Catherine, am attaching A0122-T001, it is corrected. One issue that I was not sure how to resolve - the pagination is incorrect in the original, and in some cases has been scratched out with pencil (and even with pen). The problem begins after page 145. What should be page 146 is numbered 149, and the pages proceed sequentially after that. Techbooks has done all kinds of weird things with the page numbers. Let me know what you think about this. My inclination would be to give the page numbers as written on the original but add a note explaining the error... Courtney Wed, 22 Aug 2007 Catherine, I just checked and this text is not up yet. See my message below regarding a problem with the page numbers. In addition, there is another problem - techbooks has marked the stage directions as "notes". Let me know if you want me to help fix the pagination or notes/stage direction issue. The text itself is proofed and ready to go! courtney Wed, 12 Sep 2007

LI
BVFFONI
COMEDIA
RIDICOLA
DI
MARGHERITA COSTA
Romana.

A
BERARDINO RICCI
CAVALIERO DEL PIACERE
Detto il Tedeschino.

IN FIORENZA
Nella Stamp. nuoua d'Amador Massi, e Lor. Landi. 1641.

Con licenza de' Superiori.

IL Solito è sempre quello, l'insolito è più nuouo; oltre che il far le cose a proposito vien da tutti lodato. Il dedicare questa mia Comedia de' Buffoni ad altri, ch'al Tedeschino, mi farebbe posto a gran trascuragine; poiche, se in essa non hebbi altra mira, che d'inuentar scioccherie, rappresentar balordagini, ed imitar stoldidezze, a qual più di voi, vestito del mio pensiero poss'io appoggiarla? voi schiuma de' Buffoni, Padre delle scioccherie ed in fine politico inuentore d'ogni balordagine; essendo dunque sicura, che sotto l'ali d'vn buffone vostro pari la mia Buffoneria politicamente si manterrà viua, vengo sì a dedicarui quella, come con nouo assalto a ricomporre la vostra ira. Lo sdegnarsi a ragione è d'animo eleuato; ma per l'opposito, quelli spiriti, che senza offesa per vn mero capriccio, o per dir meglio, pazzia, tolgano ad altri quei termini di riuerenza, che anche fra nemici si deuono, hanno più dello spiritato, che dello spiritoso: con tutto ciò, per farui conoscere, che altrettãta è la mia cortesia, quanto la vostra sordidezza, senza riguardo del poco frutto, ch'io cauai dalla ventaglia de' Buffoni a vostro honore data in luce; in questa mia burlesca compositione, per scopo principale hò preso il vantar le vostre glorie, e postoui per vno de' Principali Soggetti di essa, mi sono dilatata, in rappresentar viuamente le vostre virtù, in dinotar quegli honori, che forsi in palese altroue riceuesti, e con viua copia dimostrare in voi que' talenti, che in vn Caualier del piacere della vostra tacca si richiedono. Gradite dunque il mio affetto; ese per la mia penna si esaltano i vostri meriti, confessandoui di quella obligato, datemi campo, che con essa possa perseuerare a lodarui, con che assicurandoui, che la mia Musa sempre via più m'infonderà materia, con che per le rime risponda alle vostre cortesie, vi augurio ogni staggione in Carnouale. Firenze li 10. di Gennaro 1641.

Margherita Costa.

LEttore, se in questa mia Comedia de' Buffoni trouerai con la varietà de' linguaggi l'inconformità dello stile, non me ne dare accusa, poiche solo il mio pensiero è stato d'imitare i Personaggi, che rappresenta, i quali per esser de Pazzi, Buffoni, e Nani, come quì sotto vedrai, non d'altro habito poteuo vestirli, volendo rappresentarli del naturale, il Cielo ti salui.

Meo è nato scimonito. Masino è vn storto di tutta la vita, e del viso. Michelino è vn pazzo Tedesco italianato. Mantuano Tedesco italianato. Baldassarre Spagnuolo italianato. Pedina è vn Nano. Gobbo è vn scherzo di natura, che al Nano somiglia, ma gobbo. Grasso cuoco è vna persona grossa, e sciocca Croatto Turco italianato. Catorchia Nano. Scatapocchio Nanetto piccolissimo. Gobbo del Violino è vn Gobbo.

La Comedia antica:

Buffoneria.

Meo Principe di Marocco innamorato d'Ancroia Meretrice,

Marmotta Principessa di Fessa Moglie del Principe Meo.

Bertuccia Damigella di Marmotta Principessa.

Masino Segretario di stato del Principe Meo.

Tordo Consigliero di stato del Principe Meo.

Michelino scalco del Principe Meo.

Mantuano seruidore di Michelino.

Pedina Capitan della Guardia del Principe Meo.

Gobo Capocaccia del Principe Meo.

Ancroia Meretrice Dama di Baldassarre Buffone.

Filippetta serua di Ancroia.

Tedeschino Buffone innamorato della Principessa Marmotta.

Grasso Cuoco seruidore del Tedeschino.

Baldassarre Buffone Amante d'Ancroia;

Croatto seruidore di Baldassarre.

Catorchia innamorato di Filippetta serua d'Ancroia.

Scatapocchio Brauo di Catorchia.

Gobbo del Violino.

Choro di Cacciatori.

La Scena si rappresenta in Marocco.

MEO Principe di Marocco tutto riuolto all'hosterie, agli Amori, ed alli Buffoni dà cagione a Marmotta Principessa sua Moglie di voler partirsi dal Regno, ed andare a' suoi stati paterni di Fessa, e starui co 'l Padre, che non hauendo più successione di Maschi, Lei resta sua erede; e dopo varij auuenimenti, che la disturbano, e la trattengono, determina mandar Baldassarre (tra Buffoni assai virtuoso) al Padre in Fessa; e nel dargli i contrasegni di se, lo troua essere suo fratello, ed Erede successore del Principato di Fessa. Meo in tanta allegrezza del Cognato Principe si distoglie dall'hosterie, lascia gli Amori, punisce i Buffoni, e torna in pace con la Moglie.

Che rumori, Stridori? Che fracassi, che grida Andate facendo, Ridendo? Deh non più tante strida? Son tutte baiate, Son tutte risate A vfo Signori, Se prima di fuori Ciascun non vedete. Ah hora, hora ridete. Ah hora tutti ridete. La Comedia antica, e la Buffoneria. OH, voi mi rimirate? Io son pur dessa. Non m'ha l'Antichità cangiato aspetto, E meco c'è la rigidezza istessa. Ciascuno se l'aspetti; mal v'accolse Questo Teatro; al cinto mio sospesa, Sol, per farui la barba a vostro costo, Hò la cesoia, ed il rasoio hò posto. Dormir nel letto altrui con l'altrui Donna? Oh buono: e poi voler dare ad intendere, Ch'ei 'l fa, per rispiarmare i suoi lenzoli. Gnaffe: egli vuole, che co 'l conio suo Sol la moneta, ch'è d'altrui, si stampi; E gode arare in licenzio so modo Non già co' Boi, ma con la fronte i campi. Ed altri di bocali è sanguisuca. Ed a cannella suona il suo stromento. Vede i colori hor verdi, hor rossi, hor gialli; Ed instabil di testa, e mal' in piedi Fà di canarij, e di spezzate i balli. E v' hà, chi tutto dì sopra i buffetti Altro non fà co' dadi, e con le carte, Che dico paro, e tengo; e l'infelice I bastoni tal'hor prende per coppe. Ma più da vero, che per gioco al fine Perde i danari, e si riduce in toppe. V'è, chi la Gatta di Masino finge, E scaltro Ippocriton per humiltade Tutto riconcentrato in se si stringe; Hà torto il collo, ed abbassato il ciglio, Ma poi, per arriuare vn pouer'homo, Di Ceruo ha 'l piede, ed hà d'Arpia l'artiglio. Ed altri fà il Narciso, e 'l Ganimede, E mille volti il dì more, e rinasce; S&etilde;pre il suo amore in dubbio stato inforsa; Di sonno è carco, e di ceruel leggiero Ma più, che di Ceruel, lieue è di borsa. L'Auaro poi, perche rispiarmi forse Il funerale suo, con smorto volto Ponè tutti i pensier dentro vna cassa; E con l'oro vi giace anch'ei sepolto. Il soldato pe 'l gioco; che l'abbatte, Pugna più, che per l'arme del nemico; Spresato s'attrauersa per le strade; A prede auuezzo và tra rischi a porse, E piú, che le Cittá, piglia le borse. E 'l Cortegian, ch'a guisa di Lumaca Tutta la guardarobba indosso porta, Co' denti asciutti in camera se n' torna; Nè, per spender', hauendo entro lo scrigno. L'auanzo del salario, over del suo, Si pasce ch'il Padron l'hà fatto vn ghigno. Buff. O' Vecchia sgangherata, e fatta a volta; E ben come sei giunta in queste parti, E sì ben cinguettar libera agogni Vsa a viuer ne' secoli vetusti, Quando il Mondo mãgiaua agli, e scalogni? Com. Oh vil Buffoneria, scherno de' saggi, Che, per mangiare, eserciti la lingua, E bugie vendi, per comprar viuande. Buff Tanto il boccone mio val più del tuo, Quãto, ch'è 'l mio di g&etilde;me, e 'l tuo di ghiãde. Com. Tu con tanti stromenti saltellando D'Alocchi, e di Ciuette sei zimbello, Buff. E tu d'Apollo sei ne la cucina Co 'l secco lauro vn smunto fegatello. Com. Oh quanto meglio fora, che gli specchi, Che porti per altrui, per te portassi. Buff. Ed il bastone, onde la destra appoggi, La schiena a suon di colpi a te drizzasse. Com. Può la lattuca tua pascer' vn campo, Ma d'Asini, che ragghino nel Maggio. Buff. E, se non altro, il tuo rasoio almeno Può farti Donna segnalata al Mondo. Com. Oh come ageuolmente pigli vento. Buff E tu com' entri facilmente in barca. Com. Credimi, a te la giouentù non gioua. Buff. Sappi, ch'a te più la vecchiezza noce. Com. Tu come vn'animal viui a giornate. Buff. E tu la notte, come i Grandi, mangia, Razza apunto di Nottola, ch'auanzo Sei di quei Greci; e di quei tuoi Romani, Ch'a la tua mala lingua il bando diero. Com. Sempre hà la Veritade i suoi nemici. Buff. E l'Insolenza il suo castigo aspetta. Altro è l'officio tuo, che di Pedante, Ch'è di natura sua bestia proterua; E tutto il mal, ch' in altri biasmar suole, Ei per fidecommisso in se conserua. Com. Il dir mal'; hoggi è l'arte del Boffone. Buff Ti duole, ch'io ti tolga la tua parte; Almen facciamo a mezzo; e amica godi; Che sia mio l'esercitio, e tua sia l'arte. Com Tu forse scherzi, perc'hai pieno il v&etilde;tre. Buff. E tu fà, come la cicala suole, Che pria, che non si pasca, ella non canta; E poich'ella è pasciuta in sù'l meriggio Si tal'hor canta, che ci lascia il fiato. Và, và di qui lontana. A' nostri Eroi, Ed a' Figli de l'Arno, o stolta Vecchia, Nocer non può il liuor de' detti tuoi. Com. Già sò, che ti risenti, perche scorgi, Che scacciarti di quì sola poss'io. Buff. Tu m'hai più cera co 'l tuo brutto ceffo Di scacciar cani, che cacciar Buffoni, Nella felicità di questo Regno Maledicenza non hà loco alcuno. Torna ne la tua Grecia, e non più meco Vanta le tue bontà, quì non ad altro, Ch'a bersi in sù 'l mattino è buono il Greco. Com. Forza di vino rende il senso infermo. Buff, Chi de' Prencipi Medici a la cura Dal Cielo è dato, non hà parte inferma, Onde tua lingua risanare il vaglia. Taci; che quiui la Comedia antica Non hà di farui tacca, o ripresaglia. Com. A sì gran Nome, e non a' detti tuoi Ceder m'è forza; che la lingua mia Punger può, ma non nocere a gli Eroi. Se i Medici ancor'essi da la Grecia Trasser l'antico sangue, Eroi sí degni Fia, che co' Greci miei prezzi ancor' io. Vsa à maligni Cieli, hor da l'aspetto De le Medicee stelle, altroue io parto. E inchino lui, che da' miei Greci sceso Degli Italici Regni è Gloria altera, Ed a gli Augusti vnito a l'Arno impera. Buff. Così vada, chi sdegna i detti arguti Di più faceti, e più giocondi ingegni. Non più di graue suon voci mal grate, Se soglion nel terren ridere i fiori, Quì la Città di Flora ami risate, Non più seueri, ed importuni detti; Suoni il Teatro Buffoneschi amori; S'Oda Comica scena ordir diletti. Roma, c'hebbe di senno i vanti primi, Odiaua i Gracchi, ed ascoltaua i Mimi. Ad vna Cena è simil la Comedia, E sembra il palco suo tauola grande, Oue non altri alfin, che l'Allegria, Condisce saporose le viuande. Solo dunque di ciancie aspersa sia; Poich'i faceti sali, e i lieti detti Ciban l'alme, e nodriscono gli affetti: E se 'l Buffone è'l sale de la cena, Senza Buffonerie sciocca è la Scena. Meo. Prencipe di Marocco. Marmotta Prencipessa sua Moglie. Meo. CHE, canchero, o Diauolo sarà? Tutto il giorno, co' barbotti; Ch'io non vada, ch'io non stia; Ch'io non faccia, ch'io non dica: (Quasi, che mi scappò) Che venir vi ti possa Il male del rouello, O 'l bruscior de l'ortica. Io l'intendo a mio modo; Portar voglio i calzoni; Nè v'hauete a impacciare, Se mi piace la Zuppa, o li Buffoni. Mar. Ancora hai tanto ardir? non sò, se sai, Ch'io son di Fessa Erede; e che non venni In Marocco, per farti la fantesca? Meo. O Fessa, o Sfessa, Io non sò, che ti vogli; Ch'Ercole non son'io, Che vanti quì per te portar la gonna. Mar. Ancora questo, ancora? Io dico, che non voglio Più durarla così? voglio esser Moglie. Meo. Così non fussi tù; sia male detto Chi mi fece dir si per vna volta. Mar. O Testa di zuccaccia senza seme, Ceruellaccio di gatta, huomo da niente: Oh uè, s'io l'hò trouato il buon Marito? Tutto il giorno con gli Hosti a frugnolare Qualche vil Baronaccia, o fra Guidoni Fra mille scioccherie buffoneggiare. Maladetto di te l'orbo Ceruello, Maladetto l'humor, la frenesia, Maladetto il tuo Prence, e Principato, E di Marocco la Geneologia. Meo. Tu sola maladetta, e tutta Fessa. Maladetta di te la troppa rabbia; Maladetto chi fetti Principessa, E chi mi fece vccel de la tua gabbia. Mar. Oh balordo ceruel da far lunari. A fè, a fè, ch'io ti vuò far vedere Chi è Marmotta, e chi sono i Fessanti. Meo. E di gratia non fate. Oh vè, chi vuol brauare in casa d'altri. Hor sù; volete voi farla finita? Mar. Io mai non finirò fin, che non veda Finito te reo Prence, e malmarito. Meo. Afè, a fè Marmotta, Ch'io disciorrò li bracchi a tuo mal grado. Mar. O pazzo, scimonito? E quanto è, che gli hai sciolti a tuo mal prò? Fà quello, che ti pare: Io voglio esser trattata da mia pari. Vuò, che mi sij Marito In altro, che buon dì; m'intendi tù? Meo. Io non t'intendo, che malanno vuoi? Mar. Voglio, che come il dì son Principessa, Anch'io mi sia la notte; m'hai tù inteso? Meo. E chi ti leua, che la notte ancora Non sij la Principessa di Marocco? Mar. Ah ah, o non intendi, o tu fai 'l sordo. Dico, chio vuò la notte, Che Meo stia meco; e non vuò dormir sola? Meo. Oh questo non può stare. Io tutta notte Mi sogno strauaganze, e fernesie; Se tu mi fossi a canto, Forse potrei sognar, che vna Bertuccia Mi morsicasse il naso, e sbalordito Darti vn pugno su'l viso a questa foggia. Mar. Tira più là, bestiaccia? Eh ci vuol'altro: Io non son paurosa; Io vuò star teco. Meo. Marmotta, a fè, che te ne pentireste; Tal'hor mi sogno di far' al pallone, Potrei darti nel ventre, e disconciarti L'original di qualche scimonito. Mar. Ti volterò la schiena; e se mi dai, Risponderotti con vn creppa pancia. Meo V'è peggio; hora, ch'è freddo, io piscio al letto Ogni notte, Marmotta, non ti burlo. Mar. Sò ben, che non mi burli, che la sera Prima, ch' io venni, me la caricasti. A questo ci è rimedio, l'orinale Terrò sempre allestito per tal conto. Meo. Pensa, se 'l orinale Posso aspettare; Io dormo Quando rouescio l' acqua ne' Lenzoli. Hor finalmente solo Io vuò dormir, che vuoi? Vuò far quel che mi par, vuó quel che piace. Mar. A fé, che non t'andrà sempre ben fatta. Veramente l'è cosa Da poterla soffrir' (che sij appicato) Sentirsi tutto il giorno Ch'vn Prencipe par tuo Canta le mie bellezze a suon di corno. Meo. Che corni, o scorni? oh tu l'intendi male? Io non andai a Moglie; & a Marito Tu non venisti meco? Oh guarda ritrouata? Dunque s'a pranzo io vado, Hò a domandar licenza A la vostra eccellenza. Mar. E pur lì: Tu ben sai Doue mi coce, ma tu fai lo sciocco Prencipe di Marocco. Io non presi Marito Per starmi con Bertuccia a sollazzare; Lo presi, come fanno l'altre Donne, Per ritrouarlo pronto a' miei bisogni. Tutto il dì tra gli amori, e tra i Buffoni, E poi dir, che portar tu vuoi i calzoni. Meo Facciamola finita: Vuò stare in libertade; Non hò bisogno di Pedante attorno. Oh vè, che bella tresca? Io vuò darmi bel tempo, o Prencipessa, Siamo in Marocco, e più nõ siamo in Fessa. Mar. O in Fessa, o non in Fessa. Io hò tolto Marito, per esser'io la Moglie. E non perch'ad ogni hora Vengan mille barone A far la Prencipessa. Meo. Oh la puzza: vuoi tu quietarti ancora? Vna Donna tua pari Non s'hà da dar pensiero D'ogni cosa, che sente A te tocca a badare A le cose del Regno, E non saper, s'io caccio, o voglio amare. Mar. Signor si; a me tocca Di gouernar lo stato? Oh d'Amor scimonito? Oh sai, come m'abbotta? O Padre, o Fessa, o Pouera Marmotta? Meo. Andate, se volete: Hò altro per il capo, Che le vostre parole? Oh Meo, quanto gli è duro Hauer tai Bestie intorno? La Donna? oh ch'io m'affoghi, Se v'è 'l peggio animale. Quand'ella viene in casa, La par la buona cosa; Ma quando hà fermo il piede, E' peggio d'vn Leone; Quanto v'è, quanto troua, Tutto mette in bisbiglio; Nè vi vogliono più nel vicinato, Che tre Donne a compire vn sol Mercato. Mar. A fe, a fe, che te ne pentirai, Prencipe senza senno, Ceruel senza custode, Pensier senza giuditio; Oh guarda; hà tanto ardire, Di strapazzarmi ancora? Tu me la pagherai. Meo. Vattene in tua mal'hora. Mar. Io non mi vuò partire. E che forse t'hò fatto Qualche gran torto? per rimprouerarti Ch'a vn Prencipe disdice L'andar tutta la notte Zimbellando Ciuette? Che gli è vergogna, a darsi tanto in preda Al vino, a l'hosterie? E che ci vuol misura in ogni cosa? Dunque, perch'io ti dico, Ch'attendi al tuo gouerno; e de lo stato Sappi meglio gli affari; Che non ti fidi tanto Di questi Masnadieri, Mi deui discacciare? Ah Prence, Prence, quanto vn di pentito Ti trouerai di non m'hauer sentito? Io parto; resta, e godi; e tuo sia il danno: Chi vuol la mala pasqua, habbi il malanno. Meo. Oh la se n'è pur' ita. Oh vè, pazzo ceruello? Io hò tanto di capo. Ahime, che mai si quieta: Poss'io morir, se più la miro mai. Moglie? Moglie, e tò guai? Oh felice quel core, Che fuor di quel legame In dolce libertà scherzo è d'Amore. S'io dormo, la mi desta; S'io mangio, la m'inquieta; S'io vado, la mi stoglie; S'io parlo, m'interrompe; In fin la vita mia non hà mai posa: La vorrebbe, che sempre Le stessi sopra i scherzi; Ch' io fossi vn coua Donne, vn'animale; E da mattina, a sera Io le pestassi l'acqua nel mortale. Filippetta. Meo. Fil. O ben trouata la vostra eccellenza? A che cotanta furia? Con chi l'hauete voi con tanto sdegno? V'è forse macchinato Qual cosa contra il Regno? Meo. O Filppetta, a punto Tu giungi a tempo, per spassarmi vn poco. Che si fà? come và? in che la passi? Com'hai de le facende? Quant'è, che da l'Ancroia Non hai condotto qualche passarotto? Fil. A punto hor' hora ve n'infilzai vno. Ancroia è bella Donna, Gratiosa, pulita, e há il più bel viso, C'habbiasi de gli Amanti Il riposto comune. Hà vn'occhio, com'vn porco disdruscito? Vna bocca longaccia, e rileuata, Vn nasino, ch'ancor non par finito, La Carne lustra, come inuitriata In fine gli è vn boccon proprio da Prence. Se voi vna sol volta La vedeste vicino, Direste, ch'io hò studiato il Calepino. Meo. Fammela vn pò vedere; e se mi piace, Ti vuò dar non sò che, ch'io non la trouo. Fil. E che per vita vostra? Meo. Vna cosa, che gusta. Fil. Eh volete la burla. A la Padrona si dan queste cose. Meo. Io la vuò dare a te. Fil. E se son Filippetta, Non son, come credete; Ancroia è bella è vero; Ma io non sono ancora A fatto tra le brutte; E se non hò bel viso, Son però gratiosa, Polita; e più di lei, Ne le cose d'Amor sperimentata. Se le gote hò cadute, Non son cadenti in tutto; Quando và, e quando vien'è buono il frutto. Meo. Hor sù, siamo d'accordo. Io voglio dare a te quel, che t'hò detto. Fil. E che m'hauete detto? Che cosa è quel, che me volete dare? Meo. Dirolti, e l'indouina. Vna cosa sì lunga, E grossa, e dura; e stá cotanto tesa, Che pare vno spagniol quand'è in postura, Si piglia con le mano, e vi si mette. Fil. E che? Meo. Quel, che dentro vi và. Fil. Oh l'è la sporta: Io non la voglio; fio. Vi mancano le sporte in casa nostra? Meo. La Sporta: non è sporta, ne cistello. Oh sciocca, l'è vn Cappello. Fil. Vn cappello sì, sì; Hor, che l'inuerno pioue, io son contenta. Adesso, adesso ve la meno quì. Meo. Ed io intanto me n' vò verso la Regia, Fra poco spatio quì ci trouaremo. Fil. Oh l'è'l dolce boccone Per la mia Padroncina. Adesso, adesso è' l tempo, Ch' io seco mi guadagni vna gonnella. Gnaffe? Meo per Amante? E chi gli potrà più toccar' il naso? Esser Dama d'vn Prence di Marocco? Ne cauerà de' soldi. Che per quanto s'intende, Egli suol gettar via quel ch'altri spende. Vuò picchiar l'vscio. Olà. Che son tutti a dormire? Ella hà ragione, chi la notte veglia, Conuien, che dorma il giorno, per campare. Tic, toc, tic, toc. Ancroia alla finestra. Filipetta in strada. Anc. CHI bussa in sù quest'hora? Fil. Son'io, son'io Padrona; Venite a basso, che v'hò da parlare. Anc. Oh vè, che bel partito? Non hò altro che fare? Fil. Oh se sapesse quel, che v'hò da dire, Voi non stareste tanto. Oh via venite aprire, E qual'anguilla, che tra diti sfugge, L'occasion, che viene, e non si piglia. Anc. Eccomi quì, che vuoi? Fil. Sentite. Meo, Meo. Anc. Oh tu forse sei cotta. Chi Meo dici? chi Mea? forse m'vccelli? Fil. Meo il Principe nostro, Il vostro Padronaggio, Il Prencipe di Gnocco. Anc. Di Marocco in mal'hora: E ben; che cosa vuole? Fil. Vi vuol fornir la casa Di panni di cucina. Ed addobbar la stalla D'vn porco grosso, e due porchetti grassi. Anc. Il malan, che ti pigli: oh vè regali? Horsù vuoi altro, o tu sei pazza, o cotta! Fil. Son'vn campan da botta, Io vi dico così, ch'adesso, adesso Verrà quì, per vederui, E se gli piace il vostro bel modello, M'hà promesso vn cappello. Anc. Vn cancher, che ti mangi. Fil. Vn cappello da vero. Son tanto fuor di me da l'allegrezza, Che non sò dir parola. Oh via: m'hauete inteso? Il Signor di Marocco Vi vuol per sua Signora di piacere; Ne sete voi contenta? Sorella questo è 'l modo Di procacciarsi il pane. Vn Prence più in vn hora Vi può dar, ch'vn priuato in mille lustri. E poi gl'è liberale; Non tien conto di nulla; E getta via ciò, che li dà in le mani. Anc. Filippetta, mi burli, ò fai da vero? Fil. Non vi burlo a la fè; poco può stare A mostrarne gli effetti; e lo vedrete. Anc. Hor sù; mi vuò lisciare; Vuò rilustrarmi vn poco; Vuò farmi i ricciolini, E tutta linda comparirle auanti, Fil. Auertite, Padrona, A non portar collaro; Ch'egli v'hà simpatia molto diuersa. Anc. E perche? non li piacciono i collari? E che parrei senza collare al collo? Fil. Ei non le vuò veder; gli piace ignudo Veder' il collo de la cosa amata; Venite scollacciata, e sia, che vuole Anc. Adesso, adesso me ne torno a basso. Fil. In fin noi altre Donne, Come non siam lisciate, Ne la gota s'inostra, De la nostra beltà non facciam mostra: Anzi in noi senza l'arte La beltà non hà parte; E bene, se la Donna Hà sempre finte l'opre, Solo a se co' difetti Il sembiante ricopre: E tra l'acque, e tra l'ostro Di Natura è prodigio; e d'arte è Mostro. Ed, io se fosse Amante, Vorrei tutte vederle la mattina, Quando ancor con le mani Non s'habbino lisciato il lor sembiante. Per veder chi è Ciprigna, e chi è Gabrina E'la bellezza lor forza di braccia, E sette volte il di mutan la faccia. Padrona, o via; non più; voi sete bella. A che tanto fregare; Che forse vi volete scorticare? Anc. Eccomi? che ti pare? Son'io quella di prima? Guarda, come campeggia Sù'l bianco il purpurino? Guardami vn pò le labra? Ti paion di rubino? Fil. Si; ma rubin, che cade; Se vi vien da sputare, Come farete voi? Anc. Perche? s'ad ogni sputo Il Cinabro cadesse (oh tu sei sciocca) Hoggi non s'vsa altro, che bocche tinte. Egli è ben fatto; si posson chiamare Trappole de gli Amanti. Poiche in vece del labro Se gli porge il Cinabro. Fil. Padrona, ecco qui il Prence? Fategli vn bell'inchino a la Spagnola. Sogghignate vn pò, pò con l'occhio dritto; Bisogna vsar de l'arte in questo Mondo. Meo. Ancroia. Filipetta. Meo. SIgnora Ancroia, molto ben trouata! Certo, c'hauea ragione Filipetta a lodarui. Voi sete vna bellozza: Da ver, che mi piacete; Ed io vi piaccio a voi? Anc. Vn Prence sempre piace, E per brutto, che sia, Pare bello ad ogn'vno. Meo. Dunque io son brutto? hor sù; pur ch'io vi piaccia, La sia, come vi pare, e la volete. Anc. Non dico questo; dico, che nel Prence Non si scorge bruttezza; Ma fra cotanti lussi Ogni cosa è bellezza. Fil. Oh via sete d'accordo; o brutto, o bello, Beltade, e legiadria Non si portano in capo per pennacchio. Meo. Accostateui vn poco, ò bella Ancroia. Fil. Se si stà si discosto, Farem poco pan'vnto, e meno arrosto. Anc. Scusatemi signor, vosignoria; Ch'io non hò hauuto mai Prencipi in casa mia, Meo. Ahi lasso, già mi pare Di sentir dentro il seno Tra 'l fegato; e 'l polmone vna gran scossa. Già, già sento nel core Suscitarsi le fiamme; e nel mio petto Scolpita è Ancroia per le man d'Amore. Oh come dentro il foco Mi raffreddan le vene? Come gli incendij tuoi, messer Cupido, Senz a soffietto accender sai ne l'alme. Ancroia, Ancroia mia, Tenebre de' miei lumi, Raggio de la mia notte, Nota de le mie gioie, Affanno del mio seno, Disturbo del mio core, Anima de' miei mali, Gelo de l'ardor mio, Esca sempre insoaue al mio desio. Fil. E'colto ne la rete. Quanto puote vn bel volto? Oh quanto, oh quanto vale Quel cattiuel d'Amor ne l'alme Amanti? Meo. Ancroia, o bella mia, Mio sol di meza notte, Mia luna in quintadecima, Mie stelle sempre infeste, Soaue acquaio de le mie minestre. E qual per te prou'io Pagliaio acceso dentro il freddo petto? Qual noua brama (ahi lasso,) Mi rende satio de' tuoi vaghi lumi? Soccorrimi, ch'io moro; E, se troppo prolunghi a darmi aita, Mi Vedrai nel dolor tornare in vita. Fil. Come si raccomanda? oh quanto puó Il figlio di Ciprigna? Quanto puon far duo lumi? Per quante vie la vigna altrui si zappa? Anc. Prence, s'il volto mio A te reca tormento, Odio, chi mi fè bella. Maledette bellezze, Gratie mal dispensate, Se voi sete cagione Di far' altri prigione. Dunque di gioie in vece Da me, mio bel difforme, Ti si reca tormento? Dunque quando gioire Credea fra la tue braccia, Dourò nel mio dolore Bestemmiar Meo, e maledire Amore? Ah, se tai danni io fò, Ti lascio, e me ne vò. Fil. Oh la bella moresca, oh la sà fare. Guarda, come gli sà ben dar la corda? Cappi: vacci di sotto. In fatti queste Donne di bel Tempo Non si lascian scappare De la ragna i fringuelli; Non son da Parolaj i lor zimbelli. Meo. Ah cruda non partire. Mi son care le gioie, Abborisco le pene. E più per te desio prouar contento, Che per altra beltá pena, e tormento. Anc. Oh vita mia dolcissima, Mio vago volto amabile, Mio Sole splendidissimo, Mio foco, e refrigerio, Per te, per te, mio core, A poco, a poco il seno Si fà schiuma d'ardore; Io ardo, e più non posso Stare a roder quest'osso. Fil. Hor sù, Prence, e che noua? a che si bada? Non è tempo di ciancie; andianne vn poco. La stoppa a canto al foco O bisogna abbruciarla, o di là torla. Questo è vn parlare al Sole, Vn liquefarsi al vento; Vn'incordarsi senza hauer la fune. A le prese, a le prese, a l'arme, a l'arme. Già del par son le voglie, A che si tarda il desiato colpo? Padrona, e che facciamo? Che ti sei smenticata Di sù la pania frognolar gli augelli? Scarica la balestra; egli è già tuo? Che, se s'auuede de la rete tesa, Non mai più per mia fè farai tal presa? Anc. Prencipe, che più brami? Oue vuoi, ch'io t'aspetti? Qual deue a' nostri amori Esser la stanza de' piacer bramati? Fil. Oh così? conclusione; Chi lascia correr tempo non fà preda. Meo. Fammi vn piacere, Ancroia, Andianne a caccia insieme, Ed iui a suon di corno Diamo la nottè a sì felice giorno. Anc. Andianne doue vuoi: Son pronta ad vbidirti, e de la caccia Mi piacciono i piaceri; Anch'io, anch'io tal volta Mi diletto cacciare; E sò le reti, e i bracchi maneggiare. Fil. A la caccia, a la caccia; oh la mi và: Quel cominciar cacciando Ne le cose d'Amore L'hò per buona derata tutto l'anno. Meo. Andianne, ch'a Pedina Capitan de la Guardia Hò commesso il partire; E 'l Gobbo Capocaccia Ne condurrà co' cani Ogni ordigno, che s'vsa per la caccia. Pedina. Gobbo. Ped. OH vè, che fantasia d'andar' a caccia? E dice bene il vero; Ch'in questo si conosce Il seruo dal Padrone. L'vn' al comando, e l'altro a l'obedire. L'è vna giornata da cacciar Ciuette. Oh che pochi pensieri? Gobbo, che piglieremo? Gob. De le ranocchie al certo. Che ci vuoi far fratello? E per acqua, e per neue Dee camminar chi deue. Ped. Hor sù noi, che dobbiamo, Andianne à cacciar botte. Dà vna sonata al corno.Quì suona il corno. Gobbo, credimi certo, Che più d'ogn'altro tono Mi piace questo suono. Gob. Hai tù moglie, Pedina? Ped. E perche me'l domandi? Gob. Te lo dirò dopoi. Ped. Io non hò moglie, nè già mai pensiero Mi verrà di pigliarla Gob. Tu fai bene a la fe, poiche quel gusto Di quel suono di corno Ti potrebbe riuscire In vece di sentir di farlo vdire. Ped. Vuoi, ch'io ti dica: l'è vna certa vsanza, Ch'io non mi vanterei di non sonare. Ma dimmi, Gobo, sai tu chi son quelli, Ch'a la caccia se n'vengono co'l Prence? Gob. Io non lo sò; e quando lo sapessi, Io non te lo direi: I fatti de' Padroni Non si van recitando per le piazze. Attendiamo a seruire, Non tutti quei, che fan, vuon lasciar dire. Ped. Ritocca vn poco il corno. Eccoli a punto: Oh l'è Ancroia a la fè. Oh che le venga il morbo! E chi diauol mai Glie l'hà posta dinanzi? Poueri Prenci! in fatti E'questo Mondo vna gabia de matti. Gob. Badiamo a fatti nostri, e non ci rompa I casi altrui il sedere. Siam qui, per vbidire, E non per Rauuisor de gli altrui botte. Chi l'altrui fatti cerca, Procura il Sol di notte. Meo. Anc. Fil. Gobo. Ped. Cacciatori. Cac. A LA caccia, a la caccia: Chi la scioglie, non l'allaccia Suoni il corno Tutto il giorno. Errin lepri, Corran cani. Cerchin bracchi, Fuggan volpi; Nè c'ingombri horror di polue; Chi la sà, non la risolue. Meo. S'incammini la Turba in ordinanza; Hoggi Cerui, e Cinghiali Da la mia voce forte Hauranno e vita, e Morte. Voi tutti ad vno ad vno Seguitatemi in schiera; E voi, mia speme spenta, A me sempre vicina Mirate in dolce guisa Qual' il mio piede gli spontoni auuenta? Cac. E noi siamo Cacciatori, Buoni Bracchi, e Curridori, Tutti in fila Ne la fila Infilziamo, E cacciamo. Ogniun fà, quel, che può più. Turutu, turutu, tu, tu, tu, tu, tu. Tordo. Michelino. Tord. OH l'è pur l'esser Pr&etilde;ce il bel mistiere, Comandar, dominare, E non sentir, se pioue, o vuol fioccare. Oh vè tempo di caccia? Giunon versa dal Cielo gli vrinali, E Meo Prencipe nostro è gito a caccia. Michel. cantando. E se voi vi dilettasse Venir con esso noie; Tor. Oh ecco quel pazzon di Michelino. Mic. Voi haureste mille spasse A cacciar' ancor voie. Tor. Oh felice pazzia? Solo ne' pazzi è sempre l'allegria. Mic. E de le lepre, e golpe poi Gran quantità pigliame. Piasceuole noi siame. Trandir à, trandira, trà. Tor. Oh bene, oh bene; che si fá Michelino? Oh buono Cacciatore Di roba cucinata, e di buon vino. Che fai de l'archibuso? Oh vè quant'arme porti? hai le pistole? Mic. Suscellenze Prencipe di Marocche, Ch'il Ciel salue, e mantenghe. Hà ordinate vn bellissime caccie. E vuole, ch'ie vade in Fesse A casciar di notte Columbascie Seruatiche, e domestiche piscione. E fare buon tempone. Trandirà, trandira tra. Tor. Ma come v'anderai, forse per acqua? Mic. A caualle con mie pistole a cante, Con mie archibuse lunghe; E con mie palloline, Come pepe, per far taffite, tiffe. E con mie palle grosse, Per far boffiti, toffi. Con mie carniere, e con vn bel pan pianche. Tor. Infatti è l'esser pazzo Vn piacer', vn sollazzo. Il mal non si conosce, il ben diletta; E si gioca con tutti a la Ciuetta. Sià: vuò porlo in valice. Michelino vien quà. Dimmi il vero. Tu vai a cacciar gatte, Mic. Si tu mangi le gatte, Scelerate, barone; Và và sotto l'officie A comperar gli occhiali, E poi vendele ad altre, e di, che fatte L'hai con le tue Manascie. Che ti venghe le rabie baronascie. Tor. Oh via sù Michelino, Io hò burlato. Facciam pace, vien quà, dammi la mano. Mic. Gioue in Ciel di Venere, Marte, e Saturne casciateme in terre. Tu cascime tu nasascie di detre, Sù vie spesseme il cape, Spiascie, sciocatore, Prencipe di Marocche. Ti vuò fare impiccar per vn ginocchie. Tor. Fino ne' Pazzi hà la superbia il loco. Costui non hà ceruello, E pur s'adatta anch'esso A lo stil de la Corte, al Cortegiano, Ch'é di procurar sempre, ch'il compagno Sia mandato in bordello. Michelino, non più, ti sono amico. Mic. Son contente; sempre buon compagne Di Torde; vn buon fiasche di perdee Voglie, che biueme a l'hosterie. Tor. Costor son giti a caccia; E tu non sei più a tempo di cacciare: Mic. Torde andiame a cacciare al Grecaiole Nelle studione buone fecatelle; E 'l Prencipe Marocche suscellenze Vade con le sue drude nel pordelle Trandirà, trandirà, trà. Tor. Andiam, doue uoi tu, Ch'io non ne posso piú. Marmotta. Bertuccia. Mar. BErtuccia, io più non posso Soffrir le strauaganze del mio Meo. Suenturata Marmotta, e che son'io? Forse vn'Orsa nel bosco, Che cotanto mi fugge, e mi disprezza? Ah miseria douuta A Donna spenserata; Quanto meglio foria, ch'ad ogni figlia In vece di Marito il Padre desse Vn bichier di veleno; Ouer fra tante doglie Lecito fosse di pigliarne vn'altro. Ber. Oh quante non contente Sarebbone le Moglie, E di nou'esca ciberian le voglie. Se ben son di parere, Ch'anco senza licenza Si faccia a' tempi d'hoggi tal mistiere. Mar. Ah Meo, Meo più crudo D'vna serpe d'inuerno; e che t'hò fatto, Che cotanto mi fuggi, e mi disami? Che mi gioua, infelice. L'esser di te Consorte, S'io sempre da te lunge Traggo vita felice? Che mi val ne la Regia Fausta porre il mio piede, S'infausto è'l mio desio, E sempre senza te godo Meo mio? Ahi lassa, il duol m'vccide, e fra le pene Sento d'insania inuigorir le vene. Bert Prencipessa, che fate? eh state sù? Che tanto stralunar? che tanto affanno? S'egli non stà con voi, Voi non state con lui, e sia del pari, E che v'importa al fine? Doue non batte il Sol, non mancan brine. Lasciatelo sfogar, faccia, che vuole? Benche dilate errante Ne l'occidente alfin ritorna il Sole. Mar. Eh Bertuccia, egli è vero; Ma quello hauer mai sempre A calcetrar lenzola, Quello abbracciar guanciali, Adesso siam d'inuerno; E'male di dormir co' capezzali. Dunque sempre debb'io Dibatter forsennata Queste misere membra sù le piume? Non sò, come ch'il capo Infranta non mi sono in ogni lato. Bert. Eh se voi no'l battete In altra pietra, che sù i matarazzi, Poco mal vi farete. Mar. Eh Bertuccia, tu stai pur sù le burle. Non bastaua a la sorte D'hauermi tolto (ahi lassa) Il mio caro fratello, ch'i Corsali Sù le riue di Fessa mi rapirno; Ch'ancora del Consorte Volse farmi infelice. Bert. Che vi fù forse tolto da Corsali Vn fratello signora? Mar. Ah cosi l'hauess'io, che forse Meo Pensarebbe a stratiarmi? Bert. E doue? e quando? e come? Mar. L'istoria è troppo lunga; basta solo, Che da' Corsali in Mare, Mentre egli era Bambino, in sù la riua Di Fessa ne fu tolto ahi duro fato. Bert Oh gran caso? ne mai Noua di lui sapeste? Chi sà, che nel paese de le scimie Il pouero Bambin non erri ancora? Soglion questi Corsali Tal volta iui lasciarli; acciò, ch'esperti Diuentin più de gli altri in ogni cosa. Mar. Io non lo sò; sò ben, che più no'l vidi; E 'l mio pouero Padre, Per leuarsi di lui la rimembranza, Mi diede (oh pensier sciocco) Per vettouaglia al Prence di Marocco. Bert. Non fù mai trista cena Quella, ch'in apparenza Sà con il magro ancor mostrar la grascia. Egli, se non con voi Compie il gioir notturno, Il giorno vuol, che siate Di Marocco Signora, e Prencipessa. Vi fà vestir di seta; e a la cintura Il cingolo vi dà, qual soglion dare De la villa i più grandi a le lor Donne! Mar. Si; ma non sai, Bertuccia, quel ch'inteso Hò con le proprie orecchie a la fenestra. Bert. E che sentiste voi? Mar. Quel, ch'intesi? Il buon Prence Ancroia, quella già di Baldassarre, Per man di Filippetta hora hà per Druda: Bert Che ne sapete voi? oh questa è brutta? Ancroia, quella sozza, ben lisciata, Quel naso di Braccaccio a la francese, Che si tien Baldassarre a le sue spese. Oh veder lo vorrei, E poi lo crederei! Mar. Non cercar' altro: gli è quel, che ti dico: Bert. Ma come ciò v'è noto? dite vn poco? Mar. Gia che lo vuoi saper, stammi a vdire. Mi stauo poco dianzi a la fenestra Sopra pensiero, e mi tornaua in mente Ad vno, ad vno i torti del mio Meo. Quando sento di sotto bisbigliare. Miro, e mi tiro dentro; e vedo, e sento, Ch'è Meo con Ancroia; e Filippetta Stringe d'Amore il parentado indegno. Sento, ch'egli le dice Che la vuol per signora, e ch'a la caccia Vuol, ch'ella vada seco a sollazzare; E sai; quella Monnaccia Di quella Filippetta L'andaua tanto in sugo, e saltellaua, Che parea tra gli Augelli vna Ciuetta. In fine intesi, e vidi, e vidi, e intesi, Ch'egli Ancroia si gode a buona cera; Ed io co 'l flusso in man perdo primiera. Bert. Vi compatisco assai; ma che volete? Bisogna hauer pacienza, anco de l'altre Qual voi sono infelici, E forse ancor più belle, e più vezzose. Mar. Pacienzia? a fe, ch'assai Ho sopportato di Costui gl'inganni. Vuò tornarmene in Fessa; Ed iui in casa mia Trarmi vita più lieta, e più noiosa. Bert. Signora, è bella Fessa? Come vi sono di bei guarda Donne? Mar. Se Fessa è bella? oh che tu non lo sai? Ah, ch'altro è Fessa, che non è Marocco. Vi son Donne bizarre; ed hanno tutte Vn modo di trattar, ch'al forastiero Mostran di cortesie le voglie aperte. Lo riceuono in casa volentieri, E di quanto ne puon gli fanno parte. Bert. Come son belle strade, e bei palazzi? Mar. Le vie son quasi tutte a vna misura, Son dritte, polite, e senza mota; E non, come che quà, si porta rischio, Di dar ne la pozzangola a lo scuro. Son superbi i palazzi; e perch'il luogo Hà del'humido al quãto, hã gran puntelli. Questo lo fan, perche s'attengan sodi. E chi teme, ch'il suo voglia cadere S'approueccia del muro del Compagno. Bert. Oh vè cosa garbata? la mi piace: Le Donne son d'assai? son Casareccie? Mar. Come se son d'assai, o Casareccie? Bert. Voglio dir, se si sanno Rimescolar per casa ne' lor fatti? Mar. Oh quel, che tu domandi? Le Donne Fessatine Son per le case lor sempre vn mercato: Sono approueccie, e tengon tanto stretto; Che se lor dà ne l'vnghie vn capitale, Mio danno, se gli scappa. Se 'l Marito di loro in capo a l'anno Tirasse ben il conto; ei trouarebbe, Che più vna Donna hà lor portato in casa, Che mille Mercatanti al lor paese. Gli huomini se ne stanno, e lascian fare. Se la Donna rinoua vn bel vestito, Vna bella collana, vn bello anello, Non hà da darne conto al suo Marito. Bert. Vi s'vsa il far' l'amore, come quà? Mar. Tutto il Mondo è paese; E' ben vero, ch'in Fessa S'vsa di far l'Amore a la francese.1. Original has "franesce," likely a typographical error. Bert. E come a la francese? è foggia noua? Mar. Si fà l'amor con tutti a la scoperta. Ma sai; modestamente. Chiede l'amante core A la sua Dea, che gli apra De' pensieri d'Amor lo scattolino. Che le mostri il zucchetto de' desiri. E che lasci il suo foco Smorzar ne la di lei cortese fonte. E ciò, perche ne le lor case han tutte Vna fontana: intendimi Bertuccia. Bert. Voi non parlate a sordi; e come s'vsa Di regolare in Fessa le lor Dame? Mar. In Fessa il regalare è moto propio. E qual Città tu troui, Che de la nostra sia più regalata? E' Città ricca, e poi Ogniun vi fà l'offerta del suo hauere. Ma sai, qual è quel don, ch'è più prezzato? Bert. E che? l'argento, e l'oro? Mar. Ohibò; non nò; le femine di Fessa Di ciò non son bramose. Che credi, ch'a le Donne Piaccia l'argento, e l'oro? tu t'inganni. Bert. Intesi sempre dir, che de le Donne Questa è la calamita, che fà presa. Mar. Questo succede in quelle, Che di pane, e di vino Han scarso il Magazino. Ma s'auuien, che ricchezza Posieda amante core, Per altro, che pecunia, arde d'amore. Non dassi a prezzo d'oro Beltade, ch'in amor proua martoro. Bert. Che si regala dunque? in che si dà? Mar. Quando vuole vn'Amante Gustare la sua Diua Gli manda vn'hortolano con la piua. Bert. Son grassi, come i nostri gli hortolani? Mar. Eh tu sei pazza, o fingi. Non dico vn'hortolano da mangiare. Bert. E che hortolani dunque, e perche fare? Mar. Perche tal'hor zappando La tratenga sonando, Non sai, che la mia Patria è tutta ortaglia; Ne a cosa più s'attende, Ch'ad empir fossi, e coltiuar terreni: Insomma del mio Regno Son coltiuate meglio le pianure, Che di questi Paesi le Colline. Bert. Puol'esser circa a l'acque, e l'Ortolani, Ma non alla pastura del terreno. Mar. Che pastura di tù? cosa cingotti? Bert. In Marocco vi son gran cerca stabbio, E però i suoi terreni Ingrassati gli stimo più de gli altri. Mar. Fiò, Fiò; noi non vsiamo Simil coltiuatura, Poiche il nostro terreno Non hà, come ch'il vostro, dell'asciutto, E senza stabbi ne produce il frutto. Bert. Come s'vsa il vestire? Che ne' nostri Paesi Hormai non sò, qual sia la vera vsanza. Mar. Di questo son cagione i Genouesi, Che sempre trouan qualche strauaganza. Hai visto, come dietro la Zimarra Hanno ridotta stretta queste Donne? La par la coda del mio Somarello. E quel basto da Mulo, Ch'elle portano in cinto, Sotto le falde, per mostrar ne' fianchi Vn seder rileuato da fachino. Ed io aspetto, ch'vn giorno Si vestan d'Arlecchino. Bert. Ancora non m'hauete Detto di lor l'vsanza del vestire. Mar. Si porta falda tesa, giubbon lungo, Veste sfibiata, e 'n vece de la coda, Che dietro già s'vsaua quattro braccia, La portano dinanzi quattro dita; Questa serue per punta del Giobone. Bert. A fè non mi dispiace; Ella è più propria, ed è di minor briga. Come v'è de l'erbagio, e lattecimi? Mar. De l'erbagio ve n'vsa, ma non molto; E tra l'altre del cauolo le Donne Non ne voglion sentir nè men parlare. S'vsa mangiar di molta mescolanza, De le radiche d'herba d'ogni sorte; Del resto vuon del buono a crepapancia. Bert. E de' casci, e ricotte come fanno? Mar. Che mi domandi tu? s'vsa altro in Fessa Che mugner Capre e liquefar butiri. Le fan tanto formagio le Pastore Che per le case loro Si potrebbe notar ne' latticimi. Ecco Masino, Taci. Masino. Tordo, e li Medesimi. Mar. MAsino, che si fà? doue n'andate? Mas. Da vostra signoria eccellentissima. Mar Da la mia miseria miserissima. Mas. E perche ciò signora? Mar. Perchè? Tordo vien quà; statemi a vdire. Tor. Eccomi Eccellentissima Marmotta. Mar. E pur l` i con i titoli. Io vi dico, Ch'infelice è il mio nome; ed io son quella Degna sol di miseria, e non di gradi. Tor. E che sarà signora? e perche questo? Mar. Dunque voi non sapete Le mie suenture ancora? Mas. Non Prencipessa al certo, e che sara? Mar. Principessa di pianti, e di sospiri. Ancroia è in loco mio la Prencipessa; Ed io sono Marmotta, Mal nata erede del Regno di Fessa. E non v'è noto ancora, Ch'il Prencipe a mio scorno Dopo cotanti affanni E' d'Ancroia seguace? Non sapete, che Meo Non satio de' miei mali Fatto è d'Ancroia Amante? Non sapete, che l'empio Non affatto contento D'hauermi mille volte E per il vino, e pe i Buffon sprezzato, D'Ancroia è innamorato? Non v'è noto, ch'il cane Vago di noua sposa Vedouo hà fatto il suo ghiacciato letto? Non vi è fatto palese, Ch'egli trà Veltri, e fere, e reti, e cani Hoggi con la sua Ancroia Appaga i sensi insani? Ah non più fia di Fessa il Regio sangue Così da Meo schernito? Ritornerò al mio Regno; Andronne a la mia sede; Ed in Fessa io mi sia Io Principessa de la Patria mia. Mas. Deh per Dio raffrenate Così aspro martoro. Chi sà; potreste ancora Ingannarui, signora? Mar. Ingannarmi? ingannarmi? Ah ch'io fui, quella, Ch'intesi, e vidi (ahi lassa) Le mie suenture, e l'ignoranze altrui? Io, io, Masino intesi Di caccia il suon de' corni; Io fui presente a li miei poroprij scorni. Tor. Principessa, non più quietate il duolo. Non si pensi al partire. Straportano tal'hor gli sdegni, e l'ire. Non dee lasciarsi vn Regno Per vn freddo pensier di Gelosia. Troppo, troppo a gran prezzo La libertà da voi si venderebbe. Voi sete di Marocco Prencipessa, e signora. Sete di Meo Consorte; Nè puote Ancroia torui il vostro grado. E' Meo troppo gran Prence; Non douete sprezzare Si degna compagnia per vile sdegno. Il ritornare in Fessa, io non lo lodo. Che di voi si direbbe? State, state in Marocco, o Prencipessa, Che quì godrete, Meo, Marocco, e Fessa. Mar. Sia, che sia: vuò partire; E' meglio esser signora d'vna villa; Che d'vna gran Città vana sibilla. Mas. Deh pensatela bene. Marocco è vn bel paese; Il Prence di Marocco è vn gran signore. Hà di gran grossi hauer, voi lo sapete. Credete a me, ch'in Fessa senza Meo Parreste esser' a punto Scopa senza bastone, Fortezza senza botta di cannone. Bert. Oh che ti venga il morbo: oh guarda gente, Da consigliar gli stati? Ogni cosa al rouescio egli hà proferto. Mar. Andar me n' voglio, se ben mi credesse D'esser lunge da Meo Pollo senza gouerno, E state senza inuerno. Tor. Ed io vi dico, che, se vi partite, Sarete (il dice Tordo) Piede senza pianella. Zoppo senza stampella. Bert. E Capo senza Ceruella. Oh che voi sete pure Duo Consiglier di stato di gran conto? Oh vè, se voi gli date i buon ricordi? Ed io vi dico, che la mia Padrona Sarà, lunge da Meo, Gonna d'ogni frittella, E d'ogni piè pianella; E s'in Marocco stenta, In Fessa al fin sarà poco contenta. Tor. E tutti dissero: oh bene, oh bene, oh bene. Hor sù; quieta Marmotta; Io l'hò trouata. Io vi prometto insieme con Masino Di trouar Baldassarre; e far, ch'ei meni Ancroia, e Filippetta in altra parte. Mas. E' vero a fé; la ci riesce giusta. Mar. Guardate quel, che dite, non burlate? Tor. Non burliamo a la fè; volete voi? Mar. Come s'io voglio? se tal cosa fate Io vi prometto a fè da Principessa Farui venir dui barettin da Fessa. Mas. Vi ringratiamo; senza nulla è fatto. Mar. In Baldassarre pongo ogni mia fede. Tor. Andianne, e state pur di buona voglia; Che per le nostre man risanarete La non sentita, inaspettata doglia. Mar. Per vita vostra fate, ch'io ne senta Qualche nouella in breue a modo mio. Bertuccia, oh quanto il duolo Per Costor m'è scemato. Chi sà; forse, ch'Amore Per tal via mi vorrà render men lieta. Bert Signora, habbiate speme, Che suol tal'hor Cupido Fabbricar con gli affanni in noi le pene. Mar. Spero, credo, e desio, E già parmi vedere Ancroia in Fessa, ed in Marocco Meo. Bert. Si suol dire; anzi è certo; Che Moglie disperata, Quando meno lo crede, E' dal Marito amata. E' Meo di buona pasta, Potrebbe ritornarli il sentimento, E questi suoi diletti Dare a le forche per tratenimento. Mar. Oh ecco quella bestia Del Tedeschin, Bertuccia. Tedeschino, e le Medesime. E Qual Saturno a me prepara gioie? Ecco la Prencipessa. In sù la vita, o Tedeschino, in Tono. Il Figlio de la Moglie di Vulcano, Il Dio senz' occhi, e con la schiena alata, L' inuentor de le gioie, Il Nume de' piaceri, Lo scherno de' desiri, In fine il Fabro de la carne humana A voi, bella Marmotta, Percota nel bel seno, Qual' a me diè, la botta. Ber. Oh, oh; ecco il pauone senza coda. Mar. Che si fà, Tedeschino? che ci è di nouo? Ted. Fò sempre senza fare, e sempre vecchia E' la noua, ch'io amo, e sono Amante. Mar. Il Tedeschino Amante? oh l'è douitia. E chi è la Dama di cotanta sorte? Ted. La Dama? oh Terra, o stelle, Amore, aiuto. Voi ben la conoscete, e sempre seco Dimorate signora? ch'ardirei, Quasi di dir, che voi fossiuo quella. Ah Marmotta, Marmotta, ahime pietà. Voi sete, quella, voi, Ch'il fraschettin d'Amore M'hà qual canna nel pozzo Posto trauerso il petto; Voi sete sì, voi sete Quella, per cui Cupido Non con dardo, quadrella, arco, o spontone M'hà sbusciato il polmone. Ma del vostro vscio hà preso Il più grosso stangone, E con ambe le mani Tra capo, e collo (ahi lasso) M'hà fatto altro, ch'inceso. Per voi, per vostri lumi, Ch'a me le stelle son di mezza notte, Prouo interrotte notte; E son questi occhi miei Duo disseccati fiumi. Per voi l'anima mia Sempre dormendo sogna; La mente fà lunari, Il pensier nulla pensa, Il desir nulla brama; Sono stanche le voglie; E sempre in otio prouo Per tua beltà non conosciute doglie. Per le tue labra, in cui Hauui Amor sparso a gara De le viole mammole il candore, Son quasi ne la bara; Per quei d'ebano fino Denti, che di mia Morte Portan pietosi il bruno, Tra le piume disteso Non dormo notte l'hore; E son fatto per te Mumia d'Amore. Mar. Hor sù; non ti turbar, ch'ancor potresti In Amor non languire. Ma dimmi qual tu sei, e qual viuesti? Ted. Io mentre ero piccino Vestito da Tedesco; Fui messo entro vn Pasticcio; Ma poi; che co 'l coltello Fù quella pasta aperta, Con improuiso scherzo Feci fuor capolino. Tutte a l'apparir mio Risero le brigate; Ed acclamaro. Viua il Tedeschino. Ond' hò poi sempre vsato, Oue si faccion pasti, Correr, qual bracco, al fiuto. Scroccare a la gagliarda, Ed appoggiar per tutto l'alabarda. Ne la Corte di Roma Sempre per vtil mio Hò cangiato mantello; E rinegando l'esser' Italiano, Hor Spagnolo, hor Francese, Secondo, che veniuano i dobloni, O pur vestiti vecchi, Mutato hò setta, e variato arnese. E per viuere hò fatto A suono di fischiate Lo scopa corte, e 'l frusta caualcate. Mar. Ma vorrei pur sapere, Qual poteuan cauar gusto coloro Di vederti scherzare, e far l'astuto? Vien quì; facciamo vn poco a dir' il vero. Che cosa è quella, che si faccia in Corte, Che tu bene lo facci, e come và? Se tu vuoi far de lo Statista, sciocco, Tu non sai, che ti dici; e sei vna bestia Se ti picchi di bel Trattenitore, Certo de' forastieri in vece sua Sarai discacciatore. Se vuoi far' il buffon, non lo sai fare? A tal sorte di gente Conuien saper cantare, Sonare, motteggiare, Hauer frasi galante, Botte ridicolose, Bei motti all'improuiso, Saper tacere a tempo, Non parlar fuor di tempo. In fin vuole il Buffone Hauer materia, scherzo, e discrezione, Tu di ciò non sai nulla; In che si deue Seruir' vn Prence de la tua persona? Se tu parli, Straparli? Se tu ridi, Disfidi? Se tu scherzi, Disprezzi? Se motteggi, Guerregi? In fin tu non sai formar parola, Che non chiami il ti menti per la gola? Il Buffone non vuole esser mordace, Vuol saper tra lo scherzo Frappor qualche bottetta, Ch'a tempo ella sia detta; Che lecchi, ma non morda, Che punga, e non offenda. Che tocchi, e non ferisca. Ma tu sei, come il Gatto, o graffi, o mordi, E non sai far, nè dire, Se non dir sempre mal di qualcheduno. In somma tu non sei morto, nè viuo Il caso per la Corte; E se non hai altra virtù, che questa; Vatti a far' appiccar, razza di Bestia. Bert. Turù tu tu tu. Da tal paese non ne venga più. Tedeschino solo. Ted AH cruda più d'vn serpe, Fera più d'vn Leone, Mordace più d'vn Cane, Ria più d'vna Pantera, Più rozza d'vna porca, Maligna più d'vn Bue, Rabiata più d'vn'Orsa, Perfida più di Tigre, E rigida più d'Orca, Di Scorpione, di Drago, e di Chelidro. Così, così mi scherni? Così, cosi te n' vai? Così, così il Tedeschin s'offende? Oh Donna auaro Mostro, Mostro d'ogni malitia, Malitia d'ogni inganno, Inganno d'ogni petto, Petto nido di strage, Strage d'ogni ruina, Ruina d'ogni casa, Casa de l'altrui pena, Pena d'ogni alma amante, Amante di rapina, Rapina d'ogni bene, Bene del Rè de l'ombre, Ombra di ria bellezza, Pianto, scherno, furor, rabia, e tristezza. E chi di me potrà farti maggiore? Chi dar più ti potrà del Tedeschino? Chi fia Marmotta ingrata, Che sotto aurati auspici Possa senza rapina De la vena de l'or farti Regina? Io, io sol'era quello, Ch'a suono di Martello Potea con verghe d'oro Far Bertuccia d'argento, e te far d'oro? Sì, sì; Io co 'l soffiare Ti poteuo indorare; E far potea per sempre Nume spennato di dorate tempre. Che forse qual'io sono Trouerai vago Amante? Forse, qual me, vedrai Altri senza artificio hauer vaghezza? Nel mio corpo risplende Lindo il piè, vago il lume, e snello il seno. I Principi con meco Se la beccano male. Ch'io certe regoluzze Hò del gouerno, che non hanno eguale. Quando hauer ne gli stati La pace non potiam, s'habbia la guerra. E se v'è carestia, Comprar cara la roba: Lasciar passar le furie, quando vengono: Per non sentir gridar, dar poca vdienza. Perch'altri non ti chieda delle gratie, Spesso mancar con tutti di parola. Con chi tu non la puoi, A suo modo accordarsi, e non al tuo. Per hauer men fastidij Il non tenere mai conto di nulla; E perch'altri non faccia Più mal ne' regni tui, Non tosar nò, ma scorticare altrui. E per far buon tempone, I Regni dissipare, e le Corone. Sol co' consigli miei Far grandi in questo stato La Principessa, e 'l Principe saprei. Ch'al par del mio sapere ogni altro è sciocco. Nè titolo potrei Hauer per me più degno, Ch'esser Gouernatore di Marocco. E pur con queste regole, Di gran Politicone, In Napoli mi fero Scriuano di Galea Con vna penna di cinquanta palmi. E con vn graue cambio, Ch'à tutti mal riesce, Mentre il fiero Agozino Me bastonaua, io bastonauo il pesce. Ed anco i merti miei Hà conosciuto Roma; Se ben s'è contentata (Per pietà forse del mio basso stato) Sol da le mura sue darmi l'esiglio. Che la pentola ancor, mentre' alza il bollo, Ancor'ella costuma Fuori de l'orlo suo mandar la schiuma. Oh ecco Baldassarre il Cicalone. Baldassarre. Tedeschino, Bal. DON Baldassarre brauura del Mundo? Mi qualitad primiera es espagnolo, Puor todas las prouincias conossido, Cauaglier del piaser, Escamberada des Prences; Amigho y conseghiero de lo Reis Entartenimiento de su gustos, Vtilitades d'eglios, Para sù recreacion; Y passatiempo de mi persona, Y cosa nechegharia puor la Cuerte. Medigho, Astrologho, Herbolario, Especial, Compodista, Negromantico, Cherusigho valiente, ij Mademtigho, Philosopho, Teologho, Buffone, Ombre de Reis des Conuerciaciones; Y todas qualitades de las sciencias, Mapamundo real todas dottrinas, Poeda, Musigho, y enprouisador, Y scherzoso facetico, y Dottor. Ted. Moresco Ciurmatore. Buon giorno al gran Dottor de la brauura; Che và facendo così scompagnato? Bal. Vostaiste benuenido puor' aglià. Che tien, che hazer voiste de mis cosas? Ted. Hor, che la vostra Ancroia E' del Prencipe Meo La pezzola del naso, Lo scattolin del Muschio, La Trappola de' Topi, De la sua acqua il vaso Non ti sì può toccar la punta al naso. Bal. Los diauolo, che te lieue, Mentiroso, Io non soi nada d'eglia; mi Persona Non viene a festegarla. Io non son Tedeschiglio, Che soura todos mercantiera cuerna. Infame Piccarone, E 'n ventiquattro lettras De l'Alfabedo eis vituperado. Ma scuccia. A. Asino, Begliacco, Cauezza, Desuergonzado, Eretico, Farfaron, Y todo lo, che dize la lettera. Gangosso, Louo, Marioldo, Mierda, Mangia, Nada, Papagaglio, Tu te chieres comparare con migho Piccaro, begliacco, desuergonzado, Che te dò quattros puntas des piè, T'harò polue, puor hazer vna lettras? Tu nassido in Italia T'hai faltado il nombre de la tierra, Hazendoti gliamar il Tedeschiglio? Comunitad ziuil, Baghezza de la Tierra, Infamia de los Mundo, Brauura de las pas, Poltroneria de la Ghierra? Ted. Adagio Ciormatore de la Corte, Vantator de l'orina, Becchin de gli ammalati, Vituperio de l'arte Medicina. Bald. Io: dize a mi? oh Puerco, Infame, locco, Io, ch'en tanta brauura Puerto mi medisina, Mi gliami Buffonaccio? Vantator de l'orina? Lo, che toma la mia Poluere, Ia, ia deuienta poluere. Lo, che toma el Lattuario, De' viuienti non es nel calendario. A sì mi medisina, Il vegho matta, e 'l ghouane deglhina. Ted. Non mai tanto dicesti; e così sano Parlasti, Baldassarre? fà a mio modo, Fuggi l'infermo, e scherza con il sano. Bal. Caglia desuergonzado, Cauronasso? Scuccia lo, che ti dize Baldassarre. Io puor todos los mundo Soi Miedigho valiente conossido, Muccio mas de ti estimados; Y puor mio merecimento Il Cuente di Condè ià mi dio Vnas cadena d'oro. Da la Reghina Madres Reghebbei sientos dobles de cadena, Dal Rei vn vestimiento Des dumila dughados. Y Cadena dal Duque di Nauarres, El Duque Bocchincan vna cogliana. Spignola vna Cadena. Mantua vna Cadena. D'Osson vna Cadena, Conches vna Cadena. Sù igho vn Cauaglio. Filiberto vna Cadena: Il Rei vna Cadena, Da la Reghina d'espagna otra Cadena. Ted. E nessun ti seppe incatenare Con vna corda da farti appiccare. Bal. Caglia Begliacco, che ti chiero dalde, Se non te chitti, sientos palos? Caglia? Ted. Oh razza di gentaglia, senza fede, Moresco, Infame, vantator di niente, Mangia entragne di sabato, e di venere, Rinegato, imbriaco, inpertinente. Chi mi tien, che non ti storci il collo; E ti facci calar cotanta gala, Nemico de la carne, che si sala? Dottor senza dottrina, Medico senza scienzia, Buffon senza politica, Ciarlon senza materia, Ebreo razza di mulo, Con quello, che ci và per condicillo. Bal. Oh Piccaro, begliacco, Piccherone, Cara de Verdugho, y ad orcado, Tiengo vergonza di ablar con tigho. Ted. Oh spagnol rinegato, A me dici appicato? Bal. Oh mui vituperio De chi abla con tigho, Piccardiglio. là, ià me chiero mattarmi con tigo. Ted. Ogni volta, che vuoi; sù metti mano. Io ti vuò far in pezzi adesso, adesso. Spada fuora, o Poltrone; Tu t'arrendi Marrano? Bald. Oh passicco, passicco Tedeschiglia, Assienta en la vaina la scuciglia. Me pesa de mattar de la Politica Il maghior Asino, ch'haia nel Mundo. Ted. Caccia mano forfante? hai tu paura? Io non temo boccaccie, caccia, mano, Ch'io nõ voglio ammazzarti con vãtaggio? Ah tu non vuoi poltrone? cacciar mano? Che? tu ti arrendi? vittoria, vitoria? Voglio ch'in questo loco Si metta la mia statua, E le tue spoglie appese per memoria, Vittoria, vittoria. Tedesch. Baldass Michelino Mantuano. Mic. FErmare, olà cacciateui giù in terre. Baldassarre son quì; non sciè paure. Oh vè che gran rumore, e che gran guerre, Tornare in dietre per le più secure. Fermate olà; fermate bricconascie? Non fasciete custione, Che queste son le strade de le Rescie. Trandira, trandira trà. Man. Padrone, o là, spartiamo, che rumore E' tra di voi? fermare Baldassarre? Tedeschine non far, fermare vn poche? Bald. Oh Piccaro, ladron, Igho di nada, Toma esto Cauron; toma esto otro. Tomas esto otro, Marmitto di Cusina; Mires, se io son Dottor di medisina. Ted. Ferma vn pò Baldassarre; stãme a vdire. Lascia, ch'io mi rileghi quel, c'hò sciolto, E già, che ci è chi sparte, Lasciamoci spartire. Bald. Oh dislegado Puerco, suergonzado. Mena le man, ghitton, Puerco, e mattado, Tò, toma esta, toma esta otra. Ted. E tu pigliati questa? oh maledette Sian le rotture, e chi porta tai lacci. Mic, Mantuane, soccorri; olà fermare? Non più tante custione bricconascie; Non vedete, che voi sete ammassate; E hauete tutte rotte le mostascie? Pascie, pascie; non più tante rumore, Che scià, che sete braue ognun lo sà. Tarantan tarantan, tarantan, ta ta. Man. Padrone, padrone, se non vuon spartirse, Noi leuiame le spade a lune, e l'altre, A ciò, che non si fore ne il ventrone; E se non von finirla, Finianla noi a suone di bastone. Mic, Fermateui, fermate: Pascie, pascie. Man. Fermar fermar; non più? dalle Padrone. Mic. Ghiottonascie barone, pascie, pascie. Ted. Ohime le mie spalle. Scappa, scappa. M'han rotto tuttaquanta la casacca. Bal. Ohi es laspiernas, la Cauezza, yel brazos. Mic. Dascie, Mantuane, dascie, olà. Tarantan, tarantan, tarantan, ta, ta.

Fine del Primo Atto.

Baldassarre. Catorchia. Bal. DIsdicciado de mi? che vi parez? Baldassar' e 'l Dottor maghior del Mundo, Haes da vn Piccaron esser mattado? Ghuro Marte cauron co 'l Nigno Infante. De Mattar Tedeschiglio. Cat. Piano, pian Baldassarre, e che v'hà fatto. Il Tedeschino, Bestia irrationale. Ingiuriar' vn Dottor non puol' vn Matto. Bal. Benuenido Catorchio; la Cauezza Tiengo alterada puor il Tedeschiglio, Gli chiero hazer dar da vn mi Laccaio Doisientos palos il die; Paraque mui me pesa Puor hauer' anco io mismo recebido Mas de doisientos palos. Ch'es maghior l'affruente de mi, Che 'l dagno d'eglio. Cat. E non è nulla; non saran le prime, Nè l'vltime, c'habbiate riceuute; Trattiam di cose allegre, e sia più gusto. Come vi tratta Amore in questi freddi? Bal. Como es l'ordinar de los espagnolo; Siempre trattado bien dal Nigno Elado, Cat. Hor, che la vostra Ancroia E' lontana da voi, come la fate? Bal. Ausente estoi animoso, Muccio temo in presenzia, Entro varios pensamientos Muccio malinconoso. Cat. Son più varij gli affetti ne l'amore, Che la puzza, e l'odore. Bal. Varios es gli effetti Como vario, es el fuegho en todos peccios. E voiste como passa Con la sennora dogna Filippetta? Che 'l verdadiero Amore de l'amantes Es la comunicacion D'vn verdadiero Amigho. Cat. E' de l'Amor lo stato vna gran Torre, Oue chi sale, scende; E chi và pian più corre. Io sono nella via quasi di mezzo; La Filippetta m'ama; O se non m'ama almen dice d'amarmi, Bal. Mi digha puor sù vida, Sennor Catorchio, como la tratta? Cat. Sempre, ch'ella mi vede, con le mani Mi piglia il ferraiolo; e vuol, che dentro La sua porta il mio piè cacci per forza. Bal. Bueno por vida mia? dicami il resto? Cat. Mi piglia sotto il mento, Mi mira; e poi me dice. Il mio bel Cornacchione, Sconciatura d'Orlando, Viso scudo d'Alcide, Occhi de la mia gatta, Fronte de la mia Monna, Naso del mio Bracchetto, Scatolino al rouescio del Zibetto. Bal. Y a mi dize l'Ancroia. Viso de la mia fuente, Occhos del mio seder, Rostro de la mi buecca, Frente de la mi flocca. Me digha puor su vida, donde piensa Voiste veder sù Dama? Io me creo, che con la sennora Ancroia Eglia sarà puor sierto a la ventana. Cat. Andianne, se vi pare, a ritrouarle. Bal. Bamus puor aglià, Vosignoria. Marmotta sùla fenestra. Mar. DEh quanto stà Masino? Quanto ritarda Tordo? L'vno è inesperto, e l'altro fà il balordo? Oh pouera Marmotta, è pur' è vero? Che Meo mio bel Cupido, Meo mio candido foco, Meo mia luce notturna, Meo mio Sole in Aquario, M'hà cancellata dal suo calendario? E chi potrà già mai darti maggiori I godimenti, che ti diede Fessa, In farti di Marmotta Aio, e Signore? Fessa, ch'a tè in tributo Diede le mie bellezze? Fessa, ch'a tè già porse De le gioie d'Amore ogni ricetto? Fessa, che ti fé Prence Di Marmotta sua erede, Dourá vedere Ancroia Di me fatta Agozzino, e di te Boia? Ah cieco più d'vn orbo, Orbo più d'vn senz'occhi, Rospo tra li Ranocchi. Possa ridurti Amore Fame senza cibo, Gelo senza foco, Sete senza vino, Ne gli affanni d'Amor sempre Zerbino. Tedeschino. Marmotta. Ted. CHe le caschin le braccia: oh vè pensiere? Per leuarci dagl'vrti, e da' sgrugnoni, N'hanno spartiti a suono di bastoni. Ma vè; ecco Marmotta sù i balconi? Oh mio Sol di Gennaio, Mia Luna, quando pioue, Mia porta senza Cardini, O Cigli archi Africani, Belle carni da cani. Mio Fecado, Polmone, oh Milza mia, Foss'io del suo balcon la Gelosia. Io la vuò salutar con verso sdrucciolo. Vago allieuo di Venere, Oue le brine accendere Suol lo Dio de la cenere; E i cori a l'amo prendere. A me volgete il lampolo Belle faci Lucifere; Da voi non trouo scampolo, Nè frasi, o contracifere. Ombra risplendidissima, Luna d'oscure Nottole, Alfana mia bellissima, Più bianca de le grottole. A te ne vengo debile, Irrobustito, e flebile, E pria, che venga poluere, Vuò il sì, o 'l nò risoluere? Mar. Benuenga il Tedeschino; a punto, a punto Tu giungi a tempo, come suole il Porco Venir di Carneuale co 'l pan'vnto. Vien quà; fatti più sotto. Vuoi tù farmi, Tedeschino, vn piacer per vita tua? Hò in capo molti grilli; ed il ceruello Mi và girando più d'vn'arcolaio; Onde vorrei da te qualche bel gioco, Per trauiarmi vn poco. Ted. Eccomi pronto a ciò, che mi comandi. Farò, dirò, darò quanto domandi. Mar. O' via alle mani? Ted. Che volete, ch'io faccia? eccomi pronto. Mar. Quattro botte di ballo, vna Ciaccona, Caualcare vna canna a la disdossa, Far quattro capitomboli in persona. Ted. Voi mi pigliate in cambio; non son'io Vn Boffonaccio da tutti mistieri. Son buon trattenitore, homo scaltrito; Nè in Corte i pari miei sono vn pan perso. Ah Marmotta, Marmotta, voi scherzate; E mi vorreste con tai giochi fare Diuentare il cucù de le Minchiate. Io non fò capitomboli, nè salto, Il caual sù la canna, o ballo, o scherzo; Son Politico accorto, e de gli stati Sò mescolar le carte quanto ogni altro, Oh vè, che fantasia? guarda pensiero? Bench'io faccia il Buffone, Ne la mia villa nacqui Caualiero. Mar. Hor sù; l'hò intesa; Và, e fà, che ti pare; Nè più ti venga humore Di far meco il garbato; e 'l bello humore. Non mi venir più auante; Ch'il negar gratie, è proprio da furfante. Ted. Oh Amor, Ceruel di bestia, Pur, pur mi farai fare Coruette, Capitomboli, e ballare; Ma sia, che vuole; io voglio Compiacere il mio ventre. Sodisfar la mia vista, Obedir' il mio Mastro; E, se non basta i salti sù la canna, Vuò saltare vn balcone, Mache dico vn balcone? anzi vna Forca, Pure, ch'io cada ne la sua capanna. Bocca, porta d'Amore, Labra, poggi di Venere, Occhi, stelle del Suolo, Fronte, piazza di Marte, Cigli, Archi moreschi, Mento, meschol di Febo Gola, Corno d'Astolfo, Petto, scala di Gioue, Poppe, Zucche Toscane, Ventre, orcio di miele, Coscie traui di volta, Gambe d'Ercol colonne, Piedi, base di Torre, Ou'il mio capo vorrei poter porre. Ecco, ch'io per te formo in vago giroQui il Tedeschino balla. La dislegata vita, e à te ballando Me ne vengo saltando. Mar. Oh bene, oh bene; così. Oh così, Tedeschino, in capriole. Eccoti vn Chitarrino; Accompagna co 'l ballo Quattro colpi di canto, Tedeschino. Ted. Si balli,note>qui cãta. Si salti, Si faccia per terra Co 'l capo a' mattoni perpetua la guerra, Saltello, E snello Coruetto, Passeggio, Qual sotto il Cozzone Somaro a maneggio. Mar. Horsù, via quattro salti sù la canna. A cauallo, a cauallo, Tedeschino; Ecco a punto vn caual pel tuo bisogno. Ted.a cauallo sù la cãna. Ap, Ap, Ap, ghà, ghà, ghà, ghà; Oh garbato Cauallo; o bella groppa. Ei pare vna rombata di Galea. Ghà, ghà, ghà; non mi far più il bizzarro; Nõ hai sopra qualche Ocha, a Pappagallo. V'hai, chi caualcar seppe Prima, che tu tra noi fossi cauallo: Come ben sù le volte Gli dò le girauolte. Come bene a la mano Lo fo voltar sù l'vna, e l'altra mano. E come lo speron fracapo, e collo Gli fà tagliar per terra il caracollo. Questa è botta Maestra.Qui dà vna speronata al cauallo. Ma vè: come la bestia vi s'addestra? Oh garbato animale? Voleria sù le volte s'hauesse ale. Quattro curuette sù, Brunel d'Argante. Mar. Ah così, Tedeschino, oh buono, oh buono. Ted. Ghà, ghà, ghà, Ap, ap, ap, ap, Oh come ben la trita Oh vè, ch'a l'aria Ei si riuolta; e par, che fin le stelle Calcitrar voglia co' Castelli in aria.Tira calci. Ted. Oh Maladetto tempo:qui casca. io son caduto. Ma con quatro sferzate Ti vuò, bestia, imparare A farmi dar si fatte crepacciate. Tò bestia maladetta, Che ti pensaui, che foss'io Ciuetta? Mar. Tedeschin, manco furia; ei non sapea, Che tu al suolo volessi mouer guerra; Il pouero Animale si credea, Che l'hauessi co 'l Ciel, non con la Terra. Hor sú, per minor briga, Fà quattro capitomboli garbati. Ch'io haurò più gusto, e tu minor fatiga. Ted. Oh bellezze cornute? Il Tedeschin' il sauio, Lo Statisia de' Prenci, Il Politico altier di tutto il Mondo. L'inuentor de l'Archimia, Il fondator de l'oro, il soffiatore, Del fornello alchemisticho Per amor si riduce Mirabilmente snello A far' i capitomboli, a ballare; E sù la canna fare il saltarello: Oh di Fessa, di Fessa Regia Prole nudrita, Quanto puon far tuoi occhi, Quanto può la tua bocca. Quanto vale il tuo naso, Quanto, quanto bram'io Diuentar farfallone, Per ragirarmi al lume De' tuoi occhi lucenti, Ch'a me di notte sono, (oh mio contento) Le fiaccole d'Amore. Mie belle torcie a vento. Mar. E perche farne poi? Benche di Fessa io sia, D'altro, che farfalloni hò fantasia. Ted. Ah mia verdea frizzante, Ancor non hai prouato Quel, ch'io prouo per te d'amor piagato. Ancor non sai Marmotta, Quai siano i vezzi cari Del Tedeschino Amante. Vuoi tu, ch'io te l'impari? Mar. E di che sorte sono? Io crederei, Che tu nè men valessi A vezzeggiar le Monne. Tu pai vn scaccia Donne; Io nõ t'hò fede; E s'hò da dirte il vero, T'hò per Cillenio, e non per Ganimede. Ted. Più tosto potei dire, Ch'io ti paia vno Adone. Io hò più tosto cera Del Drudo di Ciprigna, Che d'esser di Vulcan volta stidione. Mar. Al fare i capitomboli, che poi Discorrerem di quel, che tu m'hai cera. Ted. Eccone vno, oh garbato. Eccone vn'altro, hor vedi, S'io sò leuarmi in aria senza i piedi. Oh bella forza; a fe, che, se s'vsasse Di fare i capitomboli in la corte, Io v'haurei più d'ogni altro bella sorte. Mar. Tedeschin, Tedeschin, vè che ti cade? L'è vna cigna, vna fune, o che cos'è E'vna cigna a la fè. Oh che ti venga d'ogni cosa sette Almen, se rotto sei, Porta l'allacciature vn pò più strette. Ted. Che rotture, che lacci? Amor l'altrier per gioco Mi prestò la sua benda, Mi disse, ch'io d'intorno A la regione de' rognioni in cura Quella stretta legassi, C'haurei d'amor sentito Meno ardente l'arsura. Amor mi diè quel laccio; A ciò, che stretto il ventre, Mirando tue facelle, Vacuar non mi fesse le budelle: Amor mi diè quel ferro; Acciò, de i dardi tuoi Fosse coperta al core; E, qual'egli è bendato, Allacciato foss'io nouello Amore. Onde Cigna non è, ma ben' è benda; Oue fia, che Marmotta Dal Tedeschin si prenda. Mar. Son sodisfatta a pieno De le tue ritrouate; hor vedi, s'altro Sai far, per trauuiarmi vn pò l'humore. Ted. Oh mio verno d'estate, Primauera d'inuerno, Mia rosa d'ogni mese, Mia stella fuor del Cielo, Mio Sole di Campagna, Trappola del mio core, e di me ragna. Dimmi, dimmi burlando; Ch'io del tuo Amor' altero Nè andrò, mio lume oscuro? Dimmi, dimmi sdegnata, Ch'io sarò il tuo Cupido, Tu del mio core il nido; Che già di me inuaghita Hai per mano d'Amore Vna larga ferita. Io ardo, o Prencipessa, E sol brama il mio seno In Marocco goder Marocco, e Fessa: Io ardo, o mio tesoro, E sol brama mia voglia, Che tu sij la mia terra di lauoro: In fine nel tuo mare Vorrei poter voghare; E tra le sponde, onde il mio cor s'aggela, Esser' io timonier, vogante, e vela. Mar. Oh bel modo di dire? Certo, ch'io non t'hauea Per si brauo Ciarlone: Ma dimmi, e che vuoi fare? Io non son Mare, e tu non sai voghare! Ted. Ah che pur troppo sei Per me mutabil'onda; Ou'Amor mi sguazzuglia, e nõ m'affonda. Ah che tu il mare sei, ed io son legno; L'vn senz a approdo, e l'altro senza segno. Mar. Hor sù; dimmi che vuoi? Ch'a fè da Prencipessa io ti prometto Fartene hor'hor l'effetto. Ted. Hor'hora; oh me felice. Amore, e sarà vero, Ch'io sia de la tua targa hasta, e brocchiero? Sarà vero, Marmotta, Che dopo tanti affanni Io finisca le pene, habbia i malanni. Mar. Io ti prometto, e giuro Il presente non darti col futuro. Hor'a Dio Tedeschino, a riuederci. Ted. Oh felice ballare, Oh beato saltare? Oh bel far capitomboli. Altri stia su le sue arrabbi, e sfondoli. Meo. Ancroia. Filipetta. Pedina. Gobbo, Cacciatori Meo. OH' che gran gusto è di cacciare Ancroia; Quanti sono i diletti de la caccia, Dimmi, come ti piace andare a caccia? Ancr. A me mi piace assai veder cacciare; Ma quel correr di dietro a gli animali Mi pare vna fatica da crepare. Meo. Gobbo dà quà quel gatto? oh com'è grasso! E pur come correa dietro quel Topo? Non credo, che vi sia Animal, che più corra di costoro. Come per quella china Correua quella Cutta? Si vedeua, c'haueuano gran fretta. Gob. Credimi, signor, ch'io hò tanto gusto, Che dopo, che cacciamo, Non hò con maggior spasso fatto presa! Giù per quel monterozzo Sò, che ci feron correre. Vi giuro per la madre d'vna Cutta, Ch'ella m'hebbe andar brutta. Meo. E che t'è intrauenuto? Gob. Mentre correuo in posta, Il somaro inciampò In vn piede di pino, E mi fè dare in terra Cosi gran stramazzone, Che mi strappò la stringa del calzone. Meo. Eh non è nulla? e a te Messer Pedina, Come t'è andata bene? Ped. Io porto ancora il dito Fasciato per il morso, che mi diede Quel Topo maladetto nel pigliarlo, Meo. Eh che? non gli lasciasti il can, balordo? Ped. Glielo lasciai, ma il sciocco Smarri la via, e lo perdè di vista. Meo. E i bracchi, che faceuan? bisognaua Pigliar' vn bracco a lassa, Ch'al Topo è sufficiente simil lassa. Ped. Io gli le lasciai tutti; ma che vale Tutta vna braccheria Dietro vn topo, che corre per la via? Gob, S'haueua a far con me, non gli riuscia; Questa cutta maligna Mi diè ne lo speron'vn morso tale, Che si riempi di sangue lo stiuale. Ma che gli feci a lei? Tosto la gettai in terra, e con le reti Gli fui sopra si lesto, Ch'ella fè d'esser mia il manifesto. Meo. A me solo quel coruo Mi s'auuentò ne gli occhi, e se non era Ancroia con il guanto Di mezo giorno mi facea far sera. Anc. A fè, a fè, ch'a me quella Cornacchia, Se non era Pedina con lo spiedo La mi guastaua tutti i ricciolini. Fil. E quel Gatto, Padrona, Ch'a torno a me parea, Che far volessi la caccia de Topi, Ma che? subito questi Cacciatori Gli si cacciorno sotto, E 'l Gatto v'infilzarono di botto. Meo. Hor sù Gobbo, vogliam noi far banchetto. Gob. Vostra eccellanzia sì; adesso, adesso Vuò a chiamar Grasso, e tosto Gli fò far guazzapugli, fritto, e arrosto. Meo. Chiamalo, e fà la caccia Ben cucinare al Grasso; E di, c'habbia buon sito, e brodo grasso. Gob. Farò quanto comandi; hor'hora vado. Meo. Ancroia, e voi partite Verso la vostra stanza, E ripulita meglio Ritornate a la Regia, o li vicino Spedite Filippetta, Ch'io vi vuò pasteggiare nel Giardino. Anc. Io vado, e tosto torno. Fil. Prencipe, a Dio, anch'io mi vuò pulire, Mi vuò lauar le scarpe, e la gonnella. C'hoggi con questa caccia Mi ci son fatto più d'vna frittella. Meo. A Dio, Ancroia, a Dio; Vattene ch'io Marmotta In tanto ritirar farò di sopra. Grasso. Gobbo. Cacciatori. Gras. OH quanta robba? oh vè vccellatori? Oh queste sõ le caccie, e Cacciatori? Gob. Senti Grasso, vien quà; vuol far banchetto A la sua bella Ancroia il nostro Prence; Però tutta la caccia Condur fatti in cucina, E mostra il tuo saper questa mattina. Gras. Lasciate fare a me; quest'arte mia L'hò fatta mille volte a l'hosteria. Gob. Grasso, fà quella Cutta a la lombarda Con vna zuppa sopra senza cascio; Quella Ciuetta falla in gelatina, Il Corbo fallo arrosto con la Gatta. La Cornacchia in guazzetto con il Topo: Tu sai meglio di me l'arte del coco. Gras. Lascia pur fare a me, Che sò mangiar la roba, quando ci è: Gob. Lascio la cura a te, ed io me n' vado Verso la Regia a ritrouare il Prence. Cac. Ecco qui tutta la caccia, Cucinate, e pappate? Quanto a voi Non a noi Ella piaccia. Non ne tocca a chi la caccia. Grasso. Tedeschino. Gras. OH com'è grasso questo Topo ghiotto? Ei pare vna lanterna di Galea. E questa Cutta, oh l'hà la bella coda. Oh Gatto maledetto, sò, ch'il ventre Ti sei ripieno per quella verdura; E tu Coruo Ciarlone, Haurai finito il presagir nouelle? Ah Ciuetta frugnolo de gli augelli, Vuò far de gli vni, egli altri pappardelle; Del foco haurete ne la mia cucina, Chi allesso, chi rifritto, e 'n gelatina. Ted. Grasso, che noua ci è? che cosa è questa? Che fai di tante Cutte, gatte, e Topi? Gras. Oh buon giorno, Padrone, non sapete, Ch'il Prence è stato a Caccia, e c'ha predato Co' bracchi, e i Cacciator quel, che vedete? Ted. Sò, ch'egli è stato a caccia, ma perche Hai tanta roba tu da cucinare? Gras. Oh non sapete niente; egli banchetta Ancroia: quella Ancroia; Ancroia vsata Di trattenere Baldassare Amante. Ted. Ancroia: e che vuol seco Il nostro Prence gracchiolar d'amore? Gras. Sì, sì; pur'egli seco è stato a caccia, Ed hora la banchetta nel Giardino; Ted. Oh pouera Marmotta? ma che dico? E' questa, è questa a punto L'origin vera de le mie fortune: Và Grasso, và in cucina; Ch'Amor per vie inusate Sà cuocer senza foco le frittate. Gras. A Dio Padrone, a Dio: oh quanta robba? Almen cotta ne fuss'io guardarobba? Ted. Oh Amor del ventre mio cibo soaue? Mia vitella di latte, Ortolano bramato, Staggionato mio bue, starna mia buona, Mio piatto di lasagne co 'l formaggio, Rauagiolo d'April, latte di Maggio Fiasco mio di Trebiano, Vin de Monte Pulciano, Mio liquor di Genzano, Verdea, ch'il duol mi molce, Mio bel fico brusciotto grosso, e dolce; E tu Madre di quel, ch'innesta i putti, Bella Madre d'Amore, Ben ver me spalancate Hai di pietà le porte; Non si dee fuggir mai benche si tema. Il dimostrar la fronte, Il fare il viso d'arme, E l'intrepido stare a le batoste Fà, che si mangi senza pagar l'hoste. Quanto hà potuto far la mia Politica: L'importuno tal'hor vince l'auaro. Hor, ch'i omi disperauo, e con Amore Non mi credeuo più saldare i conti, Ei mi porge a la penna il calamaro. In fine gli è vn fanciullo incanutito, Orbo, che più de gli altri il tutto vede, Vn sauio tra i balordi, vno scaltrito Fragente, ch'vsan far le trufferte; Vuò chiamar la Bertuccia di Marmotta, E far, ch'ella da me sappia, ch'il Prence Con Ancroia vuol far' a la campagna Vn banchetto Real'entro la grotta. Bertuccia. Tedeschino. Ted. BErtuccia, a punto adesso io ti cercauo. Bert Oh mi marauigliauo; e che tu vuoi? Io hò altro, che far, che le tue ciancie? Ted. E vien quà, se tu vuoi, stammi a sentire? Ber. Che cosa m'hai che dire? Forse de li tuoi soliti precetti Di politica sciocca, far fallone? Ted. E non star sù le burle? senti dico? Và, di a la Principessa, Ch'io hò da dirle cose di gran conto: Bert. Sopra di che? che forse gli vuoi fare Quattro altri capitomboli, o saltare? Ted. Che salti, e capitomboli? io vuò dirle Quai torti gli prepara il suo buon Meo. Bert. Il Prence, il Prence; adesso, adesso vado. Ted. Hora é tempo, ch'io tutta versi fuori La Politica mia dal bussolotto. Lingua aiutati pur, che ti bisogna? Questo è pur' il bel modo Di grattar con l'altrui la propria rogna? Marmotta. Tedeschino. Mar. TEdeschino, che ci è? che m'hai da dire? Che mi hà fatto il mio Prence? Già, già ben le sue brame a me son note, Ch'ei vagheggia vn bel volto in crespe gote. Ted. O Luna, ch'ad Apollo i raggi togli? Sole ch'il sen m'aghiacci, Fà, ch'io fra i cenci tuoi esca di stracci? Sappi bella mia Diua, ch'il tuo Prence Con Ancroia la brutta Entro l'horto ridutto Vuol cor fra due seponi Il malcresciuto, e maturato frutto; E zappator nouello D'allagato terreno Ad onta tua desia L'arena coltiuare in sua balia. Che ne dite, Signora? non vi pare, Ch'egli hà finito affatto d'impazzare. Mar. Io non sò, che ti dici, e ancor non posso Saper, che s'habbia fatto, o io m'habbia a dosso Ted. Ah voi non m'intendete per enigma. Vi parlerò più chiaro. Ei nel giardino Vuole innaffiar il suolo, e suora il sodo Coltiuar mescolanze d'ogni sorte. M'hauete inteso? Il Prence non di Fessa di Marocco Vuol'giocar con Ancroia a la staffetta; E vuol, ch' il tutto attesti Filippetta. Mar. Che Filippa, che Fessa, che Marocco? Oh tu m'hai de lo sciocco? Ted. Hor sù, l'hò intesa: la dirò volgare: Il Prence con Ancroia a la verdura Vuol ratemprar l'arsura. Egli vuol farui vn cornicion sù l'arme, Vn vestito a la moda; poiche s'vsa, Quanto questo vestir simil lauoro. Mar. Che vuol dare ad Ancroia la verdura; E con vn cornicion la vuò vestire? Ted. Si zucche infarinate? egli sicuro A voi dà il cornicione, Da lei prende l'arsura, e le dà il verde. Le vuol dar la marenda hoggi ne l'horto; E di già in ordinanza Hà messo de la caccia Il mio Grasso l'insolita pietanza. Mar. Ah dunque Meo, Meo vuole Banchettar la sua Druda nel giardino? S'egli lo fà, mio danno? Farò ben tanto; e tanto saprò fare, Che gli farà mal prode il merendare. Ah Prence, Prence ingrato, Ad altra fai banchetto Di quello, ch'a me fai star' a stecchetto. Altra fia, che disfame Di quello, che a me fai morir di fame. Ah quanto meglio fia Satiar la voglia mia; e non altroue Il tetto racconciar, s'in casa pioue. Dunque ad altra il conuito Fai mal dispensatore Di quel, ch'a me non caui l'appetito? Ad altra la viuanda Porgi, che non la chiede, Per negarla a chi sempre la domanda? Altrui co' cibi tuoi porgi fortuna, E me senza cibar lasci digiuna? Ah Meo, Meo, t'arriuerò ben'io, Se tu mangi, ch'io possa Morir sempre di fame, eroder l'ossa. Ted. Non dee la Principessa Co 'l Prencipe vsar flemma. Poiche questo saria darli licenza. Ma con consiglio scaltro, Per spauentarlo, anch'essa Prouedersi d'Amanti. Poich'vn male tal'hor discaccia l'altro. Ed è gentil costume Di chi Regna, tal'hor darne al comune. Che non spuntano i torti Le fronti, che son grandi; Nè il sol, che chiaro splende, Benche trà'l fango sia, macchia v'apprende, Horsù spina trauersa del mio core, Febre maligna de la vita mia, Petecchia del mio volto, mio dolore, De la gola catarro, e schinanzia; Lasciami homai fruire, Lasciami homai godere, Lasciami homai beare, Non far, non far, che mora, Chi, per viuer, t'adora? Lasciami nel tuo sen fare il mio letto, Lascia, ch'il petto tuo sia il mio coltrone; Lascia, ch'il matarazzo De le mie stanche membra Sia la tua bella imago, Lasciami riposare in te mezz'hora, Poi mandami in mal'hora. Mar. In mal'hora, e in mal punto, oh vè discorso Di nudrito Asinaccio ne la Corte? Ted. Ah marmotta, mia Anguilla nel viuaio, Mio pasticcio a l'inglese, Mia ricotta sfiorita senza sale; Fà conto, mio tesoro, Tu sij la paglia, ed io sia l'animale; Fa conto, ch'io m'annegri. A' rai del tuo bel Sole, Seruimi per ombrello, Se non vuoi, ch'io stia sempre In piè senza cappello. Mar. Che vorresti da me parlami chiaro? Ted. Vorrei, dirollo al fine, Esser del vostro letto le cortine. Volete voi, ch'il dica? Vorrei da voi Signora, Che mi deste licenza Ch'io con voi dimorasse vna mez'hora Mar, Horsu; taci, t'hò inteso; Hor non è tempo, ch'è tornato il Prence; Tu dici, c'hoggi deue Venire Ancroia in Corte, Vestiti, come lei, muta sembiante, E vien da me si trauestito Amante. Così senza sospetto Ne la Regia entrerai, E sarai la Cortina del mio letto. Ted. Io vado; e trauestito Hor, hor' in corte a riuederui io torno, Mar. Và, ch'io di quà mi parto; e ne la Regia Ti stò attendendo hor, hora. Per torlo da la noia, Il Tedeschino è diuentato Ancroia. Catorchia. Scatapocchio. Cat. IN fine io Filippetta Adoro, come adora il pesce l'amo, La Gatta il Topo, il Tordo il teso laccio, Lo smeriglio la quaglia, il lepre il cane, La volpe il Cacciatore, il Gufo il giorno, L'acqua il villano, il Caualier lo scorno. Filippetta è il mio letto, oue non poso, Il mio nido, il mio porto, Ou'erro, senz a mai giungere in porto. Scat. Io sento, e nel sentir sento, e mi pare, Che tu tutto possiedi, e nulla godi. Cat. Possiedo, e non possiedo, amo, e non amo. Ah Filippetta, Filippetta cruda, Mira dentro il mio seno, Fatto d'Amor la stalla, Qual son de' lumi tuoi arsa farfalla Scorgi dentro il mio core Fatto d'Amor lo scudo Il tuo ben fatto drudo? Queste mie gambe arcate. Son di Marte nouello Sotto il peso incuruate Di trattar some, e di portar fardello. Sca. Bisogna, che l'Amore Sia vn pazzo pizzicore. Vuoi, ch'io faccia qual cosa di mia mano? Cat. E che ci vuoi tu fare? Ella stà qui; chiamarla. Tu batti Scatapocchio. Scat. Tic toc, tic toc, olà di casa. O' la non sente, o ch'ella non è in casa. Cat. Ribussa Scatapocchio, bussa forte. Scat. Tic toc, ò là venite a basso, Se non ch'io rompo l'vscio con vn sasso. Catorchia. Scatapocchio. Filippetta. Gobbo del Violino. Fil. CHi batte l'vscio? Scat. Son'io, che voglio entrare; E se non apri, getterò per terra La porta, il chiauistello co 'l battocchio. Cat. Fermati Scatapocchio? Fil Oh vè chi vuol brauare Razza di tartaruca. Se ci calo da basso, Ti ficco con vn calce in vna buca. Cat. Filippetta son'io, lascialo dire. Fil. Catorchia tu sei tù; hor vengo a basso. Cat. Oh come hà fatto Amore Destarsi in me la febre a la sua vista. Fil. Dou'é questo brauaccio? oh vè Catorchio, Che gran gigante, che tu porti teco. Scat. Cosi, come mi vedi, Non hò bisogno di banchetto a' piedi. Cat. Com'hai si lungo tempo, Filippetta, Sofferto a non vedere il tuo Catorchia? Deh per tua fè mia Filippetta bella, Fà conto, ch'io sia vn soldo, E mettimi pian piano Con le tue belle mani a la scarsella. Scat. Fa conto Filippetta, Ch'egli sia il Tordo, e tu sij la Ciuetta. Fil. Catorchio vuoi tu nulla, io hò che fare? Cat Deh Filippetta cara, Non lasciar, che si perda la semente De' Catorchi nel Mondo: Fil. Che vorresti da me? Cat. Vorrei, se ti contenti, starmi teco A magniar' vn cantuccio, e ber del greco: Fil. Và torna, come Ancroia Và a desinar da Meo; e Scatapocchio Conduci teco, che con l'vno, e l'altro Vuò, che giochiamo al tiro nel giardino. A Dio mio Catorchino. Gob. Oh vè che bella coppia? del Filippetta, che forse hai nimicitia? viol. Che si ben sei prouista di Giganti? Cat. Che fà quiui il Trafedi! Oh Gobbo sciagurato. Che forse Filippetta, Apprendi da Costui A portar polli fuori del mercato? Scat. Oh l'è il Gobbo Trafila, Che torce senza fuso l'altrui fila. Gob. Che dici sconciatura d'vna botta? Nanaccio, male in piedi, Se ti piglio co' calci, Ti fo leuar di qui senza i tuoi piedi. Cat. A chi dici, Gobbaccio? Qui tu non hai, che fare. Non v'è nessun, che si voglia arruffare. Oh bell'huomo di Corte, Spacciare il sonator di violino, E senza morti fare altrui Becchino. Gob. Oh mal fatto Gigante, Và, và; và fà l'amore con la Fante. Oh vè chi fa l'Adone Balordo animaletto da stidione? Fil. Catorchia, oh via non più, lascialo dire? Ogniun deue adattarsi, Per poter sostentarsi, E poi non è difetto In vn, che sà sonare, Il saper dar lezione di cornetto, Cat. A Dio Filippetta, adesso, adesso Ritorniamo da te mettiti in punto. Và, và Gobbaccio và; Và portai polli in là. Sca<./speaker> Io nò, non vuò tornare, Che non vuò, che vi sia qualche pantano, Ou'io portassi rischio d'affogare. Fil. A Dio tutti, a Dio tutti, a Dio trafedi, A riuederci poi: Lor non san quel, che passa fra di noi. Gob. A Dio Filipetta, Non ti scordar del gioco di Ciuetta. Tedeschino vestito d'Ancroia. Ted, VE, come per l'appunto Il vestito d'Ancroia mi s'adatta. In fine Amore è quello, Che fà fare ogni cosa; E a' Matti, e a' Sauij toglie anco il ceruello. Vn, che sia innamorato, Per hauer quel, che brama, Ad ogni atto più vile accomodato Hà l'animo il pensiero; e per amore Farebbe il Birro, il Boia, e l'Appicato. In me ecco l'effetto più d'ogni altro. Io, che sempre sù 'l graue Da Caualier di scherzo ne la Corte Mi trattenni famoso? Io, che di maggior Prenci lo Statista Fui con tanto mio vanto; E ad ogni Potentato Imparai di Politica il donato? Hor per man d'vn Arciero Muto voce, sembiante, opra, e mestiero. D'Ancroia in vece hor'hora Eutrar' io voglio in Corte. E con la Prencipessa Per questa via tentare Di languir sempre per non più penare E s'io Donna pur fossi, Quanti, quanti Merlotti Haurei pigliato nel mio serbatoio. In mia fe, ch'in tal'habito Mi par più gratioso comparire. Con questi occhi furbeschi Sembro dardo de' cori; Con queste labra orlate Sembro de la mezina di Cupido La più sdrucita bocca. Con questo curuo naso Di Vener sono il naspo; La diradata fronte Gallinaio è d'Amore. In fin questa mia vita si ben fatta, Se, qual'huomo son'io, fossi vna Donna, De le gioie amorose Sarei la più ben fatta, e bella gonna. Ah Marmotta, Marmotta, quanto meglio T'era non cosi farmi a te venire. Forse, se m'aspettaui a te dauante Di Tedeschino in forma, Non cosi tosto diueniui Amante: Ma in questo habito a fé. Che tu ci cadi affatto, Ed io son di Marmotta fatto il Rè. In Licia ancor Achille Portò fra le donzelle Habiti feminili; E pur'alfin mandò Troia in fauille. Ed Ercole con Iole, E con Onfale stette A tessere, e filare Hor vn manto, hor'vn velo; E pur con le sue spalle Fù buon fachino a sostenere il Cielo. Meo. Tedeschino d'Ancroia. Meo OH ecco apunto la mia bella Ancroia. Ted. Oh fortuna maluaggia, che sarà? Amore, aiuto, Amore, io son già perso. Meo. Ancroia, anima mia, come cotanto Sei tardata a venir dal tuo bel Meo? Ted. Ah Cupido cornuto, e che farò? Meo. Ancroia: a che così? con chi raggioni? Perche da me ti scosti, e par, che fuggi? Vien quà, vien quà Gattiua; oh tu conosci, Ch'è dato il fringuellone ne la ragna. Fatti più quà, che fai? oh via non più? Traditora sì sì, cosi si fa? Adesso, che tu vedi, Ch'io non ti voglio male, Mi sai il grugno di porco, e 'l pela piedi! Ted. Eh lasciatimi stare? hò altro humore. Nel venire a la Reggia a me qui presso S'è sciolta de la testa la correggia. Meo. Che correggia? vien quà, vien quà balorda, Ch'io ti darò na stringa d'allacciarti. Ted. Si buono, buono, mi è successo peggio. Meo. E che mai t'è successo? dillo a Meo? Ted. Lingua, aiutati a fè, che n'hai bisogno? Quando, che serrai l'vscio de la porta Vi serrai dentro meza la gonnella. Guardate l'è stracciata, e senza coda? Meo. E questo ancora è nulla; se non vuoi, Altro, che far la coda a la gonnella, Io te ne voglio fare vna più bella. Ted. E pur li, ci vuol altro. Se tu sapessi quel, che m'è accaduto, Non scherzere sti meco cosi franco? Meo. Che diauolo mai t'è succeduto? Ted. Tra via diedi in vn sasso, e caddi in terra Con tutta la persona, E mi squarciò la bocca la pianella. Meo. Mostra, doue l'hai rotta, Ancroia, Ancroia Doue fuggi vien quà: mostra la bocca, Oh vè, che ritrouata? Tu non vuoi esser tocca. Ted. Deh Prence, per tua fe lasciami scare: Chi cerca, tal'hor troua Quel, che forse non brama di trouare. Meo. Io son fuor di me stesso, ingrata, è forse, Questo tuo tiro, per strapazzar Meo? Io, che tanto t'ho amata, Io, che ti diedi tanto gusto a caccia, Io, che meco a banchetto t'hò inuitata, Deui trattar così? và via vaccaccia, Che forse fra quei corni A me più mansueta fia, che torni? Baldassare. Meo. Tedeschino. Croatto. Cro. BAdrona, mirar' Ancroia, e 'l Brincipo? Che voltar, che fuggire? Fermare, non partire? Bal. Non es possibles Sì pares; non creo di veser: Creo, m'aglegar mas erea, Eglia has, como fusse queglia. Infame, mal nassida, Piccherona, hoi mui tiempo granchiado, Puor hazerte bien; Mandil de la cuerte; Lauandiera de la comunitades, Glieuares quattros Cosses, y dos buffettas. Ted. Piano, piano, co 'l dare? oh vè Spagnolo? Insolentaccio? oh vè quanta superbia? Croat. Risbettar veramente Per ti douer la Brincipessa Ancroia, Che de l'honora, e de la nobiltata Vn quarta hà boste in Fessa, e ladra in Troia. Ted. In fin questi don Corni, Come, che se le dà tantin di dito, Si pigliano la man con tutto il braccio. Smerdarol d'Auicenna, Più non son calamar de la tua penna. Meo. Guarda, come tu tratti? Non hai a far con matti? Oh vè ch'impertinenza? Sfacciato, hai tanto ardir' in mia presenza? Bald. Y tu Principe de cuerno, Borroccio, Cuero, Cauronasso, Tales pagas hauereis, Como eglia hà recebido. Toma esta a buena cuenta,Fa finta di darli. A memoria de los seruisios. Toma esta otra begliacco, begliaccone, Prencipe de Mierda. Meo. A me, a me forfante, a me si dà? O Guardia, o Guardia, corri; Corrio Guardia, che fai, Corri, vien quà? Bal. A ti, a ti, a ti. Puerco, Piccaro louo. Meo. Ah Spagnolo Marrano, Ti vuò far' appicar' per vna mano. Michelino Gobo. Pedina, e li medesimi. Mic. FErme, ferme, fermate furfantascie. Bal. Mi has faltado mi dama. Toma esta, toma est'otra. Mic. Voler' al nostre Prenscie Rompere le mostascie. Ped. Oh Spagnol senza fede, Questa é la riuerenza Che verso il signor nostro si richiede? Gob. Oh vè questo nemico De la Carne di porco? Schernir così Marocco? Fermati, Morescaccio senza fede, Ti vuò far strangolare per vn piede. Mic. Pedina dascie; dascie, Gobbo, dascie Spasciacamine de la merdarole, Ti vuò fare impiccare per le gole. Ted. Oh che venga la peste A chi mi diè tal veste. Oh pouer Tedeschino: Fermati Michelino? Mic. Oh questo non è Ancroia, è Tedeschine. Oh brutte furfantascie, come stà, Tarantan tarantan, tarantan ta, ta. Gob. Oh brutta Ancroia, oh fetido barone. Oh guarda il bel politico Buffone. Bal. Mires, che linda Ancroia, Puerco desuergonzado. Cro. Oh quanta per ti degna di star fatta: Vere Donne per ti per man d'vn gatta. Meo. Oh Tedeschin statista, Tu fai la bella vista? Ped. Oh Proprij di Barone, Oh degni di castigo Sciocchi andamenti, ed insolenti fatti: Conuengon piattonate a lecca piatti. Ted. Io me ne vuò fuggire: Maladetta Marmotta, e 'l trauestire. Mic Toffi, taffe briccone. Gob. Gli sian le scosse a furia radoppiate; Seguitiamolo a suon di piattonate. Cro. Badrona, a chisda mala, Per ti, e per mi fuggire la mal'hora. Bal. Vn bel fuggir toda la vida honora. Michelino. Mantuano. Mic. OH calde Pasticcie Vscite dal fornevscirà cantando queste parole. Con dieci fiaschi de vin del miglior; Acciò ch' a l'odor Il mi nase s'arriccie. Oh calde Pasticcie, oh calde pasticcie. Trandira, trandira, trandira trà, trá BVone Piscione arroste; arroste allesse, Vitelle, fegatelle, e buon pulpette, Sanguinascie, salciscie, e sceruellate. Quattre pollastre fritte a la padelle, Vn buon fiasche di greghe, e du frittate: Andare a trouar Grasse coche, e coche Grasse, E dir', che Cutte in stufe, e Corue allesse, Gatti in le padelle, e Tope arroste. Cornacchioni in teame; e 'n gelatine Le Ciuette co 'l Grasse de Cucine. Man. Padrone, andiame, che fra di mez'hora Meo vuol desinar con la Signora. Mic. Andiame Mantuane; Marmotte stà disciune, E Ancroia nel sciar dine Con le sue belle Trude pranserà. Ancroia hà 'l Tope, e Marmotte non l'hà. Trandirà, trandirà, trandirà trà. Man. Padrone, andiame via. Troppe il Prencipe nostre Di giocare a ciuette hà fantasie. Masino. Tordo. Mas. TOrdo, vedesti tu con qual rispetto Al nome di Marmotta Baldassarre Si mostrò riuerente ad vbedire? E vn garbato par suo per vita mia. E par, che fra di loro Vi sia di sangue qualche simpatia. Tor. Certo, ch'io ne restai tutto confuso. Credeuo, che sta bestia Non seruissi per altro, che per smorfie; E che sol ne la Corte Egli sapessi fare Vna boccaccia, vna risata a ufo. Vn dar nel rauaniccho, Vno star sempre teso co 'l palicco. Ma vedo, ch' egli è buono in ogni cosa! Vuoi, ch'io ti dica? stimo, che costoro Faccino il pazzo, per far pazzo altrui. Mas. Pur troppo è vero, Tordo: Via: Baldassar da noi si lasci stare. Ma il Tedeschin, che cosa serue in Corte: Tor. A dir mal di qualch'vno, et in tinello Mangiar' a ufo senza discrizione. Mas. Gli è vn pan perso da vero; ei non è buono, Se non a far lo sciocco di politica. Tor. Sicuro, che politica migliore Non si può trouar di questa sua, Bere, mangiar, vestire; e a l'altrui spese Fare il Cauallerazzo pe 'l paese. Mas. E sai, come si gonfia, e come sbuffa? E i pare vna gallina Mantoana. A fé, a fé, che, s'hauesse a far'io, O vorrei, che facesse da buffone, O mandarlo al barone. Tor. Che vuoi fare? hoggi dì questo mestiero A segno s'è ridotto, Che tanto val l'astuto, che 'l balordo. Mas. L'è vna bell'arte a fè. Da Masino ti giuro, Ch'io cambiarei il mio stato co 'l buffone. Tor. Ed io prima di te lo cambierei: Che fatica si sente In fare vna risata, in motteggiare, Far con vna boccaccia vn viso arcigno, Pigliare vna Chitarra, e schitarrare; Dir quattro sfiondature a la spagnola; Accommodar si sempre a l'altrui voglie. Se quegli dice sì, dir sì due volte, Se nò, non sia; e sempre sù lo scherzo. Mostrar di piccardia hauer bei motti: Questi son ne la Corte i Corteggiani, Che fan gli altri Merlotti. Mas. Veramente l'è vn'arte benedetta: Ma sai cos'è; ch'io non vi hò quel talento. Che vi bisognerebbe; e tu ci hauresti. Che, se ciò fosse, a fé ch'il segretario Altri farebbe in corte. Tor. Ed io, se qual'hai tu, la vista heuessi; Vorrei, ch'il consigliero altri facesse. Nel dir non hò paura. Io sò sonare, Sò ballar, sò cantare, e mi s'auuiene Il far ridere altrui con belle botte. Sai, che cosa non hò? la complessione Assuefatta a star sempre imbriaco, Oltre, che non sò nulla in medicina; Nè saperei mai fare Altri, e me vacuare; E ancor sono ignorante De la ragion di stato, e non sò come Tratti de la Politica il buario? Non nó: meglio é, ch'io stia fra le due acque, Così son Consigliero; e appresso il Prence Nome hò di bell'humore, e di faceto: Mas. Eh Tordo; il star così non ti può dare Quello, che ti darebbe esser' in tutto Ne la Corte Buffone, e non a mezzo. Tu dici, che non sai far cosa alcuna? Non sai tu far gli occhiali? Io veggio pur, che tu n' hai tanti attorno, Che pari l'occhialaio del Comune. Tor. Si sò fare vna Zucca. Che credi, che gli occhiali, Ch'io vendo, siano fatti di mia mano? Mas. E chi dunque li fà? Io sempre tenni, Che tu di tal mestier fossi inuentore? Tor. Oh buono: Masino, è questo Mondo Vna palla, che chi non sà sbalzarla, La caccia perde, ed il suo colpo falla. Sai tu sotto gli offici, Che vi son quelli Armeni? Da lor compro gli occhiali; E poi per miei li vendo A chi per miei li tiene: oh ch'Animali? Mas. In fatti dice il vero. Non luce senza truffa alcun mestiero. Oh vè come s'ingannan le persone? Che tu sij per gli occhiali Il primo huomo del Mondo è l'opinione. Tor. L'opinion fà caso, Ed hoggi dì gli è sciocco Colui, ch'altrui non sà menar pe 'l naso. Mas. Hor tira dunque auante; Ma, per tornare a nostro, Sai, che cosa farei, s'io fossi Tordo. Tor. E che cosa faresti? dillo vn poco? Mas. Io vorrei congegnare Di fare vn'occhialone, C'hauessi il fondo, e sopra il sfogatoio; E perche dici, che sempre embriaco Vuole stare il Buffone, Accio, ch' il vino non mi fessi male, Di quel mi seruirei per seruitiale? Cosi vacuerei, E se beuuto hauessi il renderei. Tor. A fé, che tu non l'hai pensata male: Oh che ti pigli il granchio? Quel, che serue, per meglio veder lume. Vuoi, che serua per l'occhio del lordume? E poi, come vuoi tu, ch'in medicina Io operi, se non hò mai medicato? Mas. Ch'importa il medicar? non stà al sapere? Da Medico puoi far senza paura, S'il medicare é dato A chi sà far morire vn'ammalato. Tor. A la ragion di stato, che dirai? Mas. A la ragion di stato, Come non vuoi sapere Più di quel, che ne sappia il Tedeschino, Non t'affannar di rimesciar le carte; Anzi, quanto più Asino sarai, Tanto piú 'l Tedeschin somiglierai? Tor. Masino, fallo tu, ch'a fe ti giuro, Chai viso di Buffone, Bocca di Baldassarre, Vita del Tedeschino; Esenza tua fatica Par sempre, che t'agranchi, e facci smorfie Credi a Tordo Masino, Piglia il lor posto in Corte, E poi di, che ti passi Lo Spagnol con le smorsie, E con ragion di stato il Tedeschino. Mas. Tu vuoi la burla, Tordo: Come vuoi tu, ch'io faccia da buffone? Bisogna hauer gran ciarle, ed io la lingua Non hò staccata ancora dal filello. Tor. Hor sù. lasciamo il posto a chi lo vuole, Facciam l'officio nostro; e già, che s'vsa Il far l'homo faceto, ancora noi Facciam ridere altrui. Andianne a ritrouar la Principessa, Per dirle quel, che disse Baldassarre. Ancroia Gobo del Violino detto Trafedi Anc. HOr' hora ne la Regia Andar me n' voglio a ritrouare il Prence. Ma la mi par pur dura. L'hauer' a far con Prenci E' fuor del mio mestiero. In fatti son baiate Chi nacque per l'aratro, Malamente s' adatta al Caualiero. Ma vé ecco il Trafedi? Gob. Ancroia, doue vai cosi allindata? Anc. Ne la Regia da Meo a merendare. Gob. A merendar da Meo? che non sai nulla? Quell' impertinenton del Tedeschino Con le tue proprie vesti in vece tua. V'andò poco anzi; edè di già scoperta La mal tessuta tela al' altrui danno. Tutti non son Trafedi. Com io non v' hò le mani, Ogni cosa a la peggio; tu lo vedi. Anc. E come il Tedeschino? oh Boffonaccio? Che non gli basta di mal contrafare Il Gentil homo in Corte, Ch' anco me vuol scimiare? Ma chi l' habito mio li potè dare? Gob. La Filippetta al certo. Vuoi, ch' io ti dica Ancroia, Leuatela da torno. Tu sai per proua homai Ne gli affari d' Amor, chi sia Trafedi? Nel portare Ambasciate Il saper di Cillenio tengo a vile; E più d' vn può far fede, S' aggiustar sò tre oua in vn bacile. Tu mi fai torto a fé; questa è arte mia; E di giá in altro posto, Ancroia, mi vedreste; Se si desse scoperta D'Amor l'imbascieria. Anc. Vuò far quel, che tu dici. Dammi il braccio, vi&etilde; quà, andiãne in casa. Hor si, ch'io più non temo, Di perder le giornate; S'il Trafedi s'è fatto Il mio porta ambasciate. Gob. Andianne; e ogniun di noi Faccia le proue sue; E al paragon si veda Chi meglio sà spacciare, Per vitella di latte, anco del bue, Bertuccia. Marmotta. Bert. PRincipessa, e che fia? Sù, Sù non più sospiri? Raffrenate gli affanni? Voi pur solei tal volta Con il canto passar la fantasia. Via, via; cantate vn poco. Rattempra il canto l'amoroso foco. Mar. Ah quanto il ver m'aditi, Mentr'a cantar m'inuiti Suol tal'hor sù 'l Meandro Augel canoro Già vicino al morire Cantando palesare il suo martoro. Dunque cantar debb'io, E con voci dolenti Accompagnar co 'l canto il morir mio. Ahi lassa,Quì comincia il recita tiuo cantato in musica. e pur partire Dourò senza morire! Pur lasciar deuo, Amore, La mia sede; il mio soglio, La mia vita, il mio bene, anima, e core, Ah proterua Fortuna, ahi Fato indegno. A che farmi di Meo Real consorte? A che portarmi sù codeste arene? Se pure al fin doueuo Delusa ritornar nel Patrio Regno? Misera, e doue il piede Volgerò forsennata? Doue, doue smarrita N'andrò di Fessa disprezzata Erede. Ah Prence, ah crudo, e pure, Pure potrai soffrire Di vedermi partire? Pur da te lunge, oh Cielo, Ne debbo andar schernita? Ohime, ch'io cado, io moro, ardo, e m'aggelo. Portentosa beltade, infausti vanti, Se solo al fine io sono Esca infelice di sospiri, e pianti? Oh Padre, e con qual ciglio Mi raccorrai nel seno? Con quai braccia dolente Accorrai la tua Prole? Se tra l'ombre son' io Ombra, ch'a forza fuggo il mio bel Sole? O stanza, oue il mio nido Già si lieto godei, Fortunato ricetto, albergo caro, Hor per me fatto amaro. Prence, Prence, e pur fia, Ch'altra più fortunata. Nel tuo bel seno ad onta mia superba Riposerassi altera? Altra fra dolci scherzi Lieta godrà de la miseria mia? Ed io fra tante pene Lunge da' tuoi bei lumi N'andrò misera Amante, Nè permetter mi vuoi, perfido, e rio, Che nel partire almeno, Possa dirti, spietato, io parto, a Dio. Ma che vaneggio?quì finisce il recitatino in Musica. ahi, che la Donna suole Sempre appigliarsi al peggio: Io più quì non ne voglio? in Fessa in Fessa E stia in Marocco, chi ci vuole stare. Più tosto iui Zagnotta, Che con Meo Principessa. Bert. Deh per gratia non più? voi v'affligete, Che parete vna cagna arsa di sete. Marmotta. Bertuccia. Masino. Tordo. Mar. ECco a punto quì Tordo con Masino. Che v'è di nouo Tordo? Trouaste Baldassarre? e vuole andare? Tor. Eccellentissima si; egli ci disse, Che quanto tu comandi, egli vuol fare. Mas. Certo, che Baldassarre Sì mostrò cosi pronto ed vbbidiente; Che s'io l'hauea per nulla, hor l'hò per niente. Tor. Quando intese, che voi Voleui Ambasciador mandarlo in Fessa, Disse son'huomo de la Principessa. Farò prima i mie fatti, e poi gli suoi. Andate; e dite, ch'io Anderò in Fessa Capitan de l'armi, E se non basta al Padre, il farò al zio. In fine gli è vn Fantoccio Da tenerne più conto ne la Corte; E' sà torre la vita à chi vuol' morte. Mar. L' pratico di Fessa, che vi disse? Ch'ei farebbe il seruizio, come và, Saprà far l'ambasciata? Mas. Sì sì; credete certo Principessa, Ch'egli sia vero ambasciador di Fessa. Mar. Horsù, che si spediscano le lettre, Masino; ben formate Lettre di condoglienze al Padre mio. Scriuete, ch'in Marocco La sua vnica Figlia Emula senza striglia, Che di Fessa l' Erede E' fatta vna pianella senza piede; E'che l'inuestitura Non le tocca più giù de la cintura. Ch' Ancroia è de le carte il sette, e l'asso, Io con cinquantacinque faccio passo. Mi dice il cor, che per hauer' io sia Da Baldassare ognt allegrezza mia: Tor. Veramente gli è forte, Ch'ogni hora cambiar Meo vogli Consorte? Mar. Gli è forte, e non si può più sopportare, Ch'egli de l'altrui case sia pontello, Mentre la sua stà quasi per cascare. Tor. Signora, io vi consiglio, Che voi più tosto Meo facciate bue, Ch'egli Marmotta debba far coniglio, Mas. Ed io vi dico, che s'egli vi cozza, Voi la cozziate seco, e se giumenta Di lui già foste, hor d'altri siate rozza. Mar. Di ritornare in Fessa è la mia meta, E abbandonar marito cosi fatto, Che sol la Patria mia mi può far lieta. Tor. Oh così vadan tutti; e chi non vuole L'eclisse de la Luna in casa sua, Rimiri i rai d'vn eclissato Sole Ber. Facciam, che con il Sol perda la Luna. Cambiar' Cielo tal'hor porta fortuna. Mar. Farò quel, che la Sorte Vorrà di me; tu intanto Bertuccia, vanne à trouar Baldassare, E di', che venga, che li vuò parlare Di cosa, che mi preme, ed egli hà a fare. Ber. Io me ne vado; hor'hora Qui Baldassar conduco a la mal'hora. Mar. Meo, Meo, ben fia, che tosto Marmotta di te faccia aspra vendetta. Ben di mio Padre la debil potenza Farà quel, che non mai potei far'io. Bestia senza ragione, Animal senza senno, Prence ignorante, senza discrezione; Così così doueui Condur me, che ti fui Disturbo ne' contenti, Digiuno nel mangiare, Arsione nella sete, Esca ne l'appetenza, Cibo fuori di pasto, Male ne la salute, Dispetto ne' piaceri, Salsa senza appetito, Moglie senza marito? Così, così, Marmotta Dee veder crudo Meo? Ma vè, questo è d'Ancroia il cibo amato Ecco Grasso, che viene Con la viuanda cotta; e Michelino Guardiano è fatto de' miei mal bocconi. Michelino, Grasso, e li medesimi. Mic OH Grasse, buone odore di cucine? O che robbe ben fatte Mi và in giù per le gole quelle gatte. Gras. E a questa Cutta sdrucciola l'vnto Più, che non fà il sedere a' pescatori. Mic. Oh ecco Prencipesse? Oh Grasse, Grasse, che le dirai tù? Gras. Corpo non sò che dirle? Ella vorrà sapere Chi del mio cucinato haurà a godere. Mic. Sempre il mal sciorne à la vostre escellenze. Portate pesce crude, e carne cotte Il Prenscie a la sua belle Ancroie. Gras. Che diauolo dirai razza di Boia? Mar. Chi? Che? Che Ancroia? che? Mic. Quelle Ancroie bellissime, Di Baldassarre scrofole Fà con il Prenscie à rozzole. Filippette dulcissime Con gatte, Scimie, e Topole Pasturar vuole il ventrule, Ventraglie ne le pentole. Gras. Che ti venga il morbo Ranocchione, E forse, che non parla per isdrucciolo? Mar. Cbe diauolo di tù? parla, ch'intenda? Che cosa porti qui con Grasso à Meo? Mic. Ciuette, gatte, cornacchione, e cutte, Tope fritte in guazzette, e grille arroste, Con vne braue zuppe a la Fransciese Tarantan trà, trà. Mar. Bestia rispondi à tono? Che cosa è quel, che porti? è crudo, o cotto? Mic. Crude, cotte, e non è cuscinate; Grasse coche l'hà fatte sciagurate. Gras. Il malan, che ti pigli, Bestiaccione; Mar. Mostra quà, mostra quà? che non sò io, Ch'è roba cucinata per Ancroia! Gras. Piano, piano, signora, ella non è, Egli è vn certo liquore, Che voglion coltiuare; E pria del fiore il frutto saporare. Mar. Tu non mi vuoi dir nulla? Michelino, Mostra quà? che cosa è dentro quel piatto? Mic. Queste è vn fiasche di greche di cantine, Mar. Oh tò và, e porta la viuanda mò? E tu Grassaccio coco del mal tempo, Cucina per Ancroia, e pe 'l tuo Meo Quel, ch'in terra cadéo? La robba, che qui ascosa si tenea, E' per me diuentata fracassea. Mic. Adascie adascie, briccono. Sò, ch' il Prenscie, ed Ancroie pranserà. Tarantan, tarantan, tarantan tàtà tà. Mar. Oh vè, se gli l'hò fatta? Portate da mangiare nel giardino Razza di Porta polli? A le forche con Grasso Michelino. Meo. Tedesch. Mantuano. e li Medesimi. Ted. CHe rumore è cotesto? oh quanta roba? Era pur meglio in vece di gettarla Darla al mio cannarone a trangugiarla. Mic. A soscellenze, a soscellenze; adesse Vuoglie dirle ogni cose. Scellentissime, Tutte Gatte, tope, e le sciuette, Le Cornacchie, le cutte tutte in terre. Il buon fiasche di Greche Micheline Hà saluate ne le sue maghezzine. Meo. Chi, Chi gettò per terra Quel, ch'io volea mangiar? che lo risappia; E poi, se la vendetta Non fó del Prence Meo, Mi si strappi la stringa a la brachetta. Mar. Io, Io, Io, son quella, C'hó rouesciato al piano Quel, che doueua empirti le budella. Hor, c'hai mangiato lauati la mano. Meo. Dunque cotanto ardire hauete hauuto Di mal trattar la roba, e chi mi serue? Mar. Mi duole, ch'io non gl'hó rotto il mostaccio; Ma quel, che non hó fatto, adesso il faccio. Mic. Adascie, adascie queste son picchiate. Meo. O bestia da bastone, Tó, piglia stó sgrugnone. Mar. E tù pigliati questa, Vedi, s'anch'io nel dar la mano hò lesta? Ted. Olà, o là signori Fermateui, non fate; Marmotta, ecco per te il Tedeschino, Mic. E per Meo Michelino. Meo. Che dici ombra di notte? Ti piacciano le botte? Mar. E tu ombra di giorno, Ben và quel, che t'hò fatto In sú la fronte, rileuato corno? Ted. Marmotta, io son qui teco; Se ti dà più, l'haurà da finir meco. Mic. O belle bricconascie, ignorant ascie, Fà, fà quel, che ti cocca forfantono, L'arte tua é del buffono, E non di far lo braue, e 'l bel mustascie. Man. Oh vè se la và bene? Vn buffone vuol far d'innamorate? Che ti venga Mostaccie d'appiccate. Mic. Vedete belle in piasce, oh Tedeschine, Io meglio faria te, te Micheline. Mar. Bisogna, ch'imbriaca la fortuna Fosse, quando ti diede a comandare; Oh ve faccia di Prence? che ti venga Nel meglio de l'vrina la renella. La lebra ne le scarpe, La tosse ne le mani; La podagra ne' denti, La rogna a la francese, e pelarella Meo. E a te possa venire Il sonno senza voglia di dormire. Ted. Ed a me venga hor'hora Marmotta mia signora. Mic. E al mio buon Cacciator Micheline. Venga piscione arroste, e del buon vine. Gras. E a Grasso coco a modo Venga da leccar piatti, e scolar brodo. Ted. E il Tedeschino Amore Faccia del suo giardin' l'innaffiatore. Mic. E al Tedeschine fascie Meo, che Michelin rompa la fascie. Mant. E a Mantuan die segne, Che le rompa la schiena con vn legne. Gras. E a Grasso dia licenza, Ghe gli dia d'vna trippa in sua presenza. Tor. E a Tordo con Masino Mas. Su l'asino scopare il Tedeschino. Baldass. Croatto Filipetta e i medemi. Fil. PAdrona, eccoui quà Condotto Baldassarre? Cro. E 'l serua sua Croatta, Che sempre a bresso và Com'al larda solir'andar la gatta. Mar. Baldassar', ben venuto; Io hò bisogno Da te d'vn gran piacere; E con vn certo affetto, Che non sò da che nasce; Di te mi fido assai: me lo vuoi fare? Bal. De mui buona gana senora es mi seruitio, Che los espagnolos Tenemos mas opras, che palauras. Mandamie in che soi buene, Che sarà seruida. Mar. Voglio mandarti in Fessa; E già, ch'io sola sono Erede de lo stato, Io voglio nel mio regno comandare. Bal. In huera buena sennora; Mar. Cosi questo ceruel da far lunari Per piede seruirà de l'arcolaio Ad Ancroia, ch'è fatta il suo viuaio. Hor senti Baldassarre, Racconta al padre mio Quel, che da Meo sopporto: Digli, ch'il vedouile Egli m'ha dato prima d'esser morto, E digli ancora, che d'Ancroia affatto E diuentato matto. In fin digli, ch'andare Io voglio in Fessa, e più con Meo non stare: Bal. Biene: dieme la cifra, Y con l'ordin, che mi dares, Seghiremo; che son plattico en la tierra. Essendo nassido in eglia; Y entiendo la lingua. Che sagnale me derà, paraque sia Conossido da eglio? Mar. Solo per contrasegno, Come s'vsa fra noi, mentre vogliamo Mandar certe ambasciate, Digli, che ciò gli dice, chi nel braccio Destro tien' vna perla, per segnale, Che Natura l'impresse nel Natale. Bal. Me scuse; creo, che vostra istiè me burle; Y che la mas collera Le haz salir de ghuditio. Mar. Io non hebbi altro segno con mio padre Di quello, ch'io ti dico, Bal. Ia non es menester, che mas me burle. Che ià l'hò entendido. Cro. Oh star bella? Marmotta Giocar con Baldassarre a la bilotta. Mar. Che forse non lo credi? Ecco, ostinato, il segno? Bal. Es possibiles tal cosas? Ya chi sta el mio. Mar. Ohime; che veggio? io sento Scotermi tutta l'alma. O Cielo, è forse Questo il fratello mio, che già perdei? Hor' in Fessa, oh che prouo? Perdo il Marito, ed il fratello trouo. Bald. Oh mi Ermana ermosa; Ermana de mi occhos, Mi alma, mi corazon, mi vida, Dames sto brazzos. Ia, ia me pares, ch'il Sole, y la Luna Stien in coniunzion, mi alma, Donde potrà dar lus a nostras tierras, Y gustos a nostros padres. Mar. Sempre con Baldassarre Hò hauuto simpatia. Oh come i miei tormenti Hora cangio in contenti? Oh fratello bramato, ecco ch'è giunto L'hora, ch'insiem faremo del pan'vnto. Meo. Oh quel, ch'io vedo, e sento? Oh quel, ch'appresso miro? Di star meco del pari, O Baldassar, vi sia Autorità concessa; Prencipe io di Marocco, e voi di Fessa. Signor Cognato caro, Del Principato mio vero contento, Io hò tant'allegrezza, Che non hebbi già mai meggior tormento. E fra tanti disturbi A noua cosi cara Mi congratol'con voi, o Principessa, Prole accoppiata del Regno di Fessa. Spesso vien, che si veda, Ch'il male nasce, perche il ben succeda: Bald. Y, iò m'altegro mas de vos Cognado, Mi parentes costumbrados, Puor puoder meghiorar lo estado vuostro; Che vuestro beneficios mereces muccio. Y io desio pagarlos; Voiste puede mandar de quel Reinos Puor secundas personas. Sarà vuestro seruitio conossido; Y como buen Cognado Mi obligacion pagada. Cro. Oh Paesa più grada de pan vnta, Oua comu star funga, Solir nascer' i Brincipo in vn punta. Mar. Prencipe in giorno di si gran contento Vorrei mi compiacessi d'vn piacere: Bal L'aghas lo, ch'ella chiere. Meo. Comanda pur, Marmotta, Ch'io farò quanto vuoi; Nè più fian differenze qui fra noi? Bal. Garbato Cauagliero puor mi vida. Mar. Voglio, che Filippetta Facci bandir dal regno di Marocco, Per ricompensa di quel, che mi fece, Quando, ch'Ancroia a te diede in mia vece. Meo. Hora, che Baldassarre Si scopre herede del Regno di Fessa, E si grand'huomo; è fatto mio Cognato. Si faccia quanto vuoi; fate bandire Filippetta dal nostro circuito, Ed habbia questo per suo ben seruito. Ed io per tanta gioia E l'hosterie rinuntio, ed i buffoni, E con Marmotta mia Ch'è capo di Marmotte, Io fedelmente voglio Passar'il giorno, e consumar la notte. Catorchia, e li medesimi. Cat. OH vè quà quanta gente radunata Bertuccia, ciè di nouo qualche cosa? Bert. Pur troppo ci è di nouo: si è scoperto Baldassarre fratello di Marmotta. Cat. Don Baldassarre, mi rallegro assai; Dopo i stenti tal'hor vengono i guai. Bal. E Io di vosta istè senor Catorchio. Mar. Prencipe, se ti piace, Vuò mandar per' Ancroia, e 'n vna gabbia La vuò metter per Cutta a cinguettare; E poi porre in vn'altra Il Tedeschino per vn Pappagallo. E con occasione de la nuoua Di Baldassarre in Fessa Mandarle tutte duoi al Padre mio. Bal. Oh bueno, oh bueno, oh bueno Che si mandeno in Fessa a nostros Padres. Meo. In di si lieto gratia non si nieghi. Lo scoprimento, c'hora Di Baldassar s'è fatto, Promettere mi puote Del Prencipe di Spagna anco l'amore. Si che per lui già veggio Le Prouincie del Mondo esser' vnite; E contra ogni ribello Fessa, Spagna, e Marocco Esser l'arco, esser l'asta, esser lo stocco. Mar. A Bertuccia si dia in ricompensa Del piacer, che mi fè con Baldassarre. Sposo Catorchia con vostra licenza. Meo. Se gli dia: mi rallegro con Bertuccia. Bert. Vi ringratio signore: oh Catorchino, S'eri vn Marte, ti vuò fare vn Martino. Cat. Io ringratio la vostra signoria: Catorchia sposo? oh Bertuccia mia? Bal. Y io al mi Croatto agho Magherdomo de todas la mis casas. Cro. Lee, salem ber ti, e ber mi Badrona; Mi Magerdoma? Hor si, che volir fare il Gentil'homa. Meo. Che si portin le gabbie. Anc. Che diauolo sarà? Io che la gabbia Fui di tanti vccelli, hor'ingabbiata Sarò da Meo. oh vè beneficiata? Meo; Che'l Tedeschin s'arresti, e non si parta. Ted. Che sarà di nouo anco per me? Meo. Il Tedeschin, per troppo cicalare, Sia messo in vna gabbia a suolazzare. Mar E ne l'altra si metta, olà, l'Ancroia, E sia vna Cutta, se già fù na Troia. Anc. Temeuo il boccalone, E m'han dato vna gabbia. Ted. Et io temea vna fune, E m'han dato per gratia vna prigione. Meo. A tutto il resto de la nostra Corte Cresco la prouisione; ed vn banchetto Per segno d'allegrezza a la reale Le vuò dar domatina a vn hospedale. Tra tanto a questi belli animaletti Se li balli d'auanti vna Ciaccona; E poi si manderanno al Rè di Fessa, Per spassatempo de la sua persona. E in questa festa mia Marocco, e Fessa riunita sia.

IL FINE.

SCenda quà, posi qui Strepitando il Cornacchione, Ed al suon del Nottolone. Ecco faccia il chi chiri chì. Ogni razza buscaina D'animali pennacchiuti De gli Vccelli la Regina, Delle bestie il Rè saluti. O' che scherzo, òche gioia. In gabbia è 'l Tedeschin porta brachiero, E gioca a la balorda con l'Ancroia. Questa a bianco, ed a nero; E quegli veste a verde, a rosso, e giallo; E l'vna è Cutta, e l'altro è Pappagallo. Che fai tù? che di tù, O statista Tedeschino, Tu non vali vn raperino, E sei peggio d'vn cù cù. O ritratto de' Bagei Cosi mutulo che fai? Canta mò, ch'in gabbia sei, La canzona del cucai. O che scherzo, o che gioia. E tu homai lungi và, Da stiuali robba frusta: Più di te l'Affrica adusta Brutta Scimia non haurà. Ed a te questa canzone Cantar s'oda ò vecchia Ancroia; Il disciogliersi in carbone, E' fin degno d'vna Troia. Oh che scherzo, o che gioia. Così suole auuenir A chi senno in se non habbia, In catena, o ver' in gabbia. Di sua vita i di finir. Per pastura, per beuanda A tai Mostri, ed a tai belue Serua l'esca de la ghianda, Si dia il suco de le selue. O che scherzo, o che gioia In gabbia è 'l Tedeschin porta brachiero, E gioca, a la balorda con l'Ancroia; Questi a bianco, ed a nero, E quegli veste a verde, a rosso, a giallo. E l'vna è Cutta, e l'altro è Pappagallo.

Questa sottoscritta canzonetta si canterà
nella fine del primo Atto.

LE Coppe in bastoni Cangiato hà Cupido. Fuggite Buffoni, Fuggite l'infido. Hà tolto il pennuto A vostri ardor vani In vece de l'arco la sferza de' Cani.

La qui sotto Canzonetta da Cantarsi nel
fine del secondo atto.

PIangete, o folli Amanti La forsennata spene, Ch'Amore è Dio di pene. E son'esca le gioie a duoli, e pianti. Nostra fede, Per mercede Hà tocco altro, che bolzoni; Hai, ch'ei l'arco vi mostra, e dà bastoni! Fuggite, o stolti homai D'vn'orbo, che v'offende, E sol busse vi rende, Il mentito gioir gli acerbi guai. Vi darà, Picchierà; Nè saranno più sferzate; Ma colpi di bastone, e piattonate: