Rivista d'Italia

LETTERE, SCIENZA ED ARTE

Anno XIII—Volume I

ROMA
17—PIAZZA CAVOUR—17
1910

Sono quindici, dirette alla signora Vittoria Regnoli, nata Lazzari. Le ho avute dalla colta signorina Margherita Regno i, a cui rendo pubbliche grazie di avermene lasciato prender copia ed offerto qualche utile chiarimento. Ringraziarla in anticipo anche per la promessa delle altre lettere che compiono il carteggio, sarebbe come richiamargliela, ed io non voglio essere nè scortese nè scaltro. Lei sente per altro che, all' incomparabile sodisfazione di averle sapute salvare dalla mania distruttrice, dalla quale fu presa la nonna nella vecchiaia, e conservare poi così a lungo nello scrigno, ove ha ricordi pregevoli della bisavola, deve aggiungere ormai la riconoscenza di quanti hanno a cuore gli studi leopardiani.

Codesto campo già rassodato esse non destano la curiosità di rifrugare, ma aggiungono nuovi elementi di studio, intorno a Paolina, a quelli che ci son noti dalle Lettere alle Brighenti.

L' impressione che se ne cava è di una profonda tristezza. Scritte col cuore, quasi mai pensate, sono affettuose e gentili. Qua e là si sente l' influenza che subiva del maggior fratello, del quale, da quando gli faceva da copista, veniva assimilandosi le massime della nullità delle cose ove la vita sia scompagnata dalla salute e dall'amore. Come il poeta, anelando all'una e all'altro e supplicandone invano la sorda natura, rincrudiva i mali del corpo e dell'animo, cosi la sorella, vedendosi dileguare le beate larve dell'età prima, piombò nello stato miserevole, di cui sentiamo gli amari lamenti. Anch'essa deriva l' infelicità della vita dal contrasto fra l' inferiorità dell'uomo e l' idea che se n'era fatta. Ma non impreca alla natura, e i suoi lamenti, che più volentieri si chiuderebbe in seno, perchè sa che

i destinati eventi Move arcano consiglio,

ci commuovono quasi come il sogghigno o lo sdegno, i pianti o le gelide parole dell' infelice fratello.

Insoffribile era il destino al suo cuore sensibilissimo e alla fantasia ardente, orribile e disperante il soggiorno di Recanati, onde tentò più volte, come si sa, di rompere la sua eatena; e a romperla in qualche modo l'aiutavano i fratelli, i quali pensavano col Giordani non esservi per lei altro partito che quello di maritarsi presto, possibilmente con un giovane.1 Lett. 170, pag. 292 dell'Epistolario di G. Leopardi, racc. ed ord. da P. Viani, Le Monnier, Firenze, 1856, vol. I. Vani conati! Rotto col Peroli di Sant'Angelo in Vado il fidanzamento, che avea inspirato la canzone Nelle Nozze della Sorella Paolina, e andate a monte le trattative col cav. Marini, direttore generale dei catasti in Roma e vedovo da poco, perchè il cavaliere cheto cheto s'era unito con una signora di Rieti, furono riprese e sconcluse quelle col Peroli, e sfumarono le altre con un tal Raniero Giovanni Roccetti di Filottrano, nelle Marche.2 Per maggiori particolari vedi Epist. cit., lett. 54, 141, 142, 144, 176, 177 e 179; La donna nella vita e nelle opere di G. Leopardi, di Emma Boghen Conegliani, Barbera, Firenze, 1898, da pag. 75 a 95, e la Vita di G. Leopardi del Chiarini, Barbera, Firenze, 1905, pag. 221 e seg. Cfr. anche le Lettere di P. Leopardi a Marianna ed Anna Brighenti, pubblicate dal Costa, Parma, L. Battei, 1888, pag. 115, 175 e 179 e seg.

Or le lettere rivelano meglio che fu travagliata dalla speranza di tante lusinghe e dal naufragio di tanti progetti perchè non volle accostarsi al matrimonio facendo sacrìficio dell'ideale, nel quale avea poggiato la felicità della vita. Sognava ardentemente l'amore che lega insieme per sempre due anime, e con la smania di appagare questo sogno delizioso consumò la giovinezza; anzi, come non avea saputo rinunziarvi quando dipendeva solo da lei l'unirsi col Roccetti, un giovane come tutti gli altri,3 Si sa che lo ricusò perchè non le seppe sciogliere il dubbio che le era nato di non essere da lui egualmente amata. Cosi nella lett. XXXV, pag. 100, a M. Brighenti. così lo perseguiva pur quando l'età delle illusioni e delle promesse era caduta da un pezzo.

Infatti anche allora non un marito qualunque, come ogni altra che si trovasse nella sua situazione, essa voleva, ma un uomo chiaro per le doti della mente e capace di apprezzare la sensibilità del suo cuore. E poichè le fu impossibile trovarlo, preferi di passare i giorni, i mesi, gli anni, senza scopo, senza interesse, e di rimanere a struggersi nell' orrenda notte d'una casa, che le acuiva i rimpianti, la noia, la malinconia; quivi solo conforto eran le lettere delle amiche, unica speranza ormai finir presto un'esistenza monacale piena di tedio e di fastidio.

I dolorosi sospiri delle sue lettere mi paion quelli della poetessa greca nell' Ultimo canto di Saffo. Ma Paolina fu rassegnata all' immutabilità della sorte, e, se nei momenti di maggiore scoramento invocò propizia la morte, non fu mai turbata dall' idea del suicidio; pensava cristianamente: «Siamo tutti stanchi della vita, ma è pur miserabile ed estremamente infelice colui che crede possedere il dritto di esserne padrone».

Qui non tocca mai apertamente dei genitori, ma lascia intravedere che si debba riferire a loro la colpa del suo pessimo tenor di vita. Codesta è l'altra dolente nota, che mi par superfluo rilevare al lettore già spazientito; credo piuttosto non inutile porgergli qualche cenno biografico della Lazzari tanto più che nessuno ha mai parlato, se non vagamente la Teja che ne ignorava la corrispondenza epistolare, della relazione d'amicizia fra lei e la Leopardi.

Vittorina nacque dal conte Giovanni Lazzari e da Geltrude Cassi, ch'era sorella del traduttore di Lucano e cugina di Giacomo Leopardi, poco prima del 1810 in Pesaro, e morì nel 2 gennaio del 1900. Ebbe tre sorelle: Olimpia, Augusta e Maria, la seconda di eccezionale bellezza.

L'11 dicembre del 1817 fu condotta dalla madre a Recanati per esservi educata nel monastero delle Oblate dell' Assunta. È noto che codest'apparizione nel tetro palazzo di Monte Morello ha una grande importanza nella storia biografica del Poeta, perchè segna il primo momento d'un amore che, nato furiosamente dinanzi a Geltrude, sua ospite per quindici giorni, lo rese schiavo per tutta la vita. Là Vittorina passò circa cinque anni in affettuosa dimestichezza con Paolina, in casa della quale, si può dire, trascorreva le giornate. Avveniva qualche volta che, entrate nella sala della biblioteca, ove Giacomo si rovinava la complessione e la salute con uno studio matto e disperatissimo, lo facessero adirare buttandogli il libro o la carta che avea dinanzi.

Più tardi fu richiamata in seno alla famiglia, a Pesaro, quando non era ancor donna. Quivi prese a frequentare le sale di conversazione, ove convenivano i migliori della buona società, prendeva lezioni di ballo e si dilettava di disegno; l' idea inspiratrice dei pochi lavori che ci rimangono, mediocri nell'esecuzione, rivela la sua bontà di cuore incline a pietà.

Da un medaglione, che ho veduto in casa del dott. Giovanni Regnoli, risulta di lineamenti regolari e di bel colorito: avea complessione delicata. È naturale che in quel fiore degli anni non le mancassero gli adoratori, fra i quali il dott. Giorgio Regnoli, un liberale cacciato per le sue idee dagli Stati pontifici. Questi le inspirò maggiore simpatia, e dopo qualche anno si sposarono. Da Pesaro passarono a vivere a Pisa e a Firenze, nelle cui Università egli fu chiamato ad insegnare clinica chirurgica e materia medica.1 Nelle Note biografiche sopra Leopardi e la sua famiglia, Fratelli Dumolard, Milano, 1882, pag- 47, scrive Teresa Teja Leopardi, in nota, di Vittorina: «Maritata al celebre dott. Regnoli, archiatro di Corte presso la famiglia G. Ducale di Toscana, che forse vive ancora, ma ci siamo perdute di vista dalla morte di Paolina in poi». Oltre una bambina nata morta, ebbero tre figli: Leopoldo (Poldo), Luigi, che morì presto, e Carlo, padre della signorina dalla quale attingo codeste notizie.

Sarebbe stata pienamente felice senza il pensiero della salute, che la teneva inquieta come se dovesse sfiorire e mancare da un giorno all'altro; più tardi esso divenne a dirittura mania, che la rese intrattabile e scontenta di tutto. Eran rari i momenti nei quali si compiacesse della compagnia e delle cure dei nipoti, e solo allora accondiscendeva, a malincuore, a piegar la memoria e a snodar la lingua ai ricordi del passato.

La signorina Margherita mi riferisce che la nonna non poteva pensare ai Leopardi senza risdegnarsi dell'accanimento con cui si tacciava di poca amorevolezza materna la contessa Adelaide. Soleva dire che la rigorosa osservanza alle pratiche del culto e la severa meticolosità nelle inezie della vita, per cui non permetteva di sedere a tavola senza il rigido baciamano, non le impedivano di curarsi dei figli, ai quali voleva egualmente bene; se mostrava qualche volta predilezione per Carlo, il suo Adone, non era per manco di affetto verso gli altri. Si affliggeva dei loro disturbi, ma celava per abitudine l'interno affanno; così non la vide mai preoccuparsi della salute di Giacomo, che dovette il vizio della spina dorsale ad una malattia sofferta nell' infanzia.

Così Vittorina, che par volta a scagionare la contessa da un'accusa non ancora del tutto scomparsa. Infatti, circa l'ultima notizia, checchè sia della rachitide congenita alla quale si torna oggi a pensare, è certo che il male gli si sviluppò per quell'eccesso di fatica durata sette anni. Può darsi che la Lazzari l'abbia udita nella stessa casa Leopardi: probabilmente i coniugi, i quali concedevano al primogenito, non ostante le premurose sollecitazioni degli zii Ferdinanda Melchiorri e Carlo Antici ad averlo con sè in Roma, di continuare a logorarsi senza distrazioni nello studio, quando apparvero i primi tristi effetti di quella disperata applicazione, ne attribuirono l'origine alla malattia sofferta di cinque o sei anni.1 Che in quell'età ebbe una malattia mortale, afferma il Chiarini nell'opera citata, pag. 29. Ad ogni modo, nel resto non si può dubitare della veridicità di lei. È da augurarsi che la signorina Regnoli voglia raccogliere altri ricordi, notizie e aneddoti, che serviranno alla maggiore conoscenza dell'ambiente nel quale visse il nostro poeta; alla memoria della nonna non potrebbe rendere miglior tributo d'affetto.

***

Le riproduco senza le cancellature e le abbreviazioni. Di alcune manca la data o è monca, ed ho tentato di desumerla dal contenuto o dal confronto con le lettere alle Brighenti, perchè l'impronta postale o manca anch'essa o è illeggibile.

V'aggiungo una letterina del poeta, datata l'8 maggio da Bologna e diretta al padre, che ignoro se sia mai stata pubblicata. Non so a che tempo riferirla, mancandovi l' indicazione dell'anno; ma se con la sigla. F. Gioni è designato il titolo d'un lavoro di Monaldo (Memoriale di Frate Giovanni Niccolò da Camerino francescano), pubblicato in Ancona nel 1828, essa appartiene al 1830, perchè allora il poeta, dal 29 aprile al 10 maggio, era in Bologna, donde partì per Firenze.

Martino Branca.

Alla nobile signora La signora Vittoria Lazzari Pesaro.

Recanati, 17 gennaio 1823.

Mia cara,

È verissimo, che aveo ben compreso dalle tue lettere, che non eri contenta del tuo pretendente, e poi lo aveo ancora sentito da qualche altra persona, che tu non lo trattavi troppo bene, onde prevedevo facilmente qual fine avrebbe avuto quest'affare; ma io non volevo dirti niente per paura che la mia lettera non andasse in mano di Mamà vostra, e non aveste guai per ciò. E sarà bene che mi diciate se la medesima vede le mie lettere. Frattanto chi nel matrimonio non riguarda che l' interesse, ed esclude ogni altro sentimento, ogni dovere, dice che avete fatto male nel lasciare Regnoli1 Si erano imbronciati perchè aveva partecipato ad una festa da ballo contro il divieto di lui che non vi poteva intervenire.; ma chi poi considera il matrimonio come una dolce unione, come un vincolo soavissimo che di due cuori non ne fa che uno, che crede necessario per vivere felici un reciproco tenerissimo amore, dice che la mia cara amica ha fatto benissimo, e non si è renduta infelice per sempre con uno per cui ella non avea alcun sentimento di amore o di stima. E poi tu sei così giovane! e perchè legarti sì presto se non hai ancora trovato uno che ti sappia veramente amare come meriti? è vero che è tanto difficile in questi tempi di non sbagliarsi, di non prendere per amor vero ciò che dalla parte degli nomìni non è che egoismo, inganno, tradimento, che oramai credo impossibile trovare due persone che si amino con intima, vera reciprocità di sentimenti, tanto fra gli ammogliati, quanto fra gli amanti. Tu ancora non dirai lo stesso degli uomini, poichè non li avrai ancora sperimentati, ma faranno, io ne sono sicura, lo stesso male a te, che a tutto il genere femminino. Vorrei (se non si chiama pretendere troppo) che tu mi dicessi qualche cosa dei tuoi affari secreti: spero che avrai confidenza, o almeno amicizia in me, che ti amo tanto. E vorrei che mi raccontaste le fatalità che hai avute nell'anno già caduto, e le quali, ti auguro, che non si rinnovino mai più. Infinito rincrescimento sento per la ricaduta del tuo Papà; mi avevi fatto credere che si fosse ben guarito dopo il suo viaggio! Mi rallegro con la tua cugina per le prosperità venutegli; dimmi se Schiavini2 In Recanati forse era corsa voce d'un matrimonio fra lo Schiavini e la Lazzari, come pare di poter rilevare da una lettera di Giacomo al padre: «quel che si è detto costì di Schiavini è un sogno», 1. 208, vol. I, pag. 363 dell' Epist. cit. è giovane, e se bello. Non mi maraviglio delle ciarle, e dei pettegolezzi delle Monache dell'Assunta; le ho tenute sempre in tanta poca stima, che niente più. È un gran pezzo che ho sentito la Depretis essere sposa di Pandolfi, ma che vuol dire che ancora è in statu quo? Quanto t' invidio la tua scuola di ballo! mi dirai i tuoi avvenimenti del Carnevale, e se hai ballato con il giovane Au…. Addio, cara mia, voglimi sempre bene, e rispondi al primo quesito di questa lettera.

Recanati, 29 marzo 1824.

Mia cara Vittorina,

Ero veramente molto in collera con voi per vedermi così dimenticata, essendo più d'un anno senza vedere di voi ombra di vita, e molto meno di affezione per me; ma la vostra cara letterina ha tutto pacificato. Sono stata sensibilissima al piacere di vivere ancora nella vostra memoria, e di godere della vostra amicizia, che mi sarà sempre carissima, qualora voi mi crediate degna di possederla. Ed assicuratevi, cara mia, che io vi amo tuttora grandemente, ed ho grande smania e desiderio di rivedervi, ma pur troppo senza speranza. Vostro Zio ci ha parlato di voi, ed io l'ho pregato assai di salutarvi: lo ha fatto egli? Ed abbiamo avuto gran piacere di conoscere questo vostro Zio (a qualunque altra che non fosse sua nepote direi lo stesso); ma egli passò come un lampo, e non ci ha lasciato che il rincrescimento della sua corta durata, ed il desiderio e la speranza di vederlo ben presto rinnovato, ma per lungo tempo. Da un non so chi di costì, passato per Recanati, ho sentito una certa cosa di voi; della quale potevate bene parlarmi un poco nella vostra. Spero che quel sentimento, che vi ha mosso a scrivermi ora, vi muoverà ancora per l'avvenire, ma molto più sovente, a far lo stesso, ed allora mi parlerete di voi, come di una cosa, che m'interessa moltissimo, e come parlavamo insieme, quando eravate qua. Ora ci siamo assicurate che ci amiamo egualmente come in quel tempo, dunque… scrivetemi spesso, ve ne prego. Addio, cuore mio. Ama sempre la tua

Paolina Leopardi.

Recanati, li 4 luglio 1826.

Cara Vittorina mia!

Il tuo grazioso dono mi ha sorpreso e dilettato non puoi credere quanto; e il sapere poi che è tuo lavoro ne fa accrescere ai mìei occhi grandemente il pregio, e ti assicuro che lo conserverò sempre come cosa preziosa, e di gran valore per me. E mi rallegro poi teco assai della tua abilità, che si vede da questo lavoro esser grande attesa la esattezza, la puntualità, la maestria con cui mirabilmente è fatto. Ed io vorrei che tu fossi ben persuasa di quanto mi abbia commosso questo tuo tratto di amore, ed il pensiero che hai avuto d' impiegare il tuo tempo e le tue mani per farmi un sì gentil dono, che mi sarà sempre caro, come una tua dolce memoria. E dolcissimo mi è anche stato il parlare di te con i signori de Sanctis, ai quali ho fatte molte interrogazioni sul tuo conto, e ho domandate molte cose di te, e sempre più mi smanio di vederti, di abbracciarti, di parlare con te di tante e tante cose. Se il mio destino non mi tradisce (come è facilissimo), spero di vederti a novembre, ed allora che consolazione nel baciarti, nel ribaciarti! Ho sentito dalla de Sanctis che ti sei fatta mirabilmente brava anche nel disegno, e mi farai allora vedere i tuoi lavori, e tienmi preparato qualche piccolo disegno, un abbozzo, qualunque cosa per portar via meco. E a proposito di disegni, ne avrai veduto qualcheduno del signor Ant. Giovannelli. Dimmi un poco che te ne pare, e se egli è uomo da saper fare qualche cosa. Fece qui l'anno passato alcune figure, vedute, ecc., ma a me sembrarono orribili ed egli si scusava con la mancanza di mezzi, di utensili, ecc., ma a giudizio mio la era un'altra mancanza. Immagino che andrai a far visita alla Giovannelli puerpera; falle in quel caso i miei saluti e rallegramenti, non te ne scordare. Tu mi raccomandi di essere più allegra, e mi dici che il tuo cuore mi presagisce felicità. Sarebbe al certo mia doppia pena l'affliggerti con il mio dolore, ma ormai potrò dirti con verità, che non ho al mondo altra consolazione che nell'amor tuo, e nella tua sincera amicizia; nè t' ingannerei se ti dicessi, che ogni giorno mi è cagione di nuovi dolori, e fossero pur questi fisici, che sarebbero più sopportabili, ma le pene di cuore sono certo le più crudeli, e quasi sempre insanabili. Spero che tu non le proverai giammai, o non così terribili come quelle che sono la mia porzione; tu sei cosi buonina, tutti certo ti ameranno, voleranno incontro ai tuoi desiderj, ai tuoi gusti; vivi in un paese animato, sociale, puoi se non altro divagarti, e se hai un pensiero opprimente, un mal di cuore, puoi sperare che scorra un qualche momento, senza sentirne tutto il dolore. Ma io sono in uno stato ben differente dal tuo, e per il paese, e per il sistema di famiglia, veramento spaventevole per persone giovani; in cui si sente tutto il peso della vita, senza sentire per un solo istante un'ombra di sollievo, di alleggerimento dalla noja, dal dolore. Ancora per un poco conserverò la speranza di escirne; e quando questa sarà svanita? Dice Mad, di Staël, che quando si è atteso in vano, non si ha più che a morire1 Paolina conosceva benissimo la filosofia di madama di Staël, e ne facea gran caso. «Questo [Corinna] è il mio libro favorito (come lo sono tutte le opere di questa celebre donna) così vorrei che fosse anche il tuo», scrivea a M. Brighenti. L. XXXVI, pag. 102. Chi voglia notizie della coltura di lei, veda Paolina Leopardi in Note biografiche, di Cam. Antona-Traversi. Città di Castello, S. Lapi, 1898, pag. 132 seg.. Volevo dar questa lettera al signor de Sanctis, ma sentendo che non sarà per ora il suo ritorno, non ho cuore di comparire incivile, e sconoscente, con voi, o mia cara. Dimmi un poco, per un gusto, se usano costì le pettinature come quella della de Sanctis, voglio dire dei suoi ricci. Da noi non vi era certo idea di questa sorta di accomodatura, e nemmeno sui figurini l'ho mai veduta, e mi pare che non doni certo gran bellezza al viso. Frattanto dimmi un poco da dove ha essa cavato quella idea. Addio anima mia. Amiamoci sempre teneramente.

Alla Nobile Signora La Sig. Vittoria Lazzari Pesaro.

Recanati, li 20 dicembre 1826.

Mia cara Vittorina,

Vi maraviglierete forse, e con ragione, del mio lungo silenzio, al quale non trovo scusa io medesima; poichè pensando spessissimo a voi, amandovi sempre, ed interessandomi tanto il vostro bene, cose tutte che mi fanno desiderare vivamente di avere le vostre nuove, pure non vi ho scritto da tanto tempo. E certo causa di ciò è la stagione invernale in cui siamo, nella quale, se non soffro nel corpo per malattie, soffro però grandemente nello spirito, e mi agghiaccia quel poco di vita e di anima che mi rimane, che ormai, per verità, temo di restarne senza affatto.

Mi resta però sempre grande sentimento di amicizia per le mie amiche, una delle quali, e carissima, mi siete voi, e grande interesse, e moltissimo affetto. Vorrei poter meritare di ottenere simili sentimenti da quelli che io amo, e da voi particolarmente, o mia cara; e spero di vivere sempre nella vostra memoria, e che noi saremo sempre amiche. Grande desiderio mi avete inspirato di sapere precisamente come vada, o come sia andato il vostro affare con il sig.1 Il nome cade sulla piegatura del foglio ed è quasi illeggibile. Forse è Passionei …..; io spero già ch'egli vi sia piaciuto, e che abbiate già tutto combinato, per cui presto vi sapremo più vicina a noi. Ed in vero sarà una grande consolazione per me il sentirvi in Ancona, ed il sapere che non sarà difficile il vedervi; credimelo, cara Vittorina mia, che la sarebbe una grande gioia. Intanto dimmi un poco tutto, e come sei contenta, e quando sposerai, ecc.

Non vendicarti però di me, e del mio lungo silenzio, con il tuo; forse ti sarai vendicata abbastanza coll'amarmi meno di quello che facevi, e la sarebbe questa una gran pena per me. Dimmi dunque, se puoi, ch' io non ho perduto niente, nè nel vostro amore, nè nella vostra stima, e ch' io sono sempre la vostra più tenera amica.

P. L.

Recanati, li 10 settembre (1829).

Anima mia!

Vorrei che avessi sentito il grido di gioia che ho mandato nel leggere le prime righe della tua cara lettera; e allora comprenderesti l'eccesso del piacere che io provo per la tua felicità, tanto che io ho già dimenticato i miei mali, e posso dirti di essere veramente felice.

A momenti tu vai a partire in compagnia del tuo sposo, e vai ad abitare una deliziosa città, che per qualche tempo nell'anno prende l'aspetto di Capitale, e che in ogni stagione deve essere un soggiorno incantevole. Ebbene, prendi il mio addio, o Vittorina mia! Credi, che ora che io ti scrivo, ho le lagrime agli occhi? Non più speranza di rivederti, di far teco dei dolcissimi discorsi, di abbracciarti, di baciarti… Ma potrò io giammai ringraziarti abbastanza del caro, prezioso dono che mi fai? Se ti dirò, che non potevi farmi cosa più grata, io ti dirò quello che penso; e credimi che lo terrò come una cosa sacra, e quando la memoria e il desiderio di te mi farà palpitare, lo metterò sul mio cuore, e calmerà certo, lo spero, il mio dolore nel saperti così lontana.

Confido moltissimo nella cura che hai intrapreso sotto Tommasini; e mi calma un poco l'idea che il tuo male non avrà preso tanto piede, e che perciò andrà presto a cedere. Ma raccomando a te, e raccomando pure a Regnoli la tua salute, e particolarmente nel viaggio non strapazzarti, per carità. Non mi dici niente del quando sei per partire, e se ti ricorderai di me a Pisa, in mezzo alle tue felicità, ai godimenti che ti cagionerà un'unione sotto così felici auspici?

Ti ricordi quando un anno fa appena ti azzardavi di dirmi che incominciavi ad innamorarti di Regnoli? E vi sono certe anime predestinate alle quali tutto arride, tutto va a seconda; ed è l'unica mia consolazione questa, che la mia cara amica sia di questo numero prediletto. Al tuo Regnoli farai, per me, congratulazioni grandi per il suo imminente matrimonio, e per questa luminosa distinzione ch'egli ha ottenuta; e fagli capire ch'io me ne rallegro per l'onore ed il bene che ne viene a lui; che con te ho fatto già i miei conti; e non finirei mai se volessi dirti tutto quello che il tuo destino, la tua felice sorte mi fa godere.

Ma io so bene che tu ora non hai tempo da perdere, nè tempo da pensare a me: Dunque, addio, o angelo mio! Vivi felice, e se puoi amarmi, amami.

Alla Nobile Signora La Signora Vittoria Lazzari Regnoli Pisa.

31 marzo [1830].

Con la cara ed affettuosa tua lettera mi hai compensato assai, o Vittorina mia, il rammarico ardente ch'io avea nel vedermi priva da tanto tempo delle tue nuove, e nel vedermi dimenticata affatto da te. Ma ora che tu vieni ad assicurarmene con tanto dolci parole, io ne godo talmente, e tanta contentezza ne provo, quanta da lungo tempo non ne provavo di eguale; e questo sentimento di viva gioia che la tua lettera mi ha cagionato mi ha fatto comprendere ch'io sono ancor viva; cosa di cui da qualche tempo ne dubitava. Ed io mi compiaccio intanto grandemente di vederti affezionata e piena di amicizia per me come per lo passato, e che i nostri sentimenti vivissimi d'amore sono egualmente corrisposti da noi due; poichè se tu mi dici che hai pensato tanto sovente a me, io potrò pure assicurarti che non ti ho mai dimenticato, e che ardevo sempre di voglia di sapere qualche cosa di te, e di scriverti. Ma io ti sapevo maritata, e potevo supporre che il tuo nuovo stato ti occupasse talmente, che non ti lasciasse luogo a pensare ad altro e poi, quella risposta che io doveva farti dopo ricevuta la tua cara immagine, e che tu ti lamenti ch' io non abbia fatta, mi teneva un poco sospesa. Poichè immediatamente dopo ricevuto il tuo dono che precedè di brevi momenti il tuo sposalizio, io ti scrissi, e diressi la lettera a Forli, ove mi disse il Sig. de Sanctis che ti saresti fermata qualche giorno prima di andare in Toscana. Da quell'epoca in poi non avendo più veduto tuoi caratteri, ho creduto che non ti curassi più di ricevere i miei, e però ho taciuto per tanto tempo. Ma ora che noi siamo sempre le stesse, con gran piacere io verrò domandandoti le tue nuove, le quali mi auguro di vero cuore che sieno sempre buone; e come mi ha recato somma consolazione il sentire che da due mesi in qua tu stai molto meglio, così spero che presto mi dirai di essere perfettamente guarita. Ed allora, o Vittorina mia, io spero che diverrai madre—e se tu lo desideri per la felicità tua te lo desidero ancora io, chè bene m'immagino qual fonte di nuovi tenerissimi sentimenti, qual nuova vita sia quella di vivere nei suoi figli. Dopo di avere sposato quello che si è amato (felicità, che io credo essere la suprema), comprendo benissimo che non vi è altro desiderio che di vedere moltiplicata l'immagine del suo sposo; e però, o cuore mio, vorrei che tu vedesti con quanto ardore io desidero che questa tua brama sia esaudita, ed io lo spero, oh si, lo spero.

Attribuisco alla tua debole salute, ed anche alla pessima stagione invernale l'esserti si poco divertita nello scorso Carnevale. Ma che, dunque nel clima delizioso di cotesto tuo soggiorno l' inverno ha mostrato i suoi straordinari rigori? Dalla descrizione che mi ha fatto mio Fratello di un inverno ch'egli ha passato costì, io mi rappresento Pisa come un soggiorno incantato, ed ove, se io fossi indipendente, vorrei abitare perpetuamente. Se sapesti, o Vittorina mia, quanto io ti invidio! Tutta la estate passata ho sognato di dovere andare a passare l' inverno a Roma, ma in quest'inverno, svegliandomi, mi sono trovata a Recanati, da dove certo non so come scappare, e dove si vive, non puoi credere con quanto dolore, noia, e mal di cuore. Dimmi un poco che vita fai costì, se tieni conversazione, se sei animata, brillante, se ti piace il Lung' Arno, se cotesto sole ti rallegra, se questa deliziosa primavera non ti compensa di tutto il freddo sofferto. Parlami molto di te, e mi farai sommo piacere. Addio, o cara! Fa i miei complimenti alla tua metà, mentre io abbraccio l'altra con tutto il cuore.

**

Poichè, essendosi perduta una mia lettera,1 La lettera non s'era perduta, è la precedente; fu forse ricevuta con molto ritardo, cosa che non fa maraviglia, «non essendoci posta più sregolata di quella che porta i dispacci di questa provincia». Così il poeta, l. 63, vol. I, pag. 144. non hai ricevuto i miei ringraziamenti per il tuo caro ritratto, sappi ora ch'io lo ricevetti con trasporto, e che lo accarezzo e lo bacio assai di sovente.

18 settembre [1831].

Vittorina mia!

La tua cara lettera mi ha riempiuta di consolazione. Oh! è pur la dolce cosa per me il sentirti dire che mi consideri sempre come la tua amica, che mi ami, e che mi amerai—credi pure che non ne ho molte di simili. Non ho avuto alcuna tua lettera, nè per la via di Perugia nè per alcun'altra via; onde continua pure a dirigerle a d. Sebastiano, ché allora non mi mancheranno. Io non sapevo nulla della disgrazia che avevi avuta nel partorire una bambina già morta; anzi io credevo che ora ti deliziassi con qualche ragazzino… ma lo farai presto, speriamo.

Quando io ti ho detto che non sono più nulla, e che non spero nulla, ti ho detto tutto, e tu capirai bene che una vita senza speranza è una vita di sofferenza. Così io soffro sempre, e intensamente, e tanto più

15—Rivista d' Italia, anno XIII, vol. I, fase. II (Febbraio 1910).

quanto non ho più alcuno che mi comprenda, non ho più alcuno con cui possa parlare. Già conoscevi qual vita facevo io; aveo solo un'amica, e mi compensava di tutto; e poi dovendo stare a Recanati io non desidererei altro—ebbene, saprai ancora che l'ho perduta; cioè ci amiamo, e non possiamo vederci. Questa era la disgrazia più terribile che potesse accadermi dopo quella che non finirò mai di piangere, mai! per tutto il tempo della mia vita!1 L'amica con cui non può più parlare è la cugina Paolina Mazzagalli, divenuta sposa di Carlo nel marzo del 1829. Si sa che il matrimonio fu fatto a dispetto dei genitori di lui. V. Lett. alle Brighenti, V e XIV, pag. 12 e 34, e LXXXII, pag. 230. La disgrazia che non finirà mai di piangere è la morte del fratello Luigi, accaduta nel 4 maggio del 1828. Ora vedi quanto debbano scorrer lieti i miei giorni, che a me paiono secoli.

Il soggiorno di Recanati si fa sempre più orribile, e disperante; se potessi vivere sempre in campagna, la vista delle bellezze della natura mi farebbe provare delle emozioni deliziose; quando qui la vista delle bruttezze più crude dell'arte fa sempre desiderare di chiuder gli occhi in pace. Oh Vittorina mia, io sono nata sotto una cattiva influenza! Si dice che la vita è tanto breve, lo dicono tutti—io non lo capisco: vorrebbe dire che tutti sono felici, poichè io che mi sento ben lontana da questo stato, io non lo posso dire.

Tu lo hai voluto, o cara—ma io non ti volevo annoiare. Dimmi, hai veduto Giacomo a Firenze?

Egli certo si compiacerebbe molto di vederti, e di conoscer tuo marito ch'egli stima assai. Salutami questo tuo sposo, ed amami sempre, non te ne scordare. D. Sebastiano ti ringrazia assai dei tuoi saluti e della tua memoria: egli ha fatto due volte in quest'anno il viaggio di Romagna, ed ora è immerso in un confessionario di monache che sta due miglia lontano da casa sua. Egli mi propone sempre d'immergermi in quel monastero; che ne dici?

Alla Nobile Signora La Signora Vittoria Lazzari Regnoli Pisa.

Recanati, 19 gennaio 1832.

Mia carissima,

Veramente veramente io non giudicava male di te, ma non sapeva che pensare di tanto lungo silenzio, e non aveo più cuore di chiederti le tue nuove, vedendo che non me le volevi dare. Ora la tua cara mi ha empiuto di gioia, e le tue amorose parole fanno tutto dimenticare, poichè tu mi ami ancora, e me ne assicuri con tanta affezione, ed effusione di cuore. E che io ti corrisponda con tutta l'anima spero che non ne dubiterai punto, e che crederai di trovarmi sempre pronta a provartelo sol ch' io potessi. E tu non puoi mai immaginarti qual dolcissima commozione mi abbia cagionato la tua offerta di ricevermi fra le tue braccia quando io volessi gettarmivi.

Cara Vittorina mia, io non sarei tanto infelice se fosse in mio potere di eseguire un sì delizioso progetto, non fosse anche soltanto che per vederti un momento e poi lasciarti—questo momento mi compenserebbe bene di tutta l'asprezza della mia vita, e mi farebbe meno riflettere alla ridicola esistenza ch' io meno, poichè in verità io non so che cosa sto a fare a questo mondo.

Questa mia è una certa sorta di esistenza negativa che consola— ed io invoco ad ogni momento un interesse, un affare, anche un dolore, tutto, qualunque cosa che mi togliesse da questa monotonia veramente infernale, e che non vi è forza capace di sopportare con calma. Ed oh con quanta gioia se io fossi con te ti aiuterei nelle tue faccende, e ti terrei compagnia, e procurerei di minorarti la noia che ti cagiona lo star sempre in casa, e tu troveresti in me tutta l'affezione di una sorella, ed i sentimenti di un'amicizia vivacissima. Credimi dunque, Vittorina mia, che questa tua offerta io la conservo nel fondo del mio cuore, e mi sarà in perpetuo di memoria dolcissima del tuo affetto per me, e della bontà di tuo marito il quale ti prego a ringraziare a nome mio grandemente.

Mi dispiace assai il sentire che la tua gravidanza è incomoda e fastidiosa: e quando partorirai? Se puoi scrivimi spesso, e dimmi che fai, cosa pensi, e prima di tutto, come stai. Non vai all'opera? Oh quanto te la invidio! tu non lo puoi immaginare. Quando mi scriverai dammi conto dell'esito di quella: io ho sentito che abbia fatto incontro, e particolarmente la prima donna. Un'amicizia tenerissima mi lega con quella cara giovane, ed il mio cuore palpita ogni volta che la sento nominare, e ti volevo pregare a voler contribuire anche tu acciò che il soggiorno di Pisa le riuscisse gradito e giovevole come le sono stati tutti quelli ove essa ha cantato. Se la conoscerai, troverai in lei e nella sua famiglia persone amabilissime, di tratto nobile e signorile, e converrai anche tu che la fortuna le ha tradite costringendole ad un mestiere per cui la mia amica è troppo buona, oh troppo buona in verità! Ovunque essa è andata, si è fatta ammirare non solo per il suo canto, nel quale è facile che sia superata, ma per la sua condotta eccellente, per le qualità singolari che l'adornano e di mente e di cuore, nelle quali è assai difficile per non dire impossibile, che sia superata nè eguagliata da alcuna della sua professione. E però io te la raccomando, e la raccomando insieme alle tue amiche.1 Allo studioso è inutile avvertire che qui si vuol raccomandare la Marianna Brighenti. Di lei scrive il Costa in una nota delle Lettere scelte inedite o rare di P. Giordani (Luigi Battei, Parma, 1886, pag. 48) che «fu tra le virtuose di canto più celebri del tempo suo: applaudita nei teatri principali d'Italia e dell'estero, ebbe ammiratori entusiasti il Leopardi, il Cagnoli, il Peretti, il Viani». Paolina aveva scritto cinque giorni prima a Marianna per informarla della Regnoli, raccomandandole di farle visita (lett. XXXII, pag. 89). Vedi anche pag. 91, ove è pure la notizia della morte della cugina Antici.

Sapevo la malattia della Granduchessa, ma non quella del povero Staccoli, per cui sento molta pena; chè credo fosse giovine di grandi speranze. Eri tu a Pesaro quando mori la mia povera cugina? Ah! essa venne a darci l'ultimo addio nell'estate passata, ed io la pregai quando partiva di salutarti a mio nome affettuosamente, ma non ti avrà nemmeno veduta, chè era troppo ammalata. Mi compiaccio di sentire la tua mammà guarita—ma perchè non mi dici che la tua Augusta è sposa? forse non è vero? Mi chiedi conto delle Mazzagalli. Sai che io non le vedo più? ne sai il motivo? se non lo sai, te lo dirò—ma mi è sempre di pena il parlare di una separazione per cui piangerei ad ogni momento. Addio, cara Vittorina mia.

Segui ad amarmi e credi all'amicizia ed alla riconoscenza della tua. Paolina.

Alla Nobile Signora La Signora Vittoria Lazzari Regnoli Pisa.

(Inverno 1832).2 È anteriore a quella [XXXIV] diretta alla Brighenti nel marzo 1832, in cui s' ha codesta notizia: «Alla Regnoli ho scritto, e puoi bene immaginarti con quanto affetto dopo che mi hai detto che ti ha ricevuta amorosamente, pag. 96.

Mia cara Vittorina,

La carissima tua mi avrebbe rallegrato assai assai, poichè era tanto tempo ch'io la desiderava, e figurati pure che tutt' i giorni di posta, tre volte la settimana, provava un profondo dolore non vedendo mai i tuoi caratteri. Ed io temeva sopra tutto che tu stassi male, e ne stava afflittissima, ed infatti era vero pur troppo! E per questo la cara tua non mi ha rallegrato quanto doveva, leggendovi che la cara amica è stata male, e sta male! No, Vittorina mia, non puoi credere quanta pena mi dia la tua delicata salute; se io potessi darti la mia robustissima in luogo della tua, credi pure che non tarderei un momento ad offrirtela, ad insistere perchè tu la prendessi. Ma un tal cambio non ne è dato di poterlo fare nè per amicizia, nè per amore—ed io debbo palpitare adunque sempre per te; per te, o cara, che vorrei sapere guarita del male alla guancia che t' incominciava quando mi scrivesti. Spero che mi scriverai al più presto, onde togliermi a si violento dolore —ma dimmi che stai bene, dimmi che il tuo timore è stato vano, dimmi che ti diverti per il carnevale, che sei allegra, che godi per questa stagione invernale così mite—dimmi che mi vuoi bene, e che credi all'amor mio, il quale fa ch'io ti abbia sempre dinanzi agli occhi, e che pensi sempre a te. Le care tue parole mi consolano assai, e mi fanno vedere ch' io non debbo poi lamentarmi tanto del destino, s'egli ha permesso che tu mi amassi quanto mi dici. Nè credere ch' io non abbia intera confidenza in te, oh, non lo credere, o Vittorina mia! tu sei per me il mio buon angelo, ed in pensare a te, dolcissima creatura, il mio cuore si calma, e sente meno dolore… Ma dolore di che? Non credere, sai, ch'egli senta dolore per quel motivo che universalmente addolora tutti i cuori giovani, no, io sono divenuta impassib e, anzi sono già morta e perciò mi annoio, ché non ho alcun interesse alla vita, e quasi non desidero nè meno di averlo, poichè quello ch' io desiderava non può più succedere, e di altro non mi curo. Solo amerei che la mia catena fosse un tantino più lenta, tanto che non mi facesse gridare ogni momento pel dolore di vedermi schiava per tutta la vita—ma mi dirà una voce—non siamo tutte schiave?—ah si? io nol sapeva; sapeva solo che nol dovremmo essere, perchè accordando il cielo agli uomini la forza, non ha accordato loro il diritto di abusarne, e la nostra debolezza istessa dovrebbe commuovere sempre a nostro favore.

Quello che mi racconti della Brighenti mi riesce del tutto nuovo, nè scrivendomi essa di Livorno mi dice una parola di questo. Mi dispiace che tu non l'abbi veduta—ma se la vedi, quando andrai colà a sentire I Normanni a Parigi, abbracciala per me caramente, essa, e la sorella.

Saluto di cuore tuo marito, e gli raccomando sempre la mia amica, la sua delicata salute, il suo animo sensibilissimo. Bacio il tuo Leopoldo, il quale spero che ora avrà imparato a correr dietro alla mammina, che perciò ne resterà un poco più sollevata.

Ed a questa mammina io do un tenerissimo addio—baciandola col maggiore affetto, e pregandola sempre ad aversi cura quanta più può—e a gradire, e a far gradire anche al consorte i saluti di tutti i miei.

Alla Nobile Signora La Signora Vittoria Lazzari Regnoli Pisa

28 giugno [1832].

Hai ragione, mille volte ragione, Vittorina mia, di lamentarti di me. Figurati ora di vedere una Paolina Leopardi in ginocchio avanti a te, la quale ti prega a mani giunte a volerle perdonare questo torto che ti ha fatto (ma che maggiormente ha fatto a se stessa), col non rispondere giammai ad una tua amorosissima lettera degli undici di Aprile. Vedi che non cerco di nasconderlo, io sono rea, e lo confesso. Ma quando sentirai il tuo bambino che, dopo una sgridata ricevuta dalla sua mammina per qualche piccola insolenza fatta da lui, ti dirà non lo farò più! non gli crederai e non lo perdonerai forse allora? Ebbene, Vittorina mia, non lo farò più, ed ora abbracciami, ed amami pure, chè io ti ho amato sempre ed ho pensato spesso a te, ed al dovere in cui ero di scriverti—ma, sul principio, tardavo perchè stavo in dubbio del darti una commissione o no—poi quando decisi di no (non già perchè dubitassi del tuo buon cuore) mi ha vinto quella bestiaccia che tante volte ha vinto te pure, la pigrizia, poi il rossore, e se non veniva (ieri) questa tua cara lettera, avrei pensato a te molto sovente, ma scritto… non so, perchè la vergogna era grande.

Ora spero però che tu mi abbia perdonato, e di questo perdono e del tuo amore te ne ringrazio, o Vittorina mia, con tutto il cuore. Sono propriamente contenta di sentirti bene, e che sia giovevole alla tua salute quello che avrei creduto che per la tua delicatezza non avresti potuto sopportare l'allattare il tuo bambino da te stessa. Sarà questoun motivo di più perchè quel signorino ami quanto può la sua mammina quando sarà in grado di comprendere le cose di questo mondo— le quali vanno sempre male, Vittorina mia. Quelle di Ancona vanno sempre ad un modo, forse meno male in questo momento, dopo tanti orrori passati. Si dice che i Francesi se ne vadano presto—questa sera passava di qui diretto per colà un corriere francese proveniente dall' Ambasciatore Saint-Aulaire—ma di questi corrieri ne son passati tanti senza sapere che cosa avessero nei loro dispacci, che è inutile formare delle congetture.

Dicendomi che delle tue sorelle l'una ha sposato e l'altra è sposa, non mi hai detto quello che pur devi credere esser io curiosa di sapere —i nomi dei sposi. Se non me lo dici la prima volta che mi scrivi (e presto), m' inquieto con te. Del povero Staccoli ho deplorato la morte… anzi un pensiero terribile mi assale proprio in questo istante, e bisogna che te lo manifesti. Leggevo oggi nel Febbraio dell'Antologia di Firenze un articolo di Tommaseo intitolato «Necrologia di un anonimo» —quanto quell'articolo mi abbia interessato e piaciuto è inutile che te lo dica—ma chi è questo giovine anonimo, che ha fatta una fine si disperata? mi dirai—e che relazione ha tutto ciò con Staccoli che è morto tisico?—Se egli è morto tisico, è meglio così, ma se no… ho appena il coraggio di chiederti chi sia quel giovine.1 La ragione del suo interessamento risulta dal seguente luogo della lettera XXXVI a Marianna (pag. 104): «Se hai conosciuto una volta Staccoli di Urbino, è morto. Ho corso pericolo di esser già vedova, poichè ho corso una volta quello di sposarlo». La Necrologia d'un Anonimo fu pubblicata nell'Antologia, vol. XLV, trim. 2°ree; del 1832. Vittorina mia, siamo tutti stanchi della vita, ma è pur miserabile ed estremamente infelice colui che crede possedere il dritto di esserne padrone.

… Io ti lascio, o cara, perchè i miei pensieri prendono una tinta melanconica cui non voglio dar retta. Se non sei più in collera meco dimmelo presto, mentre ora ti abbraccio e ti bacio con tutta l'anima.

Salutami tuo marito. Al vedere la tua lettera io ti credetti a Pesaro, poi mi disingannai.

Alla Nobile Signora La Signora Vittoria Lazzari Regnoli Pisa.

21 maggio (1834).

Carissima mia,

Ricevei al suo tempo la cara tua dei 4 Aprile e l'accolsi con quel giubilo che m'inspira sempre la viva amicizia che ho per te. Avrai già veduto essere io un poco piccata del tuo silenzio, il quale ancora mi faceva male pel timore che tu stassi male—ora però godo che ti vai rimettendo, e certo questa cara primavera contribuirà non poco a farti rimettere in salute, e a farti scorrere meno penosi questi miserabili giorni. Oh! abbracciamoci, Vittorina mia, abbracciamoci—chè ambedue siamo molto infelici. Il nostro cuore ed anche più la nostra testa fanno il nostro tormento—oh, noi non avremo pace in questo mondo.

Se sapessi, cara mia, quanta invidia porto ai contadini, agli artigiani, ai quali la loro testa, i loro pensieri non fanno perdere nè pure un sonno, non fanno palpitare più violentemente nè meno un minuto il loro cuore! Certo sensibilità e felicita non vanno unite su questa terra, e noi lo sappiamo, e tu lo sai, o cara, che meriteresti di esser felice, e ch'io vorrei vederti tale anche a costo della mia. Ma non iscoraggiarti, o cara; tu hai ancora molti e molti anni a vivere, e devi procurare di passarli men male che si può. Pensa a tuo figlio, e pensa allo sposo tuo il quale senza dubbio sarà molto afflitto di vedere che la tua vita passa melanconica e triste—e pensa al tuo viaggio d'Inghilterra il quale io t' invidio tanto grandemente che non puoi credere. L' idea d'un simile viaggio mi farebbe delirare di gioia… e tu ne parli con tanta indifferenza! Oh scrivimi, o cara, scrivimi tosto cosa sei per fare, e poi (senti una parolina all'orecchio), dimmi, cosa ci va a fare tuo marito. Si dice che noi donne siamo curiose, ora tu vedi che non è vero.

Gradisci i saluti di tutti i miei, e fanne parte a tuo marito, il quale saluterai anche per me distintamente, e digli ch' io mi rallegro sempre con lui per la fama che sempre più si acquista, di cui dovrebbe pure andarne molto lieta una graziosa e cara giovine ch' io conosco. Io raccomando alle premure ed all'amore di Regnoli questa mia amica, e vorrei ch'ei la portasse seco di là dal mare per farle passare la malinconia, se pure gl' inglesi non le attaccheranno il loro spleen, chè la sarebbe cosa noiosa assai.

Addio, mia carissima! io vorrei che tu sentissi il respiro che accompagna questo saluto—e vorrei poter abbracciarti e baciarti realmente come lo faccio coll'anima, o mia diletta.

Alla Nobile Signora La Signora Vittoria Lazzari Regnoli Pisa.

(Dicembre 1836).

Mia cara Vittorina,

La tanto cara e tanto desiderata tua lettera è finalmente venuta a consolarmi. Non ti posso dire quanto io era impaziente d'avere notizie di te—di te che mi sei sempre presente, nelle mie veglie, nei miei sogni, in tutti i miei momenti. Oh si, te lo posso accertare con tutta la verità, quella cara visione oh'io ebbi il di 19 Ottobre, io non la dimenticherò mai; essa mi ha riconciliata con la vita, con me stessa ancora. poichè mi ha fatto vedere che il mio cuore è tuttora capace d'amare, di battere all'udire un nome amato. Si, anima mia, io era morta, e tu mi hai risuscitata—però è una vita agitata questa ch'io meno, piena di desiderio vivissimo di te, di dolore, di smania—pure questa è vita! Non puoi farti mai un' idea, nè tu, nè altri, delle mie pene nell'avvezzarmi a menare i giorni, poi i mesi, poi gli anni in un genere d'esistenza di una nullità che fa orrore. Con un cuore sensibilissimo e con una fantasia ardente, il destino mi ha colpito—io non sono più nulla di quello era prima, di quello era quando tu mi conoscesti— sono cangiata tanto, che non mi conosco più. Ed era un tempo immenso che non avea più provato un istante di godimento deliziosissimo come quello che tu mi procurasti, ed allora mi avviddi che in altra situazione forse non sarei tanto misera.

E qui, poichè tu me lo chiedi—se sono decisa di maritarmi o no —ti dirò la pura verità, e solo per compiacerti. Puoi ben credere che a quest'ora io non ne abbia più nè quella voglia che ne avea una volta, e potrei dire anche nessun'altra—ed infatti ho ricusato pochi mesi sono un tale che mi annoiava sempre colle sue ambasciate. Ma questo, dirai tu, può esser segno che quel tale non ti piacesse—e questo è vero, poichè io non lo posso soffrire; ma dimostra ancora che non mi curo affatto di prendere un marito qualunque, come farebbe certo qualunque altra che si trovasse nella mia situazione. Passato il bollore dei primi anni, viene la riflessione e l'esperienza a dimostrare l'infelicità e la miseria d'un nodo male assortito—ed io non ho avuto finora il coraggio di affrontar quel pericolo—sperando sempre che potesse una volta cangiarsi questo desolante tenor di vita ch' io meno. Ma, a te lo posso dire, o Vittorina mia, io non ne posso più, no, non ne posso più! Tutti i mali hanno un confine, tutte le cose a questo mondo si cangiano, tutte, ma per me il destino è immutabile, e le cose hanno preso tal piega, che già so di piena scienza che, come ho vissuto fino ad ora, così vivrò sino alla morte! Nondimeno non faccio nessun passo per uscirne—e mi contento di piangere e soffrire—piangere e soffrire!…

Ma io mi vergogno, oh mi vergogno assai di scriverti queste miserie, questi inutili lamenti—i primi che mi sieno usciti da tempo lunghissimo. E tu l' hai voluto, o cara, e tu me li perdonerai, e poi brucierai questa lettera, e un poco mi compatirai ancora, se mi vuoi bene. Certo che il mio destino non è punto lieto, anzi è odiatissimo, insoffribile—ma se tu mi vorrai bene, se me lo dirai qualche volta, e sopratutto s' io avrò buone nuove di te, sarò certo meno intelice. Se sapessi, Vittorina mia, come la cara tua immagine mi consola nelle mie pene—come il pensiero di te addolcisce i miei dispiaceri! Dimmi sempre come stai, come sta il tuo sposo, il tuo caro Poldo ch' io bacio con grandissimo affetto. Oh dimmi che sei lieta, dimmi che la tua salute non è cattiva—io non reggerei al dolore di sentirti ammalata.

Saluto caramente il Sig. Regnoli, e raccomando a lui la mia amica acciò la tenga divertita e lieta più chepuò. Spero che a quest'ora avrai da un pezzo trovato una donna di servizio—per carità, non starne mai senza, nè pure un momento.

Addio, cara, carissima. Io bacio quel tuo visetto, e mi getto nelle tue braccia con inesprimibile tenerezza.

Alla Nobile Signora La Signora Vittoria Lazzari Regnoli Pesaro.

8 ottobre [1837?].

Mia carissima,

Cara e desideratissima mi è giunta la tua di Mantova, cui mi affretto tosto a rispondere, lieta che questa mia ti abbia a giungere prestissimo onde assicurarti che tu sei sempre l'amor mio, il mio pensiere dolcissimo. Io non ho ricevuto alcuna lettera tua cui non abbia risposto; l'ultima di te era del dicembre passato, ed io ti scrissi ai primi di gennaio —dopo quel tempo, ho desiderato di averne, ma non ho più avuto alcuna tua lettera. Però io era sempre ansiosa delle care tue nuove, e sempre lo era in vano. Seppi poi che, dovendo fare Regnoli un viaggio in Germania, ti saresti fermata in Pesaro—poi ti vidi arrivata in Venezia e partita di là per Vienna. E tu chiami viaggetto l'essere andata a Vienna! oh beata te! questa è una felicità ch' io t' invidio assai assai.

Ma poi ho gusto che non sei andata a Berlino: non sai che v'è il cholera? E Regnoli fa il coraggioso—oh io non vorrei che mio marito vi andasse.

Ora avrai avuto l' ineffabile contento di abbracciare i tuoi bambini, i quali spero avrai trovato bene, come pure tutti i tuoi parenti. Dà un bacio per me a questi angeletti, e un saluto a tutti i tuoi, particolarmente alla mamma e allo zio Cassi.

Oh sì, Vittorina mia, piangi pure con me, se mi vuoi bene, che n'hai ragione. Piangi la nuova infelicità della mia vita, piangi il mio eterno pìanto—e compiangi pure la tua amica la quale ora non vive che per soffrire. Più e più volte ti ho parlato e mi sono lamentata teco della mia sorte; ma ora non ho forza di parlare di quel dolore che supera ogni dolore, di quel perpetuo crucio che tormenterà per sempre la mia esistenza, e m'impedirà di aprir più la bocca al riso il cuore alla gioia1 Se allude alla morte del poeta, la lettera dev'essere del '37. Ma non credere però che il cuor mio non sia più capace di provare una vivissima affezione per te, o mia cara, per te ch' io bacio con la maggior tenerezza.

L'amor tuo m'è di grandissima consolazione, e la speranza che presto mi scriverai e mi darai nuove di te, di Regnoli e dei tuoi mi sostiene e mi è di conforto. Fa di amarmi sempre, mia carissima, e credimi perpetuamente

La tua Paolina.

Alla Nobile Signora Signora Vittoria Lazzari Regnoli Pisa.

Recanati, 9 gennaio 1839.

Mia cara,

Dopo tanto tempo ch' io aspettava ansiosamente tue lettere, ecco che l'altro giorno mi giunse la cara tua dei 30 luglio, scritta a Pisa ed impostata a Pesaro. Oh come rimasi dolente al leggere di qual fiero colpo era stata percossa l'amica mia! Oh come compatisco al tuo dolore, alla tua angoscia! Come devi aver sofferto, Vittorina mia, e nello spirito e nel corpo! Io vorrei avere parole di consolazione da dirti, se non sapessi bene che non ve ne sono. Piangere e poi piangere—pianger sempre fino a che il tempo, quel medico crudele, asciughi le vostre lagrime, lasciando però in cuore una ferita insanabile—ecco la sorte di quelli che il cielo colpisce con doglia cotanto fiera. Ma devi farti coraggio, o mia diletta, per gli altri tuoi bambini, per tuo marito e per te, la di cui delicata salute non può non risentire danno da un eccessivo dolore troppo lungo. Già per noi cristiani il più forte motivo di consolazione nella perdita di questi cari oggetti è la certezza di avere un altro protettore, un altro amico nel cielo, il quale non si scorda certo di noi, e ci aiuterà ad ottenerci forza per vivere, per passare questo burrascoso ed infido mare, che chiamasi vita. E se noi contiamo tanto nell'amicizia di una persona qui in terra, la quale amicizia non si giunge mai a sapere se è proprio per noi, quanto più dovrà contare una madre su quella del figliuoletto suo che dal paradiso vede il suo dolore e il suo pianto?1 Alla Vittorina era morto il figlio Luigi. Vittorina mia, io ho bisogno di sapere che sei più tranquilla, che stai bene di salute, che le carezze dei tuoi bambini ti alleviano il tuo giusto dolore.

Ti ringrazio delle premure che ti sei prese per ricercare i sensi del mio Giacomo sulla Malibran. Ma lo sbaglio l' ho fatto io. Vedendo annunziati nel catalogo di Maggio i versi sulla Malibran di P. Leopardi, ho creduto che il P. dovesse essere un G tanto più che questo Pietro Leopardi non è conosciuto.2 È forse quel Pier Silvestro Leopardi che nel '33 fu arrestato per la congiura di Napoli? I giornali di Francia dettero allora l'annunzio, e quelli d'Italia ripeterono, che l'arrestato era le comte Jacques Leopardi—Lett. alle Brighenti, pag. 133.—A lui, ci fa sapere il poeta, venivano attribuite le più bestiali scritture d'un suo omonimo (Epist. cit. 1. 545 a F. Maestri del 15 maggio '37). Ma nel leggere i versi che mi hai mandati (ed eran proprio quelli che ho veduto annunziati), vedo bene che non sono di Giacomo, ma resta a sapersi come abbian preso il suo cognome —cosa che non si saprà mai. Ringrazio dunque te, e il buon Perticari che ha voluto privarsi di quei versi per amor mio.

Dunque sei tornata a Pisa? oh! ti sei fatta una grande girovaga. Ora vedrai Maria di Wuntemberg e Regnoli l'avvicinerà—e tu devi darmene notizia; devi dirmi quale prognostico faccia Regnoli della salute di quella cara creatura, dirmi che male ha, e se guadagna in cotest'aria balsamica.

Al caro Poldo che mi ha fatto vedere anco questa volta i suoi caratteri do un bacio ad ognuna delle sue guanciette, ch'io credo tonde e rubiconde, e mi raccomando a lui acciocchè consoli colla sua condotta e col suo amore la mamma sua—alla qual mamma io auguro sempre, ma principalmente in quest'epoca un anno anzi un corso di anni prosperi e tranquilli, tutti ben diversi da quello già scorso. Addio cara anima! Faccio i miei complimenti a Regnoli e ti bacio con grandissimo amore.

Ora scrivi pure direttamente a Paolina Leopardi.

Alla Nobile Signora Signora Vittoria Regnoli Pesaro.

Recanati, 15 lugio 1842.

Mia carissima.

Nulla di più grato mi poteva accadere del rivedere i cari tuoi caratteri e dell'udire le dolci tue espressioni dopo tanto lungo silenzio. Io non ti ho mai dimenticato, o Vittorina mia, e sopportava con dolore la privazione delle tue nuove, la quale non saprei dire da chi di noi provenisse —sicchè, puoi figurarti di quanta consolazione mi sia stato il sentire che ancora mi vuoi bene, e ti ricordi di me. Ora, io ho bisogno di saper da te molte e molte cose di te, di tuo marito, dei bambini tuoi, i quali certo a quest'ora non son più bambini. Dimmi tutto, parlami a lungo di te, mia carissima, ch' io vorrei pur rivedere e non posso. La Monti ci faceva sperare che tu saresti qua venuta a trovarla —ora la Monti è a Sant'Angelo. A Sinigaglia io non vengo (come, se potessi, verrei solo per vederti). Forse vi verrà mio fratello colla moglie, la quale avrebbe sommo piacere nel fare la tua conoscenza. E tu ti ricorderai appena di questo mio fratello, ammogliato colla Ferretti di Ancona da tre anni, ma egli si ricorda bene di te, e dell'ultima tua visita di tanti anni fa. Esso ha già due bambini—una Virginia ed un Luigino—i quali sono la nostra consolazione—seppure una tal parola è applicabile alle cose di questo mondo. E il tuo Poldo? e l'altro tuo bambino di cui non so il nome? Oh quante cose hai da dirmi! E tuo marito ha fatto più viaggi? va al congresso scientifico? Tu porterai la pena dell'aver lasciato la tua amica senza tue nuove per tanto tempo collo scriverle a lungo assai. Poi mi hai da dire delle Mosca— se Bianchina diverrà più la Chiaramonti, e se la sorella sta sempre nel solito penosissimo stato. Fa che non ti prenda la pigrizia, sai, quando sarai per scrivermi—dimmi della tua salute se continua ad esser delicata come una volta—se ti sei niente ingrassata—e se hai più confidenza in me, parlami dell'animo tuo e delle tue pene e dei tuoi piaceri. Avrai riveduto con piacere ineffabile cotesto tuo paese, cotesti luoghi ove hai passata la tua infanzia, i tuoi parenti, gli amici tuoi, lo zio Cassi tanto buono e tanto affezionato—non dico nulla della mamma tua, chè già s'intende essere sopra ogni altra persona. Con grande interesse ho chiesto sempre nuove dell' Augusta, e fui veramente consolata nel sentire essere tornata già da qualche tempo in seno alla sua famiglia perfettamente ristabilita.

Cara Vittorina mia, continua a volermi bene ed a farmi regalo dei tuoi caratteri—adesso il signor Poldo non starà più sulle tue ginocchia, quando scrivi, a giuocare colla tua penna—sicchè, dagli un bacio per me (se non è già divenuto un uomo) e scrivi, scrivi assai.

Gradisci i complimenti e saluti della mia famiglia per te ed i tuoi, e salutami Regnoli e Cassi distintamente. Addio, mia carissima—ti bacia in fronte col più vivo affetto la tua

Paolina.

Al N. U. Il Sig. Co. Monaldo Leopardi. Recanati.

Bologna, 8 maggio [1830].

Mio caro Papà,

Piacendo a Dio, partirò domani per Firenze. Non sono stato dal Cardinale parte per pigrizia, parte perchè sono stato occupato. Desidero con impazienza le nuove loro, e quelle del zio Carlo. Qui ed altrove mi è stato parlato con lode del suo F. Gio.ni, e dimandato se continuerebbe. Io non ho mai tradito il segreto.

Il suo Giacomo.