SONETTO.
NACQUIIl lino. di molti giorni anzi ch' io fussi, E apparvi al mondo in diverse figure, E fur d'innumerabil battiture Per me li genitori miei percossi. I membri miei ancor laniati e scossi Furo in sì crude e sì varie torture, Ch' io credo che di pene assai men dure Piangasi giù negl' infernali fossi. Io fui già cotto, ancor ch' io non sia cibo; Nè fassi alcun fra gli uomini convito Ov' io non intervegna il primo a mensa. Ivi alcuna vivanda non delibo, Perocchè a saziar il mio appetito Pasto nè cibo alcuno si dispensa. Lettor, pensa e ripensa; Che al fin se non sarai vieppiù che cieco, Saprai chi son; però sempre son teco.
SONETTO.
IoIl formento. fui gittato in terra e sotterrato Senza mia colpa ovver senza difetto; E benchè solo io fossi, con effetto Con molti miei fratei rinacqui allato. Essendo poi cresciuto ed allevato, Il rustico villan per mio dispetto E mi taglio, e mi legò sì stretto, Che al buon servir mostrò essere ingrato. Come levato fui dal primo suolo Ei mi buttò di nuovo in terra affatto, E fui battuto dall' ingrato stuolo, Nè bastandomi questo avermi fatto, Ei mi gittava con amaro duolo Al vento, al sol fra pietre, e senza patto Mi fa ben peggior tratto; Che, poichè m' ha nell' acqua affogato, Mi manda al foco per peggior mio fato.