L' Alto dolor, che poichè Morte cruda M' ebbe tolto in un punto ogni mio bene, M' assalse, ognor così crescendo viene, Che l' alma afflitta, delle membra ignuda, Minaccia a tutte l' ore Di seguir la cagion del suo dolore; Onde, anzi ch' egli avvenga, Dive suore, ministre al biondo Iddio, Femmina sendo e verginella anch' io, Da voi tanto mi venga Favor, che 'l tempo ingordo non ispenga Il cafo atroce e rio; Ma d' ora in or, col mio gran duolo amaro, L' alto valor, più chiaro al mondo appaja Della mia morta, oimè! dolce Ghiandaja. Nel tempo, che più vaga infronda e' nfiora Primavera gentile i boschi e i prati, Fra gli altri seco pargoletti nati, Scelsi, colle calugin prime ancora, Quella, ch' or piango e grido: E del mio sen, dolce ed amato nido Lieta gli fei, lassando La madre a pianger suvra 'l lavro stesso, Che da quì innanzi un funeral cipresso Mi parrà sempre, quando Cogli occhi o col pensier l' andrò mirando: Nè mai lungi o da presso Lo rivedrò (viva pur quant' io voglia) Che con estrema doglia a me non paja Sentirvi pigolar la mia Ghiandaja. Lieta allor d' unque di sì ricca preda, Tosto a nutritla ogni mio studio volsi: Nè sol, per dare a lei, spesso mi tolsi Di bocca il cibo, ma (chi fia che 'l creda?) Colle mie stesse labbia Dicendo: Putta mia, vo' che tu l' abbia; Come al nido suol fare La madre, la imbeccava: ed ella grato L' ali scotendo colla coda alzata, Con dolce gracidare, Parea dir: Potrott' io mai ristorare? Così della brigata Sì dolce spasso ogni dì più veniva; Ch' altro già non s' udiva (e non è baja) Che celebrar la mia gentil Ghiandaja. Indi crescendo, di color sì belli Il capo, il petto, e l' ali si dispinse, Che non pur di vaghezza altutto cinse Quanti fra noi son più graditi augelli; Ma quanti rossi e gialli Ebbe India mai dipinti Pappagalli: E quel che più m' accese D' amor, fa poi, ch' a sì rara bellezza Virtù s' aggiunse, che vie più s' apprezza. Ella sì tosto apprese, E sì bene, a ridir ciò ch' ella intese, Che con tanta dolcezza, E sì chiaro e spedito (oh grave danno!) Ci son, che non sapranno le migliaja Parlar, come facea la mia Chiandaja. Ma che giova vedere insieme accolte, Per goder sol un dì, sì chiare doti? Mondo rio, del tuo seme or mi son noti I frutti: e ben veggio or, che ne son colte Sempre le spighe in erba. Ogni speranza mi troncò l' Acerba Dell' alta mia fatica, la mia Putta accidendo: e più m' aggreva, Che se pur la sua falce oprar voleva, Ed essermi nemica, Senza del tutto misera e mendica Lasciarmi, ella poteva Sfogarsi altrove, e dar fra gli uccellini, Fra' cappon, fra' pulcini, o in colombaja, E lasciar viva almen la mia Ghiandaja. Ancora (e chi fia mai che quì non pianga?) Se 'l final giorno suo pur venuto era, A che darlo una morte così fiera, Perchè a doppio trafitta io ne rimanga? O caso orrendo e sozzo! Potrollo io dir pel duolo? oimè! n' un pozzo M' annegò la mia Putta: O Putta mia gentile, esci fuora, esci, Troppo degna esca per ranocchi e pesci. Ma che parl' io, se tutta La mia speranza ha 'l tuo morir distrutta? Cresci, dolor mio, cresci, Ch' io vo' sempre nel duolo il cuore involto, Bagnato il volto, e livida l' occhiaja Del caso orribil della mia Ghiandaja. Or chi sarà, che schiamazzando scuopra La Volpe di lontano e gli uccellacci? Più che di cento cani e cento lacci A' polli, di costei giovava l' opra. Ond' io ognor comprendo Maggiore il danno, e seguo: oimè! (dicendo) Chi fia, che la mattina Mi risvegli per tempo, e che mi chiame Per nome, e dica: Dea, la Putta ha fame? Poi di sala in cucina, Bezzicando or la gatta, or la canina, La pentola e 'l tegame Assicuri, e la mensa, ed ambo dui, Ahimè! quanto già fui sicura e gaja! Trista tem' or, morta la mia Ghiandaja. Giove, da poi che morte iniqua ha spente Quell' amorose luci sfavillanti, Che i zaffiri vincevano e i diamanti, E 'l parlar grazioso, che la gente Facea meravigliar, e 'l dolce canto, Che mutò spesso in allegrezza il pianto; Se già virtute hai scorto, Oviver qualche degn' opra, e posto hai in cielo Più d' un uccel col suo terrestre velo, Dammi questo conforto, Ristoro a lei del suo viver sì corto, Che sovr' al caldo e al gelo, Di vaghe stelle adorna, e con benigno Influsso, in mezzo al Cigno e al Corvo appaja Eterno in cielo ancor la mia Ghiandaja. Canzon mia, s' egli è ver, che un uccel, quale Nel mondo è sempre solo, Mora nel foco: e ninoscendo, il volo Indi più vago prenda: Questa anco fola in tutto l' universo, Per un nuovo miracolo e diverso, Spero ancor, che riprenda Vita in quest' acqua, u' morì dianzi, e renda Al mondo l' onor perso: Ed a me, rinascendo, il core e i sensi; Perchè a ragion conviensi, e ben s' appaja Colla Fenice l' alma mia Giandaja.