli altri affari, e particolarmente quello della lite, di cui è un pezzo che non mi parli più. Son sicura che sarete andati all' apertura del teatro di Modena, particolarmente per prender parte al buon esito dell' opera del Cav. Gandini, il quale mi sembra che mi abbiate detto essere vostro parente dal lato materno. Nè so poi quanto duri la vostra villeggiatura, nè dove sarete per passare l'inverno; io dirigo questa mia a Vignola, e poi mi scriverai dove andrai. Cleofe ti saluta assai e saluta Nini e i tuoi genitori. A momenti diverrà madre una seconda volta, ed intanto la sua bambina cresce in grazia e vorrei dire in sapienza, ma no, che ciò si è detto di uno cui non si può senza colpa paragonare verun altro. È certo però ch'essa è la nostra delizia, ed è un vero piacere il vedere sviluppare ogni giorno questa fresca intelligenza.

In quanto poi al disgusto che l'altro mio fratello ha provato pel matrimonio dell'ultimo, esso sussiste tuttora, e promette ancora di durare. Tu ne chiedi il motivo; in casa Leopardi era solito di prender moglie uno solo per far una sola, comoda famiglia. Ora Carlo era più grande di Pietro ed avea preso moglie prima di lui ed aveva una figlia, e non avea piacere che in casa Leopardi vi fosse ammogliato altri che lui. Non ti dirò se questo stato di cose mi addolori, già pare che per let era non mi possa spiegare, poichè dicendo che potresti dirmi delle cose non affatto conformi alle mie idee sembra che tu abbia rilevato dalle mie parole essere io contenta di questo presente stato di cose, il che è ben lontano dal vero. La moglie di Carlo è una bravissima giovine, piena di talento, di coltura, di cuore eccellente, figlia di una sorella di Mamà, della contessa Mazzagalli, sicchè vedi che i miei genitori non si opponevano a quel matrimonio per disuguaglianza di condizione, ma principalmente per mancanza di dote, della qual dote in quel tempo avea piuttosto bisogno la mia famiglia; e poi temevamo che la sposa fosse alquanto capricciosa, perchè giovine assai vivace e bella; poi il fatto ha dimostrato il contrario. Pur troppo è vero che noi dobbiamo piangere e piangeremo sempre la perdita di un mio caro fratello, Luigi, morto a 23 anni! Marianna mia, son due queste care anime che ci hanno lasciato tristi ed inconsolabili, e che speriamo piangendo di rivedere un giorno, ma l'assenza è troppo lunga, troppo lunga davvero.

Vorrei di ti altre parole, ma non ne ho la forza. Seguita ad amarmi, o mia carissima, e così voi tutti della famiglia Brighenti. Persuaditi pure ch'io non ho più grande consolazione che pensando a te, all' amore immenso che ti porto, e a quello che spero e mi lusingo avrai sempre per la tua Paolina.

27 Febbraio (1842)

Cara Marianna mia,

Veramente la è cosa da chiederne perdono in ginocchio per avere avuto cuore di passare in silenzio due mesi interi dopo aver ricevuto l'ultima tua carissima del 27 dicembre! Forse qualche cattiva persona potrà notare che quella tua era in risposta ad una mia del 27 ottobre, ma appunto questa osservazione le accrescerebbe il nome di cattiva persona, poichè mi apporrebbe più cattiveria di quella che realmente io m' abbia. Già sai che abbiamo vissuto fino ad ora nei più cattivi mesi dell' anno, nei quali io dico sempre che si dura fatica a vivere, e li passo sempre sospirando per la melanconia e pel dolore che ne dà il freddo; a questo si è aggiunto il parto di Cleofe, avvenuto nel dì 21 dicembre, per le di cui conseguenze ancora sta in letto con male al petto; cosa, che mi ha tolto e mi toglie ancora il modo d'impiegare il tempo com' io vorrei.

Perchè, noi siamo avvezzi a farci servire meno che si può dai domestici, persuasi di trovare soltanto nei congiunti vera amorevolezza e premura instancabile. Sicchè, io non avea di libero che la notte, la quale, dopo la stanchezza del giorno, richiedeva imperiosamente il riposo. Ecco dunque giustificato il mio silenzio, ch' io stessa sopportava d' altronde di assai mala voglia, e facendone lamentanza con Cleofe, essa sempre mi spronava a non lasciarti più oltre senza mie nuove.

Sicchè dunque la Cleofe il 21 dicembre partorì felicemente un bambino, ch'io tenni al battesimo insieme con Papà, e cui fu posto il nome di Luigi Giacomo. Dimanda a Brighenti il motivo per cui il secondo non è il primo nome. Sul finire del puerperio, alla povera Luisa venne male al petto, e dopo aver passato una infinità di giorni in letto, quando si accostava a guarire, venne la risipola a rinnovarle il male per cui ancora soffre e non si può ancora ristabilire. Ed io stava sempre aspettando ch'essa si guarisse, per poterti scrivere più tranquilla di anima e di corpo, ma quest'ora non è mai venuta, e la mia amica, e gli amici miei mi perdoneranno s' io ho tardato tanto a dir loro che li ho sempre nella mente e nel cuore.

Ecco cessato alla fine questo crudo inverno! Noi non l' abbiamo però avuto come voi altri, oh molto meno, ma è sempre una immensa fortuna l' esserne fuori. E voi altri penserete già con piacere che si accosti il tempo di andare in villa a godere di quelle bellezze e di quei vezzi che non lasciano dopo di sè aleun rammarico. Ma prima di andare in villa, Marianna mia, vorrei, che mettessi alla posta sotto fascia, diretto alla Paolina Leopardi il libro seguente che ti sarà facile trovare in Modena, perchè stampato costi. «Guida di Modena descritta da Francesco Sossai seconda edizione accresciuta e modificata di molto da Luigi Sossai figlio del prenominato. Modena 1841 in 8°ree; piccolo» Poi mi dirai il prezzo, e se io debbo mandarlo a Bologna e a chi. Spero che me lo farai pagare, chè non è per me. Mi pare che anche Peretti abbia fatta la guida di Modena, è buona? In quanto poi a quello che dici ch'io debbo scrivere e non rimanere oziosa, io ti darei ragione se potessi. Ma so ben io quanto valga, e so bene che non è in mio potere di lasciare dopo di me un nome non indegno di associarmi a quello del nostro Giacomo. La Viani di Reggio si fa compilatrice d' un giornale, la conosci? Dimmi qualche cosa di quel giornale di Genova, che mi nominasti, e dimmi di te e dei tuoi. Non aspettar due mesi per iscrivermi: pensa che la tua amica ha semp e gran bisogno di essere confortata nel suo triste cammino, e che nessuno meglio di te può farlo. Carlo, mio fratello, è andato a fare il direttore della posta di Ancona, e Cleofe ti saluta assai in sieme coi tuoi. Anche la Virginia ti bacia e vuole dirti ch' essa si fa sempro più carina, e si acquista sempre più la tenerezza dei suoi. Nelle lunghe sedute presso al letto di Cleofe, discorrendo di te e di Virginia sognavamo di metterla fra le tue mani quando essa fosse più grandetta, acciocchè ce la ridassi poi divenuta modello di gentile e costunata giovinetta. Ma pensa se sarebbe possibile che questo sogno fosse realtà e che Virginia si allontanasse da noi. Addio cara ed amatissima! Addio, amici miei, non dimenticate di avere da queste parti un' anima che pensa di continuo a voi, e vi ama con inesprimibile tenerezza.

25 Maggio (1842)

Mia carissima,

Prima di tutto io mi rallegro con te della riacquistata salute della mamma tua, per la malattia della quale avrete sofferto assai tutti voi altri. Ora, è sperabile che anche la stagione contribuirà a farla viemmeglio confermare in buono stato, e così avrete un' angustia di meno: sulla tua penna è rimasto il male di Mamà. Poi mi rallegro ancora della bontà ed amabilità della vostra principessa Adelgonda (ch' io chiamerei piuttosto, e ho veduto ancora chiamare Aldegonda), le quali doti gioveranno assai a fare amare il governo dei suoi parenti, di cui però non vi potete lamentare certo, voi altri modenesi. È stato sempre mia opinione, una delle cagioni per cui il governo papalino non è molto amato essere questa, che il sovrano non può avere nessuna delle grazie che si attirano l'amore dei sudditi; non gioventù, non bellezza, non affabilità, il grado suo non può esigere che rispetto, e il rispetto non è amore; per questo io ho invidiato sempre il governo secolare, ma… zitti, non lo diciamo più! Un solo difetto ha questa vostra Principessa, ed è di non amare quello in cui sei tanto brava: oh, dove sono andate tutte le speranze che avevi! Sono pur contenta che non vai a Parigi; ove ti allontanassi dall' Italia, mi parrebbe di perderti, ed io amo di pensare che noi stiamo almeno sotto uno stesso cielo. Non vorrei però che andassi a Forlì, dì a papà che non ti ci porti, che stai male in salute, che ti duole il capo, o che hai male al cuore; già sai che adesso l'aneurisma è male di moda; ma il tuo è un aneurisma differente. Adesso io ti racconterò una storia dolente: una storia che ci fa piangere a calde lagrime, e ne abbiamo pianto davvero. Nel mese di aprile è morta l' unica figlia di mio fratello Carlo, Gigia Leopardi, giovanetta di dieci anni in undici, piena di talento, d'ingegno, di qualità amabilissime, e che dava le maggiori speranze, ed è morta nelle braccia dei suoi genitori di un aneurisma al cuore. Poveretti! Essi le hanno chiusi gli occhi, l'hanno posta nella bara, l'hanno involta nel panno funebre e dopo averle dato l' ultimo bacio, l' hanno messa nella tomba essi stessi. Povera Gigia mia! Io non la vedeva più da 5 anni e le voleva tanto bene e le faceva tante carezze! Ma non puoi credere di quanto talento fosse, era una cosa sorprendente. Appena imparò a leggere da piccolina, ha letto sempre, sempre, e i suoi genitori non potevan farle più gradito regalo che comprandole libri, ed infatti la vecchia le portava libri, tutti le donavano libri, ed essa leggeva. leggeva, e non ha finito di leggere che per la morte. Ed è morta come morì il nostro Giacomo, all'improvviso, senza agonia, senza accorgersene punto: ahi! ahi! e ci ha lasciati tutti dolenti, e i suoi genitori non se ne consoleranno mai. Marianna mia, che brutta cosa è questa vita! non si fa che passare di dolore in dolore, di pianto in pianto. Perdona se ti ho raccontato questo avvenimento tanto lugubre che ne ha riempiti tutti di tristezza, ma non ne poteva fare a meno. Già sai che solo con te io apro il mio cuore, tu sola sei capace di consolarmi; ma purtroppo qui non v'ha consolazione. Io credeva che fossi andata a Bologna a sentire lo Stabat, e perchè non vi sei andata? Non sai che non lo sentirai più cantato come allora? Povera Ninì, se incomincia a rivedere tutti i suoi amanti, sarà cosa da farle perdere il capo. Oggi ti spedisco per la posta i sei paoli che hai speso per me, e ti ringrazio della compiacenza che hai avuto nella compra del libro e nel mandarmelo, nel dirne il prezzo hai fatto il tuo dovere. Addio, Marianna mia, addio, mia carissima. Non occorre ch'io ti ripeta quanto mai io ti ami e con te tutti i tuoi.

31 agosto (1842)

Vedi, mia carissima, quanto mai io sia più buona di te! Ad una tua lettera ricevuta avanti ieri rispondo oggi, oggi, capisci? mentre mi è tocca to passar dei mesi senza sapere che diavolo n'era successo di te, e senza potere scriverti, non sapendo in qual parte del mondo eri, o se eri più in questo mondo. Ora finalmente è venuta questa tua lettera, ed io le ho fatta tanta festa come se non avessi punto a lamentarmi di te; e l' ho letta con sommo gaudio, come accade sempre ai tuoi caratteri. E quì vedesi quanto è vera e salda l' amicizia nostra, sentimento che ci lega da dodici anni, chè io malgrado sì disprezzante silenzio, non ho un solo momento pensato male di te; solo ho pensato che avessi male, e me ne affliggeva perchè era sicura che avessi qualche afflizione nella famiglia tua.

Ma non sapeva che suor Marianna esercitava l'ospitalità, e ricreava il suo spirito colla compagnia di dotte e spirituali persone, non sapeva, che, divisa da parte della sua famiglia, consolava l'altra colla presenza e col figliale suo amore; tutto questo io non lo sapeva, e hai fatto bene, a dirmelo, e t'invidio i discorsi che hai fatto con Giordani e col suo amico, discorsi cui avrei voluto prender parte, non fosse altro che per udir parlare del diletto Giacomo in modo degno di lui, e corrispondente all'amor nostro; chè, quì dove siam noi è inutile il parlarne essendo esso appena conosciuto, o punto stimato per quello che veramente era. Il nome di Gussalli mi è nuovo affatto, nè so se è giovine o di dove sia. Se sapessi, Marianna mia, i sciocchi discorsi che mi tocca fare, avresti certo compassione di me; e quelli che mi tocca sentire! oh allora sì, che quasi si sente desiderio di essere nata sorda e muta.

Mi dispiace poi che siate immersi in affari litigiosi, i quali quanto vadano per le lunghe non vi è chi nol sappia. Ma coraggio e pazienza ci vuole, e credo che Brighenti ne sarà ben provveduto. Poi, mi lusingo che vi rimarrà abbastanza di autunno da passare nella vostra villa e tutti riuniti, e di là mi scriverai, se pure non vorrai rimettere la tua lettera al prossimo inverno. Noi stiamo tutti bene, e la Virginia cresce di corpo e di anima (non so se si possa dire). Essa è un vero folletto, e pare voler venire di talento assai svegliato. L'altro ancora non dice nulla ma si fa più bellino, o vero meno brutto. A me sembra che la mamma sia gravida, ma non ne faccio motto, perchè (a te sola lo dico) mi dà amarezza questo nascer di figliuoli. Ma prima di condannarmi, sentimi; non per altro mi dà amarezza se non perchè sempre più si vede quanto mai è faticoso l'allevar bene i fanciulli, con quel grado di educazione come la intendo io, in questo tempo particolarmente in cui nascono già pieni di malizia e con promessa di divenir cattivi appena avranno forza abbastante. Poi, io vorrei concentrare tutta la mia tenerezza sopra di un solo, e quello accarezzare, e quello adornare e amare con tutta la tenerezza materna; e se io fossi madre, non so come potrei amare egualmente più di un figliuolo, e quando Cleofe era gravida di Gigetto, io compiangeva Virginia che andava ad avere un rivale ed anche adesso mi pare quasi di offenderla dividendo quel gran bene ch'io le voglio, col suo fratellino. Ma questa mia idea, e questo mio sentimento non ad altri che a te io la dico, che ancora non so bene se sia entachè un pochino di egoismo, poichè facendo noi vita comune, i ragazzi stan sempre con noi, e addio lettura, addio studio; sola la notte mi rimarrebbe, ma poca forza ho di passarla fuori dal letto. A tullo ciò, pas de réponse! Mi hai fatto piacere coll'inviarmi la traduzione di Brighenti, vorrei che sovente me ne facessi dei simili. Pur troppo è ignoto se ci vedremo mai a questo mondo, ma è certo, che al primo istante di vera libertà che mi sarà concessa di avere, se non sarò morta, sarò fra le tue braccia. Una sola cosa mi spaventa anche pensando a quel momento di gioia; di non essere allora capace, come sarei adesso di sentire quell'ineffabile diletto che lo stringerti al mio seno mi farebbe godere, ma le potenze dell'anima non invecchiano. Intanto ti bacio con tutta la tenerezza e tutta la più viva affezione, e tu salutami e abbracciami papà, e manda molti e molti saluti a Ninì e alla Mamma.

21 Gennaio (1844)

Cara Marianna mia,

Oggi ricevo la tua (non posso dire la cara tua) del 27 dello scorso. Al vedere il nero sigillo subito mi si è stretto il cuore, e ho detto: Ah! È morta la mamà Brighenti! e nell' aprirla ho veduto tosto di non essermi ingannata. Oh miei cari, io vi abbraccio tutti, e vi stringo al mio cuore, e piango con voi per questa immensa disgrazia, come ho pianto nel leggere i dettagli di si doloroso avvenimento. Oh certo, voi non vi potrete mai consolare, chè non vi vedrete più accanto quella che ha diviso con voi le vostre pene e i vostri godimenti, quella cui pensavate sempre anche in quelle lontane contrade dove il destino vi conduceva; quella che vi portava sì grande amore; oh non ve ne consolerete mai davvero! Vi sarà però di conforto il pensare agli ultimi suoi momenti pieui di rassegnazione e di calma, vi sarà di conforto rammemorarvi la sua vita così buona e così virtuosa; e sopratutto vi sarà di gioia il pensiero di avere in paradiso una anima diletta che pregherà per voi, per quelle care persone ch' essa ha lasciate afflitte e piangenti su questa terra, e che di continuo hanno bisogno di preghiere e di protezione. E spero ch' essa si ricorderà anche di me, che la venerava come mamà vostra, e le voleva bene quasi come mia madre; essa pregherà anche per me, per l' affezione ch' io porto alla cara sua famiglia, e per quella ch' essa in iscambio mi porta. Poi, vi deve ancora consolare il vedere che la mamma vostra è stata tolta alle immense pene di questo misero mondo: e già vedete che tra le pene fisiche e morali, tutta la vita si passa senza mai un' alternativa di bene, o di miglioramento. Sicchè, tocca a noi il piangere per essere rimasti su questa terra, e ci conviene ancora scordare e faticare, chi sa per quanto tempo! E il povero Brighenti? Oh! Abbracciatelo per me e ditegli che non pianga, chè le sue lagrime affliggono e sconfortano di troppo noi figlie sue; ditegli che gli offriamo un compenso nell'amor nostro, e che lo ameremo anche di quell' amore che gli portava la mamà vostra.

Oh! Se sapeste quanto dolore mi fa il veder piangere un uomo! proprio mi si straccia il cuore alla sola idea dei pianti che ho veduto versare dagli occhi di mio padre nella morte dei figli suoi, oh è quella per me un' idea terribile e che mi fa piangere come piango anche adesso. Sicchè io raccomando Brighenti a voi, care anime mie, e voi a Brighenti; confortatevi insieme, e fatemi sperare che non passiate più giorni cotanto infelici come senza dubbio lo erano i primi dopo la disgrazia, quando proprio ne pare di non poter vivere, e che il dolore uccida. Se potessi parlar di altro, ti direi, Marianna mia, quanto dolore abbia apportato alla tua Paolina il sentire che hai dubitato di lei. Dunque per quattordici anni interi non ho fatto che mentire! Dunque non ci è carattere più vile, e cuore più cattivo del mio! La tua lettera che dici avermi scritta il 16 di novembre non mi è giunta, e mentre io deplorava il tuo silenzio, tu pensavi di me quello di cui non mi viene mai in mente di accusare le mie amiche. Oh! dammi un altro bacio, Marianna mia, in compenso del male che mi fai, e prometti di non pensar mai più così tristamente di me. Cleofe e Pietruccio prendono parte al tuo affanno e si dolgono del tuo dolore; Virginia ti bacia, e io vi bacio tutti, miei cari, pregando che Dio vi accordi rassegnazione e pace, non solo in quest' anno, ma in molti e molti altri. Addio, addio, non vi scordate che il caro amor vostro è l' unico conforto della vostra Paolina Leopardi.

26 aprile (1844)

Cara Marianna mia,

Fu il dì di Pasqua, proprio in quel di, io ricevetti la tua carissima che mi tolse un grande ma grande peso dal cuore. Tutte le tue lettere sono per me come un balsamo che mi consola nelle tante amarezze di cui è piena la vita, ma dì questa tua io ne avea proprio bisogno dopo tanto tempo che non ricevea più nuove da voi altri, ed io temeva sempre per voi dopo la disgrazia avvenuta, e il non ricever lettera tanto più mi dava a temere e tanto più affliggevami il non vederle, sicchè io stavo proprio per scriverti quando… venne il dì di Pasqua. Dunque, tu sei malata, e lo sei stata gravemente? O Marianna mia, non puoi credere qual pena mi faccia il sentirti inferma di malattia lunga e lenta! Quanto accrescimento di malinconia, di noia della vita, e direi quasi di disperazione se a noi cristiani fosse permesso il disperarci, mi dà il saperti malata! Io spero che la cara primavera, questo risorgimento della natura, farà risorgere anche te, e ti conforterà mirabilmente, e ti darà lena a sopportare anche per molto tempo la fatica di vivere; e farà che seguiti ad essere la consolazione dei tuoi ai quali avrai dato dolore immenso con questa tua malattia. Voglio credere e sperare che, se puoi, non userai meco la barbarie di tenermi in pena a lungo, pensa che se non vedrò i tuoi caratteri, o di Ninì, io crederò che sei malata sempre, e questo pensiero mi sarà di affiizione estrema. Hai fatto bene a mandarmi i cenni biografici della povera tua mamà; essi hanno servito a farmela meglio conoscere, e vieppiù stimare; è bella cosa, a questi nostri cattivi tempi, il meritare che si dicano di chi non vive parole tali, ed è vero conforto il pensare di avere sì cari protettori in paradiso. Anche la nuova edizione dei versi sacri tradotti da Brighenti, mi ha fatto piacere; come lo fa tutto quello che viene da sì amata famiglia, e tutto viene conservato attentamente nella nostra libreria tra le numerose miscellanee che vengono sempre raccolte con gran cura da mio fratello e da tutti noi. Saria stata una cosa gra litissima da me il conoscere questo tuo cugino Galvani, e s' è passato per Recanati, poteva pure onorarci di una sua visita; ma non lo ha fatto, e me ne dispiace.

Non avrei certo avuto a dolermi del destino se il Governatore di Recanati si fosse chiamato una volta Brighenti. Oh! Che consolazione mai, che nuova vita saria stata allora per la tua Paolina! Nè ci saria stato bisogno che le mie amiche mi dicessero Sig. Contessa, nemmeno il primo istante. I nostri baci, i nostri abbracci farebbero vedere a mamà che noi ci amiamo da lungo tempo, e che allora si realizza il più caro sogno della mia vita. Ma pur troppo questo è un sogno, almeno per ora, e già per me, son certa che la intera mia vita non sarà stata altro che sogno, sogno lungo, e penoso! Luigino non ci è più; dopo quello ch' io ti diceva di lui, esso peggiorava sempre, e ogni giorno si rendeva maggiore il dolore di vederlo in uno stato così desolante. Finalmente, nel febbraio scorso andò a godere e a pregare per noi in paradiso, ed ora siamo rimasti con Virginia, la mia Virginia, e Giacomino. Se sapessi l' affezione mia per Virginia! Ma è impossibile ch' io la possa esprimere. Ancora non voglio un gran bene a Giacomino, chè Virginia assorbe tutto il mio affetto; s' io fossi stata moglie, avrei pregato il Signore che mi avesse dato un figlio solo: mi pare che il cuore dell' uomo non valga ad amare con egual potenza di sentimento più di un oggetto, ma forse io m' inganno. Intanto io faccio sempre inquietare Cleofe col non amare il suo bel maschio, e poi è il più bel figliuoletto che si possa dare, ma Virginia adesso è la vita mia. Cleofe e Pietruccio ti salutano e ti confortano ad averti cura, e Virginia bacia le due guancie di te e di Nini che bacio anch' io con inesprimibile affetto. A Papà Brighenti bacio la mano (già ti sarai accorta da qualche tempo che la tua Paolina si è fatta scrupolosa), e mi raccomando sempre alla sua affezione. Addio, care ed amatissime anime, non vi dimenticate di pensare sovente a quella che si fà vanto dell' amor vostro, e che vi abbraccia tutti con ineffabile tenerezza. Scrivi presto.

20 luglio (1844)

Cara Marianna mia,

Oggi (20 luglio) ricevo la tua del 14 da Forli; sono poche ore ch' io l'ho letta, e mi affretto a manifestarti i sentimenti che questa lettura mi ha inspirati. Tutte le tue lettere, tutte, dal punto in cui ci siamo conosciute fino a questa del 14, mi han tutte rallegrata e confortata mirabilmente, quest' ultima ha mirabilmente accresciuta l'abituale mia malinconia, e poi io non ho capito niente; niente! Questa lettera è per me un mistero ch' io non valgo a spiegrare. Vedo che siete infelici, che tu stai male, Marianna mia, che volete qualche cosa da me, ma cosa? Io non capisco niente. La lettera tua del 16 maggio io non l' ho avuta, l' ultima ch' io ho di te è del 3 aprile, (e ti risposi il 26), e mi raccontavi la tua malattia, e come già avevi migliorato e speravi di mangiare in piedi l' ovo benedetto. Dopo quella lettera non ne ho avuta altra, e me ne doleva sempre, e sempre pensava a te, e mi lamentava che dopo tante mie preghiere pure non volessi rompere il silenzio. Ora, tu sei stata male di nuovo, e non sei ancora guarita, e credi di non guarirne; non sai, Marianna mia, quanto mi renda infelice questo pensiero? Non sai quanto già sono desolata ora che ho letta questa sciagurata lettera del 14 in cui mi parli dei tuoi affanni come se io non vi prendessi parte, della tua malattia, come se per me fosse cosa indifferente? Dunque, invece di mettere anche me nel numero di quelli che si annoiano degli amici allorchè sono infelici, che voltano loro le spalle per non compatirli, per non aiutarli, (e tu hai fatto questo con me, hai pensato ch' io abbia tradita l'amicizia che mi lega a te, alla cara tua famiglia da tanti anni) non potevi pensare piuttosto che quella lettera del 16 maggio io non l' avessi ricevuta? questa è la seconda lettera tua che nel corso di pochi mesi si è perduta: la prima fu quando mi davi conto della morte della povera mamà tua. Io non credo che ciò succeda per colpa di Corsetti, il quale ho trovato sempre fedele e puntuale, ma per sicurezza maggiore incomincia a dirigere le tue, cosi: Al Nobil uomo Sig. Conte Leopardi Direttore delle Poste Pontificie Ancona, e siccome questo Leopardi è mio fratello, così le avrò egualmente bene e sicure. Poi spiegami un poco a che proposito mi parlavi di predilezione ai figli o nipoli, e come poteva dispiacermi, (e ne parlavi con franchezza), e a che proposito mi parlavi dell' amore non fra uomo e donna ma fra donna e donna, e dei sentimenti tuoi riguardo alle persone cui vuoi bene; in somma quella tua lettera per me è un'algebra, e io la tengo avanti a me, e la leggo e rileggo, e come mi arrabbio di non poterne indovinare il senso! ma non è possibile. Poi, chi è la nota Signora, che non ha avuto nessuna lettera? altro mistero! Poi, com' è che Brighenti vuol metter collarino e diventar Monsignore? Marianna mia, io metto giù quella lettera che mi fa girar la testa senza frutto, e ti dico e ti ripeto che io sono affezionatissima a te e alla tua famiglia, ch' io non mi cambio nè per velleità nè per leggerezza di carattere; che, siccome tu sei sempre la stessa, bravissima, di animo e di cuore ecellente come ti ho sempre conosciuta e spero che non ti cambierai mai, così non può essere ch' io non ti riguardi sempre come cosa carissima e degna di tutta la mia tenerezza ed affezione. Così potessi impiegarmi per la vostra famiglia; con che lieto euore lo farei! ma pur troppo io non valgo a niente, e non saprei nemmeno camminare per quelle strade per cui si arriva a qualche cosa. Chè, se mai avessi in idea ch' io potessi giovarvi, non hai che a dirmelo, ed allora se non mi riuscisse o non fosse nei miei mezzi o nella mia opinione, non col silenzio, ma colle parole ti spiegherei i motivi che mi farebbero operare. Ma fatti coraggio, Marianna mia, e sopratutto fa di guarire bene e presto, e non ti avvilire nè scoraggiarti per le sciagure e le miserie di questo mondo. Fa uso delle immense risorse che hai in te stessa, nell'amore dei tuoi; non iscoraggiare il povero papà tuo il quale ha più che mai bisogno di conforto e di pace; io spero che tu m' abbi scritto m un momento di stanchezza della vita, come ne abbiam tanti di questi momenti noi che ci siamo troppo lasciate trasportare dalla sensibilità, dalla squisitezza di sentire; io spero che nella villa attingerai pensieri più calmi, e insieme alla salute ritroverai la pace e la calma di cui hai bisogno. Oh! Non rendero più infelice la tua Paolina col pensiero ch' essa debba vivere senza di te, debba vivere senza la speranza di gittarsi un giorno fra le tue braccia. Ora vedrai Giordani, e sarà questa una consolazione grande per te ed i tuoi. Fa di rammentare a lui una antica sua conoscenza, fatta in tempi migliori; eppure anche allora eravamo infelici! Io raccomando a lui di consolare la famiglia Brighenti, e d' inspirare a tutti loro quel coraggio ch' è necessario per tirare avanti fino che Iddio ne chiama; e salutalo da parte della sorella del nostro Giacomo, e fa che una riga o una parola almeno metta per essa nella tua lettera. Bacio Nini e abbraccio Papà con tutta l' anima, e a te, Marianna mia, vorrei che questa lagrima che mi scende, sulle guancie nel lasciar te, esprimesse quanto mi dolga il saperti travagliata ed infelice, e quanta affezione e quanto amore senta in cuore per tutti voi e per te la tua Paolina Leopardi.

6 ottobre (1844)

Mia carissima,

In una bellissima giornata di ottobre, sotto il pergolato del nostro giardino lessi l' ultima tua lettera cui era unita quella del Viani, al quale dopo tanti tuoi elogi voglio bene quasi come ad un mio fratello, sicura che tu non puoi nè vuoi ingannarmi sul di lui conto. Io scriverò prestissimo a quel bravo giovine mostrandogli quanto affezione mi ha inspirato con quella grandissima ch' ei porta al nostro Giacomo, ma in quanto a ciò ch' esso desidera dovrò ripetergli quello che un anno fa io gli scriveva; la vita di Giacomo essere stata oscurissima e tranquillissima fino alla sua dipartita da Recanati, e quando egli era inabissato nei suoi studii, studii che faceva da se senza alcun maestro, io non ero capace di conoscerne il corso, nè di giudicare quanto mai diveniva bravo, e quanta fama andava ad acquistare. Non abbiamo nemmeno più il suo carteggio epistolare, da lui ridomandatoci quando era fuori; della sua vita poi, dacchè uscì di casa, noi non sappiamo più nulla, e sarà una benedizione del cielo se, usciti a Firenze questi volumi delle sue opere colla vita scritta da Ranieri, noi arriveremo a procurarceli. Sicchè, se avessi occasione di scrivere al Viani, potrai dirgli quant io ti ho detto, e farlo persuaso che non per cattiveria o per iscortesia io non giungo a compiacerlo, ma solo per reale impotenza. D' altronde poi sarei oltremo lo lieta e ne andrei troppo superba di poter parlare del nostro Giacomo con quell' immensa affezione che gli ho portato sempre e mai cesserà. Poi, ha contribuito ancora ad ignorare io molte cose, quello stato di contreinte in cui era Giacomo coi suoi genitori, ai quali si dovean tener celate molte cose e molte io non ne sapeva, essendo donna e legata alla sottana di mamà. Però mi ha fatto molto piacere, e così a mio fratello la lettera di Viani e le notizie che ci dà di quello che si stampa di lui che non sapevamo punto per quanta fame abbiamo di queste notizie. Sai niente se Paolina Ranieri sia maritata, e con chi? Della Ferrucci e del suo marito io non so nulla, anzi io credeva che la fosse rimasta vedova quando lessi dato, per tema ad improvvisatore la morte del Ferrucci.

Cara Marianna mia, io ti abbraccio e ti bacio piena di consolazione per la tua guarigione. Dunque credevi di morire e non pensavi alla nostra desolazione, al nostro interminabile affanno se andavi via? Godi dunque ora di questa nuova vita, la quale poi non è tanto infelice come questa mia, e pure io la vivo! Goditi l' amore dei tuoi, goditi quel delizioso luogo in cui sei, e il caro aere che respiri in questa bella stagione, e poi, il sapere di essere tanto ardentemente invidiata ti gioverà ad essere sempre più lieta. Che Ninì continui ad essere la massaia, ciò le sta bene, ma lasci fare qualcosa anche a te acciò stii occupata, e non vada tu pensando a cose cattive, e giacchè mi hai parlato di un fritto eccellente lavorato dalle tue mani, tienilo a mente per quando verrò io a chiederti ospitalità di farmelo gustare. Pareva essere la prima cosa ch' io ti dicessi questa, dell' esser io sommamente lieta che Brighenti stia bene, dopo la paura terribile che ne mise con quel suo svenimento così lungo. È inutile ch' io raccomandi alle di lui figlie tutta la cura possibile, raccomando a lui di tenersi distratto, divagato, contento dell' amore delle sue figlie, tanto brave e tanto buone, di scegliere per soggiornare quell' aria e quel cielo che più gli conviene, e di obliare i guari e le infinite miserie di questo mondo, non già nello sciampagna, ma nel conversare con i suoi amici chè molti e bravi ei deve averne per tutto. Mi dispiace che non abbia riveduto Giordani come sperava, cosa che gli avrebbe cagionato un gran piacere come mi dicevi.—Non far più l' indirizzo delle tue lettere a Paolina Leopardi; quest'ultima tua ov' era quella di Viani io l' ho acchiappata per miracolo, ma dirigi pur sempre (anche senza sopracoperta) a Carlo Leopardi, direttore delle Poste in Ancona; quella che dirigesti colà, io l'ebbi subito.

Addio, cari ed amatissimi! Ricevi saluti ed abbracci di Cleofe, di mio fratello e dei piccoli. Malgrado le tue prediche Virginia è sempre la mia diletta, e sempre la sarà. Essa è la sola mia consolazione, lasciami almeno questa, e così sarà meno infelice la tua Paolina che non cessa di baciarti con tutta l' anima. L' altro giorno trovai per accidente, una lunga lettera di Nina scritta nell' ottobre 1831 da Ascoli, diretta a me col proprio mio nome, ch' io non avea mai avuta, perchè sequestrata, e me la presi, e non le rispondo; era in quel tempo in cui le piaceva Comer e voleva dirmi che non era vero, oh cattivaccia!

… maggio (1845)

Carissima Marianna,

Oggi prendo la penna per rispondere all' ultima tua del giovedi Santo, la quale giunse egualmente gradita e festeggiata come tutte le altre. O Marianna mia, tu non sai, nè io potrò mai dirti abbastanza, quanto l' amor tuo sia la consolazione, il conforto mio! Le tue amorose parole scendono dolcemente sul mio cuore su questo cuore che sempre più diviene arido, e quasi mi par cattivo—ma che palpita tuttora della più calda e tenera amicizia per le sue Brighenti per quelle dilette anime che, or son sedici anni, mi confortano mirabilmente coll' amore, colla tenerezza loro.—Certo, io non lo desiderava, che il destino di due brave e cari giovane non si compisse —io non desiderava che le mie amiche passassero la loro vita senza ritrovare un cuore pel loro cuore come dice La Fontaine, perchè immagino quanto sia dolce quella vita sebbene rarissima— pure la è stata per me una fortuna ch'esse abbian serbato tuttora il loro primo cognome, chè allora, quando il marito ed i figli richiamano tutto l'affetto e tutto il tempo, si dà un addio alle antiche amicizie, non si trova più la penna per iscriver loro, non vi è più tempo di salutarle o di dir loro quelle care parole cui erano avvezze ma che son tutte per altri oggetti. Sicchè dunque, son io quella che guadagno in questo loro presente celibato,— ma siccome a questo mondo non vi ha vera contentezza, cosi anch' io resto …(1) Lacuna nell' originale.

Quello che io sentivo il giorno festivo della SS. Trinità, oggi non lo ricordo più—oggi venerdi (13 maggio). Era in quel giorno che la mia lettera venne interotta da Virginia che andava a letto perchè stava poco bene; e dopo quel giorno non ho avuto un momento di tempo per riprender la penna sebbene Virginia guarisse subito. È venuta poi pochi momenti fa l' altra tua del quindici del corrente e tosto il rossore mi ha invaso la fronte al vedere i torti miei e le lamentanze che il mio silenzio ha suscitate. Ma per quanti rimproveri tu mi puoi fare, e con ogni ragione, non eguaglieranno certo quelli ch' io faccio a me stessa per la mia pigrizia, per l' indolenza mia. Io spero che mi perdonerai, sapendo ch' io son sempre nello stesso modo la tua Paolina, che ti ama con grandissima tenerezza, e con te tutti i tuoi, e che vorrebbe dirtelo ogni momento se ne avesse il tempo. Sicchè non creder più, nè ch' io sia malata. nè che la tua lettera non me l' abbian data, nè che in essa fosse cosa che mi recasse offesa o dispiacere—nulla di ciò è vero.

È che la melanconia cresce ogni giorno, e la primavera che non viene, e il sole che non si fa mai vedere, tutto concorre a rattristare la tua amica, e a scemarle quella energia che una volta aveva, e che ora ricerca invano.—Ti ringrazio dunque di tanto tuo amore e di quello dei tuoi, tutti io ringrazio col cuore, e tutti io tengo in quello, e tutti io amo ad un modo. Verrei sentirvi tutti bene, e non discretamente come dici, vorrei tutti lieti, o che la nuova abitazione non vi suscitasse, nè alla mente nè al cuore dolenti o inutili regrets, vorrei che la mia amica fosse lieta dalla sua virtù, delle care e rare sue doti, e non formasse desideri perniciosi alla sua tranquillità presente e futura. Già non è ancora il tempo, ma quando avrai i miei anni, se il tuo amore e la tua mano saranno ancora liberi, allora penserai come me, non esser poi la più gran disgrazia il viver sole quando non sia stato possibile il ritrovare uno secondo il cuor nostro. Si, di questo mio stato, me ne dolgo sempre di meno, e con un po' più di libertà sarei veramente felice, e io non ho altra speranza che nel mondo di là; in questo tutto è finito.

Dalle lettere di Viani ho saputo l' edizione fatta per cura di Ranieri delle opere del Giacomo, e sono sempre in aspettazione di una copia ch'esso mi mandi e di altre ancora, ma non viene nulla per anco.

Anch' egli si lamenta della vita scritta da Ranieri, e sarebbe una vera felicità se Brighenti volesse rifarla, egli ch' è stato suo amico, che sa scrivere. Se le preghiere mie valessero, io lo pregherei assai, anzi io credo che s' egli può, lo farà certo.

Una poesia di Peretti, tradotta ancora in versi francesi da una madama Elisa Van Ienac ho veduto in un giornale Francese, nel journal des demoiselles, è questi l' ex amico di Ninì? e perchè invece del Giacinto non celebra le lodi della sua bella?

Tutti ti salutano e accarezzano, e Cleofe e Virginia e i bambini, i quali ancora non capiscono nulla, ma io sopra tutti non faccio che abbracciarti e baciarti con tutta l'anima, Marianna mia, e bacio Ninì, e abbraccio il papà cui chiedo benedizione e che mi voglia bene. A te non lo dico, chè già so che sei mia come sono io tutta tua.

Se vuoi, seguita pure a diriger tue lettere in Ancona a mio fratello propriamente, che vangono sicurissime. Tempo fa trovai sigillata una tua lettera diretta a don Sebastiano Sanchini e la trovai tra altre lettere di papà, che non han trovato la strada di venire in mano mia.

1 Agosto (1845)

Mia carissima,

Come hai veduto non mancai di mandarti subito il libro di Montanari, il quale pregoti di rimandarmi quando non sarà più utile al papà, essendo l' esemplare della nostra biblioteca. Sento da Viani che Montanari ci ha fatto delle aggiunte, ma non le conosco. È veramente una consolazione il pensare che il papà tuo si accinga a scrivere di Giacomo: io son certa che lo farà meglio di quanti l' han tentato finora. Con tutto il cuore vorrei mandarti quanto avessimo di cose che potessero servire al papà per iscrivere, ma il bello è che non abbiamo niente, come ho dovuto dir sempre a Viani e a chiunque me ne ha richiesto. Ma non dubito punto che Brighenti riesca di parlare di Giacomo in modo da contentare tutti; egli che è bravo scrittore, e che ha conosciuto il suo amico si può dire dalla sua fanciullezza. Un solo esemplare è in Recanati della edizione di Le Monnier, eppure molti la vorrebbero, han dato commissione a un nostro libraio di farla venire, e Viani ne scrisse a Le Monnier ma inutilmente, e non vi è più speranza che ne mandi copie. Aveva voglia di leggere la traduzione del Gussalli, come cosa lodata da Giordani ma quanto me ne dici mi fa passare la voglia(1) La spedizione di Edoardo Stuart, dal latino del Cordara (1844)..

Non è possibile che si accresca l' affezione mia per te, ma se lo potesse, certo accadrebbe dopo che mi hai detto che il nostro Giacomo ti prediligeva(2) Vedi nelle mie Note Leopardiane—Un amore sconosciuto di Giacomo Leopardi.. E già io me ne avvedeva dalle sue parole e non ricordo, ma forse avrò fatta a lui anch' io la dimanda sacrementelle che suol farsi allorchè si parla di relazione fra uomo e donna: ne eri innamorato? So bene che mi faceva elogi grandi di tutta la tua famiglia, e io voleva che mi descrivesse minutamente le due Brighenti, ed egli lo faceva, e gran tempo passavamo insieme passeggiando la sera su e giù per una gran camera oscura (chè a lui faceva male la luce), e discorrevamo assai; così avessi potuto ritenere a mente i suoi discorsi che ora mi paiono di un tempo remoti simo. Certo, noi ci amavamo assai, ed egli non amava nemmeno ch' io uscissi di casa quando vi era occasione di qualche serata, chè, quello era il tempo che noi passavamo sempre insieme, e lo serviva sempre io, e l' ho fatto con grande amore fino all' ultima volta, che ci demmo, senza saperlo, l' estremo addio. Oh! tu non puoi sapere le lagrime che verso al pensare che non è morto fra le mie braccia: che prima di lasciarci per sempre non ci siam dette di quelle cose, la di cui memoria rimane eterna! Poi, mio dolore incancellabile sarà sempre il ricordarmi che era più di un anno ch' egli non poteva scrivere affatto per i suoi occhi: Giacomo poteva supporre che fosse per dimenticanza o per disamore; oh, credimi pure, Marianna mia, che questo pensiero è il tormento continuo della mia vita, e che vorrei dar tutto perchè potessi una volta sola parlare con Giacomo. Mille volte l' ho nei miei sogni, ed è una consolazione per me, almeno di qualche momento.

Oggi riprendo la penna, ieri non avrei potuto parlarti di altro. Godo assai nel sentirvi tutti bene, e in pace, e amorosi gli uni degli altri; queste sono le vere ricchezze: di vivere tra persone amiche. Segui pure a fare la tua torta di riso; vorrai farla una volta anche per me? Allora vedrai come la tua Paolina farà onore a' tuoi lavori e vedrai come la sorella ha i medesimi gusti del fratello, come anzi non mangia (per cattiva e sciocca abitudine presa una volta quando temeva d' ingrassare) che cibi dolci e nient' altro… ma tu riderai a queste parole di un futuro che sempre più si rende impossibile: ne rimane almeno la speranza!

Ricevi e gradisci i saluti di Cleofe e i baci di Virginia: mio fratello anch' egli riverisce tutta la tua famiglia. Addio, cari miei, addio. Già lo sapete come io vi porto tutti in mezzo al cuore, e come spero di stare egualmente nel vostro. Io ti bacio, cara Marianna, con tutta l' anima. Per maggior sollecitudine nel recapito, dirigi pur sempre le tue direttamente a Carlo.

17 agosto (1845)

Mia carissima.

Acciò non mi avvenga in questa come nelle altre volte. quando non ritrovava mai l' ora di scriverti, sebbene ti avessi di continuo e nella mente e nel cuore, pochi giorni dopo il ricevimento dell' ultima tua rispondo a quella carissima, capo per capo, per non dimenticare cosa alcuna. E prima di tutto: Giacomo si è chiamato sempre Giacomo, nome di famiglia, nome di mio avo paterno. E come ti è venuto in mentc che abbia avuto altro nome? Ti ringrazio poi dell' offerta che mi fai dell' edizione di Firenze. A Sinigaglia ne abbiamo trovate copie, e così finalmente è venuta in nostra mano questa edizione tanto desiderata ed aspettata. e questa vita scritta da Ranieri, che tanto ne fa desiderare un' altra? Per quelle copie poi che ne bramarono alcuni di qui, e così si erano associati, io non me ne impiccio; è affare di librai, e non ne ho avuto io l' incarico. Però si vede che Le Monnier è assai trascurato, oppure questa edizione ha avuto uno smercio incredibile, per cui esso si è tenuto addietro, e dal compensare i collaboratori (intendo Viani e Giordani ecc.) e dal mandarne copie dalle nostre parti, ove non si trovano affatto. Venendo all' eredità avuta da Giordani, non puoi credere quanto dispiacere io provi nel vedere che non ti posso servire in questa si piccola cosa, il verificare cioè se nel foglio di Milano si parla di questo. Il fatto sta che noi non abbiamo questo foglio, e nessuno lo ha in Recanati. Una volta lo aveva il nostro Vescovo, e sperando di trovarlo anche adesso ho fatto subito le mie ricerche e ho saputo che non viene più, stante le enormi gravezze postali; dono munificentissimo di Sua Santità, che ha raddopiato il prezzo del foglio stesso, sebbene punto lieve. Io stento a credere che Giordani taccia a Brighenti un tale affare, pure è possibile. E a Forli non viene la Gazzetta privilegiata di Milano? Non mi pareva di aver fatto elogi della poesia di Ceretti, e non l' ho qui per rileggerla, ma son sicura che Nina avrà ragione, son tanto pochi quei versi che giungano a contentarci! In quanto poi al vederci, lascia che io ne dubiti sempre. Perchè, che tu faccia una grossa vincita al lotto, vorrei dubitarne sperando che avrai bastante giudizio per non aver questo vizio, di giuocar sempre al lotto, a rischio di passar tutta la vita pagando sempre e non vincendo mai. Se papà divenisse Governatore di Recanati, oh allora sì, ma appena lo crederò se mi sarà dato di vederlo. In quanto poi al maritarmi io… questa idea tua mi ha fatto ridere. Anche lo spirito santo dice che omnia tempus habent, e il tempo mio è un pezzo che già è passato.

Ancorchè i mariti piovessero da ogni parte, per me tutto è finito, io morirò colla corona di bianco spino in capo, invece del giglio come usa tra noi. Ora quest' uso è troppo antico e io voglio il bianco spino, come emblema della estrema mia predilezione per la primavera, pel caro mese di maggio in cui vediamo fiorite le siepi. Io credo di averti già altre volte raccontata la storia dei miei mariti, anzi di quelli che non son divenuti tali, o per dir meglio la storia di me che non son divenuta più moglie, sicchè non starò a ridirterla, come cosa noiosa per te e per me d'irritabile pensiero. Non parlar dunque più dell' idea o della speranza di vedermi moglie di un modenese o di un bolognese, ma odora piuttosto l' essenza del bianco spine e ricordati allora della tua amica che morirà prima di aver provato un istante di vera gioia al mondo. Domanda a Brighenti che legge le Gazzette quanti anni aveva quel Giuseppe Len, stato ucciso nel suo letto a Lucerna poco fa, e quando esso te io avrà detto, sappi ch' egli era mio coetaneo, vedi dove sono andata a cercare i coetanei.

Volevo dire una parola a Nina, e si è fatto tardi; poi, come ho da sperare che risponda a me quando non risponde nemmeno agli amanti suoi? Oh cattiva, cattiva! Ti ringrazio dell' offerta del Gussalli, ma io l' ho avuto in dono da Viani, e leggerò presto, chè adesso sono ingolfata nella lettura dell' Hebreau errant, e sai bene, che quando si pon mano a tali libri, si vorrebbe leggerli tutti d' un fiato. E i Misteri di Parigi, che te ne pare? Io li ho trovati deliziosi, e giustificanti la fama loro. Se ti capitassero per le mani i Misteri di Londra, dimmelo.

Addio, carissima—addio voi tutti, miei cari. Segui pure a dirigere a Carlo propriamente; l' ultima l' ho avuta senza alcun ritardo. Non posso darmi pace del non trovare il foglio di Milano, del non esser buona a nulal per te, per tutti voi cui voglio tanto bene.

19 ottobre (1845)

Cara Marianna,

Non posso a meno di rispondere subito all'ultima tua carissima degli Il corrente, non solo perchè tu me ne preghi, ma principalmente ancora per corrispondere con eguale cordialità, con eguale amicizia a quella di voi, miei carissimi. Dunque, sentite hene. Benchè io non abbia letto le lettere stampate di Giacomo a Brighenti, mi figuro bene però cosa esse contengano, sapendo in quali tempi vennero scritte, e con quanta amarezza di cuore venivano allora dettate da uno che si sentiva tanto infelice. E certo io avrei giurato che quelle lettere non sarebbero mai uscite dalle mani di Brighenti, durante almeno la vita di lui o delle sue figlie, delle amiche della Leopardi, la quale Leopardi, sebbene anch' essa contrariata ed amareggiata quanto mai, pure non solo in privato e nel suo cuore, ma anche esteriormente e quanto può, procura che i suoi genitori non incorrano per colpa dei figli alcun biasimo, e vorrebbe render loro tutto quell' onore che meritano realmente per moltissimi titoli. Sicchè, puoi facilmente immaginarti, Marianna mia quanto cruccio mi cagioni quello che tu mi narri, e quanto ne sia inquieta con Giordani, e molto più con Viani, il quale nel tempo che finge meco di essere quasi mio adoratore, mette in derisione i miei genitori pubblicamente colle stampe. Certo, che anche questo insegna a conoscere gli uomini, e a non creder loro; oh, ma io non li credo mica! Venendo poi a quanto mi dici ch' io debba prevenirne i miei genitori per parte di papà, e raccontar loro come la cosa è stata, senti bene! Dopo la disgrazia che abbiamo avuto di perdere due miei fratelli, e dopo l' immenso ed eterno dolore che tai perdita ne ha cagionato, abbiam veduto noi fratelli che non piaceva più a nostro padre di nominare questi cari ed amati oggetti; sicchè, noi che avremmo voluto parlarne ogni momento, abbiam dovuto fare studio per tacere quei nomi che ci venivan sempre sulle labbra. Di Giacomo poi, della gloria nostra, abbiam dovuto tacere piu chè mai tutto quello che di lui ne veniva fatto di sapere, come di quello che non combinava punto col pensare di papà e colle sue idee. Pertanto, non abbiam fatto mai parola con lui delle nuove edizioni delle sue opere, e quando le abbiamo comprate le abbiamo tenute nascoste e le teniamo ancora, acciocchè per cagion nostra non si rinnovi più acerbo il dolore. Premesse queste cose, io mi son consigliata coi miei fratelli, e li ho trovati del mio medesimo parere; cioè, che non si debba, almeno per ora, parlargli di quanto è avvenuto, della stampa delle lettere, poichè esso non sa nulla, nè dei primi tomi, nè dell' ultimo, e non vi è probabilità, che ne sappia per lungo tempo; e quando accadesse che ne venisse al fatto, sarei pronta io colla tua lettera in mano, e coll' ardire che m' inspirerebbe l' amicizia e la sicurezza di non mentire, farei in modo ch' egli non avesse a cangiare l' opinione, che Brighenti sia vero galantuomo ed uomo di onore, come ha sempre creduto, anche nei primi tempi dell' amicizia di Giacomo col papà tuo. Io spero che così andremo d' accordo, e che voi altri non troverete niente a ridire su questo partito che mi sembra il più prudente. È certo che cagionerebbe vivo dolore a mio padre il sapere di queste lettere stampate, e perchè dunque gliel' avrò a recar io questo dolore?

I miei fratelli sono anch' essi meco dolenti di questo caso, o per meglio dire, dell' offesa che i Signori Giordani e Viani han fatto a noi, e si dolgono ancora con me che hanno in tal modo compromessa una persona rispettabile e cara, e di cui non si potranno mai dolere. Essi ti salutano e salutano tutta la tua famiglia, e io abbraccio tutti per parte anche di Virginia che si fa grandina e sempre sommamente cara. Gli altri due vengon su bene anch' essi, e io non trovo ormai più tempo da leggere, nè da fare niente altro che accarezzarli e fare un tantino di scuola. Ma questo non è mestiere da me, che non so fare, e non ne ho la pazienza, chè noi Leopardi siam pieni di fuoco e per insegnare ci è d' uopo di una pazienza in grado eroico. Oh, addio, cara Marianna mia, addio Nina, addio caro papà, renda Iddio a voi, anime dolcissime, tutto quel bene che vi meritate per le virtù vostre tanto rare in sì orridi tempi. Bacio tutti con tutta l' anima. e mi affido sempre all' amor vostro.

31 Dicembre (1845)

Mia carissima,

Prima di ogni altra cosa, e per non iscordarmene devi sapere che i compilatori dei giornali che si stampano in Roma non han voluto in alcuno di quelli inserire la lettera di papà tuo, o come troppo lunga, o come spettante a cose che non han relazione col loro giornale; sicchè, a me è rimasto il dispiacere di non aver potuto nemmeno in questo compiacere Brighenti, malgrado tutta la buona volontà che ne avrei. Altra cosa di cui voleva parlare con te da qualche tempo, e che ho sempre dimenticata, Francesco Galvani è impazzito, o vero è divenuto propriamente miserabile? Più lettere esso ha scritte di Firenze a Papà mio per chiedergli limosina, limosina bastante a togliergli la fame, anche uno o due giorni. È cosa veramente compassionevole; ma spiegami un poco come può essere.

In quanto alle famose lettere è meglio rinunziare al pensiero di volerne scuoprire il vero colpevole; più si va indagando e meno ritrovasi la verità. Molte e molte cose io avrei taciuto, di quelle che si son pubblicate tra le opere del nostro Giacomo; piangendo e palpitando io rileggeva più volte quelle frasi e quei pensieri di lui ch' io avrei voluto cancellare col sangue, e tutto il mondo saprà che mio fratello aveva perduto la fede! Che pensiero orribile e lacerante! e non avevamo da piccoli giuocato insieme all' altarino! ed esso era tanto religioso ch' era divenuto pieno di scrupoli; tanto è vero che la troppa scienza corrompe! Preghiamo Iddio che non vengan quei volumi nelle mani dei miei genitori; essi ne morrebbero di dolore! O Marianna mia, io avea bisogno di sfogarmi con te, e di deplorare teco questa disgrazia; ma dimmi, non ho ragione di piangere? E Brighenti non ne conviene meco? E non ha ragione Saint-Beuve di attribuirne la causa a quel suo disgraziato amico? Oh! Dimmi, dimmi cosa ne pensa il papà tuo, così le sue parole potessero confortarmi e farmi sperare di rivedere una volta il mio diletto Giacomo.

Dopo di aver qui interrotto la mia scrittura, ritorno a te, mia cara Mariauna, e a voi tutti della famiglia Brighenti, a dirvi come particolarmente in questo giorno io rinnovo più caldamente che mai i miei desiderii di ogni possibile felicità sopra di voi, non solo nell' anno che ha principio domani, ma in molti e moltissimi in seguito, e vorrei che questi miei desiderii fossero compiuti come se si trattasse della mia propria felicità, o almeno tranquillità. Raccontami i divertimenti che ti prenderai in questo carnevale; noi stiamo come in quaresima, e già sai che non me ne duole affatto. Scriveva avant' ieri Viani che la difesa del Pellegrini usciva il 27. Non puoi credere la dispiacenza che ci cagiona questo affare delle lettere, di cui vorrei piuttosto non se ne parlasse più! Viani si lamenta che Papà non gli ha più scritto.

Pier Francesco Saverio da noi volgarmente chiamato Pietruccio e dalla mamma Saverio, è il nome di cui doge mio fratello. Esso e la moglie fan mille complimenti ed augurii alla tua cara famiglia, e Virginia mi domanda chi sono questi Brighenti, e come conoscono Virginia tanto da volerle bene e da mandarle baci, ed io le dico essere ciò in virtù della sua bontà e del suo grande giudizio. Ma pure lo crederai? Ancora non mi viene di farle imparare a leggere, cosa umiliante per la maestra e scoraggiante.

Abbi dunque tanti baci e carezze di Virginia e qualche bacio di Giacomo ancora, (ma con lui non parlo per anco delle Brighenti), abbine uno per guancia ma con tutto l' affetto dell' anima dalla tua Paolina, e fa lo stesso con Ninì, colla pigra Ninì; al Papà bacia la mano ed abbraccialo per me. Dopo aver letto a Virginia il passo della tua lettera in cui mi dicevi di darle un bacio, essa subito mi offerse la sua guancia dicendomi: date! e io glielo diedi puoi credere con che cuore. Addio, care, carissime anime, non lasciate di amar sempre con egual tenerezza la vostra Leopardi.

22 luglio (1846)

Cara Nina

Tardi rispondo alla carissima tua (segnata 25-6-46), ma dice il proverbio, esser meglio tardi che mai. Ora, la Marianna sarà ritornata dal suo viaggio ministeriale, e spero che ora vedrete più chiaro nel vostro destino (frase francese). Già tutti sapete, e da gran tempo il sapete, qual viva parte io prenda a questo destino, e come ardentemente desideri ch' esso sia lieto e felice. Intanto la Marianna si sarà divertita, avrà goduto delle feste di corte, e gioirà nel vedersi così giustamente apprezzata dal sovrano modenese. Credo certo che noi abbiamo quel tal libro di Canosa che mi chiedi, poichè in quel tempo ebbimo parecchie cose di lui, ma poi? Ancora non mi hai detto cosa ne volevi fare.

Sapendo il nome del novello pontefice, già avrai immaginato che fosse un poco parente di Cleofe, la quale è una Ferretti. Ed infatti Pio nono ha esso stesso riconsciuta la parentela, ed ha permesso che la casa Ferretti di Ancona alzasse l' arma di lui, ed ha tolto ogni impedimento all' esule conte Pietro Ferretti, zio di Cleofe al suo rimpratriare; e ciò appena fatto papa, molti giorni prima della pubblicazione dell' amnistia. In seguito si vedrà se le speranze concepite al suo avvenimento alla sede pontificia eran giuste.

L' Ernani si è fatto ed io ho goduto assai di quella cara e bella musica. Le circostanze e i piccini han voluto che non l' abbia sentita intera; ma ho goduto di sentirmi tuttora capace di provare quei sentimenti dolcissimi che, nella mia prima gioventù, la musica mi faceva provare. Amerò poi di sentire il vostro parere su quel lavoro di Verdi che viene ripetuto per ogni dove, il parere di dotte ed esperte persone in fatto d' armonia.

Cleofe e Virginia ti salutano caramente, e la Marianna salutano e il papà; il non parlar punto della di lui salute, m' indica ch' esso sta bene, e ne ho proprio piacere.

In settembre facilmente, se la famiglia Brighenti dimorerà ancora a Forlì. verrà a trovarti uno che ti porterà le nostre nuove e saluti, e ti dirà mille cose per noi, e potrai davvero fargli molte interrogazioni, ed esso risponderà a tutte, chè viene in casa mia ogni giorno, ed è amico di casa. Adesso non voglio dire il suo none, nè lo dirò finchè verrà costì. Abbraccia ben bene la Marianna per me, e pregala a non scordarsi di volermi bene, e di scrivermi presto. Abbraccia pure il papà, e addio, cara Nina! Addio con tutta l' anima all' intera diletta famiglia.

9 marzo (1847)

Cara Marianna mia,

Io ho sempre bisogno grande della tua indulgenza pel mio sì lungo silenzio. Io ti ho sempre nel cuore, credimelo, ch' io non mento giammai; ma son tante le occupazioni, i dispiaceri e gli affari, che proprio non posso mai riuscire a trovare un minuto di tempo per scriverti. Ma già tu lo sai che l' amicizia nostra non può perire (come la nazionalità della Polonia) sicchè non ti devi sorprendere pel ritardo dei miei caratteri, ma dire soltanto: la Paolina ha certo molto da fare. E veramente io più presto assai di ora, doveva ringraziarti della continuzione dell' amore, e delle care affettuose tue parole, le quali puoi credere se mi sieno di vera e dolce consolazione. Poi mi rallegro con te, e col papà dell' impiego avuto, e spero che tra poco mi avrai a dire qualche cosa di più sostanzioso e di più utile a tutti voi altri, e certo sarebbe pur ora di mettere a profitto l' esperienza e i lumi di un uomo atto a fare onore al governo che lo impiegasse. Che ne dice Brighenti di questi tempi e di questo governo? Mi pare che il mondo sia ora posto tutto sopra un vulcano, e che non manchi che la scintilla elettrica che debba accendere un gran fuoco, ma un fuoco immenso e devastatore; e questa scintilla sembra sia vicina (senza contare poi quanto mai fatichi Poi nono per accenderla). Avrai sentito parlare molto confusamente di quanto avvenne a Recanati in una notte di Carnevale. Ne han parlato anche i fogli esteri, senza però parlarne con tutta verità. Il fatto si è che dopo l' opera furono uccisi due Loretani e due feriti, e furon trovati i cadaveri la mattina seguente in mezzo alla strada.

Si potrebbe ancora dubitare se gli uomini fossero recanatesi, o i loretani fossero venuti a rissa tra di essi, e questo è ciò che si saprà, terminato che sia il processo che si sta facendo da un giudice venuto apposta. È vero che sempre vi è un tantino di urto tra Recanatesi e Loretani come accade sovente tra popolazioni limitrofe; ma è vero ancora che i loretani, popolo scorretto e briccone, viene sempre a cimentare i Recanatesi, e più di frequente in occasione di Teatro aperto e di cantanti loretani. Il comune di Recanati ha cercato di riparare la enorme disgrazia di quell' uccisione, e lo ha fatto con onori veri ai defunti, e con denari alle loro famiglie, (e gli uccisi eran due giovinetti non ancora ventenni), ma Pio nono ha voluto render perpetua questa macchia (macchia di una mano di birbaccioni) imponendo al Comune una paga annua di cinquanta scudi in perpetuo. E qui ci sarebbe molto a dire in proposito della giustizia di questa imposizione, ma ognuno già sa cosa pensarne.

Mio padre ha migliorato da qualche tempo, pero non si muove mai dalla camera, e se la buona stagione non giunge a risanarlo, l' è una vita assai penosa per tutti. La Cleofe ancora è in Ancona, chè è ricaduta più volte, ma speriamo di riaverla presto. La Virginia, qui presente, vuole che ti saluti, anzi ti dia un bacio affettuosissimo, il che faccio di gran cuore; rimane che tu l' accetti. Cari miei, io vi amo sempre con intensissimo affetto, e vi bacio e vi abbraccio tutti. Avrei voluto esser con Rosa e così accrescere il popolo alla novena della Beata Vergine del Zioco; spero però che avrete fatto memoria della vostra amica, la quale nelle poche orazioni che fa, si ricorda pure di voi altri. Addio, Marianna mia, seguita ad amarmi quanto puoi, ad esser certa dell' affezione immensa che avrà per te in eterno la tua Paolina!

Un' altra cagione per cui ho tardato a risponderti, è stato di aver dovuto impiegarmi nel copiare le lettere di Giacomo da darsi a Viani. Che nuove hai di Viani di cui è un pezzo che non sappiamo nulla?

7 Maggio (1847)

Cara Marianna,

Al giungere di questa mia, anche prima di leggerla comprenderai da quale sciagura sia stata colpita la mia famiglia. Era lungo tempo ch' essa ne minacciava, e noi non ci volevamo credere, finalmente, il giorno trenta di aprile fu l' ultimo dei giorni pel povero mio Padre e il primo del nostro eterno condoglio. Egli ha fatto una morte da santo, ha coronato Iddio con una fine tranquillissima la sua virtuosissima vita, e ha infuso in noi piangenti e desolati il conforto di credere quel caro defunto giunto già in cielo. Ma ciò non basta ad asciugare le nostre lagrime, a riempiere quel vuoto tremendo che l' assenza di lui ne fa scorgere ad ogni istante: noi porteremo il duolo di questa perdita per tutta la vita che ne rimane, fosse anche lunga come quella di Noè. Il suo male è stato un idrope generale; idrope che ha resistito ad ogni medicina, ad ogni sforzo dell' arte, di quell' arte vanissima atta solo a illudere i mortali. Quando ha veduto prossimo il suo fine, e se ne avvedeva più dalle lagrime nostre che dal male istesso, ci ha chiamati d' intorno, ci ha dato serii ammonimenti, poi ne ha esortati ad imparare come si muore in conversazione, poichè egli ha parlato sempre con grandissima pressenza di spirito rimanendo noi tutti meravigliati di tanta pace, di tanta calma.

Son sicura che, a questa notizia tu piangerai con me, e Nini e papà tuo lo sentiranno con gran dolore. Era una pena il vederlo, trasformato com' era da quel male orrendo io mi nascondevo perch' ei non mi vedesse a piangere accanto al suo letto di morte, poi voleva che mi consolassi e non lo facessi perdere di animo. Un grande conforto mi è stato il vederlo dopo la morte disteso sul funebre suo lenzuolo, e il potergli imprimere su quel volto in cui eran tornati gli antichi lineamenti, e in cui era un sorriso angelico baci caldissimi di affetto, e il dargli singhiozzando l' estremo addio.

O Marianna mia, io ti lascio perchè le lagrime mi vincono e il dolore si fa ogni di anche più acerbo, nè è giusto ch' io abusi anche più a lungo delle tua amicizia. Abbraccio tutti con tenerezza grandissima, e addio Marianna mia!

11 luglio (1847)

Mia carissima Marianna

Figurati di vedermi in ginocchio dinanzi a te, ed in mezzo a voi altri, chiedendovi scuse quante mai posso del mio silenzio di due mesi dopo una vostra lettera affettuosissima e piena di consolanti e care parole, e tutte esprimenti la più tenera e calda amicizia. E già so bene che solo questa può farmi perdonare, come solo in virtù di questa e in sua considerazione ho potuto io tardare a prender la penna in mezzo alle angustie e al dolore immenso prodotto dalla perdita da noi fatta. Io era ben sicura che voi, care anime, avreste diviso con noi il nostro affanno, ed avreste preso parte vivissima all'incancellabile ed eterno nostro lutto, e le parole colle quali vi piace di assicurarmene, mi scendono dolcissime al cuore, e ve ne son grata oltre ogni dire. La misura dell'amore con cui è amato il vostro stimabilissimo Genitore, è certo quella stessa con cui veniva amato il povero e diletto mio padre, e da ciò potete ben misurare il nostro dolore. Scorrono i giorni ed i mesi, e il lutto il più profondo è nel nostro cuore come nel primo dì, in quel giorno tremendo in cui noi restammo orfani di un padre amorosissimo, di un amico fedele, di una sicurissima guida. A me par quasi un sacrilegio, di non rivolgere a lui la mente e gli affetti ogni momento del giorno; mi par quasi un sacrilegio di aprir la bocca al riso, o di aprirla per parlare di qualche cosa che non si riferisca a lui. E pure bisogna vivere, e bisogna conversare e mostrare volto placido, e bisogna pensare di affari, e sospendere il pensare a lui, cui si penserebbe sempre. E questo pure è un grosso affanno, e lungo e doloroso quant' altri mai. Vedi bene quanta fiducia ho io nell' amor di voi, miei carissimi; chè non ho timore di portarvi noia parlandovi sempre di me e degli affanni miei quando vorrei parlare delle speranze che serbate di vedere impiegato meritamente il papà tuo, e presto, e onorevolmente. Oh! Sarà quello per me uno dei più lieti miei giorni, quando mi dirai che giustizia è stata renduta ad un uomo di merito, probo e virtuosissimo. Così voglia Iddio riempir di consolazione e di letizia la diletta vostra famiglia, ed abbellire e render felici i giorni dell' ottimo padre vostro e di tutti voi. In questi tempi di mutazioni e di speranze è più facile il conseguire lo scopo dei lunghissimi desiderii, ma sarà poi vero? O la speranza rimarrà sempre vana? Cara Marianna mia, confortiamoci insieme a passare anche questi altri giorni che ne rimangono, i quali, se a Dio piacesse, di abbreviare, pur ne saremmo lieti, ed intanto amiamoci sempre e fortemente e stringiamoci ai nostri cuori dolenti e vulnerati.—La mia famiglia ringrazia caramente te e i tuoi di tanto amore. Cleofe era tornata da un mese quando il povero di lei suocero è morto, e tutti noi lo abbiamo assistito fino all'estremo luttuosissimo momento, la di cui ricordanza non si cancellerà giammai dalla mente nostra.

Io ti scrivo coll'ultimo dei miei nipoti che non fa che cantare vicino a me, sicchè non so che cosa ti abbia scritto, e per non mortificarmi non rileggo, e poi ho fretta di mandare alla posta, per non sembrare più a lungo scortese o dimentica di voi, care anime.

Io vi ho tutti nel mio curore, miei cari; a Papà Brighenti dimando e voglio che mi benedica, e alle amate e dilette figlie dimando e voglio che mi amino sempre, dando ad esse un tenerissimo e lungo abbraccio.

16 agosto (1848)

Che immenso dolore, Nina mia, quale atroce pena ho provato io un momento fa nel ricevere dalla posta la lettera di Marianna nostra vestita a bruno. Prima di aprirla ho già compreso quanto le mie amiche sono infelici, e piangendo l'ho aperta, e singhiozzando l'ho letta. No, non v'hanno parole atte a confortare in questi casi estremi; piangere e pregare pel riposo di quell'anima diletta, questa è l'unica vita che si può menare. Povera Nina mia! tu puoi credere come io unisco al tuo il mio pianto, e come prendo parte vivissima al dolor tuo! Vero motivo di non morir di dolore si è la vita purissima del caro defunto, e le rare e preziose sue virtù, per le quali certo l'anima sua sarà volata a riceverne il premio. Io raccomando te a te stessa, Nina mia; piangi, piangi pure, ma non rovinarti nella salute, se non altro per aver forza di pregare più a lungo per chi tanto ti ha amato.

Perdonami queste parole che ho scritto di volo pria che parta la posta, ch'io non voglio che parta senza una riga per te, che bacio con tutto il cuore, e compiango dolorosamente anche per parte di tutta la mia famiglia.

18 agosto (1848)

Povera Marianna mia, oh, si! piangiamo insieme! La disgrazia tua è immensa, irreparabile, e io divido con te il tuo dolore. Piangendo e singhiozzando ho letta la tua lettera, che pria di aprirla mi annunciava già una sventura eterna, e più volte la ho letta, e sempre con lagrime interminabili. Povere mie Brighenti, come la sventura vi ha colpito! E come io ti compiango, te che non hai potuto abbracciare il padre tuo per l' ultima volta su questa terra.

Nel fondo del mio cuore io tengo riposte le parole estreme del diletto mio genitore, di cui è un anno che piango la perdita, e tutti i menomi incidenti della sua malattia mi son tutti presenti al pensiero e mi son piuttosto di conforto con tutto chè d'immenso dolore, pensando quanto pativa; e per te debb' essere di pena atroce il non averlo più veduto da si gran tempo e il sapere, ch'egli ti avrà desiderata e benedetta ma non presso al suo letto, per accogliere l' ultimo suo respiro. Povera Marianna! Io non procurerò certo di consolarti chè non ci son parole atte a questo, ma ti dirò, pensa quanto egli ha sofferto, quanto si dolerebbe anche dal luogo di pace in cui certo è entrato, al vedere le dilette sue figlie non rassegnate ai voleri di Dio e non moderate nell'eccessivo loro dolore. Altro motivo di conforto dovrà essere per noi (e per me lo è sempre) il pensare esser proprio un favore e una benedizione singolare di Dio, il lasciare questo mondo in tempi così crudeli, il trovare la vera pace nell'altro, quando su questa misera terra è svanita pur anco l' apparenza della falsa. Oh! questa io credo sia una somma felicità da non potersi comprendere abbastanza, e credo propriamente predilette da Dio quelle anime avventurate ch'egli trae ora a sè. Ma la povera Nina, quanto sarà infelice di trovarsi senza di te in circostanze cotanto terribili! Oh! come il Signore vi ha visitate, o dilette mie! E non si può far altro che chinare il capo e sorbire intero il calice amarissimo! Se mi vuoi bene, se ho mai meritato l'amor tuo con una lunghissima e vera e calda affezione, mi devi promettere che il tuo dolore non ti danneggi nella salute. Se si potesse morire, se Iddio avesse posto in nostra mano la vita nostra, oh allora non ti farei questa preghiera, perchè già so che altro conforto non v'è in simili sciagure, che la speranza di presto raggiungere l'oggetto di tanto amore: ma anche il desiderio di presto morire è peccaminoso se non è in unione alla volontà divina, per quanto misera ed orrenda sia la vita che si conduce e quella che ne aspetta.

Ora hai più imponenti doveri da compiere, hai la Nina da proteggere, e i tuoi afari da dirigere, e ci vuol mente tranquilla e la calma nell'anima. Pensa alle virtù, alla vera bontà di cuore di Brighenti nostro, e rallegrati che nell'altra vita sia andato a trovare quel premio e quella giustizia che gli hanno negata in questa.

A nome di tutti i miei, ho da esprimere a te e alla Nina il nostro dolore; alla Nina ho scritto subito. La tua lettera mi è giunta ritardata in causa degli avvenimenti politici. Io spero che non mi lascierai lungo tempo senza tue nuove; oh, abbracciamoci, mia carissima, e stringiti a questo mio cuore esulcerato per tanto tuo dolore; diciamo pure insieme di aver perduto il padre nostro, quello che ne amava tanto!

Ti bacio con tutta l'effusione dell'anima la tua Paolina Leopardi.

5 novembre (1848)

Mia carissima,

Ti ringrazio della premura avuta nel fare recapitare la mia lettera a don Luigi Palmieri a Modena, e più ti ringrazio della tua ultima che come le altre tue mi è sempre di consolazione vedendo che ho sempre un posto nel tuo cuore. Con tutta l' anima io vi desidero, o mie care, pace e tranquillità; quella pace che sembra fuggita da questa misera terra per renderci sempre più infelici, e per farci rivolgere tutti i nostri pensieri e desiderii verso quel luogo ove sarà pace eterua, immancabile.

Ora però, guai a noi, guai a noi! Non vi è un angolo di terra ove girar lo sguardo senza vederlo lacerato, imbrattato dalle passioni, dalla ferocia, dalla crudeltà degli uomini. È triste il presente e più triste ancor l'avvenire. È davvero invidiabile la piccola repubblica che tu vedi dalle tue finestre, ed immagino bene che l'anima tua sarà col desiderio volata colà, ma siano tutti incatenati, chi da una cosa chi dall'altra. Questi sono tempi nei quali la mano del Signore si è aggravata sopra di noi, e non si può fare altro che piegare il capo, e soffrire e prepararsi a soffrire anche di più. Con tutto il cuore vorrei consolarti, Marianna mia, ma come vedi son io che ho bisogno di consolazione. Ci sia però di conforto il nostro amore, la nostra più viva affezione, e facciamoci coraggio per quanto possiamo. Virginia mia abbraccia le due sorelle Brighenti, e dice che vuole loro molto bene e la Mamma e il babbo salutano egualmente. Mi dirai l' esito della tua lite; oh foss' egli quale te lo augura la tua Paolina! Bacio la cara Nina e le raccomando di volermi bene. Addio mie carissime, addio! Ho da pregarti di un favore. Per un mio amico hai da provvedermi costì il numero 25 del Messaggere Modenese, e spedirmelo per la posta sotto fascia. Come mi è stato detto, esso corrisponde al 27 ottobre 1848. Se ti riese di averlo facilmente va bene, se no prega a nome mio don Luigi Palmieri a volermi compiacere se è possibile. Addio, cara Marianna mia; tu vivrai sempre nel cuore della tua Paolina Leopardi.

24 gennaio (1849)

Marianna mia,

Le tue lettere mi son giunte sempre carissime, dacchè la fortuna ha voluto che i nostri cuori fossero uniti da nodo dolcissimo di amicizia; la tua ultima però del 20 dicembre, io non vorrei averla mai avuta, leggendo in essa con tanto dolore il cattivo esito della tua causa. Povere mie amiche quanto io sono afflitta per voi! Ma è Iddio, che prova le più dilette sue creature colle tribolazioni, colle amarezze, coi dolori più profondi, affinchè maggiormente spicchino le virtù loro; la rassegnazione, la fede in Dio, Padre nostro amorosissimo, la pazienza ed il coraggio animano a non lasciarsi vincere dalle sciagure.

E questo coraggio vedo con piacere che non vi manca, o mie carissime. Facciamoci dunque animo a vicenda; la mia famiglia è ora esposta alle medesime traversie, ma la fiducia nostra nell'aiuto di Dio e di Maria, è grandissima. Vi onora grandemente la risoluzione di pagare tutti i debiti lasciati da vostro padre, ed egli vi otterrà dal luogo di beatitudine ove speriamo che sia, pace e sufficiente agiatezza. Non occorre ch'io vi ripeta, mie care amiche, come questo sia il più caldo de' miei voti; vi dirò solo che alle afflizioni vostre prendon parte tutti i miei, e che la vostra lettera ha recato dispiacenza ad ognuno. Virginia vuol consolarti, o Marianna, co' suoi baci e colle sue carezze e così alla Nina; gli altri soffrono di vergogna ma vi vogliono tutti bene come è dovere.

Non temere che Viani ne faccia dispiacere col pubblicare le lettere del nostro Giacomo al papà tuo; egli ora ci vuol bene e non vorrebbe per nessuna cosa amareggiare la consolazione che (dic'egli) gli arrecchiamo colla nostra amicizia. Vedrai le belle lettere di Giacomo, oh le vedrai, e ti sembrerà di tornare a quei tempi tanto meno infelici quando egli viveva. Oh! misera condizione della vita umana! L' uomo non si avvede della sua felicità, e della sua sorte meno triste se non lungo tempo dopo, e quando non gli è dato più di goderne. Noi non dicevamo certo di essere felici in quei tempi, anzi ce ne disperavamo, pure, chi non li chiama ora felici?

Il Leopardi non è affatto mio fratello sebbene omonimo, e neppure nostro parente. È napoletano, di una famiglia dell' Aquila.

Ti ringrazio di tanto amore, di tanta benevolenza, di tanto interessamento. Qui si sta tranquilli; non sai che abitiamo in prossimità della Santa Casa di Loreto?

Mi facesti contenta col mandarmi tosto arrivata costì il numeo del Messaggere ch' io voleva. Fa di vedere Don Luigi Palmieri, o se no fa di mandargli molti saluti della famiglia Leopardi, e distinti della Paolina, e voglio tue notizie. Addio, mia carissima ed amatissima Marianna; addio, cara Nina. Baciamoci con tutta la tenerezza che sentiamo a vicenda in tanta comunità di pensieri, di affetti, di sentimenti. Già lo sapete, care anime, che non verrà mai meno per voi l' amore della vostra Paolina Leopardi.

29 luglio (1849)

Mia carissima,

Certamente, io vorrei incominciare dallo sgridarti, e non tanto poco, dell'aver avuto cuore di tenermi senza tue lettere per tanto tempo; ed io non me ne poteva dar pace, e pensava mille cose disgustose di te e della Nina, e per questo saria d'uopo il gridarti assai. Ma come avere il coraggio di rampognare una persona amata, specialmente dopo di averne avuta una lunga e affettuosa lettera, tutta piena di dettagli e di notizie interessanti? Dunque pace per ora, e ringraziamenti per l'amor tuo ch'è sempre vivo e costante.

Ho grande piacere di sentirti bene in salute, malgrado tanti e sì lunghi affanni. Della lite non mi dici nulla, e perciò spero bene. Della cattiveria degli uomini, è inutile il parlarne; per noi è un mistero incomprensibile e dolorosissimo.

Ti compiango nella tua operazione di esaminare le carte del povero tuo padre; essa non avrà fatto che sempre più inacerbirne il dolore della perdita; dolore che non si spegnerà certo se non colla vita. Va bene che ti fruttino qualche cosa le lettere abbondantissime del Giordani, e va bene che si rendan pubbliche, come lo sono quelle di lui a Giacomo che avrai certo in quest' ora vedute nei due volumi dell'epistolario. Il povero Viani con grande amore ed operosità ha accudito a questa pubblicazione, che non può mancare di rendere a lui onore e frutto.

Noi stiamo bene, meno la Cleofe che peggiora sempre. Essa mena una vita infelicissima, e rende così infelici anche noi nel vederla tanto e così continuamente soffrire. Essa saluta te e la Nina e prega di un' Ave Maria a San Geminiano acciò le impetri pazienza e rassegnazione. Marianna mia, si vive pure male a questo mondo! Solo gli infami e gli scellerati godono; ma non li invidiamo per questo. Il pensiero della brevità di questa vita, è il solo conforto che ne rimanga; la pace la ritroveremo nell' altro mondo ove speriamo che la misericordia divina ne condurrà in luogo atto a goderla.

Ti ringrazio delle premure pel Bava, sebbene infruttuose. Tutti ti salutano, e ti esortano a farti coraggio, a sperare nella Provvidenza che non abbandona mai quelli che sperano in lei e confidano in lei. Non puoi credere quanto mi consoli il giudizio che mi dai delle lettere e del carattere di mio padre; non v'ha dubbio che nella età nostra le cose si veggono sotto ben diverso aspetto che nella gioventù, epoca d'illusioni e d'inganni. Ma, se piacerà a Dio, noi due pubblicheremo le lettere di mio padre a Giacomo, e allora molte verità si scuopriranno, e il povero padre mio sarà co osciuto per quell' uomo veramente affezionato e amante dei figli suoi. Spero che, ove ne avessimo bisogno, le Brighenti permetterebbero e acconsentirebbero che venissero pubblicate le lettere di Monaldo a Brighenti e ne darebbero copia; di questo non ne dubito. E son sicura che in quelle si scorgerebbe ancora quanta stima egli facesse del padre tuo, di cui sempre parlava con lode e rispetto come di uomo onoratissimo.

Abbraccio e bacio la Nina con tutto il cuore, e te, mia carissima, io stringo al mio cuore tanto angustiato, ma pur sempre vivace nell'amarti.

9 marzo (1851)

Mia carissima,

Vedi quanto io sono generosa con te! Quando toccava a me il lamentarmi amaramente, e lo sgridarti a piena gola per un silenzio protratto certo di troppo, ti do materia di rimproverarmi perchè rispondo sì tardi alla tua amorosa lettera del due dello scorso febbraio. Malgrado i tuoi giri di rettorica (e si vede bene che sei maestra) la povertà dei tuoi ragionamenti per iscusarti di un anno di silenzio, non ha potuto essere ricoperta altro che dalla tua affezione, la quale mi fai vedere sempre viva ed intatta anche in mezzo a tanti affanni e a tanti pensieri. Molte e molte volte nel corso di questo silenzioso anno ho pensato a te e all'amor tuo, e a quello della Nina, ed era sicura di essere sempre amata da sì amate persone, e attribuiva alle vostre nuove e faticose incombenze, il dispiacere di vedermi priva di vostre lettere tanto desiderate. Ora dunque mi rallegro assai con voi, mie carissime, che queste vostre fatiche vi diano il ben dovuto e meritato compenso, e non posso fare altro che eccitarvi a proseguire sempre alacremente in questa nobile impresa, che vi frutterà guadagno immenso per l' altra vita, e lodi ed onore grande in questa. Nè io invidierei punto nè porrei alcuno de' miei, nello istituto di Genova, tu già mi comprendi bene. Viani me ne scrive; già saprai ch' esso ci professa lettere e storia, e mi dice che le alunne son molte, e ci accorron sempre dalla Toscana, dal Piemonte e dalla Liguria. Mi narra di una Rosellini di Pisa e di una Roverigo di Sanremo come di due portenti d'ingegno. Figurati cosa diverranno poi! Io sono sicura che le amiche mie non invidieranno punto il famoso grido che fa sorgere quell'istituto, sicure nella loro coscienza di meritare più alte lodi per più nobil via.

Abbiamo avuto noi in carnevale opera in musica; egregia opera, che ha richiamato seralmente per più di due mesi buon numero di forestieri. I due Foscari, i Lombardi e la Sonnanbula sono state le opere eseguite, e tutte hanno ottenuto il comune soddisfacimento. Per pettegolozzi sovvenuti poi in fine del carnevale, la diletta Sonuambula, quella che ne faceva riposare la mente e l' udito dalle troppo fragorose e per nulla sentimentali melodie di Verdi, poco si è fatta sentire. Avevamo un' orchestra eccellente e tre soggetti assai bravi, dicevasi, essere uno spellacolo di capitale.

Mi reca grande meraviglia che non ti sia riuscito di vendere le lettere di Giacomo; e le lettere di Giordani hai potuto esitarle?

Mia carissima, non istancarti di volermi bene e di scrivermi talvolta, se puoi. Noi stiamo bene, grazie a Dio, meno la Cleofe che non guarisce mai perfettamente. Io ho passata l'estate men male del solito perchè ho avuto la compaginia di una diletta mia amica e della sua famiglia che ha dimorato cinque mesi in Recanati, ma poi essa è partita, ed ora non mi rimane di conforto, altro che le sue lettere, e la memoria dolcissima dei dì passati insieme.

Addio, mia Marianna, addio Nina mia. Ricevete ambedue molti teneri saluti dei miei e baci di Virginia. Addio, addio con tutta l'anima abbracciandovi e baciandovi con tenerezza grande. La vostra Leopardi.

1 Gennaio (1852)

Mia carissima,

Ho ricevuto ieri la tua carissima del 26 scorso dicembre e non ti so dire quanto abbia accresciuto le mie afflizioni; chè, io sono orrendamente afflitta come avrai veduto dal suggello, ma di me parlerò più tardi. Prima di tutto rispondo alla tua angosciosa lettera, la quale mi dipinge al vivo i tuoi guai, e questi mi affliggono e più mi affligge il non potervi portare rimedio alcuno. La sarebbe stata per noi una vera consolazione il potere esaudire la tua domanda; ma circostanze dolorosissime ce lo impediscono.

Per poter terminare liti fastidiosissime e di non poca importanza, abbiamo dovuto proprio nell'ottobre scorso venire ad accomodamento mediante lo sborso di parecchie migliaia di scudi, e accollarci pesi e debiti; poi si deve far la divisione e sia dare la sua parte di legittima al fratello maritato fuori di casa cui intanto si pagano i frutti; tutti motivi che ci costringono a molta attenzione nelle spese, e a non potere seguire i moti del proprio cuore che ci porterebbero a consolare gli amici nei loro bisogni. Triste cosa sono le liti, Marianna mia, e bisogna far di tutto per troncarle se si vuole vivere qualche giorno di più, o almeno rassegnarsi a vivere finchè Iddio lo vuole. Il buon cuore e l' affezione verso vostro padre vi ha portate ad incaricarvi di pagare tutti i suoi debiti, ed inesperte come senza dubbio eravate dei fortunosisimi eventi delle liti, avete contato di vincerle e di soddisfare; poi le cose vi vanno male, e vi trovate fra Scilla e Cariddi. Oh, come io vi compiango, mie carissime! Ma, vi esorto quanto posso ad accomodare e ad uscire da uno stato cosi penoso ed incerto, e doloroso per tutti i conti. Sarò certo molto lieta se potrò sentire notizie di voi più consolanti, e sarà un balsamo alle mie grandi ed irreparabili disgrazie, il sapere le mie amiche alquanto più tranquille.

Ora sappi, Marianna mia. che la sera del 29 settembre passato, dopo poche ore di malattia, morì tra le mie braccia mio fratello Pietro, il solo ch' io avessi in casa.

Poi, il dì 8 dicembre è andata in paradiso la mia diletta Virginia, quella ch'era amata da me più che se fosse mia figlia.

Non ti dirò nulla del mio dolore, nulla della desolazione di mia sventurata famiglia. Le lagrime che ad ogni momento si spargono, attestano l'estensione della nostra angoscia. Pregate per noi, mie carissime, e pregate sopratutto per queste anime dilette, acciò Iddio dia loro luogo nel beato suo regno. A me pare tutto ciò un sogno, un'immaginazione di fantasia sconvolta; ma quando non vedo più Virginia, e quando mi trovo sola … sola per sempre! Oh! Pregate per me, mie carissime, per questa vostra infelicissima e sciagurata amica Paolina Leopardi.

9 Gennaio (1853)

Mia carissima,

Non so come dar principio a questa mia, tanto le parole ed i pensieri si affollano e rifluiscono verso la penna che non vale ad esprimerli. Ma prima di tutto ho bisogno di rallegrarmi di vero cuore con te, per l' avvenimento tanto onorevole per te e che ti riempie di gioia. Devi esser sicura ch'io ne sento altrettanta, e che ringrazio la divina Provvidenza che ha voluto ricompensarti di tanti affanni, ed ha voluto dare un premio alle vere tue virtù, fra le quali si è distinta sopra modo quella dell' obbedienza ed amore singolare ai tuoi genitori. Sicchè, mia carissima, non ho altro che ad invocare la benedizione del cielo sul tuo capo, e che Iddio ti assista e ti dia mente e cuore atti a reggere il non lieve e difficile peso che sei per addossarti e che ti renda men dolorosa o più sopportabile la separazione dalla sorella, la quale non so come potrai eseguire senza che ti si laceri il cuore.

Anch'io contava i mesi nei quali non ti avea più scritto, e nè meno in risposta ad una tua affettuosissima, e a questo silenzio io non poteva pensare senza rimorso nè senza dolore amarissimo. Ma cosa vuoi? Noi non crediamo al fatalismo, ma pure è una fatalità ch'io non potessi punto scriverti! E tu mi offendi col dirmi queste parole colle quali hai incominciato la tua lettera «l'ultima a scriverti fui io chiedendoti scusa dell' aver forse di troppo confidato nell'antica nostra amicizia, permettendomi una domanda che ebbe la sventura di dispiacerti». No, Marianna mia, la tua dimanda non mi spiacque per altro, se non perchè non potei soddisfarla come il mio cuore e il mio desiderio avrebbero voluto, nè tu sbagliasti nel farmela, nè mostrasti maggiore fiducia nell'amore che ne lega, di quella che realmente e veramente devi avere, e il silenzio mio non è provenuto certo da questo; ma le disgrazie, che mi sono accadute, digrazie orribili ed irreparabili, mi hanno cangiata affatto, e intorpidita, e annichilita.

E mi mancava il cuore di associare nel mio dolore anche le mie amiche, già bastantemente dolenti per la propria situazione, e di costringerle a pianger meco la morte dei miei cari, ai quali non pensava mai di dover sopravvivere per menar poi sempre la vita nel pianto e nel dolore. Alla morte del mio caro fratello, a quella della mia diletta Virginia, la figlia mia, è successa ancora quella di mia cognata, la povera Cleofe, sicchè puoi bene immaginarti qual vita si meni e cosa si speri. Però, io desidero di saperti felice, e spero che me ne darai notizie, come pure degli avvenimenti de' quali mi parli, che ti han tanto amareggiata. Mi congratulo con Nina dell' ottima riuscita che vanno avendo le sue fatiche; così prosegua Iddio a benedirla, e accordi ad essa coraggio e forza nel separarsi da te.

Vedrò di soddisfare il tuo desiderio coll'autografo di Giacomo; però sono state tante queste domande che a poco a poco si son distribuiti tutti quelli che si potevan dar via, ma ripeto, vedrò di soddisfarti.

Abbraccio la Nina e te pure e mi raccomando all'amor tuo, essendo sempre la tua affezionatissima Paolina Leopardi.

Viani è più vivo? Abita più in Genova? Quando mi scrivi dimmi qualche cosa.

1 aprile (1855)

Mia carissima,

Era pur tempo che mi giungesse una tua lettera, poichè io già non sapea che pensare de'fatti tuoi, e quasi quasi ti credeva in California per servizio de' tuoi padroni. Ma, ho piacere che non sia vero poichè forse ti avrebbe incomodato l'andar fin là, e poi io non avrei avuto per lungo tempo notizie tue.

Sicchè, ora mi congratulo che mi hai fatto lieta co' tuoi caratteri, co' tuoi augurii, colle amorose tue parole, e di tutto ti ringrazio di cuore; e in quanto agli augurii credi pure che la tua amica te li fa non meno sinceri, nè meno caldi ed ardenti per la tua felicità e della Nina, e di tutto che ti riguarda. Non ti posso compiacere in quanto al Sonetto di Giacomo che mi chiedi, fatto per Sacerdote novello. Non mi ricordo se Giacomo mi parlasse mai di questo sonetto, e se io abbia mai saputo di questa poesia, ma è certo che qui da noi non si trova, per quanto io abbia cercato. E così mi rimane il dispiacere di non poter procurarti una cosa grata, a te e a Viani; il quale mi saluterai quando gli scrivi, e lo ringrazierai dei belli suoi versi in morte di Malaguzzi, e dei tre scritti di G. L. ch' egli ha voluto pubblicandoli riunire. Gli dirai che, oltre il diletto provato nel leggere que' robusti suoi versi, ho riveduto ancora con piacere il suo carettere e la prova che serba pur anco memoria di antiche conoscenze le quali talvolta andavan pensando a lui. sempre incerte del suo destino.

Mi fai proprio ridere colla proposizione che fai a mia Madre (che pur ti saluta assai) di venire a Bologna. Oh se la conoscessi! se la conoscessi! E poi, non sai che non esce di casa che solo una volta o due l' anno per andare ad una vicinissima chiesa e non altro? Non sai che in tutta la lunga sua vita non si è mai curata di uscire di Recanati, e non ha voluto vedere mai nulla? Figurati dunque se le può venire ora volontà di muoversi! In quanto a me, posso lasciar sola mia Madre in questa sua età? Credi pure che questa vita mi è oltre ogni dire noiosa e pesante, ma pare che non ci sia rimedio, e convien sempre inabissarsi nel proprio dolore e nelle dolenti rimembranze.

Di Ranieri amerei molto sapere qualche cosa. Egli che ha tanto diritto alla nostra fraterna affezione, non ha serbato più memoria di noi, a quanto pare, non avendoci mai più dato cenno di vita.

Addio, mia cara ed amatissima! Vedi se puoi di non lasciar passare tanto tempo senza scrivermi ma non scriver più a mezzanotte, per i tuoi occhi principalmente, e poi per la regolarità della lettera. Scrivimi qualche cosa di piccante; scrivimi delle bambine, e se la Signora darà un maschio alla sua nobile famiglia; se il conte va a Parigi, o se ci vai tu ancora(1) Marianna trovavasi in quel tempo istitutrice in casa del Conte Pepoli.. Addio di nuovo con tutta l'anima. Non ci stanchiamo di amarci, come non mi stanco io di dirmi tutta e sempre tua Paolina.

16 dicembre (1864)

Mic carissime Marianna e Nina,

Ho tenuta sempre sul mio tavolino l' affettuosa lettera che voi mi scriveste il 21 novembre scorso, la quale, sebbene in risposta ad altra mia, pure quasi esigeva ch' io ve ne ringraziassi essendo che era piena di espressioni le più affettuose e cordiali. Io mi riserbava di farlo più tardi, sì per i miei molteplici imbarazzi, sì perchè volea unirvi anche i più vivi augurii di ogni più eletta felicità sì nel nuovo anno, sì in una lunga serie di altri anni pieni di tranquillità e di pace. Io spero che Iddio benigno vorrà accordarveli, o mie dilette, vedendo in voi tante rare e preziose virtù, degne veramente di compenso e di premio. Sovente mi torna in mente il bel piacere sentito in quel giorno ch'io fui costì, e scorro per quelle vostre camere ed esamino tutte le vostre cose che con tanta pazienza, sensibilità e gentilezza voleste mostrarmi, rispondendo a tutte le mie domande, e soddisfacendo a tutte le mie curiosità: e in vero mi pareva un sogno quella visita che soddisfaceva ad un desiderio da sì lungo tempo sostenuto, di conoscervi di persona ambedue, e scambievolmente attestarci la nostra sì lunga e costante affezione; ma ringraziamo Iddio che quello non fu sogno, ma vera realtà e vero godimento sebbene troppo breve. Certo, non ve lo prometto, perchè l' avvenire è oscuro per tutti, molto più lo è per me, ma se porrò tornerò infallantemente costì e non per poche ore. Già Modena mi lasciò anch' essa gran desiderio di rivederla, e così qualche altra vicina città, come Reggio e Parma; e se Iddio mi concede vita e salute, spero di rivedervi nell' anno venturo con più quiete e calma. Intanto, sappiate che ho aspettato a lungo questa fotografia del ritratto di Papà vostro e i vostri ritratti; li ho aspettati, ma non sono mai venuti, e perciò, non già io vi accuso di cattiveria, ma son sicura che non vi è riuscito di averli e vi perdono volentieri, sperando sempre che una volta vi riescirà di spedirmeli.

Alle gentili ed amabili signorine Danesi mando un mucchio di saluti e un affettuoso bacio a ognuna di esse, (ringraziandole assai della graziosa loro lettera si cordiale e affettuosa) delle quali ricordo sempre piacevolmente il modesto contegno e distinto portamento; ognuna di esse io prego a ricordarsi di volermi bene, e faccio una carezza alla bambina. Mi direte poi com' è il loro vestito d' inverno, poichè quello di estate lo conosco. Care mie, tocca a me il darvi la mancia pel S. Natale. Pure non potendo altro, vi faccio dono di questa carta che vi accludo, lacerata, e più di nessun valore, spero che la gradirete(1) Un' obbligazione di L. 265, per altrettant che le Brighenti avevano ricevuto a prestito dalla Leopardi nel maggio del 1864.. Mi direte ancora come vanno i vostri affari litigiosi e se sperate sempre di vincire e di assicurarvi una vita comoda e tranquilla. Questo è quello che io vi desidero e vi auguro con tutto il mio cuore, e son sicuro che non stenterete punto a crederla.

Addio, addio, mie carissime. Mi raccomando alla vostra affezione ripetendomi costantemente vostra affima Paolina Leopardi.

21 Gennaio (1865)

Cara Marianna.

Non vi venga mai in mente di accusarmi di mancanza di benevolenza e di affezione verso di ambedue, se non vedete i miei caratteri; oh! e tutt' altro. È che io sono così piena e circondata d' imbarazzi e cose fastidiose che il tempo mi manca per prendere la penna come una volta e scrivere a lungo e assai sovente.

Fui commossa dalle parole che mi scriveste nel dicembre scorso e tenni sul mio tavolino lungamente la vostra lettera alla quale io pur volea rispondere qualche cosa, poi il tempo mancandomi, la riposi confidando sempre nel vostro cuore che avreste saputo compatire e anche perdonare il mio siienzio. Io sono al capo di una vasta amministrazione; ho molti servi, ma moltissime cose faccio io e tutte le sorveglio, sicchè vedete bene che poco tempo mi resta, e questo lo adopero nella lettura, tanto a me necessaria per divagarmi da tanti tristi e fastidiosi pensieri. Lessi con commozione il vostro cortesissimo invito, e spero di rivedervi in quest' anno; ma il futuro è nelle mani di Dio, ed è vano il far calcoli o progetti che un nulla può rompere. Mi è dispiaciuto sommamente il sentire che siete stata ammalata, e godo di sentirvi quasi bene; abbiatevi cura e non faticate sopra le vostre forze. Ora la scuola vi terrà molto occupata, ma le vostre parole ne danno buon indizio che le alunne si portan bene, e son magnifiche e piene di verità quelle che dite che in questi tempi i ragazzi alle case loro possono quel che vogliono. Questa frase ha eccitato quasi l' ammirazione (certo tutta l' approvazione) di mia Cognata nel leggere questa vostra lettera, poichè vi ha riscontrata una perfetta e incontrastabile verità! Qui poi vi verrà forse voglia di sapere chi sia questa mia Cognata che legge le mie lettere ecc. Con poche parole, perchè mi manca il tempo, vi dirô che questa è la più diletta e cara amica ch' io m' abbia, è un tesoro per me. Essa si meraviglia ch' io non v' abbia mai parlato di lei (e lo vede dalle vostre lettere); certo dovea parlarvene poichè ha fatto un avvenimento nella mia vita isolata e sconfortata. È una Signora torinese, a caso venuta in Recanati, vedova e senza fortuna, ma assai ricca d' ingegno di rare qualità di mente e di cuore. Io ne feci la conoscenza e ne seppi guadagnare l' amicizia, anzi la più tenera affezione. Divenne moglie di mio fratello Carlo, e così non ci siamo più separate (solo di casa le siamo). Mi è d' immenso aiuto nei miei affari, e amandoci di amore grandissimo nulla abbiamo d' ignoto per ambedue, e così la raccomando alla vostra affezione della quale è degnissima, molto più ch' io nol sia.

Con festa riceverò i ritratti se me li manderete; ma vorrei che non vi costassero nè troppi pensieri, nè troppa spesa (questo sopra tutto). Ho sempre in mente l'impressione che mi fece il ritratto di papà, che io (vedete sciocchezza!) non mi era figurato giovine.…—Ma son troppi, direi quasi, tanti ritratti che volete mandarmi; dico troppi, avuto riguardo alla fatica che vi costeranno, e alla difficoltà per eseguirli; del resto poi saranno tutti più che ben venuti.

È troppo buona la Giulia Danesi… ma, lo dirò ad essa stessa. Intanto abbiatevi ambedue, Nina e Marianna, mie care amiche, i miei più teneri abbracciamenti e saluti. Potete credere se ansiosamente starò aspettando l'esito della vostra lite che con tutto il cuore vi auguro del più felice e lieto successo.

Addio, addio; sono sempre la vostra aff.ma Paolina.

10 agosto (1865)

Carissima Marianna!

Ricevetti la vostra amatissima del 30 luglio e vi ringrazio della memoria e desiderio che serbate di me. Dacchè io sono immersa negli affari e imbarazzi di una vasta amministrazione, non ho più il tempo e l' ozio che aveva una volta per impiegarlo in incombenze piacevoli. Poi, è venuto il cholera che, unito a mille altre cause di gravissime preoccupazioni, tiene l'animo incerto ed agitato oltre ogni dire. Dai fogli saprete le affliggenti notizie di Ancona, sicchè nulla vi dico; ma il pericolo è sempre più che prossimo. Solo qui si confida nella protezione della Beata Vergine di Loreto, la quale sempre e in tutti i casi ha dimostrato di essere specialmente nostra difesa, sicchè io me ne sto ben tranquilla, disposta però sempre a fare la volontà di Dio, e pronta ad ogni sua chiamata. Spero che anche costì siate abbastanza tranquilli e fidenti nella protezione divina.

Con dispiacere io sento che abbiate perduto e vostre più intelligenti alunne, e che vi abbiano lasciate sotto cattiva impressione. Pur troppo! questi casi sono assai frequenti e comuni, anzi sono inevitabili. Ci vogliono motivi sovrumani per dedicarsi come avete fatto voi altre tutte intere all'educazione di giovinette, giacchè la gratitudine, la ricompensa non segue certo il benefizio e la totale abnegazione di tutte voi stesse. La soddisfazione poi dei genitori e parenti delle vostre alunne devono ampiamente rallegrarvi e giudicar bene di voi medesime.

Spero e molto spero intorno all' esito della vostra causa dopo quello che mi dite. Iddio sia quello che illumini i vostri difensori e dia loro forza ed ingegno a far risaltare la giustizia della causa che difendono.

Mia cognata vi saluta ambedue, e vi fa coraggio nella nobile ma faticosa carriera intrapresa. Si rallegra con ambedue della buona riuscita degli studi delle vostre alunne, ed è rimasta contenta del programma e dei saggi. Io deferisco pienamente al suo giudizio come a quello di persona veramente capace di giudicare di queste cose; e intanto pregando ambedue di ricordarvi di me e darmi vostre notizie e della lite, passo al piacere di protestarmi con affezione tutta vostra Paolina Leopardi.