MEMINI

MIA

ROMANZO

MILANO

GIUSEPPE GALLI, LIBRAJO-EDITORE Galleria Vitt. Em. 17 e 80.

1884

I.

Di provincia, questo sì, ma una casa colossale e delle ricchezze degne della storica nobiltà del nome; una casa come ce ne son poche ormai, mercè la sacra e rovinosa giustizia, cui dobbiamo l'abolizione dei privilegi di primogenitura.

E (incredibile ma vero) l'attuale capo della casa, Sua Eccellenza il signor Principe d'Astianello un bell'uomo sui quarantacinque anni, vedovo, con una sola bambina, non voleva saperne di rimaritarsi.

Non già che gli fossero mancati suggerimenti in proposito. Amici, parenti, chi aveva diritto a dar parere e chi non l'aveva, tutti battevan quella solfa. Gli parlavano continuamente di visetti adorabili, di doti cospicue, di educazioni finitissime, di alleanze sovrane. Egli non diceva di no, non sfuggiva la visuale dei visetti adorabili, non sprezzava le doti cospicue, lodava le finite educazioni, onorava le quintessenze di sangue bleu... ma, ecco qua: non sposava!

E però egli era severamente giudicato da un venerabile sinodo di nonne, di mamme e di zie, cui teneva bordone un coro, più timido ma non meno malcontento, d'interessanti vedovelle. Egli non parlava mai della defunta Duchessa; non pareva, nè era infelice. Era quasi sempre gioviale e di buon umore. Non era per nulla un santo padre del deserto, godeva largamente e pacificamente dell'esistenza. Non s'occupava di politica, ma se se ne fosse occupato sarebbe stato un conservatore feroce e un implacabile codino. Lo era bensì per conto proprio ed in casa sua, dove serbava gelosamente inalterate le costumanze e le tradizioni della famiglia.

In casa d'Astianello c'eran sempre state le razze di cavalli; orbene, egli continuava quell'abitudine, le razze ci sarebbero sempre, per l'appunto. L'estesa dei pascoli era immensa e colà nitrivano e sgambettavano i puledri delle cavalle ch'egli aveva ereditate puledre dal padre suo. Le razze di casa d'Astianello erano antiche e pregiate e costituivano una questione di dare ed avere non indifferente nonchè una delle più apprezzate vanaglorie della famiglia. Il Principe, a dirla qui fra noi, non se ne intendeva più che tanto, ma altri della casa se ne intendeva per lui e qualchevolta i suoi cavalli, buscavano il premio alle esposizioni ippiche. E allora che baldoria nella tenuta!

Il Principe amava parlare dei suoi cavalli. Specialmente quando qualche imprudente e zelante amico tentava intavolare, anche alla lontana, quel benedetto argomento del matrimonio. Allora sì che entrava in campo la scienza ippica. Il Principe prendeva a sfoderare le sue cognizioni in fatto d'allevamento. Apriti cielo.... S'intende piova, ma non tempesta. Ed era invece tempesta, ma così fatta, a chicchi così grossi, così innumerevoli che il povero interlocutore seccato a morte, stordito, assordato, non vedeva l'ora di battersela e alla prima interruzione, se la batteva senz'altro. Il Principe rideva e continuava... a non sposare.

Da qualche anno in qua il nerbo degli amici cospiratori aveva mutato sistema. Avevano detto: lasciamo fare al tempo. Ma il tempo passava senza recare sulle sue decrepite ali una seconda principessa d'Astianello.

Eppure il Principe aveva, a modo suo, amata moltissimo la sua povera moglie. E forse appunto per questo egli era ora così fedele alla memoria di lei e alla propria libertà.

Oltre a queste due sante cose, il Principe amava molto la sua bambina e il pensiero di darle una matrigna gli tornava odioso. Non già che vivesse molto con lei o che attendesse egli stesso alla sua educazione. Ma gli era caro veder bazzicare per l'ampio dei grandi saloni quel nonnulla di bambina, quella cosuccia bianca, delicata, soave, che non voleva saperne di crescere, che nello studio non faceva grandi progressi e non era nè impertinente nè spiritosa, ma che veniva su adagino, lentamente come uno dei fiorellini esotici della serra e che voleva tanto bene a lui. Gli era caro, quando saliva a cassetta per condurre il tiro a quattro, veder la ragazzina andare in estasi e contemplarlo rapita, come avrebbe contemplato un re, seduto in trono. Una sola cosa gli dispiaceva; che la sua Camilla (Milla per amore di brevità) fosse così timida e paurosa. E il bello è che essa non diceva mai: ho paura. Ma come diventava smorta quando cominciava il temporale come tremava quando suo padre parlava di metterla in sella; che sgomento nei suoi occhioni amorosi quando egli aveva la crudeltà di pretendere ch'ella assistesse in giardino ad un esercizio di tiro colla carabina Flaubert! Decisamente Camilla non aveva in sè la stoffa di un'amazzone. E il Principe, dopo essersene un po' stizzito, finiva collo scusarla, considerando che già.... veramente era un po' delicatina.

Ora anzi stava meglio di prima a furia di cure e d'aria d'Astianello, ma non era proprio il caso di tormentarla nè per l'ardire, nè per l'amore allo studio. Tutte cose che verrebbero poi a tempo debito. E se non verrebbero... nemmen più tardi... poco male!

Il Principe, un po' per gusto proprio, un po' per la bambina, passava buona parte dell'anno ad Astianello. Quella gran libertà della campagna, la sovranità assoluta ch'egli vi esercitava, si confacevano al suo carattere di feudatario benigno. Si sa; ogni tanto una scappatina o a Parigi o a Torino, o a Firenze per rifarsi un po' della solitudine. Bene spesso un'invasione d'amici alla villa; qualche grande caccia che vi riuniva delle gaie brigate, occasioni gradite d'esercitare una ospitalità larga, franca, veramente opulenta nella stessa sua semplicità. Nessun cerimoniale, s'intende, nessun sussiego, tutto schietto, alla mano, un po' all'antica, abbondanza eccessiva, una buona dose di sperperi e d'abusi, ma lieta anche questa, quasi consacrata dall'abitudine e dalla gratitudine. Una moltitudine di persone di servizio, per far poco o nulla, ma per scialare allegramente alle spalle del padrone che ignorava molto e tollerava assai, ed era oggetto, da parte di quanti se la godevano alle sue spese, d'una specie di culto, grossolano forse, ma se non altro sincero.

La villa era bellissima, vecchia, ma d'un'architettura già emancipata dallo stile greve e freddamente monumentale del più delle sue contemporanee. S'alzava in mezzo al giardino su un rialzo di terreno che componeva una vasta spianata tutta coltivata a fiori. Di fronte alla facciata principale, si stendeva un viale di antichi ipocastani che facevan capo ad un'ampia cancellata e all'entrata della villa. Il viale costeggiava a destra il vastissimo fabbricato delle scuderie, a sinistra il giardino.

I fabbricati rustici dipendenti dalla villa, rimanevan colati dietro un folto boschetto di cipressi e celavano alla lor volta l'immediata vicinanza delle prime case del villaggio. Ond'è che bene spesso, un contadino, di ritorno dai campi o che avesse premura, si metteva francamente pel viale e passava rasente alla villa senza che nessuno ne facesse caso. Il cancello d'entrata era sempre aperto durante il giorno. Il giardino era, come dissi, ricchissimo di fiori. Sulla spianata, a ridosso della facciata principale, una doppia gradinata, bipartendosi lateralmente da una fontanina, saliva, sino alla terrazzina del primo piano, mettendolo così in comunicazione diretta col giardino. Quelle due scalinate avevano una fisonomia gentilmente teatrale d'idillio, colle loro barocche ringhiere ammantate da fitte diramazioni di rosai, di serenelle, di caprifoglie; era come un'invasione di fiori, intenti a dar la scalata alla casa.

Peccato che la finestra del terrazzino fosse sempre chiusa!

Dietro c'era una bellissima stanza da letto, tutta parata in raso celeste. Quella era la camera matrimoniale del Principe e la Milla v'era nata ma egli non ci metteva mai piede, nè permetteva che alcuno l'abitasse.

Milla dimorava in un'altr'ala della casa. Aveva anch'essa uno stanzone grande e ricco e il suo piccolo lettuccio pareva ancor più piccolo in quella severa vastità d'ambiente. Ma, come a correggere l'esiguità di quel lettuccio di bimba, accanto a questo s'accampava maestoso l'ampio letto ove stendevansi pudicamente ogni sera, l'ossea carcassa e le forme allampanate della rispettabile Miss Rhoda Spring, la governante inglese della Principessina. A dire vero, Miss Spring non faceva grande onore al suo poetico nome. La primavera di quella degna signora era da più anni compiuta ed era difficile persino il ricordo delle mammolette e del ritorno delle rondini davanti a quella formidabile persona, così maestosamente, così intrepidamente brutta. Con tutto questo Miss Spring era un angiolo insulare di zitellona, buona, ingenua, candidissima; ma nel villagio e nella tenuta non godeva le simpatie dell'universale. Abituati a stimare altamente le razze di cavalli inglesi e a pregiare sovra ogni altra, le puledre venuto dall'Irlanda, quella brava gente non poteva capacitarsi come una compaesana, per esempio, di Lady Rowena (quella famosa morellona che aveva portato via il premio all'Esposizione di Roma) potesse essere così brutta, e avere dei piedi cosiffatti, e una faccia smorta, che pareva il muso d'una cavalletta. Il male era che, per l'appunto, il Principe aveva scritto a un suo amico a Dublino di mandargli una cavalla così e così. Infatti avevano viaggiato, si può dire, di conserva, ma, giungendo, non avevano incontrato per nulla lo stesso aggradimento. Il che non vuol dire però, che non avessero entrambe fatta, ciascuna a modo suo, eccellente riescita: Rowena era l'idolo della scuderia, e Miss Spring era l'idolo di Camilla.

A dirla schietta, non ci voleva poi gran che per diventare l'idolo della Milla. Il suo cuoricino di bimba aveva un grande bisogno di voler bene.

E in quella baraonda di casa, fra quell'andirivieni di gente, esclusivamente occupata di cavalli e dove l'elemento femminile non era rappresentato che dalle guardarobiere o dalle mogli dei fattori e dei palafrenieri, una donna che si occupasse della bambina, che le usasse certe cure, doveva, senza fallo, occupare un posto importante nell'animo suo. Milla poi aveva un benedetto carattere.... Si affezionava presto, con un grande ardore, che durava, nutrendosi del proprio elemento, esaltandosi, raffinandosi, facendosi sempre più scevro d'egoismo. Oh! come aveva amata quella zoticona della sua balia, rimastale vicino sino a che ella avesse raggiunto il settimo anno! Che pianti, che disperazione quando dovette lasciarla! E ora, ecco, il suo amore era Miss Spring!

Certo; Miss Spring era proprio una buona donna, e anch'essa s'era affezionata assai alla Milla.... Credeva in piena buona fede di far l'educazione di quella creatura.... darling Milla! Ma in realtà darling Milla si educava da sè sola, colla dolcezza infinita, soave del suo carattere, col suo ardente bisogno di voler bene. Non faceva immensi progressi nello studio, era molto timida, e non era punto furba; ma questo cosa importava?....

Il signor Principe aveva raccomandato di non seccarla troppo, povera piccina, con tutte le storie in ia...; non si curava affatto d'aver una bambina prodigio, e d'altronde era di parere che una donna ne sà sempre abbastanza. Ond'è che Milla passava sole poche ore del giorno nel salotto così detto di studio, e quando il tempo lo permetteva, lei e Miss Spring vivevano all'aria aperta, a passeggio o in giardino. Anche il medico aveva suggerito di far così; e realmente, nulla poteva tornar più giovevole alla salute della bambina. Miss Spring prediligeva l'ombra fitta e fresca degli ipocastani; a mezzo il viale, dal lato del giardino, il Principe aveva fatta fabbricare una specie di capanna rustica con dei banchi e qualche seggiola, e questo era il quartier generale della governante e dell'allieva. A destra, a capo al viale, la casa; a sinistra, in fondo al viale, il cancello sempre aperto; dietro il giardino; davanti, il muro basso, rossiccio, interminabile delle scuderie.

Quanta gente ci viveva su quel lusso delle scuderie! L'allevamento era una fonte continua di prosperità e di guadagni per la popolazione di Astianello, e quasi tutte le braccia valide vi trovavano sicuro impiego. E come andavano superbi di appartenere alla tenuta del signor Principe! I cavallanti, poi, in ispecie formavano quasi una corporazione privilegiata, dove la successione si trasmetteva di padre in figlio. Avevano la riputazione d'essere esperti, arditissimi, anche un po' temerari, se si vuole. Li chiamavano i diavoli d'Astianello, ed essi erano lusingatissimi della loro denominazione e si sforzavano di farle onore, cavalcando sempre di carriera, portando il berretto in un modo speciale e usando un certo linguaggio, pittoresco all'estremo, che strappava degl'innumeri shocking! dalle labbra smorte di Miss Spring. Ma i cavallanti, forse perchè non capivano il pudico valore di quella parola, non ristavano dall'infiorare i loro discorsi di quelle energiche locuzioni. Era un'abitudine, un vezzo come un altro; probabilmente essi eran persuasi che ciò contribuisse assai al chic della professione. I più giovani naturalmente esageravano questa pretesa; tra i ragazzi poi, i cavallantini in erba, era una cosa terribile. Bisognava sentir Drollino, per esempio! Era per l'appunto il ragazzo più taciturno della tenuta; ma le poche parole che diceva eran tutte moccoli.... proprio tutte!

Che tipo curioso quel Drollino! Veramente si chiamava Pietro, ed era figlio d'uno dei più bravi cavallanti della tenuta. Le consuetudini del dialetto della provincia avevano alterato il suo nome, allungandolo: ne avevan fatto, Pedrolo. Senonchè, per distinguerlo dai molti altri Pedroli e dal padre stesso, che si chiamava pur egli così, il nostro Pedrolo diventò Pedrollino; poi, per abbreviare, si disse Drollino. Egli portava bene quel nome spiccio. Era un ragazzeto sui dieci anni, magrissimo, con una faccia fina, piccola, espressiva, abbronzata dal sole ardente dei pascoli. Sua madre era morta nel darlo alla luce, ed egli, che non amava la matrigna, non voleva saperne di stare in casa... era sempre a zonzo pei pascoli, col padre suo o solo. A scuola non ci voleva andare; veniva su alla libera, ignorante come un ciuco, di tutto ciò che non fosse cavalli. Con questi, si sa, pane e cacio; ed egli preferiva assai trovarsi in mezzo ai puledri che coi compagni suoi. Cavalcava già, con destrezza mirabile. Il male era che s'affezionava tenacemente agl'individui della razza, e, se accadeva la vendita di qualche pariglia o di qualche allievo del quale egli si fosse personalmente occupato, considerava quella misura quasi come un insulto personale, digrignava i denti, bestemmiando come un Turco e per più giorni batteva la pianura come un zingaro. Poi l'amore pei cavalli lo vinceva e la pecorella tornava all'ovile.

Ragazzo com'era aveva già una salda esperienza del suo mestiere; ne sapeva quasi tutte le malizie; ciò che piace ai cavalli e ciò che dà loro ai nervi. Era un po' prepotente e quando imbizzarriva, tirava calci e mordeva. - Mi spiace a dirlo, ma temo che Drollino non avesse sulle parole tuo e mio delle nozioni d'una precisione matematica. Il frutteto riceveva spesso qualche sua visita notturna e il giardiniere trovava sempre mancanti all'appello certi limoni acerbi ch'egli contava spesso con una cura piena di speranze. E Drollino amava molto i limoni acerbi... Ma non si lasciava mai cogliere sul fatto. Con tutto ciò era un ragazzo simpatico... aveva certe qualità indicatissime pel suo mestiere. Oltre ai cavalli adorava il suo padrone. Gli rubava i limoni è vero, ma per lui si sarebbe fatto ammazzare, quando occorresse. Per Drollino il possessore di tutti quei cavalli, di quella tenuta immensa non poteva essere un uomo come gli altri. Era maestà infinita, senza pari. E quando pensava che, se il padrone non si rimaritava, tutta la tenuta, la villa, lo spazio immenso delle campagne apparterrebbero un giorno a quella creaturina vestita di bianco che giocava nel viale, la bambina assumeva ai suoi occhi un aspetto fantastico; diventava un essere straordinario anche lei, come una specie di deità, destinata a uno splendore incomparabile di avvenire. In quello, al povero Pedrolo, il padre di Drollino, accadde un brutto caso. Un puledro mal domo, ch'egli stava governando, gli sferrò un calcio terribile nella coscia. Il poveretto ebbe a restare coricato per quaranta giorni e quando s'alzò s'avvide con immenso dolore d'essere ormai irrimediabilmente sciancato! Si trattava dunque di rinunziare ai cavalli. Che colpo per il povero cavallante.... non poteva crederci, non sapeva rassegnarsi! Ma il Principe impietosito seppe assicurargli un posto che, da un lato almeno, tornava consono alla vocazione del ferito e alle sue attuali condizioni di salute. Lo fece portinaio delle scuderie coll'alloggio accanto a queste. Pedrolo non governava più i cavalli liberi, ma vedeva gli altri, li udiva, poteva passeggiar tutto il giorno arrancando colla sua gamba storpia nei pressi della scuderia. Drollino naturalmente aveva seguito il padre nella sua nuova dimora.

Ma con quanto dispiacere! Scappava laggiù ai pascoli tutte le volte che poteva; ma pure ogni tanto gli toccava star in casa! Almeno se avesse potuto lavorare in scuderia! Ma i palafrenieri e i cocchieri non eran punto teneri pei cavallanti; ed i mozzi erano in continua lite con quel ragazzotto insolente, facevano apposta a non lasciarlo giungere sino ai cavalli, lo canzonavano quando egli pretendeva dar pareri.

Drollino si rodeva (forte dei suoi bricioli di esperienza), del suo acuto istinto d'osservazione. Pensava a fuggire definitivamente. Aveva un certo progettino; voleva, un giorno o l'altro, rubare un cavallo e poi scappare, andarsene nella pianura illimitata. Capiterebbe Dio sa dove, ma intanto avrebbe un cavallo suo, proprio suo, tutto suo! Cristo!... che cosa!.... avere un cavallo suo!

Quando Drollino non ardiva allontanarsi soverchiamente dalla casa nuova gironzava pel giardino e bene spesso scavalcando un muricciuolo, capitava nel viale. E così fu che s'imbattè varie volte colla Milla occupata ad ammonticchiare le castagne d'India, cadute dagli alti piantoni. Dapprima, sgomentato, fuggiva come se vedesse la versiera; poi s'era fermato a guardare, poi un sorriso della Milla gli aveva dato il coraggio di fare un passo avanti, poi avevano scambiata qualche parola e avevano finito col mettersi a giocare assieme. Miss Spring sulle prime aveva mossa qualche obiezione; poi, vedendo che il ragazzo si conduceva bene e che le sue letture riescivano meno interrotte dacchè Milla aveva un compagno, finì per permettere che il fiery boy giocasse colla padroncina. Essa lo chiamava così: «ragazzo ardito»; e in fondo non le dispiaceva. D'altronde, come il più delle sue connazionali, aveva nel sangue un po' di mania di proselitismo e le era balenato nell'animo che in quel ragazzo indomito ci fosse qualche cosa di convertibile. E se Milla, come quell'angelica Evelina della Capanna dello zio Tom, fosse destinata a ricondurre sulla buona strada il fiery boy e farne per lo meno un tetotaller?... I tetotaller.... erano il sogno di Miss Spring. Essa aveva molta fede, molta immaginazione e i moccoli di Drollino nascevano così fitti, così smozzicati fra i denti, che la credula governante, udendoli, non li capiva e sorrideva benevolmente osservando quanto i nostri differenziano dai dialetti della sua nativa natura e verde Erinni.

Certo è che i moccoli di Drollino erano d'una specie affatto particolare. Li pronunciava a mezza voce, con un tono secco, stridente, come se masticasse dei bottoni di porcellana. La Milla però li capiva e se Miss Spring non era vicina lo sgridava. - Ah! Drollino! non sta bene! - diceva con un'aria patetica di rimprovero.

E Drollino a furia di sentire quella vocina dire che i moccoli non stanno bene cominciò ad arrossire ogni volta che, per caso, gliene sfuggiva detto uno. Non già che non fosse stato mosso qualche appunto al suo linguaggio, anche prima; ma chi gli faceva queste osservazioni gliele faceva a suon di ceffoni e di tirate d'orecchio ed egli trovava più comprensibile il linguaggio di Milla.

l'avrebbe creduto capace. Le compose un'altalena, e le rimproverò la sua dappocaggine e la sua paura dei cavalli. Le portava degli uccellini semivivi, dei gatti d'una magrezza incredibile; una volta le portò persino una marmotta, ancor mezzo addormentata. Essa serbava spesso per lui qualche dolce del desinare. Allora Drollino, che era fiero e non voleva mangiare i dolci a ufo, le recava delle pesche stupende rubate per lei con somma maestria e non lieve pericolo, dal frutteto stesso della villa. La bambina, complice innocente, mangiava con piacere le frutta proibite! Invertita, ma pur sempre la scena eterna di Adamo ed Eva!

Il Principe aveva visto più volte sul viale i due piccoli compagni di gioco, ma la cosa non gli fece la minima impressione. Trovò anzi che era naturalissimo. E lo era infatti, col sistema e le abitudini quel tempo in cui egli pure era stato bambino!

Drollino giocava molto e parlava poco. Ma ora che era proprio in confidenza colla Milla gli veniva fatto ogni tanto di accennare alla sua grande, indomabile passione, i cavalli. Oh come rimpiangeva l'epoca anteriore alla disgrazia di suo padre! - Oh se sapessi, Milla.... cos'è!... - S'animava narrando le gioie della vita libera, le voluttà delle corse sfrenate in groppa ai puledri vellosi! Oh! se l'avesse lui.... un cavallo! Ma lo avrebbe voluto piccolo, appena nato, per poterlo domare, educare.... Suo! suo! suo!... gli occhi gli scintillavano d'entusiasmo.

Un giorno capitò sul viale come un uragano.

- Oh Milla! se sapessi! è nata or ora.... lì in scuderia.... da Rowena.

- Chi?... - chiese innocentemente la bambina.

- Una puledrina!... Se la vedessi! dicono che sarà una meraviglia. È grande così, guarda, come Lupo, il mastino di guardia! Se fosse mia, ah Cris....

Si fermò perchè Milla faceva un visino scandalizzato.... Alzò le spalle, con un atto sprezzante poi, di volo, ritornò verso la scuderia.

Ci stette tardi, sin che potè.... sinchè il mozzo di guardia non lo mandò via minacciandolo d'una pedata. Implorò di poter passare la notte, lì sulla paglia, accanto alla neonata. Ma invano. In scuderia, passate le dieci, non potevano rimanere se non le persone addette al servizio notturno.

Uscì agitatissimo, con un desiderio febbrile di tornare là dentro. Non poteva spiccarsi dai pressi della scuderia. Ronzava continuamente attorno all'uscio serrato, correva di qua e di là, assorto nel pensiero che tutto lo dominava; aspettando impazientemente l'alba che gli avrebbe agevolata l'occasione di tornare in quel paradiso perduto e di cacciarsi in un cantuccio. Oh! non importa dove, pur che fosse là, vicino al box, dove Rowena collo sguardo stanco memore del male sofferto e fatta ancor più intelligente dalla recente maternità, fissava la piccola bestiolina pelosa che ancora non sapeva reggersi in piedi.

Così venne la mezzanotte.

Era un tempaccio tempestoso: una luna color di sangue acceso battagliava con una irosa schiera di nuvoloni plumbei, che la volevano affogare. Lontano lontano, in un denso nereggiamento dell'orizzonte, si susseguivano, con un brontolìo cupo e prolungato, tre o quattro voci di tuoni, intesi a soperchiarsi l'un l'altro. A un tratto, in mezzo a una folata di vento che passava, soffocata rasente al suolo, Drollino sentì poco lungi un certo fischio sommesso, che col vento non aveva nulla a che fare.

- Cosa sarà? - disse il ragazzo insospettito ma senza paura. Era già nell'ombra; vi rimase, anzi s'ingolfò meglio nel buio, passando dietro una gran macchia di ortensie e coll'acutissimo sguardo prese a indagare, per quanto gli riesciva, il vasto sfondo del viale. Non andò guari che un secondo fischio, ma stavolta appena percettibile all'udito, gli giunse da quella direzione. Poi vide confusamente un gruppo di due o tre persone camminare lente, con somma cautela, verso il fianco settentrionale della villa.... dove per l'appunto si trovavano le dispense e i tinelli della servitù. Drollino indovinò che quella silenziosa comitiva erano ladri.

Non si sgomentò, non smarrì nessuna delle sue facoltà. Senti un'acre gioia di averli veduti, di potere sventar i loro progetti. - Ah! birbanti! - pensò con trasporto.... - or ora vi servo io!...

Svoltò l'angolo della villa, si mise pel fossatello, e, scivolando come una serpe per l'erba agitata dal vento, fu in un lampo alla corte rustica. Svegliò il fattore, un vecchio animoso, che alla sua volta destò e fece armare frettolosamente cinque o sei dei più arditi famigli. Guidata da Drollino, la piccola comitiva avviata a sorprendere i malviventi si recò nel luogo accennato dal fanciullo. Allorchè vi giunse, i ladri, che non si erano ancor avveduti di nulla, erano già intenti a smovere l'inferriata d'una delle finestre a terreno, in faccia ad un corritoio che metteva capo al tinello, dove alla sera si rinserrava l'argenteria.

Drollino capitanò la schiera dei famigli sino al riparo d'una vicina macchia d'oleandri; poi si spinse solo, strisciando come un rettile, finchè giunse quasi accanto ai ladri. Allora si voltò, accennando ai suoi di farsi avanti. Ma in quel momento volle fatalità che la luna, liberandosi inaspettatamente dalle nubi, piovesse sul mistero muto di quella scena una viva striscia di luce mercè la quale il viso da zingaro di Drollino e la sua mano alzata a far cenno, riusciron visibili ai ladri.

Questi, lasciata sul momento l'inferriata, si diedero a fuggire precipitosamente. Allora, nel silenzio della notte, si sentì, acuta, stridula, rapida come lo scoppio d'un razzo, la voce di Drollino che mandava il grido d'allarme «Ai ladri!» E gridando, s'era lanciato su quello dei malfattori che gli stava più vicino e gli si era appeso ad un braccio facendosi, nella fuga precipitosa di colui, trascinare come un peso morto. Il cane di guardia abbaiava a squarciagola, i contadini inseguivano correndo; s'era alzato un baccano incredibile.

A un tratto si vide un lampo, s'udì uno sparo, cui tenne dietro un grido acutissimo. I fuggitivi erano incalzati da vicino, ma due di questi riescirono a porsi in salvo; il terzo, quello a cui s'era avvinghiato Drollino, e che per isbarazzarsene gli aveva sparato addosso un colpo di pistola, fu preso. Ma il fanciullo giaceva inerte sul terreno.

Non morto però, nè moribondo. La palla s'era acquartierata in un polpaccio rispettando le ossa. Gli venne estratta la notte stessa ed egli rimase l'eroe incontrastato dell'avventura.

Il Principe venne a trovarlo nello stanzino del portinaio; s'accostò al letto, disse un sonoro «bravo», e cacciò la mano sotto il lenzuolo per sentire il parere del polso. C'era un po' di febbre, naturalmente, ma nulla di grave.

L'eroe era debole assai, ma grato, superbo di aver meritato tanti onori e sopratutto una visita del Principe. Al padre che gli chiedeva più tardi se nel momento terribile non avesse avuto paura, rispose coscienziosamente di no. - Cioè - corresse un momento dopo - ho avuto paura di due cose: che mettessero fuoco alle scuderie e che destassero la signorina Milla!

Rimase a letto per una ventina di giorni. Il Principe non s'era accontentato dell'elogio fattogli in quella notte memorabile. Mandava ogni giorno a prender sue notizie e volle che fosse per tutto il tempo della malattia nutrito a spese della casa. Poi un bel mattino, quando seppe che era proprio guarito, lo mandò a chiamare.

Drollino venne subito accompagnato da suo padre. Era ancora assai debole; il sangue perso e quei venti giorni di letto l'avevano infiacchito assai; era magrissimo e aveva le labbra smorte. Il cuore gli batteva forte e le gambe gli tremavano un poco mentre attraversava la lunga infilata delle sale a terreno. Il Principe stava ad aspettarli nel salotto chinese e vicino a lui c'era Milla vestita di bianco come al solito, coi begli occhioni azzurri spalancati, per contemplar meglio l'eroe di quella misteriosa nottata.

A dir vero, siccome essa dormiva placidamente quand'era accaduto tutto quel tramestìo, non sapeva bene cosa fosse stato; ma dai discorsi di Miss Spring, entusiasta del fiery boy, s'era capacitata che Drollino aveva fatto qualche cosa di straordinario. E perciò lo guardava ammirata, un po' impaurita forse da quella magrezza e da quel pallore eccessivo.

Il ragazzo non era punto vanaglorioso in quel momento; tremava e avrebbe voluto essere altrove; il Principe gli faceva animo parlando in tono scherzoso del fatto; chiedendo particolari. Ogni, tanto il padre metteva bocca anche lui e Milla guardava, guardava.

- Milla - disse a un tratto il Principe, con una serietà affettata, - e tu non dici nulla a questo tuo compagno che è stato così coraggioso? Orsù, fagli i tuoi mirallegro.

Pare che i mirallegro non fossero il forte della bambina; stava lì attenta, immobile, senza parlare. Poi, a un tratto, stese timidamente una manina, che Drollino non accennava per nulla di prendere.

- Ho capito - disse il Principe, ridendo. - Tu, Drollino, vieni qua e tu, Milla, falla finita e dagli un bacio.

Drollino, il coraggioso! non era più pallido; era rosso rosso, e non si moveva. Fu dessa a moversi, ad andargli incontro sorridendo, cercando, colle labbruzze strette, riunite all'insù, le labbra pallide del fanciullo, che, vergognandosi, si schermiva. Le trine del candido abitino di mussola si gualcivano al contatto della rude fustagnina di Drollino.

Miss Spring, presente a quella scena, stava perplessa fra uno shocking e un darling; ma il Principe rideva di gran cuore. E il bacio, un po' per amore, un po' per forza, fu ricambiato.

- Oh! - disse il Principe - così va bene. Ma ora è giusto che abbi, oltre a questo, un compenso più duraturo. E voglio lasciarne la scelta a te. Dì su, ragazzo, cosa vuoi?

Sulle prime Drollino parve non capire. Poi, quand'ebbe afferrato il senso della frase, quando capì che forse potrebbe ardire, ardire assai, si fece di bragia, gli occhi gli scintillarono in fronte, sulla sua mobile fisonomia si dipinse l'ansia d'un supremo desiderio.

Ma non seppe parlare.

Non gli riesciva.... l'idea della sua ambizione lo atterriva.... No, no.... era impossibile.... era impossibile.... era troppo.

Il padre, cogli sguardi, col gesto, gli faceva animo; ma egli non guardava suo padre e respirava a stento.

- Orsù, disse il Principe impazientito - hai capito di parlare? vuoi farmi star qui tutta la mattina?

Drollino non aveva certo una così perversa intenzione; si sforzava, poveretto, a parlare; ma la parola strozzata dall'inquietudine, gli moriva in gola.

- Papà - disse timida, ma pronta, la bambina, tirando la manica della giacchetta indossata dal padre - vuoi che te lo dica io... cosa desidera Drollino?

Il Principe si mise a ridere.

- Tu?... ma cosa vuoi sapere tu, pettegolina che sei?

Essa non si offese. Insistette, armeggiando in siffatto modo colle manine che il Principe dovette chinarsi e ascoltare le sue sommesse parole.

- Vuole la puledrina di Rowena, quella che era appena nata quando successe la storia....

- Oh! - rispose forte il Principe, alzandosi e squadrando Drollino con un fare canzonatorio... - Vuole la puledrina di Rowena, eh! questo monello!

Drollino tremava come una foglia. Ecco che l'avevan tradito! E ora.... lo caccerebbero di casa, naturalmente, per punirlo di aver osato tanto.

Ma il Principe non parlò di scacciarlo. Trovava quell'ambizione un po' audace, ma giusta. Non si adirò per nulla, e, dopo essersi divertito un momento delle visibili angoscie del ragazzo, le troncò d'improvviso, dicendo che avrebbe dati lui stesso gli ordini necessari perchè la puledrina gli fosse consegnata.

- Ma - soggiunse - ci hai pensato bene? Non vorrei poi che nelle tue mani quella povera bestia....

Non finì; s'avvide che ogni raccomandazione era superflua. La faccia di Drollino sfolgorava. Egli non seppe ringraziare nè il padrone, nè la Milla; ma da questa a quello scoccò rapidamente uno sguardo impetuoso, esaltato. Volle bensì parlare, ma proprio non gli venne fatto. E il Principe rimase contento, e disse a Milla ch'era una cara pettegolina, e che, giacchè sapeva indovinar così bene, più tardi sarebbe riuscita a condurre suo marito pel naso.

La Milla non capiva bene la profondità di questa frase, ma non ardì chiedere altro. Rimase contenta anch'essa, benchè le toccasse d'avvedersi, fra non molto, di non averci punto guadagnato personalmente, colla sua intercessione fortunata. Drollino, dacchè aveva la puledra, trascurava Milla indegnamente, era sempre in scuderia, e non scappava più a giocare sul viale, all'ombra degli ipocastani.

- Che bestia! - disse, la sera dopo, un vecchio stalliere ad un camerata. - Chiedere una puledra, mentre avrebbe potuto farsi una sorte! Ma già, è sempre stato un disperato colui! E ora, cosa fa?

- Oh! - rispose l'altro, mutando quartiere alla sua cicca - è in scuderia, da ier sera, Non è uscito neppur pel desinare, e seguita a ripetere: «è mia, è mia!»

- Dovrebbe chiamarla Mia! - disse burlando lo stalliere. - Domani glielo dico.

- Perchè no? - rispose fieramente Drollino, quando udì quella proposta, fatta in tono di scherno. - È mia! sapete?

- È matto, - dissero ridendo i mozzi e gli stallieri. - Ma la puledrina aveva un nome ormai.

E, prima per chiasso, poi sul serio, venne chiamata così.

La neve cominciò presto quell'anno, e Astianello prese un'aria malinconica, nella campagna, fatta brulla dal verno. Le caccie eran finite, le brigate disperse; i cavalli dovevano esser ferrati a ghiaccio, il casone non era guari riparato dal freddo, e il Principe si annoiava.

Ma, benchè si annoiasse seriamente, non gli passò neppur pel capo di prender moglie. Bensì gli venne in mente d'andare a passar l'inverno a Parigi.

D'altra parte, era ormai tempo di mettere la Milla in collegio. E il collegio c'era, bell'e pronto. Un austero convento, celebre come educandato, e dove delle monache aristocratiche insegnavano un monte di belle cose a una falange non meno aristocratica di signorine. Il convento era a Torino, e quella santa regina di Maria Adelaide, quand'era viva, ci andava di frequente. La superiora era una cugina in secondo grado del Principe. Milla non poteva esser meglio raccomandata, nè completare, sotto auspici più favorevoli, l'educazione iniziata dalla povera Miss Spring. Affrettiamoci a dire che Miss Spring aveva in vista, per consolarsi del dolore di quella separazione, l'immediato avvicinarsi d'una: sacra alleanza con un coraggioso, ma non estetico, ministro della chiesa anglicana. L'intrepido brittanno, a 65 anni, sposava Miss Spring. Ma la Milla, che non era provveduta di siffatte prospettive consolanti, non si poteva dar pace di dover lasciare il padre, Astianello e il suo amore irlandese. Di tutto le rincresceva, persino di Drollino. Era proprio sconsolata, quando ci pensava. E ci pensava spesso... così bambina com'era....

E in paese, che dispiacere per tutti... I padroni andavano via... davvero?... Il Principe sarebbe tornato a primavera, ma la bimba no; andava in un convento lontano, e non sarebbe tornata che dopo varii anni. La fattora lagrimava, la giardiniera anche lei, la guardarobiera aveva gli occhi rossi... tutti dicevano: «Va via la nostra signorina,» con un'aria triste, sinceramente triste....

Bisognava vedere quanta gente s'era riunita in corte, sotto il portico, appiè dello scalone, la mattina della partenza, mentre in scuderia si rivestivano dei finimenti i cavalli che stavan per essere attaccati al landau. E la piccina, avvolta nel suo mantellone foderato di pelliccia, col visino mezzo smarrito nella felpa bianca della cappottina da viaggio, coll'aria confusa, cogli occhi rossi, riceveva con affettuosa gratitudine quei saluti, quegli omaggi, e andava ripetendo: «Addio, arrivederci, grazie,» colla voce proprio commossa. A un tratto le si fece davanti il suo compagno di gioco, Drollino!

Anch'egli aveva la faccia malinconica. Sulle prime pareva che volesse dir tante cose; ma poi si morse le labbra, e disse solamente: «Buon viaggio.»

- Addio, - disse affettuosamente la Milla. E togliendo dal guantino una manina, microscopica nel suo guanto di flanella bianca, gliela porse. Egli non la baciò; la prese un momento fra le sue; poi non si ricordò neppure che avrebbe potuto stringerla, e la lasciò andare.

I due bambini si guardarono un momento in silenzio, con una certa voglia di piangere; soli, avrebbero pianto... forse...

- Ricordati! - disse subitamente Milla.

Egli si fece rosso, e scosse energicamente il capo. No, non le avrebbe dette più quelle brutte parole.

Si compresero, e sorrisero.

- Salutami Mia... - continuò gravemente la bimba.

- Vieni Milla, - chiamò il Principe. - È attaccato.

Drollino si mise a correre disperatamente lungo il viale. Giunse al cancello, trafelato, ma in tempo per vedere a passar la carrozza... per gettare nell'interno di questa uno sguardo profondo. Dietro il cristallo alzato, si vide per un secondo una manina bianca che salutava. L'agente, che era anch'esso venuto sin lì, prese per sè quel saluto, e scappellò profondamente. Era molto lusingato, e Drollino, accanto a lui, teneva dietro collo sguardo alla carrozza, che si faceva già piccina piccina sulla neve della strada.

Stavolta gli onori e i rimpianti della partenza erano stati tutti quanti per Milla, che non sarebbe tornata più per tanti anni. Il Principe aveva detto gaiamente: «Arrivederci questa primavera,» e nessuno s'era creduto in obbligo di commuoversi per lui. Pure l'assenza sua doveva essere ben più lunga di quella di Milla, doveva prolungarsi sinchè i mesi diventassero anni, gli anni secoli, e i secoli eternità. I suoi agenti, i suoi cocchieri, i suoi cavallanti l'avevano veduto per l'ultima volta. Morì a Parigi, sul finire dell'inverno, d'un malore acutissimo, mentre la Milla, nel suo grandioso e signorile convento, cominciava ad abituarsi a quella vita di reclusa, a farsi adorare dalle sue compagne, e a innamorarsi perdutamente della superiora, di sette suore, di due converse e di quattordici compagne, e parlava di farsi monaca per star sempre con loro.

E così avvenne che, per otto anni seguiti, la grandiosa villa rimase chiusa. Invano, nel giardino ridente, i fiori olezzarono instancabili; invano nella serra maturarono gli ananassi; invano l'allevamento equino diede lietissimi risultati. Nessuno venne ad abitare quelle camere, sempre chiuse, coll'atmosfera greve d'un odore di muffa e di tarlo. Gli agenti soltanto andavano e venivano per conto dell'attuale proprietaria di tutte quelle immense ricchezze; e questa era un'educanda umile ed affettuosa, che non sapeva nulla del mondo e della vita, e aveva un cuore grande grande, grande, e una statura piccina, piccina, piccina....


II.

- Ouff! - disse il Duca Giuliano, uscendo dal boudoir di velluto color pesca a garofani di raso granata - ouff!... La signora di Rèmusat, nelle sue agro-dolci Memorie del primo Impero, ci narra come Napoleone si divertisse un giorno a mistificare crudelmente alcuni dei suoi più intimi cortigiani, chiedendo loro cosa direbbe il mondo s'egli, l'Imperatore, avesse a scomparire d'un tratto. E nell'imbarazzo generale che susseguì a quella domanda, la risposta suonò repentina, dalla bocca stessa che aveva posata la questione: - Sapete cosa direbbe il mondo?... direbbe: ouff!...

Ora, date le debite proporzioni fra l'impero di un Bonaparte e quello di una brillante Baronessa, può essere che l'ouff di Giuliano rappresentasse del pari un sospirone di sollievo. Può essere che egli avesse preventivamente desiderato di lanciarlo così ai quattro venti; può essere che, entrando schiavo in quel tepido gabinetto, egli avesse in animo d'uscirne libero; può essere che la perifrasi gentile, destinata a velare l'odiosità d'un «basta,» fosse stata detta da lui e non da lei... A malgrado però di tutte queste supposizioni, è cosa positiva che il duca Giuliano si fermò un momento nell'andito-serra, e rimase immobile accanto a un grande arum. Si fermò coll'orecchio teso, coll'occhio attento, come aspettando. Un minuto completo, non la parte di un minuto. Ma non udì nulla. Non voce angosciosa che chiamasse, non rumore sommesso di singhiozzi, non strepito di seggiole smosse, non tonfo di caduta... Nemmeno una scampanellata... per chiamar la cameriera col flacon del sale volatile. Si voltò anche a guardare la porta ch'egli aveva testè serrata, ma, dietro ai vetri, non passò la più lieve ombra.

Allora Giuliano diede un'energica crollata di spalle, si mise con passo risoluto per la lunga infilata delle sale, raggiunse l'anticamera, e scese allegro la scala di marmo, salutando beffardamente il paffuto angiolo di stucco bianco che, recando sempre fra le mani il tulipano di vetro del lume a gas, s'era tante e tante volte veduto passare davanti quel bellissimo giovane.

La novella, la grande novella del giorno, fu pronta a percorrere tutta Torino. In capo a qualche ora, nessuno dell'high life cittadina ignorava che il Duca Giuliano Lantieri aveva riacquistata la sua libertà.

Allo spettacolo del Regio, quella sera, ci fu nei palchetti e nelle poltrone un po' d'irrequietezza. Molti cannocchiali erano appuntati, non già verso il palco scenico, dove Mignon chiedeva dolcemente in italiano, col pensiero di Goethe e colla musica di Thomas: Kennst du das Land?; ma bensì verso un palco in seconda fila, occupato da una splendida figura di donna non più giovanissima, ma di quelle che hanno il privilegio di percorrere nella vita due o tre giovinezze consecutive. La Baronessa Olga, benchè russa, era bruna di capelli. Era vigorosa, non molto grande, con delle forme splendide, e una fisonomia affatto straniera, non bella forse, ma ricca d'un certo fascino irritante. Aveva il naso piccolo, un po' camuso, una bocca quasi da mora, grande, sana, ridente, con dei denti che parevano quasi fulgidi nella loro bianchezza di smalto e all'ombra di quelle labbra tumide, violenti di forma, di colorito, d'espressione.

Dirimpetto a lei, al posto spesso occupato da Giuliano, brillava l'insipida figura d'un Viscontino francese. Furono osservate varie cose: primo, che la Baronessa Olga era più bella che mai; secondo, che aveva una toilette nuova; terzo, che serbava quella tal aria serena, di buon umore, che la rendeva adorabile; quarto, che aveva precisamente i modi, la maniera di guardare delle altre sere; quinto, che il suo palco fu affollatissimo. Giuliano, quella sera, venne in teatro, s'adagiò nella sua poltrona, andò a far visite nei palchi delle signore di sua conoscenza. Non andò nel palco della Baronessa, ecco tutto.

Ma al Fiorio, dopo il teatro, quante se ne dissero!... Tutti sapevano il perchè di quella rottura... era un motivo frivolo, dietro il quale si celava forse un reciproco senso di stanchezza. Generalmente, si approvava Giuliano e la sua ribellione. La Baronessa aveva qualche anno più di lui, e, a dir vero, viaggiava troppo. Un signore, autorità vecchia, ma incontestata, di quel formidabile palazzo di giustizia, fu il solo a sostenere che Giuliano aveva fatto uno sproposito, enorme. Gli altri insistevano: diavolo! si sapeva positivamente che la Baronessa aveva 6 o 7 anni più di Giuliano. Ma il vecchio si ostinava. Ne avesse dieci o quindici di più! era pur sempre la sola donna che Giuliano potesse amare.

- Perchè, perchè? - chiesero tutti a una voce. - Ah! - rispose il vecchio con uno di quei sorrisi brevi, che alla lunga dovrebbero corrodere le labbra che li recano, tanto sono acri, incisivi, mordaci.

- Povero Giuliano! - disse qualcuno - cosa farà ora?

E fu la fine.

Giuliano non fece nulla di straordinario per celebrare l'era della sua riacquistata indipendenza. Si vide più festeggiato, più accolto, più ben voluto che mai. Passò un carnevale delizioso, si divertì, fu amabile, evitò ogni laccio, si congratulò molto con sè stesso, e accompagnò a teatro due o tre volte la sua vecchia mamma. Un giorno, un'idea bizzarra gli passò per la mente: «Se prendessi moglie?»

Ma la scacciò subito subito, come una tentazione.

Ora aveva la sua libertà e voleva goderla.

Goderla, ma come? Se avesse avuta una gran fortuna, ecco, sarebbe andato a Parigi! E invece suo padre gli aveva lasciato un patrimonio discreto, ma nulla più, e lui stesso, sicuro, un po' aveva speso... si sa. Divini quei tre anni nei lacci della baronessa Olga! ma era proprio una cosa curiosa il vedere quanto alla Baronessa Olga piacessero i dolci, le statuine di Saxe, le tazze di vieux Vienne, le rose durante l'inverno, le camelie in estate, i viaggi in primavera e in autunno, e le gite in tutte le stagioni. Eh! non c'era che dire, in quel patrimonio s'era fatto una gran buca! Come colmarla? E qui l'idea della dote tornò in campo; odiosa, a dir vero, nella sua arcigna fisionomia d'espediente. Il Duca la mandò via risoluto; ma quella passò soltanto l'uscio, e si celò dietro un battente, aspettando.

La libertà... celeste cosa! Ma, un giorno, Giuliano andò sulle furie con sè stesso, perchè uscendo alla sera, senz'avvedersene s'era messo per la via che conduceva alla dimora della Baronessa. Provò un gran dispetto, imbizzì colla forza cieca dell'abitudine. No.... diavolo, no.... E in quel giorno fu del parere del marchese Colombi, che le accademie si fanno o non si fanno.

Ma, passata la prima gioia della sua liberazione, questa cominciò a parergli uno strano arnese, come una foggia troppo attillata d'abito o di cappello, in cui egli si sentisse un po' a disagio.

Certe ore gli parevano lente assai. Il disordine sistematico lo seccava alla lunga, e non si trovava abbastanza ricco per organizzare attorno a sè un lusso di vizio quale l'avrebbe inteso, in omaggio ai suoi gusti raffinati e dispendiosi. Ricominciare ancora, tornare nella stessa direzione, mettendosi per altro sentiero?... Chè.... non valeva la spesa; allora, tanto valeva continuare a quell'altro modo. Tornar da capo è noioso, e non tutte le belle signore hanno un marito dotato di un carattere buono e conciliante, quale la Provvidenza l'aveva impartito al barone Dornelli. E quel benedetto tirocinio.... che cosa seccante! Prendersi un'altra volta la briga d'innamorarsi! Già, egli non si sentiva fatto per le difficili fasi d'una grande passione; per lui ci voleva proprio l'amore d'oggigiorno, piano, senza complicazioni, ben educato. Era tanto pigro, tanto indolente quel Giuliano! Anzi, era uno dei suoi pregi, dei suoi mezzi di seduzione quella sua indolenza languida, dolce, gentile, che si tradiva nei suoi modi, nella sua voce, fin nei suoi sguardi, che dava alla sua sana bellezza bionda un carattere speciale. La Baronessa lo chiamava creolo..., e quella disinvoltura che aveva l'arte di ridurre tutto a un'espressione placida, facile, elementare, schiva-fatica, armonizzava, forse per forza di contrasto, colla tempra insolentemente energica di quella donna. Però l'aveva voluto e serbato schiavo sino al momento in cui gli aveva concesso di ribellarsi. Le era parso che qualcun altro l'avrebbe meglio, o solo altrimenti, divertita. E ora, egli non ci voleva tornare laggiù in quel gabinetto color pesca a fiori di granata, non ci voleva tornare. E non ci tornò.

Siccome era creolo, così accadeva qualche volta che la sua stupenda vesta da camera orientale avvolgesse tuttora le sue forme da Apollo impinguato, in quell'ora privilegiata durante la quale la gente per bene esce di casa e popola i Portici, via di Po e il Corso. Allora accendeva un chibouk e sfogliazzava un romanzo. Ma tant'è eran lunghette quelle ore.

Il suo salotto era un mezzo museo, e la povera mamma gli aveva dati i suoi due cachemires turchi, perch'egli ne facesse delle portiere; ma dalla finestra di fianco si vedeva l'angolo d'un'ala del palazzo, molto deteriorata, molto...; e Giuliano si ricordava che anche lo scalone era in cattivissimo stato, e che il portinaio aveva un abito bleu, sdruscito in un modo orribile. E la vecchia duchessa s'era adattata a star lassù, al terzo piano.... per poter affittare i quartieri migliori.... Bisognava trottare a piedi ora...; nelle scuderie c'era un pigionante falegname; invece del nitrito, dello scalpitìo dei cavalli, si sentiva continuamente lo stridere della sega, lo scorrere della pialla, il rantolo quasi catarroso del torno.

Parve a Giuliano che allora soltanto tutto ciò si rivelasse a lui con un aspetto e un accento insopportabilmente nuovi. E mentre, disgustato, annoiato, pensava quanto il destino gli fosse avverso, malevolo, l'idea ch'egli aveva così sgarbatamente messa alla porta alcuni giorni prima, si riaffacciava adagino adagino, insinuandosi silenziosamente, strisciando lungo le pareti, giungendo mezzo inavvertita, sino a lui; s'insinuava nei suoi pensieri, si confondeva nel profumo orientale delle volute di fumo che, attorcigliandosi in alto, allungandosi, assottigliandosi, parevano quasi assumere una femminilità indecisa di contorni, disegnare nell'aria una mossa pudica di fanciulla, una semplicità fresca e schietta, di gesto e di sguardo.

- Puh! - osservò il Duca, socchiudendo i suoi begli occhi azzurri, d'un azzurro carico di porcellana, come si fanno alle bambole. - Dopo tutto.... Sì, veramente.... dopo tutto....

Si addormentò un momento, come se quel pensiero gli avesse cantato la ninna nanna, scotendo ritmicamente la lunga poltrona americana sulla quale egli giaceva.

Si svegliò di botto, spaventato. L'idea della scelta torturava già la sua pigrizia. Simile a quel sibarita che sudava vedendo uno schiavo occupato a spaccar legna, egli si asciugava la fronte pensando alle venture perplessità del suo spirito quando si tratterebbe di decidersi. Già, prima di tutto, egli non aveva mai potuto soffrire le signorine, quelle modeste cifre incognite, quegli insipidi indovinelli ammantati di bianco, di celeste, di rosa, presso alle quali bisognava stare attenti alle proprie parole e agli occhi formidabili delle mamme. Ah! che cosa opprimente!

Un momento pensò a una vedova. Ma poi scosse la sua bella zazzera bionda.

Ah! no, una vedova! Ci sarebbe da lottare col.... fu.... poveretto. E poi.... sciocchezze, se vogliamo, ma per lui ci voleva il dominio completo, assoluto, primo. Ragazza, dunque, molto giovane, s'intende, appunto per poterla avvezzare a modo suo; denari molti, cosa indispensabile. Ma dove trovarla.... dove?

Ci pensò un poco. - Che seccatura - conchiuse sbadigliando - ne parlerò a mia madre.

E la sua mente riposò in quest'idea.

Avevano finito di desinare, e la vecchia signora guardava di sottecchi Giuliano, il quale teneva fra le sua belle dita paffute una sigaretta di Salonicco, senza decidersi ad accenderla.

La Duchessa Lantieri non era stata bella. Attualmente era molto santa, d'una santità sagace e che vedeva abbastanza lontano. La vecchia dama stava bene, comodamente, in quell'atmosfera d'una devozione che armonizzava colla sua fine e provata scienza del mondo. Senza avere molto spirito, la Duchessa aveva quello della sua età; adorava suo figlio, non lo seccava mai; viveva in una stretta, ma decorosa economia. Era modesta, umile, semplice assai nei modi, di quella semplicità queta e in fondo orgogliosissima, del più delle dame piemontesi.

Giorno e notte pensava al maggior bene di Giuliano. Aveva avuto un immenso dispiacere, ed era quello di vederlo avvinto nei lacci di quella sirena del Nord. S'era consolata un pochino, però, pensando che quella sconsigliata, priva del divino aiuto, era una Zorodoff, figlia d'un ciambellano alla Corte imperiale di Russia, e aveva sposato un barone Dornelli di S. Maurizio. Giacchè, pur troppo.... si sa.... la gioventù eh!... - qui la Duchessa metteva un gran sospiro. - Meglio così, insomma, che peggio ancora, ecco.

E Dio l'avrebbe esaudita certamente un giorno o l'altro, facendo cessare quella triste cosa, e ispirando a Giuliano il pensiero di prender moglie. E pregava di cuore; il che non le impediva di darsi d'attorno perchè, nel caso d'un pronto esaudimento, non si sa mai, la buona volontà di Giuliano non avesse a cogliere lei sprovveduta.

Giuliano era sopra pensiero. Le cose non andavano a modo suo, e l'intendente di casa gli aveva presentato un certo quadro, il cui ricordo non lo ricreava punto. Era stato al corso, e aveva veduta la Baronessa in un landau nuovo, stupendo, con una toilette splendida, e un mezzo sorriso amabile, che gli aveva fatto un certo effetto molto stizzoso. Egli era bensì andato a fare una lunga sosta alla portiera della contessa Zeta, ma la contessa Zeta l'aveva annoiato un pochino, e a fianco del landau della Baronessa, aveva veduto il Viscontino a cavallo.... Poi, come se non bastasse, lì nel salottino c'era un odore di baccalà, che lo irritava al sommo.

- Che profumo! - -disse languidamente a sua madre, recandosi alle nari il fazzoletto coll'orlo ricamato a colori vivaci.

- È venerdì! - osservò umilmente la contessa.

Il male era che la cucina in quel quartierino ristretto si trovava a due passi dalla sala. E in corte, nello scuderie vuote, profanate, la sega andava in su o in giù stridendo allegramente.

Giuliano contemplò a lungo la pietra del suo anello, un occhio di gatto cinto da nitidissimi brillantini.

La Duchessa pareva contare i punti del suo lavoro in lana, ma il cuore, presago, le batteva, e le sue labbra fino sussurravano qualche cosa all'indirizzo di Nossgnôr!

Giuliano accese la sigaretta e disse placidamente:

- Dov'è?...

La Duchessa attonita alzò gli occhi. - Cosa? - E poi, siccome un animo l'avvertiva, soggiunse sorridendo: - Chi?

- Chi? (che orrore di sigaretta!) Dico; questa sposina, quando capita?

La Duchessa sentì un gran rimescolìo. Ma frenò la sua gioia. Sapeva che Giuliano non amava nè le scene, nè le spiegazioni. Con voce un po' tremante, con un pensiero d'accesa gratitudine verso Dio, rispose soltanto;

- C'è....

- Uhm! - borbottò Giuliano. E siccome era un magnanimo gentiluomo, chiese anzitutto:

- Bella?

La Duchessa ebbe un sorriso contento, e chinò il capo.

- Ricca?

La Duchessa alzò il capo.

- Tre milioni - susurrò poi con dolcezza infinita, assaporando lentamente la frase.

Giuliano guardò sua madre sul serio. L'aveva sempre stimata, ma ora una specie di languida venerazione sorgeva nel suo animo.

- Ah! ho capito. La figlia d'un banchiere ebreo.

Diceva così per celia, sapendo a che punto sua madre fosse inesorabile per tutto ciò che avrebbe potuto urtare le loro tradizioni, l'alterigia calma e serena che un lungo ordine di antenati aveva loro trasmessa. La Duchessa ebbe una frase laconica:

- Corona chiusa!

Giuliano si gingillò un poco, curiosando nella scatola da lavoro.

- Mia cara mamma, tu possiedi dello forbici impossibili.... Quanti anni abbiamo?

- Diciotto; ed è tuttora in convento.

- Un'educazione da farsi, nevvero? Ingenua molto? A meno che.... qualche volta sono sveglie, sai, queste educande, sveglie davvero. Mi ricordo, anni fa, in un convento di monachine....

- Oh! Giuliano, - interruppe la vecchia, - che discorsi! Invece di ringraziar Dio!

- Sì.... proprio!... credi che sia un gran divertimento il prender moglie, rìnunziare alla propria libertà per sposare una sciocchina qualunque, che non ha mai visto niente in vita sua e alla quale bisogna far da precettore.... mentre.... è così facile....

- Trovar qualcuno che insegni a noi.... nevvero, Giuliano?

La Duchessa aveva qualche volta, colla sua aria umile, di queste e simili sortite. Giudiano ebbe per un momento l'idea di montar sulle furie.... ma così, dopo desinare, non andava fatto. Sorrise soltanto, e senza guardar sua madre:

- Già.... continuò.... quasi quasi...: è più facile e più piacevole.... Dunque?

La Duchessa si sgomentò e bruciò le sue navi.

- Quando la vuoi vedere?

- Chi?

- Lei.

- La mia maestra?

- Giuliano! - -mormorò angosciosamente la Duchessa, colla voce piena di lagrime.

Egli si mise a ridere.... dondolandosi sulla seggiola.... E la Duchessa cominciò a ragionare.... a pregare.... a spiegare.

- Sarei così contenta.... chiuderei gli occhi in pace! - La povera donna era quasi eloquente. E l'odor di baccalà intanto penetrava, intollerabile, nel salotto.

«Il primo piano per lei,» pensava pacatamente Giuliano; «la mia garçonnière, al secondo.... la mamma avrebbe per sè sola questo appartamento.»

- Oh Giuliano - continuava la madre.... - credimi, fuori dell'ordine morale non esiste vera felicità.... Ed è orfana, per cui, capisci.... il capitale subito, e una gran tenuta in Lombardia. Un carattere adorabile, ti assicuro. Ci sono anche i brillanti di casa. E pensa un poco, figlio mio, quando sarai vecchio, che consolazione aver la tua famiglia!

- Già, un monte di biricchini che non vogliono studiare, o di ragazzacci che fanno debiti.

Era veramente perplesso. Gli seccava di prendersi la briga di decidere.

Abbasso in corte, la sega canzonava, col suo aspro gemito irritante. La sala diventava buia nel tramonto primaverile. La pendola suonò le otto con una voce strana uggiosa, colla voce di una pendola che non è più di moda. L'ultimo raggio del sole entrava di sbieco dalla finestra, e cadeva sul velluto scolorito, ammaccato d'una poltrona zoppa.

Giuliano mise un sospiro lungo lungo, il sospiro d'un uomo che fa una fatica enorme.

- Per farti piacere.... - disse poi dolcemente a sua madre. - Ma sai che amo le cose spiccie.

La Duchessa trattenne un grido di trionfo, e s'alzò. - -Oh! Giuliano, Giuliano. - Non voleva piangere, ma si mise a piangere, ciò non ostante.

Le vecchie hanno facile il pianto e la Duchessa evitava con ogni possa di tradire sè stessa in quel modo, davanti a Giuliano, che in questi casi soleva prendere con aria grave il suo cappello e si ritirava un tantino più frettolosamente del solito. Ma stavolta.... ah stavolta non seppe proprio trattenersi. Ecco, era la Madonna della Consolata, lei per l'appunto. Certo, un cuor d'oro.... lo comanderebbe subito.... a Canavero.

Giuliano non se ne andò. Ora che aveva fatto quell'immane sforzo, era contento. Sì! era contento di fare una fine; e poi era contento anche di sè stesso per aver data quella consolazione alla sua povera mamma. Oh! per lei lo faceva volentieri quel sagrifizio, e per la vecchia casa, che aveva tanto bisogno di esser riattata. La Baronessa forse non se l'aspettava così subito; era una cosa divertente il pensare che probabilmente, anzi inevitabilmente, un certo dispetto l'avrebbe provato. Questo le insegnerebbe a inaugurare dei Viscontini francesi, il giorno dopo la rottura con lui. Certo, il matrimonio doveva farsi presto.... Egli sperava che sua moglie avesse delle belle mani.... era una cosa alla quale teneva assolutamente. E se non sapeva vestirsi, un inverno a Parigi avrebbe rimediato.

Si sentì virtuoso; eminentemente morale. Gli spuntò nell'anima una bizzarra e affettuosa stima per sè stesso. Egli, così bello, così signore, così gentiluomo, si adattava a prender moglie prima dell'êra della parrucca, dell'obesità, dei denti finti, delle cambiali al 50 per cento. Sorrise placidamente, sorrise al futuro, e complimentò sua madre.

- Brava mamma! e me l'hai tenuta in conserva per tutto questo tempo, a malgrado....

Le vizze gote della Duchessa assunsero una tinta quasi giovanile.

- Aspettavo - disse semplicemente. - Ora, sì, che sarai felice!

- Credi? Ebbene, tanto meglio. Già, una fine bisognava farla, un giorno o l'altro.

La sega taceva, e l'odore del baccalà veniva meno nella brezza vespertina ch'era entrata da una finestra apertasi adagino adagino, senza che nessuno se n'avvedesse.

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«Alla signora Rhoda Lawson Spring - Lawson's cottage S.... shire


«Mi scuserà se questa volta non le scrivo in inglese; ma ho da dirle tante cose, cose serie e importanti e di confidenza, che bisogna proprio che gliele dica a modo mio. Non creda però che trascuri i miei esercizi o i miei temi...; cioè, adesso veramente.... ma però in avvenire.... Ohimè, vede come m'ingarbuglio?... Insomma, le prometto di non trascurare l'inglese, perchè è tanto bello, e perchè so che lei desidera ch'io non dimentichi ciò ch'ella ha avuto la bontà d'insegnarmi. E la prego di non far attenzione se questa lettera non è scritta bene, neppure in italiano, perchè la scrivo di nascosto, e senz'avere il tempo di pensare alla sintassi ed a quelle altre birberie così difficili della grammatica. Oh, cara signora Rhoda! se sapesse quante cose sono accadute da che le scrissi l'ultima volta, e che novità ci sono per la sua Milla!

«Certi momenti, mi par di sognare, e ho paura di svegliarmi; e certi altri momenti, non so da che parola cominciare per ringraziar il Signore. Mi accade, specialmente quando chiudo gli occhi, di figurarmi che l'aria, dove sono, sia diventata azzurra, come nel cielo che è in alto; è una stranissima cosa, che farà, ne son certa, meravigliare anche lei. Con tutto ciò, non creda che faccia delle follie; anzi, sono molto quieta, perchè vedo che il Signore ha voluto aprire davanti a me una bella strada verde, con tanto sole e dei fiori a bizzeffe. Insomma, mi proverò a dirle tutto quanto; e non so proprio perchè, essendo così felice e contenta, provo come una specie di timore nel dirle tutte queste cose.... guardi che sciocchezza!

«Si ricorda, quando le scrissi che volevo farmi monaca?... Per fortuna che la mia cara Madre Superiora mi consigliò di aspettare per provarmi la vocazione! Ora m'avvedo che avrei fatto un grande sbaglio! Ma allora m'era venuta quest'idea perchè avevo visto a morire la mia povera compagna Giulia Ferranito (ah! che dolore fu quello per me), e la mia cara amica Teresa Reccadei era uscita di collegio, e avevamo avuta in convento la vestizione di Maria San Fermo; cerimonia che mi aveva fatto un grandissimo effetto. A dir vero, avevo anche un altro motivo, ma quello non l'ho mai detto. M'era venuta una gran malinconia, perchè al giovedì tutte le altre allieve eran chiamate in parlatorio, e per me non veniva mai nessuno, mai nessuno! In quel giorno non facevo altro che piangere, e quando le mie compagne tornavano dalla grata e venivano, allegre, contente, a raccontarmi certe novità, io mi sforzavo a parere d'esser contenta anch'io, per non far loro dispiacere. Le monache erano, e son sempre state, buonissime per me; ma quel tal dolore della mamma che non c'è, è inutile, non si rimedia! Dunque (pensavo fra me) cosa andrei a fare io sola in quel mondo terribile, pieno di pericoli, di pene e di dolori, se non ho nessuno che si prenda cura di me e mi voglia bene, e m'insegni le cose che vanno fatte?... E per questo avevo in animo di farmi monaca, e di restar sempre qui con queste buone suore. Ma adesso.... oh Dio.... è tutto cambiato.... il mio destino, il mondo, tutto quanto!

«Lei saprà senza dubbio.... già glielo scrissi tante volte.... come la nostra Madre Superiora, madre Maria della Croce, sia una santa donna, che tutti venerano e onorano.

«Siccome prima di farsi monaca era Contessa di Ronano, così ha serbato ancora nel mondo molte amiche, che vengono spesso a vederla per tener con lei delle conversazioni edificanti e chiederle dei buoni consigli. Una di queste sue amiche è una Duchessa Lantieri, una signora grande, magra, che ispirerebbe molta soggezione, se non avesse una voce dolce e delle maniere che, invece, fanno innamorare. Un giorno, la Superiora mi disse di accompagnarla alla grata. Può immaginare che caso per me. Tremavo come una foglia, ma poi mi rassicurai, quando, alla grata, vidi una signora che mi fece un mondo di feste, e mi disse che un suo nipote era cugino del cognato d'una grande amica della mia povera mamma! Si figuri!... sentirmi a parlare della mia povera mamma.... mi vennero le lagrime agli occhi!... La Duchessa (era lei) mi consolò.... mi disse tante belle cose, e promise che sarebbe tornata a trovarmi. Infatti, quasi tutte le settimane anch'io andavo in parlatorio, e la buona Duchessa mi portava quasi sempre dei regalini, delle immagini sacre, belle, che non avevo mai viste le uguali, e dei libri devoti che formavano la mia felicità e l'ammirazione delle compagne. Poi mi chiedeva dei miei studii, mi domandava cento particolari sulla nostra vita di convento; insomma io mi intenerivo pensando alla sua bontà per me, e non vedevo l'ora che tornasse il giovedì per parlare ancora colla zia del cugino del cognato dell'amica di mia madre!

«Ecco che un bel giorno, eravamo soltanto al martedì, la Superiora mi manda a chiamare, mi accomoda la mantellina, mi fa mettere i guanti, perchè avevo ancora un poco di geloni, e mi conduce lei stessa in parlatorio. E lì, dietro alla grata, vedo subito la mia cara Duchessa, accompagnata da un signore giovane, grande, biondo. Può immaginare come rimasi...; credo che non seppi neppur salutare.... Ma la Duchessa non se l'ebbe per male; mi fece ancora più festa del solito; disse che quel signore era suo figlio, il quale era tornato da un viaggio a Roma e veniva a portare alla reverendissima Madre Superiora un rosario montato in argento, che il Santo Padre aveva benedetto per lei. Io ero molto edificata, e ascoltavo quel signore, il quale diceva tante belle cose con una voce che pareva una musica, e ogni tanto si rivolgeva anche a me; ma io ero così intimidita che non trovavo il coraggio di dire una parola. Quando furono per andar via, egli mi fece un saluto cortesissimo, e disse che si raccomandava alle mie orazioni. Infatti, io pregai proprio di cuore, pensando a quella visita che non mi sarei mai aspettata, e all'ingiunzione fattami dalla Superiora di non parlarne alle mie compagne, mulinando con una grande curiosità se la signora tornerebbe il giovedì venturo, e se sarebbe tornata sola.

«Ma, quella sera stessa, madre Maria della Croce mi mandò a chiamare, e mi domandò cosa mi pareva di quel signore. Io dissi che mi pareva buono come la sua mamma. Allora la Superiora mi fece un gran discorso sulla volontà del Signore, e poi mi disse che il Duca Lantieri, sapendo che avevo ricevuta una così buona educazione in quel convento, mi chiedeva in isposa.

«Può immaginare, signora Rhoda, come rimasi. Mi pareva come se m'avessero data una gran botta al cuore.... non sapevo più in che mondo mi fossi! Ma la Superiora mi fece animo, dicendomi che non dovevo turbarmi, ma invece ringraziare il Signore che aveva voluto evitarmi i pericoli che una giovane trova infallibilmente nel mondo, facendomi subito trovare una così fortunata occasione di abbracciare uno stato che, per quanto imperfetto, per quanto inferiore allo stato religioso, era pure quello che la Provvidenza aveva destinato al più delle ragazze. Mi fece l'elogio del Duca, della nobiltà della sua casa, e mi dimostrò quanto dovevo essergli grato d'aver pensato a un'umile educanda, mentre avrebbe potuto fare una scelta molto più brillante. Dopo di che, mi disse che ci pensassi per tre giorni, facendo una retraite e implorando l'aiuto speciale del Signore, della Madonna e di tutti i Santi, perchè illuminassero la mia mente e mi rivelassero la volontà della divina Provvidenza.

«Allora fui subito più quieta, e a furia d'interrogare il Signore, la Madonna e i Santi, mi parve proprio che rispondessero di sì, e che facevo bene ad accettare. Anche il mio confessore fu dello stesso parere, e io in capo ai tre giorni dissi alla Superiora che accettavo. La Duchessa venne subito, mi chiamò la sua cara figliuola, e mi colmò di regali stupendi, che fanno andare in estasi le mie compagne. Il mio fidanzato tornò pure parecchie volte, e io adesso non capisco più come ci sia scritto nella dottrina che la moglie ha l'obbligo di amare suo marito! Bell'obbligo, bell'impresa!

«Io, per dire vero, capisco di parere una stupida, perchè non so mai trovare il coraggio di parlare, e sono anzi più contenta di star lì quieta, dietro alla grata, a sentirlo parlare con una voce dolce come, oh no, molto più dolce di quella della sua mamma, e a vederlo al di là della grata appoggiare sulle sbarre la fronte bianca e la sua barba bionda che par d'oro. Mi sono accorta che ha gli occhi celesti. Poi ha delle mani bianche bianche, con un anello che getta certi lampi! Mi dice delle cose.... delle cose.... Per esempio, si figuri, che aveva sentito tanto a parlar di me, e che mi voleva bene anche prima di conoscermi. Si vede proprio ch'è il dito di Dio che ci ha fatti incontrare. Dice che farà di tutto per rendermi contenta, che esaudirà i miei più piccoli desideri; anzi, per farmi piacere, è stato fissato che, subito dopo il matrimonio, partiremo per Astianello. Ah, pensi, il mio povero Astianello, che non rivedo da dieci anni! Sarà certo un gran dolore lasciare il convento, e queste buone suore, e le mie compagne, ma pure, benchè senta tanto dispiacere (sarà forse una cattiveria?), sono contenta lo stesso, e mi pare, come le ho detto, di essere in un altro mondo. Le mie amiche ammirano la mia felicità, le suore sono contentissime, benchè ogni tanto parlino delle croci del matrimonio; ma io credo che un pochino dicano così perchè non sanno bene come sia. A me pare che non mi farei proprio monaca per tutto l'oro del mondo, e che il Signore è stato troppo buono per me.

«Mi scusi quest'orrore di lettera. Si figuri poi se avessi scritto in inglese con quell'impiccio di should e would! Le scriverò per dirle quando si farà il matrimonio. Chi sa che non ci possiamo trovare ancora ad Astianello! Pensi! Ad Astianello, in primavera, con lui.... volevo dire con mio marito. Che parola curiosa, nevvero? Non dimentichi il nome: Giuliano.... Duca Giuliano Lantieri.... Io però l'ho sempre chiamato signor Duca sino ad ora, e lui mi dice signorina. Chissà come farà per dire Milla!...

«Ieri ho pianto tanto pensando alla mia povera mamma, che non ho mai conosciuta, e al mio papà, che ho perduto così presto! Oh! come saranno contenti lassù in Paradiso!....

«Ecco che mi tornano le lagrime agli occhi. Mi scusi questa lettera, chissà quanti errori ci sono! Mi scriva presto, e mi creda la sua beata, felicissima allieva

«Torino, convento dell....

«MILLA D'ASTIANELLO.


«PS. Non si scordi il nome.... Giuliano.»


III.

Ad Astianello la notizia giunse improvvisa, in una lunga lettera d'affari, scritta dal tutore all'agente. Il matrimonio sarebbe celebrato a Torino, il giorno tal dei tali, e, dopo un viaggio di sei ore, gli sposi giungerebbero alla stazione ferroviaria di***, dove troverebbero le carrozze di casa per recarsi alla villa. I viali inghiaiati, dar aria all'appartemento celeste, quello della stanza da letto che dava sul terrazzino, e prepararlo per gli sposi. Il desinare per due, alle sette.

Fu una gran cosa, quell'annunzio inaspettato, quel vento di padrone nuovo, che si era levato così repentino nell'atmosfera. Chi era? com'era lo sposo della signorina?... questo essere privilegiato che aveva incontrata una fortuna di quella sorte?...

Le informazioni giunsero poche e alla spicciolata, ma qualche cosa si seppe di questo benedetto sposo. Era un Duca... un nobilone anche lui, che sino ad allora aveva fatta la bella vita... e di quattrini non glie n'eran rimasti molti. Si diceva però ch'era bellissimo, e la signorina si era innamorata di lui in convento... anche perchè una mamma avveduta aveva saputo metter le mani in pasta. Siccome il loro quartiere non era pronto, venivano ad Astianello.

La curiosità era grande fra quella buona gente, e l'incertezza pure. Come l'andrebbe con questo padrone nuovo? Chi comanderebbe, lui o lei? E le razze? Se ne intendeva colui? Avrebbe saputo mantenerle bene?... Nei pascoli non si parlava d'altro. E, a misura che s'avvicinava il giorno dell'arrivo, una trepidazione più affettuosa, meno egoista, teneva agitati i dipendenti della tenuta, e questo era il pensiero del marito della signorina.

Finalmente il gran giorno spuntò. Un bel giorno degli ultimi d'aprile, tiepido, sereno; un vero giorno di nozze.

L'agente diede ordini precisi. Alla stazione, alle 4 pom., il landau, con quattro cavalli, e un cacciatore a cavallo per seguire la carrozza: Drollino per l'appunto, ch'era il cavalcatore più destro e più appariscente che ci fosse in tutta la tenuta.

Veramente, nello spazio di questi otto anni, Drollino s'era fatto bellissimo. Era cresciuto rapidamente; snello e gagliardo come un antico discobulo. L'indole sua non aveva subito grandi mutazioni; egli aveva serbato una grande indipendenza di carattere, non era nè allegro, nè socievole, e non bazzicava coi suoi compagni più di quanto lo comportassero le esigenze del comune mestiere. Stava sempre in mezzo ai cavalli, in scuderia e ai pascoli, errava continuamente per tutta la vasta zona dell'allevamento. Ora non bestemmiava quasi più, ma continuava nel suo sistema di parlar poco. Era ormai presso ai venti anni, e, se avesse voluto, avrebbe potuto destare grandi passioni fra le ragazze del paese; ma era così poco gentile con loro, se ne occupava così poco, che le simpatie, scoraggiate, si smorzavano presto. In complesso, ispirava più soggezione che simpatia. Ma nella tenuta si faceva molto calcolo di Drollino.

Intollerante d'ogni lezione, aveva imparato solo, a furia di volontà tenace, le più ardite prodezze del suo mestiere. Era il primo domatore che vantasse casa d'Astianello. Ahimè! non più d'Astianello... Lantieri! Aveva un metodo tutto suo per venire a capo delle bestie più ribelli, un metodo ch'egli non insegnava ad altri, che aveva appreso, si diceva, da un certo mandriano di tori, mezzo stregone, mezzo zingaro, un pochino contrabbandiere. Può essere che non fosse tutta arte naturale. Si dubitava d'un segreto; d'una specie di malìa. Egli, per non essere seccato, lasciava che questa diceria si perpetuasse nella tenuta; forse lui stesso ignorava come gli venisse fatto di dominare a quel modo, con una specie di forza magnetica, i cavalli più indocili. Voleva! ecco tutto.

Era sempre serio, benchè non si potesse accusarlo di tetraggine o di malumore. E meglio che coi compagni, meglio che colle rusticane beltà della tenuta, egli pareva trovarsi contento nelle solitudini grandiose del piano, dove la sua compagna, quasi inseparabile, era Mia!

Mia era diventata una stupenda giumenta, celebre per la bellezza eccezionale delle sue forme, e per le qualità dell'indole propria. Quando Drollino attraversava i pascoli, cavalcando Mia anche a dorso nudo, i palafrenieri ed i cavallanti interrompevano le loro faccende, per fermarsi ad ammirare quel gruppo magnifico. La riputazione di Mia aveva oltrepassati i limiti della tenuta e vistosissime offerte di compra erano giunte sino a Drollino, ma il giovane rispondeva con un no così brusco e reciso che ormai nessuno più s'attentava a intavolar trattative. Mia era l'orgoglio, la passione di Drollino. Non aveva mai permesso a nessuno di cavalcarla nè di governarla ed era istancabile nell'usarle infinite e delicatissime cure.

Qualche volta le andava mormorando all'orecchio qualche parola, come se ella potesse intenderlo... dargli retta. Si faceva ubbidire senza mai batterla, l'aveva avvezzata ad una straordinaria sensibilità di bocca... Il suo sogno di bambino era esaudito; quella cavalla, era sua, sempre, veramente sua.... No! non sempre.

Un caso esisteva, solo, ma esisteva, in cui la voce di Drollino perdeva ogni prestigio per l'orecchio di Mia. In quel caso, Mia si ribellava. Nulla poteva vincere quella ribellione, non cure, non richiami, non castighi violenti nè scudisciate crudeli. Mia aveva paura dello sparo di un'arme da fuoco.

Una paura insana, delirante, che determinava in lei come l'accesso d'un pazzo orgasmo. Appena udito lo sparo essa partiva a gran carriera, colle nari al vento, con un acuto nitrito di dolore. E per non esser balzati di sella o dal legnetto leggero a cui Drollino soleva talvolta attaccare la sua cavalla, bisognava proprio esser lui, coi suoi garretti ed i suoi polsi d'acciaio. Drollino aveva fatto il fattibile per guarire la povera bestia da quella suscettibilità nervosa dell'udito; ma non era venuto a capo di nulla e Mia in quei momenti, diventava anche per lui una cavalla pericolosa.

Nella tenuta si sapeva di quest'unico difetto di Mia; ma nessuno ardiva tenerne parola a Drollino, da poi che un mozzo malaccorto, per avergli rimproverata con scherno quella codardia della cavalla, s'era buscata... Dio! che tempesta di pugni s'era buscata colui!


Davanti alla piccola stazione pochi contadini attoniti e sbalorditi guardano lo splendido landeau che un cocchiere imponente, guidando quattro massicci cavalli meklemburghesi, fa passeggiare al passo sulla spianata.

Un po' in disparte, un palafreniere in gran livrea frena a stento lo scalpicciare inquieto di una superba giumenta, Mia.

Ogni tanto Drollino la lascia sbizzarrire un po', osservando con occhio malizioso il prudente dietro front del sig. Damelli, agente della casa, ch'è venuto anch'egli ad ossequiare gli sposi e che non pare troppo smanioso di proseguire la sua passeggiata in vicinanza della cavalla. Ma udendo il treno rumoreggiare in lontananza Drollino si mette in guardia e raccoglie le briglie. Il landeau si ferma proprio dirimpetto alla stazione, la locomotiva è visibile e le teste si protendono, curiose.

Un nereggiamento rumoroso s'avvicina velocissimo, traendosi dietro un gran pennacchio di fumo bianco. Si sente una scampanellata, si vede sventolare una bandiera rossa. Mia s'inquieta, sbuffa, accenna ad impennarsi, ma il suo cavaliere le stringe i fianchi come in una morsa di acciaio, mentre colla mano guantata in pelle di daino, accarezza il collo della cavalla, battendo leggermente sulla criniera. Mia si rassegna ed aspetta, ma colle orecchie tese, coi garretti frementi.

Un lungo fischio risuona oltre i cancelli, il treno si ferma e riparte un minuto dopo, ed in mezzo ad un po' di ressa, emerge dalla porta della stazione avanzandosi verso il landeau, una giovane e bellissima coppia.

Son dessi!... Gli sposi di otto ore prima.

Drollino la vede subito, la guarda, come trasognato!

Si, è lei... la signorina. Ingrandita, di certo, ma non tanto e sempre quel visino dolcissimo. Com'è pallida!... Ma ora, con quel sorriso sulle labbra, par tal e quale la Milla di otto anni fa!

Porta un gran cappellone, tutto velluto nero e piume nere, un abito inglese, attillato e scuro. Gira attorno uno sguardo, ch'è a un tempo commosso, sgomentato e felice. L'intendente si fa innanzi ad ossequiarla. Essa s'intenerisce. - Ah! signor Damelli, nevvero!... il mio povero Papà... - Sulle palpebre castane spunta una lagrima. Poi la sposa si scuote, sorride, arrossisce, e presenta il signor Damelli a Giuliano... il duca... mio marito. È la prima volta che dice così: «mio marito.» Il qual marito è senza dubbio un bellissimo giovane, non molto grande, grassotto, con una barba d'oro alla nazzarena. I tratti signorili all'estremo, tondi, tendenti al floscio. È amabilissimo col signor Damelli, d'una amabilità languida, che, se si avesse il tempo di studiarla, parrebbe un pochino sprezzante. Ha un non so che di seccato che consola; nel suo sorriso fisso, nell'azzurro acceso dei suoi occhi, si legge una premura insolente d'essere a casa.

Drollino, immobile, snello sulla sua bella cavallona, lo guarda attentamente, scrutando quella nuova faccia di padrone, che non lo soddisfa. Però, con una riflessione degna del suo senno pratico, pensa che per giudicare infallibilmente d'un uomo bisogna prima averlo veduto in sella.

Mentre si caricano i bauli, Milla si guarda attorno per ritrovare quel noto paesaggio. E in questo paesaggio vede la macchietta immobile di un palafreniere a cavallo. Guarda, le pare, non le pare, vede due occhi scintillanti, una faccia bruna:

- Oh! - dice sorridendo, commossa. - Drollino!

Drollino s'inchina profondamente, mentre una fiamma impetuosa arrossa la tinta bruna del suo viso. Milla avvicinandosi, gli dice:

- Oh, Drollino! come ti sei fatto grande!

Poi si ricorda di Mia, e gli chiede di Mia.

- Eccola - dice Drollino, accennando la sua cavalcatura.

Milla stende la mano come per accarezzar Mia, ed entrambi, palafreniere e Duchessa, sorridendo, si ricordano.

Ma i bauli sono caricati, e il Duca s'è sbarazzato del signor Damelli. - Milla! chiama con impazienza. Essa dimentica Drollino, dimentica Mia, li lascia sui due piedi senza salutare, e si avvicina a sua marito, che le offre il braccio, per aiutarla a entrare in carrozza. - Avanti, - ordina il Duca; e sulla strada polverosa, stretta, fiancheggiata dai vasti campi del grano ancor verde, i quattro cavalli trottano rapidi e pomposi. Drollino è rimasto dietro la carrozza, aspettando che una maggior larghezza della via gli permetta di oltrepassar l'attacco. Il landeau è aperto; ed egli vede il cappellone di piume nero e l'elegante berretto scozzese da viaggio farsi vicini uno all'altro, chinandosi, come se volessero intavolare loro la conversazione..., vede delle larghe spalle irrequiete e delle spalluccie fine che tremano un poco.... vedo dei profili in moto, delle labbra che parlano e sorridono. Ma, ad un tratto, il cappellone nero, come se avvertise un pericolo, si tira in là... bruscamente.

Allora il Duca, con un movimento d'impazienza quasi brutale, si volta. - Passa avanti, - dice ruvidamente a Drollino.

Mia si sente a figgere gli sproni nei fiacchi, si sente spinta in un passaggio strettissimo, che corre fra la carrozza ed i campi, a sinistra della via. Passa rapida come un lampo, e Drollino non vede la mano del Duca correre sotto l'ala del cappellone nero e posarsi, imperiosamente morbida, sulla spalla della Duchessa.

Il personale della tenuta era quasi tutto riunito al cancello del viale d'ipocastani. La balia di Milla e la fattoressa piagnucolavano, affettuosamente, parlando della loro piccina che tornava, ed era sposa! Era un sussurrìo continuo di osservazioni, di ricordi, di pronostici.... e il coro non faceva sosta se non quando s'udiva da lungi sulla via il rumore d'un veicolo. Allora le parole si facevano tronche... sommesse... Ora viene... è lei... a momenti... è qui. Ma non era mai lei, e intanto annottava.

Finalmente s'udì un galoppo continuo, concitato... Sono loro di certo. E tutti ritti in punta di piedi, per veder meglio e prima. Ma no... era Drollino.

Lui a briglia sciolta, coi capelli al vento, pareva un indemoniato. Mia era tutta bianca di schiuma. Con due sbalzi, cavalla e cavaliere oltrepassarono il cancello fra le due ali di folla che davanti a quell'arrivo precipitoso s'erano ritirate gridando. Drollino non si fermò a dar spiegazioni, corse via sempre di carriera, e scomparve quasi subito nella direzione dei pascoli.

La carrozza coi quattro cavalli non giunse che venti minuti dopo.



IV.

Alla torre bruna del campanile, l'orologio, serio e grave, annunziava le dieci e mezzo. Il desinare degli sposi era finito da non molto, ed il Duca, parlando languidamente della stanchezza dei viaggio, aveva subito condotto Milla di sopra, della loro stanza.... E la camere illuminate e silenziose, la fuga delle sale a terreno avevano veduto passare quella coppia, taciturna ormai.... sui passi del domestico, che spalancava gli usci. Poi gli usci s'erano chiusi, e non si sentiva rumore di sorta. Il chiasso e l'allegria s'eran concentrati nel tinello della servitù.... dove e vino e motti festosi correvano senza posa in mezzo alle libere risate e alle libere frasi. Ma quella gazzarra schietta e grossolana moriva lì, tra le pareti crudamente bianche di quel locale.

La casa era immersa in un silenzio religioso, come addormentata, nella serenità luminosa della notte. Biancheggiava alta, chiusa, signorile, nel vivo chiaro di luna che, piovendo senza riparo sulla facciata, pareva rivestirla d'un'immensa frescura d'argento. L'ombra della villa spiccava di fianco nerissima, sul verde umido del giardino. In quella luce dolce, senza bagliori, tutto pareva acquistare un forte risalto di contorni, ed il fogliame scuro del viale pareva staccarsi, cesellato, sullo sfondo dell'aria serena, tinta d'un cupo azzurro grigiastro.

Una pace infinita. Attorno al laghetto, nel canneto, qualche breve sussurro di giunchi dondolati da una subita bava di vento notturno; dalla parte del viale, qualche nota smarrita di rosignuolo.... L'aria era pregna d'un odore forte e grato di serenella.... e ve n'era infatti una gran macchia, tutta in fiore, poco discosto....

In mezzo a quella pace e a quel silenzio, una ombra mascolina or s'allungava, or si faceva più corta sulla ghiaia del giardino, a seconda della direzione del corpo che la proiettava. Era l'ombra di Drollino.

Il giovane palafreniere s'era trovato lì senza sapere come, nè perchè.... Quel fracasso infernale del tinello l'aveva stordito; era uscito per respirare un po' d'aria fresca, e camminava in su e in giù sulla grande spianata. Si fermò un momento dietro alla macchia delle serenelle, guardando come trasognato la doppia scalinata che sale sulla facciata della villa e fa capo alla terrazzina del primo piano. Sapeva esser quello l'appartamento destinato agli sposi.

La brezza notturna si mette improvvisamente in moto. Allora tutto quell'arruffio di piante arrampicanti, avvinghiate alla balaustra, s'agita, freme, i fiori oscillano, rizzano le pendule teste sui rami curvati ad arco. Anche loro vogliono vedere: come lui.... Perchè?... Cosa importa ai fiori delle fatali ore umane? E cosa importa a lui, a quel giovane ineducato, mezzo zingaro, mezzo selvaggio, che se la dice e sta coi cavalli più volentieri che coi pari suoi?

La finestra s'aprì impetuosamente. Milla apparve.... lassù sul terrazzino. Non aveva più il suo elegante vestito da viaggio; la sua personcina, minuta, snella, era avvolta in un'ampia douillette di casimirra bianca. E subito, alle spalle di Milla, ecco il Duca.... Milla voltò il visino smarrito verso la luna.... quella vecchia amica di tutte le gioventù! Ma egli no, non lo guardò neppure quel disco pallido e muto.

Parlava, e il vento portava le sue parole, brevi, tronche, come soffocate:

- Ma che idea! vieni, amor mio.... vieni.

Essa rideva, appoggiata, stretta alla balaustra, come una rondine che, in tempo di bufera, si stringe alla gronda.

- Vieni, vieni! - ripeteva il Duca, null'altro che: «vieni.» Ma quella parola vibrava.... ardente.... nell'aria fresca.

Milla lo pregava d'aspettare un momento.

- Oh! Giuliano.... no.... aspetta un momento.... ti prego.... guarda.... com'è bello!

Era smarrita, ansante; guardava quella gran pace di luce smorta, quella divina poesia notturna, che nell'ora suprema della sua esistenza metteva un minuto di suprema poesia d'amore.

Ma il Duca, in quel momento, non aveva nessuna voglia di contemplare la luna, la trovava anzi molto inutile...; non disse più: «vieni,» ma, avanzandosi rapidamente verso Milla, la recinse con un braccio alla vita. Essa non lottò, lasciò andare il capo all'indietro, sinchè lo sentì appoggiato sul petto di lui, ed alzò gli occhi a guardar Giuliano. Allora egli chinò il volto, e le baciò la bocca dando un passo addietro. E così, adagino adagino, con quel metodo, camminando a ritroso, a furia di baci, di sconnesse parole, la ricondusse sulla soglia. Poi sciogliendosi per un momento si voltò repentino a serrar le gelosie, i vetri, le imposte e quanto diavolo c'era.

Di fuori, rimase il lume di luna, così perentoriamente messo alla porta.

E nel lume di luna, la faccia turbata, quasi stravolta di Drollino!

Sua! mormorò il giovane.... E digrignò i denti....


Si guardò attorno. Era precisamente in quel lato del giardino dove, otto anni prima, aveva avvertito l'avvicinarsi dei malfattori. Rivide, colla memoria, quelle tre faccie sinistre sbucanti cautamente dall'oscurità del viale!...

Ma ora, la pace era completa. La facciata della villa taceva nella molle bianchezza che l'illuminava.

Un subito pensiero scosse Drollino. Provò un impulso.... quello di destare ancora, tutti con un grido d'allarme: al ladro.

Ma si trattenne, con uno sforzo violento che gli fece provare come un senso di stringimento alle fauci.... Ah Cris....

Ma non potè finir quella parola... neppur quella...

Allora, come se lo avesse colpito un subito spavento, fuggì rapidamente pel viale e scomparve nell'ombra, sforacchiata dai cerchiolini argentei che piovevano a terra, sotto il traforo del fogliame.


Pochi giorni dopo, il Duca e la Duchessa vennero, in carrozza s'intende, a visitare i pascoli. Le puledrine erravano, sgambettando attorno alle madri, che posatamente pascevano, alzando ogni tanto le teste per guardare, con quei loro occhi calmi e profondi, l'orizzonte sereno del piano. Qualche gaio nitrito echeggiava qua e là nelle mandrie e le grandi biche del fieno maggengo profumavano l'atmosfera, accanto ai casolari.

Drollino, osservava con piena soddisfazione l'equipaggio, una leggiadra vittoria attaccata a due nervosi cavalli ungaresi. Stava un po' in disparte, di fianco alla carrozza. Che cosa curiosa era mai quella Duchessa! La sua piccola persona scompariva quasi nell'ampiezza della vittoria e nell'intricata vicenda di trine bianche e thibel grigio tenero della sua stupenda toilette di primavera, ma la bianchezza dell'incarnato, la delicatezza squisita dell'ovale e la grazia soave della fisonomia componevano nello sfondo roseo dell'ombrellino aperto, un quadretto supremamente gentile. Essa non aveva più l'aria sgomentata; era un po' pallida, ma su quel passeggiero abbattimento dei tratti, che dolcezza infinita di contento, che luce ridente, quanto raggio di gioia, d'un orgoglio nuovo, appassionato! Un sorriso lievemente estatico le posava sulle labbra ed ella riusciva a gran stento a strappare ogni tanto dal volto del Duca il suo sguardo, invincibilmente affascinato.

Il Duca, quieto, ilare e molto bello, nel suo elegante tout de même inglese, rispondeva ad intervalli alla involontaria fissità degli sguardi di lei, con certe rapide e molli carezze dell'occhio. E con una compiacenza, non meno paga e sincera, guardava pure i cavalli che il capo di scuderia gli andava accennando e che i mozzi della tenuta facevano passeggiare avanti e indietro a fianco della vittoria.

Egli li esaminava, socchiudendo per vederci meglio, uno dei suoi splendidi occhi azzurri.

Faceva il possibile onde persuadere gli astanti d'essere al fatto di quanto costituisce la difficile arte dell'allevamento equino, ma le sue cognizioni in proposito, limitate al dispendioso sì, ma ristretto dilettantismo dei più dei giovanotti eleganti, non impedivano che ogni tanto gli scappassero detti certi maestosi strafalcioni, che la Duchessa aveva per vangelo, ma che sortivano un ben altro effetto presso gli altri. Qualche sorrisetto spuntava qua e là sui volti abbronzati; mozzi e palafrenieri scambiavano certi sguardi, ch'erano vere salve di canzonatura. Il Duca non se ne accorse, e incoraggiato da un intimo sentimento della propria disinvoltura, volle scendere, per scegliere un cavallo da sella, ch'egli destinerebbe al suo uso particolare.

Ne provò parecchi e dei migliori, ma su tutti trovò a ridire. Questo aveva la bocca dura, quello il trotto ineguale.... quell'altro l'andatura sgarbata.... Alla lunga, s'impazientì. A lui non piacevano.... ecco!... era abituato a ben altri soggetti.... Già; con queste benedette razze italiane, è inutile, ci sarebbero sempre degli inconvenienti! E anche le mandre, i riparti, i pascoli lasciavano molto a desiderare.... Penserebbe, provvederebbe lui; ci voleva un altro impianto; ecco cosa ci voleva!

A un tratto gli venne veduta, un po' in lontananza una cavalla alta, di stupende forme, con una testa fina, delle gambe sottili e nervose, un collo elegantissimo, sul quale i turgidi meandri delle vene spiccavano in nitido risalto. La cavalla stava immobile, in una posa felicissima e atta a far valere la classica bellezza delle sue linee.

- To! pensò il Duca! ecco il caso mio.

Si voltò verso l'intendente e gli disse accennando quella cavalla: - Ecco un discreto prodotto; come si chiama?

- Mia! - rispose dietro alla vittoria una voce giovane e vibrata.

Il Duca si voltò e vide che chi aveva detto quel nome era uno dei cavallari. Per cui, senza rispondere a colui, si rivolse nuovamente all'agente:

- Che nome ridicolo.... Dev'essere una buona bestia.... Amerei vederla in moto.

D'un salto, e benchè Mia non fosse sellata, Drollino le fu in groppa. Sciolse la cavezza, e si mise in moto. Con due o tre monosillabi fece prendere successivamente alla cavalla il trotto, il galoppo, saltar una barriera, fermarsi repentina, poi tornare scambiettando al sito donde avea prese le mosse. E tutto questo fu compiuto in un momento, con una maestrìa, una sveltezza, una bravura ammirabili.

- Bravo, Drollino! - sclamò la Duchessa con entusiasmo e guardando suo marito per vedere l'effetto che sortiva in lui lo spettacolo della valentìa di Drollino.

Ma il Duca non si degnò di esprimere la sua soddisfazione. Ordinò che sellassero la cavalla; voleva provarla.

L'intendente rimase un po' imbarazzato.

- Veramente.... signor Duca....

- Cosa? - chiese brusco il padrone.

- Ecco.... signor Duca.... certamente..., si figuri.... ma vede, quella cavalla.... sicuro.... è bensì un prodotto della tenuta, ma non appartiene propriamente alla tenuta.

- No? e di chi è?...

- Mia! - disse tranquillamente Drollino, che, disceso di sella, stava ritto accanto alla cavalla, guardando fisso il Duca.

- Ah! - rispose questi con suprema indifferenza.

Risalì in carrozza e si rivolse di nuovo al signor Damelli:

- Come mai si permette a un addetto alla tenuta di tener cavalli proprii?...

Damelli tentò una specie di giustificazione.

- Era stato il fu signor Principe, in ricompensa d'un importante servigio....

- Queste sono irregolarità - interruppe il Duca - cose che non dovrebbero accadere. Mi avvedo che ci sono varie riforme da fare in questa tenuta. Provvederemo, provvederemo.

Il signor Damelli, più ossequioso che mai, si affrettava a scappellare, vedendo che il Duca si disponeva a dar l'ordine di partenza. Ma i fastidi del buon intendente non eran finiti. Il Duca gli fè segno d'accostarsi, e gli disse abbassando la voce: - Caro signor Damelli, ella ha l'incarico di pagare a quel ragazzo il valore della cavalla e di farla condurre stasera in scuderia.

- Avanti - ordinò poscia al cocchiere; e la carrozza si mosse in mezzo ai saluti ossequiosi dei dipendenti.

Ma, appena rizzate, quasi tutte le teste ebbero un dondolìo: il nuovo padrone non era riescito simpatico a nessuno, e lo si giudicava severamente. Che boria! che fare sprezzante! E che bel modo di stare in sella! com'era sgarbato a cavallo! che personale tozzo, che corporatura floscia, molle! A loro non pareva neppur bello di viso con quella faccia bianca e grassa, quegli occhi di vetro celeste, e quel barbone biondo! La Duchessa, quella sì...; a lei, ch'era una donna, stava bene il visino bianco. E com'era contenta, come sorrideva, come conosceva tutti! S'era ricordata persino d'un vecchio mozzo che una volta, quand'essa era piccina, le aveva fatto fare il giro del giardino sulla carretta del fieno! Ah! che povera idea aveva avuta la signorina d'innamorarsi di quel biondone spiantato che non sapeva far altro che criticare a diritto e a rovescio.

- Eppure - concluse un Pedrolo osservatore - si capisce ch'essa gli è morta addietro!

Morta addietro? Sì certamente; quel Pedrolo non andava errato. Milla s'era completamente smarrita nella repentina rivelazione d'un amore ch'essa non aveva avuto il tempo di prevenire, studiandolo o immaginandolo.

Il cuore della bambina s'era improvvisato cuor di donna, e la scossa subitanea di quella trasformazione era stata più forte di lei. La prima goccia della tazza era bastata per inebbriare Milla; essa era ebbra d'amore, pazza d'amore. E su di lei era piombata quella strana, malaugurata specie di passione che invade facilmente le anime pure e ignoranti, la passione più innocente e più pericolosa, più sublime e più sciocca fra tutte, quella che non calcola, che spende, spande, sperpera scioccamente tesori di tenerezza senza mai fermarsi a noverare quanto ha dato, o a chiedere quanto ha ricevuto. Passione sitibonda di schiavitù, che nell'oggetto del suo culto crea infallibilmente il tiranno dell'oggi e forse l'annoiato del domani.

Alla sera di quel giorno memorabile, il signor Damelli, terribilmente imbrogliato e coll'aria d'un cane che ha lasciata scappar la lepre, si presentò al cospetto del signor Duca.

- Ebbene? - gli chiese questo imperiosamente.

Il sig. Damelli non sapeva da che parte rifarsi.

Ma finalmente, con molti giri e rigiri di frasi, finì col confessare che aveva fatto un buco nell'acqua.

- Oh! Eccellenza, si figuri, è proprio riconoscentissimo quel giovane, anzi mi ha detto di ringraziarla della sua generosa offerta.... Ma creda.... che non.... insomma sarebbe per lui una vera disgrazia.... Egli adora quella cavalla.... non vuole.... insomma non può separarsene!

- No? - disse il Duca. - Com'è ingenuo, caro signor Damelli. Non vede che quel ragazzaccio voleva far salire l'offerta?

- L'ho fatta salire, l'ho fatta salire - s'affrettò a rispondere l'intendente; - ho promesso una somma enorme, ho detto che il prezzo lo fissasse lui. Ma nulla.... l'ostinazione di quel giovane fu invincibile. Pare ch'egli abbia una specie di arlia per quella bestia.... Fu un attestato di riconoscenza del povero Principe, per un import....

- Basta! - disse il Duca, rosso come un galletto....

Congedò bruscamente il signor Damelli, e passò nella camera della Duchessa. Milla era occupatissima a provarsi un paio di scarpettine ricamate; ma vedendo entrare Giuliano con quel viso rabbioso, si spaventò. S'alzò, e, camminando con un piedino calzato e l'altro no, venne a incontrar suo marito.

- Oh Dio! Giuliano! cos'è accaduto?

- È accaduto - sbuffò il Duca, - è accaduto che questa casa è una Babilonia, e che c'è bisogno di riforme più del pane. Hai dei bei tipi, sai, fra questi tuoi dipendenti! Ma lo manderò via quel biricchino, lui e la sua rozza.... per insegnargli....

E le raccontò la storia, a quel modo, con delle minaccie rabbiose di fare, di disfare, di metter tutto all'aria.

La Duchessa trovò ch'era un abbominio, e che Drollino avrebbe dovuto stimarsi ben fortunato di cedere, non una, ma cento Mie a Giuliano. Ma, mentre condannava Drollino, sorrideva a Giuliano con una soavità biricchina di donna felice.

- Oh! che sciocco è mai colui.... E tu, Giuliano, non te ne curare.... Per una cavalla! non son tutte tue quelle dei pascoli e delle scuderie?... E se vuoi, falle venir da Londra, là, dove dici che son così belle.... Non pensar più a colui. È una cosa da nulla.... - E per quella cosa da nulla prodigava baci, carezze, soavità di sguardi e di parole da bastare alla felicità di tutta un'esistenza.

Giuliano era disarmato, e il suo terrore delle scene, la sua pigrizia naturale finirono di placarlo. Tralasciò di borbottare, e fu lui che calzò l'altra pantofolina celeste sul piede rosa (grande come un biscottino di Novara) della sua Milla.... Ma la collera non era completamente passata; gli rimase una certa uggia verso Drollino. Quel monello, che cavalcava come un cavallerizzo, che si permetteva d'aver una cavalla propria, che aveva avuto l'ardire di rifiutarsi a cedergliela, gli dava sui nervi. Tanto, che ne parlò addirittura coll'agente.

- Non le pare che sarebbe bene mandarlo a spasso..., per dare una prova di energia...? per incutere negli altri una salutare idea della disciplina indispensabile? eh!...

Ma l'agente, con infiniti riguardi, espose varie buone ragioni. Veramente, faceva osservare che, proprio, gli estremi non c'erano. Avrebbe fatto più dispiacere che effetto a tutti quanti, il vedere scacciato quel ragazzo. Sua Eccellenza sapeva senza dubbio il servizio da lui reso, tempo addietro, alla casa. E poi, bisognava riconoscere che aveva un'abilità straordinaria come allevatore e domatore.... e nel resto teneva una condotta irreprensibile.

Giuliano capì il latino. L'ira gli era sbollita ormai, ed egli, annoiato da quella prolissa difesa, si sentiva tornare addosso la serena indifferenza del creolo. In cuor suo cominciava a trovare che proprio non valeva la pena! Per cui finì coll'esser magnanimo, e perdonò senz'altro a Drollino, col patto però che colui non avesse più a capitargli fra i piedi.

Colui, dal canto suo, non aveva nessuna smania di capitar tra i piedi di quell'eccelso signore. La faccia del Duca non gli tornava punto simpatica. Trovava che rassomigliava a certi musi di cavalli traditori, sparmiafatica, che non ci pensano punto a tirare un calcio anche a chi li governa e riempie la mangiatoia davanti a loro.

La sua maniera di stare in sella lo esasperava, ed egli si compiaceva di far osservare ai compagni il modo indegno col quale il Duca guidando, rovinava la bocca alle bestie. No.... a lui non pareva proprio che la signorina avesse fatta una scelta ammodo. Perchè mo' aveva avuta tanta fortuna quella botte d'uomo con quella barba pettinata! perchè l'aveva sposata, lei.... il loro orgoglio, quella specie di madonnina bianca.... Almeno fosse sempre lì in ginocchio davanti a lei!... Ma no, era sempre la signora che faceva a modo suo, che godeva a vederlo spadroneggiare nella tenuta, nella villa. E lui, con quell'aria placida, sicuro del fatto suo, che si lasciava adorare, che criticava tutto! Eppure non c'è Cristi, il padrone ora era lui! La villa, la terra, i cavalli erano suoi.... Anche Milla era sua.... E non gli era bastata.... Anche Mia avrebbe voluto!...

- Mia! ah no!... piuttosto.... Cristo!...

Stava più che poteva nella pianura dei pascoli. Gli era accaduto qualche volta, capitando per tempo alla villa, di vedere in giardino la veste bianca di Milla, e attorno alla vita di Milla una gran macchia scura, cioè il braccio del Duca. Aveva sentito di sfuggita, passando, qualche sussurro di parole amorose. Come rideva, Drollino, di quelle sciocchezze! Gli parevan così buffe che, quando poteva, evitava di vederle e di udirle. Egli non capiva.... da loro non si usava far all'amore così.... Pure, certe volte un'acre curiosità lo tormentava! Come aveva fatto quel biondo antipatico a farsi voler bene.... così?

Ecco, quando la Duchessa era sola e passava lì accanto, la cosa mutava affatto. Non gli rincresceva allora di procedere franco, di farle un saluto profondo...; non era forse lei la sua vera padrona, la signora d'Astianello? La cosa era assolutamente diversa.

Milla, quando vedeva Drollino, rispondeva cortesemente al suo saluto, ma non gli parlava. Gli serbava un po' di rancore, per essere stato così ostinato e per non aver voluto ceder Mia al suo Giuliano.

Un giorno, però, s'incontrarono nel viale. La Duchessa rispose con un sorriso al saluto di Drollino. Poi si fermò, e gli chiese se stesse sempre nella casetta della scuderia.

Drollino rispose di no. Dopo la morte di suo padre, era tornato laggiù.... nei pascoli. Ora stava in una cascina.... Sa bene.... la Favorita.

- Mi ricordo - disse Milla. - Ci sta la suocera della mia sorella di latte.... E ti piace a star lì?

- Sì, rispose Drollino. - È come al tempo antico.... quando c'era il signor Principe.

Negli occhi di Milla venne un luccicore umido.

- Oh! papà.... povero papà.... Com'era buono.... nevvero?

- Tanto! - disse con forza Drollino. E l'accento era così sentito che Milla provò una specie di gratitudine. - Ecco, anche lui si ricordava.... Oh! se il suo povero papà potesse vederla ora.... così felice, così beata! - E subito il pensiero di Giuliano tornò ad afferrarle l'anima, a sbandirne il passato, a immergerla di nuovo nell'estasi delirante del suo presente. L'occhio di Milla era ancora velato, ma aveva cessato di guardar l'orizzonte e di veder Drollino.... essa pensava che Giuliano poteva già essere sceso in sala da pranzo ad aspettarla. Disse in fretta; - Addio, Drollino - e voltò strada, dirigendosi verso la villa.

Drollino, naturalmente, non capì, nè indovinò. Andò via lentamente, pensando alla vecchia camera, all'entrata della scuderia, a un muricciuolo facile a scavalcare, e a certe pigne di castagne d'India, che per un soffio, per un sassolino diroccavano giù, ruzzolando in tutte le direzioni sulla sabbia di quel viale, quello per l'appunto.

Drollino incontrò un'altra volta la Duchessa, e fu contento di vederla, perchè aveva udito dire che la signora non stava tanto bene. Si buccinava anzi che ci fossero delle speranze..., certe speranze soavi, che si concretano nei preparativi d'una piccola culla....

La Duchessa aveva infatti l'aria un po' patita e Drollino, vedendola passare lentamente sul sentiero soleggiato del giardino, con una mossa stranamente dolce e stanca, rimase un momento come trasognato. Com'era bella!.... le altre donne ch'egli vedeva lì e in città non le somigliavano punto. Così piccola, minuta, com'era, rappresentava per lui la gloria, la potenza, il pregio di casa d'Astianello. E per questo egli la guardava così.... con quello sguardo devoto che ammirava.

Anche stavolta fu lei a fermarsi e a rivolgergli la parola.

- Buon giorno, Drollino.

Drollino trovò il coraggio di chiederle come stesse.

Essa arrossì profondamente con un pudore giocondo. E rispose: - Bene. - Ma rispose in fretta, colta da un conscio imbarazzo davanti alla semplice, ossequiosa domanda d'un palafreniere qualunque. E subito; per cambiare argomento:

- Drollino, sai che andiamo via?

Egli non sapeva nulla, e disse:

- Come mai? così presto.... due mesi soltanto....

E sbarrò gli occhi con un'espressione curiosa a vedersi, difficile a definire.

- Sicuro.... si va via.... la settimana ventura. Io starei ancora qui tanto volentieri, ma il Duca dice che bisogna andare ai bagni.

Diceva queste cose con rammarico, ma anche con una segreta gioia di poter ardere questo rammarico, come un granello d'incenso, sull'altare del suo nume.

Il Duca aveva parlato dei bagni, li aveva vantati come giovevoli alla sua salute; non aveva detto positivamente «andiamo,» ma diceva a Milla, con quella sua voce lenta e melodica, che il caldo ad Astianello minacciava di farsi eccessivo, e che anche per lei, anzi, ben inteso per lei, sarebbe stato meglio un po' d'aria di mare, un po' di svago....

Quando Milla udì quella parola: svago, guardò per un momento Giuliano, coll'aria incerta d'una persona che non capisce. Svago.... per lei?...

- Oh, Giuliano, Giuliano, come puoi credere? - disse finalmente, ridendo.

Ma capì meglio un'altra volta, quando le venne udito, in pieno giorno, senza ombra di causa apparente, un breve sbadiglio di Giuliano.

Un'idea terribile le trapassò, come una spada, la mente. Giuliano.... forse si annoiava?

Senza forse, povera Milla! il primo mese era stato incantevole pel Duca, il suo nuovo amore e i suoi nuovi splendori avevano occupato egregiamente il secondo; ma il terzo.... il terzo.... Erano soli, molto soli ad Astianello: e le ville vicine non sarebbero occupate che durante l'autunno.

Quell'eterno argomento dell'allevamento lo interessava sino ad un certo punto! Milla era un angiolo, oh questo sì, ed egli era il più felice degli uomini; ma quella luna di miele così prolungata, così esclusiva, prendeva delle proporzioni allarmanti. Giuliano trovava che non bisogna abusar di nulla, nemmeno della felicità.

E Milla, che aveva fatto conto di rimaner lì celata, rannicchiata nella suprema estasi del suo amore sino al Natale per lo meno....

Pure, un giorno, disse soavemente a Giuliano:

- Quando partiamo?

- Quando vuoi - rispose languidamente il Duca.

Ma come fu caro in quel giorno, e adorabilmente affettuoso per la sua Milla!


V.

Tornarono sullo scorcio del settembre, nella molle e tiepida stagione in cui l'anno, come un saggio epicureo, si riposa e dice: godiamo, prima di prepararci a morire.

La Duchessa aveva lasciata ai bagni la sua celeste speranza. Aveva abortito, chi diceva per una passeggiata troppo faticosa, chi per un accidente, chi per uno spavento, chi per una grande emozione. Qualcuno parlò di una scena avvenuta fra lei e Giuliano per certe gelosie, senza capo, nè coda. Poi era successa una riconciliazione, e tutto era finito: gli sposi tornavano e felicissimi.

Il Duca era ingrassato un altro po'; Milla invece era dimagrata. E più ancora di prima, era pazzamente innamorata di suo marito.

Nel suo amore c'erano due elementi nuovi, la gelosia e il timore.

Ecco com'era venuta la gelosia.

Ai bagni a Viareggio, avevano trovata molta gente. Vecchie conoscenze di Giuliano, che naturalmente non s'erano potute scansare. L'isolamento, in un luogo così frequentato, sarebbe stato assolutamente ridicolo. Almeno Giuliano diceva così, e Milla era troppo ragionevole per non capire che Giuliano, sino a un certo punto, non aveva torto. L'intimità dunque era finita. Bisognò unirsi a quei gruppi chiassosi di bagnanti, prender parte a delle allegre gite, cenare a ora tarda al Nettuno, fare scampagnate alla Pineta, a Massa, a Lucca. Dio! che tormento! Erano tutte buone, gentili quelle signore, e facevano un mondo di feste alla sposina; e i signori, quelli poi gentilissimi, al punto di farla rimanere un po' impacciata, qualche volta: ma che stordimento, che noia in quel chiasso, in quel divertimento che pareva tanto piacere a Giuliano! Egli ci si trovava come nel suo elemento, ed ella invece....

Uno sciaguratissimo giorno, era capitata da Livorno, con un vaporetto della Marina, una compagnia elettissima.... oh si, proprio eletta.... di signore e di signori. Eran venute a fare una gita di piacere a Viareggio. Fra quelle signore ce n'era una bellissima, vestita con impareggiabile eleganza che a un tratto, aveva detto a Giuliano, passandogli accanto - Oh caro Duca! lei qui?... - con una piacevolezza, una disinvoltura infinita. Giuliano sulle prime era rimasto lì come un po' impacciato; poi s'era messo a ridere. E aveva risposto: - Ma.... pare.... Baronessa....

- Olga! - aveva chiamata un'amica della signora, e la signora s'era fatta accompagnare in là da Giuliano. Quindici minuti dopo, le due società s'erano fuse in una sola, e la signora, che Giuliano aveva presentata a sua moglie, le usava mille gentilezze, le presentava alla sua volta i cavalieri del suo gruppo, e assicurava a tutti, con un sorriso singolarmente gentile, che la Duchessa Lantieri era proprio un'adorabile donnina!...

Milla non aveva mai visto Giuliano così animato. Si divertiva immensamente, fu brillantissimo, prodigò mille attenzioni alle numerose signore della brigata. Nella cena, che coronò splendidamente quella giornata campale, il Duca fu spiritosissimo, i suoi occhi azzurri ebbero certi strani lampi, come di sfida. La signora elegantissima rideva molto, eran tutti di buon umore, e lo sarebbe stata anche Milla, se non avesse afferrata al volo un frammento del colloquio imprudente di due vicini.

- Caso?... davvero? - aveva chiesto un signore accennando, con un lievissimo moto del mento, Giuliano e la signora elegantissima.

- Speriamo.... - aveva risposto l'altro.

E s'erano guardati, ridendo, con una cert'aria, ammiccando.

Poi uno degli interlocutori aveva fatto, accorgendosi ch'ella era vicina. - St..., come per avvisar l'altro. E avevan cambiato discorso, con grande prontezza.

Allora essa sentì, per la prima volta, di non esser felice, sentì che fra quella donna e Giuliano c'era forse qualche cosa.... Ebbe un momento d'angoscia terribile, l'angoscia dell'incertezza.... Oh! quella cena terribile, lunga, così gaia per gli altri, così tremenda per lei....

Non disse nulla, sentì la suprema necessità della dissimulazione. Ma non potè impedirsi di osservare! E nell'osservazione, rimase astratta, confusa, quasi istupidita. Li guardava come incantata: erano abbastanza lontani da lei perchè la fissità del suo sguardo non paresse rivolta soltanto a loro.... Essi erano allegri entrambi, allegrissimi; quella signora lo trattava con una certa cordialità serena, indulgente. Egli aveva l'aria contenta, molto contenta; essa da lontano le mandò un sorrisetto amichevole, festoso, a cui la Duchessa tentò rispondere con uno sforzo che le parve faticosissimo. Il mare, sotto all'impalcato, diceva, nell'eccitamento ondoso della notte sopraggiunta, delle cose gravi e severe, che nessuno ascoltava. I tappi delle bottiglie volavano ad ogni momento, oltre le balaustre di legno, e andavano a posarsi sui dorsi e sulle irrequietudini delle spume candide, nel buio.

Finalmente, quell'angoscia crudele ebbe fine. La Baronessa e la sua comitiva s'imbarcarono per Livorno.

Ma non prima d'aver combinato coi bagnanti della Spezia una seconda gita. C'erano le regate a Genova; s'andrebbe tutti assieme alle regate.

Milla si sentì morire.... E mentre il vaporetto illuminato s'allontanava rapidamente sul mare, bianco di raggi lunari, essa diceva a sè stessa:

- Stanotte gli domanderò....

Giuliano era di cattivo umore tornando a casa. Lo sciampagna non valeva nulla, disse a sua moglie. E non aveva sonno. Era quasi impensierito. Non triste, un po' irritato. Pure, a Milla, pareva più affascinante che mai. E irritata anch'essa, malaccorta, impetuosa, entrò bruscamente a interrogare: - Perchè quei due avevan detto così?...

Giuliano s'alzò di botto, e sul viso stravolto di sua moglie lesse l'avvicinarsi d'una scena.

S'alzò, s'inchinò lievemente e passò nella camera vicina.

E Milla rimase col martellamento della gelosia, col dubbio d'essere stata una gran sciocca, col terrore d'aver offeso Giuliano. Era la prima volta che le accadeva tutto ciò.

All'indomani, al Nettuno la Duchessa parve a tutti molto pallida. Giuliano era più piacevole che mai, invece. Ma la povera sposa soffriva così visibilmente che, alla sera, non potè uscir di casa.... E due giorni dopo, un'animuccia, disgustata, sgomentata, tornava dond'era venuta, senza aver pagato all'eternità lo scotto d'un'umana esistenza.

Nel momento del pericolo, mentre si sentiva oscillare fra la vita e la morte, Milla ebbe una bizzarra parola. Disse a Giuliano: - Perdonami.

Il Duca, nell'angoscia stessa ond'era compreso, ebbe un istante di maraviglia. Poi capì. Più tardi, quando La Duchessa, ancora pallidissima nella sua veste da camera bianca, gli sorrideva, beata di sentirsi a rivivere e di vederlo tornato suo, egli le disse dolcemente: - Cattiva!

Ella chinò il capo, arrossendo. Oh! sì era stata tanto cattiva.... Aveva avuto certi pensieri.... Ma aveva sentito. E gli disse cosa aveva sentito.

Egli prese un'aria seria, quasi paterna. - Ah! se la sua Milla non fosse stata così bambina da dar retta a delle assurdità. Certamente, un tempo c'era stato qualche cosa. Ma....

- Ah! c'era stato?... - osservò Milla, mentre sulle sue gote pallide passava un rossore di fiamma.

Il Duca alzò le spalle e si mise a ridere.

- Certo - disse placidamente - ero un po' scapato ai miei tempi. E per farmi far giudizio ci volevi proprio tu....

Essa arrossì ancora, ma d'orgoglio questa volta, d'un orgoglio delizioso di donna amata!... E, col cuore pieno di gioia e di rimorso, tese la mano a suo marito.

Egli la prese, e Milla capì a qual punto era stata sciocca e bambina! Oh, sì! egli l'amava come essa amava lui, esclusivamente, e per sempre.... Il passato non esisteva più.... era un sogno svanito.

Tornarono ad Astianello, prima del tempo fissato.

Milla stava attenta, molto attenta! Giuliano sbadiglierebbe ancora?

No. Giuliano non sbadigliava.... almeno in presenza di Milla. Ma, certe volte, aveva un'aria un po' svogliata e, passeggiando sotto il viale a passi strascicati, tormentava colla punta degli stivalini lucidi certi poveri fiorellini, che proprio non ne avevan colpa.

Un giorno, Milla scese a colazione con una novità. Era una piccola matita elegantissima, tolta ad un carnet da ballo. E strettala fra le ditine cominciò a tracciare sul margine del giornale, che Giuliano aveva finito di leggere, qualche nome. La manina tremava un po', ma le parole eran tracciate bene.

- Che fai? - chiese languidamente Giuliano.

Essa ristette dallo scrivere, con una mossa improvvisa, come d'una bambina colta in fallo.

Poi, con una dolcezza infinita, disse:

- Penso che, dopo tutto, per l'ottobre si potrebbe invitar qualcuno.

E lo guardava, lo guardava, studiando la sua fisonomia, aspettando forse ch'egli le dicesse di no.

Ma egli non disse di no. Disse soltanto - Ma cara Milla, tu sei un angiolo! - E più tardi, quando s'alzarono di tavola, le diede il braccio, guardandola e sorridendole quasi coma l'aveva guardata e le aveva sorriso nei primi giorni del suo matrimonio.

E Milla, povera bambina, ebbe un momento di suprema gioia. Ecco! l'aveva trovato il modo.... Contentarlo nelle piccole cose. Ah! ora sapeva!

Milla era felice. Il suo Giuliano era tornato di buon umore. Si divertiva un mezzo mondo mettendo la villa a soqquadro, rinnovando gli addobbi delle sale, il mobiglio delle camere, rimodernando da capo a fondo gli appartamenti. Aveva certo trovate artistiche tutte sue, sapeva combinare meravigliosamente quanto, oltre alla ricchezza, rivela in un appartamento, il carattere e l'immaginazione signorile di chi lo abita. Una vera legione d'operai s'era stabilita alla villa, e, con una rapidità quasi magica, l'interno della casa andava assumendo un nuovo e più brillante aspetto. Il creolo sapeva dar gli ordini necessari, e Milla, ch'egli non consultava mai, era in uno stato di continua ammirazione. Eppure, certe volte, in mezzo al suo entusiasmo pel talento di Giuliano, un pensiero malinconico le si levava in cuore: ecco, le vecchie cose se ne andavano tutte, una per volta. Errava, con passo lento, quasi timido, in mezzo a tutta quella novità fresca di ricchezze e d'eleganza, che per lei non avevano nessun ricordo, nessuna attrattiva di segreta intesa. Astianello si mutava; era una bella cosa, senza dubbio, ed era giusto che, dal momento ch'essa aveva acconsentito a ricevere, i suoi ospiti avessero a trovare in casa sua tutto ciò che probabilmente avevano in casa propria; ma tant'è.... E un giorno, in cui Giuliano le chiese ridendo dove andrebbero a far dimora durante gli otto giorni indispensabili per rinnovare quella loro antiquata camera da letto, Milla si sentì una gran stretta al cuore.

Abbassò il capo.... sentiva due lagrime sull'orlo delle palpebre.

Giuliano alzò le spalle. Ma non insistette; e Milla gli fu indicibilmente grata di quel sacrifizio.

Il suo amore, sempre più cieco, sempre più assoluto, diventava idolatria. In esso smarriva ogni equo giudizio delle rispettive loro posizioni, ogni idea dei suoi diritti; non afferrava neppur per ombra, col pensiero, l'assieme reale delle proprie circostanze. Adorava suo marito, aveva riunite, per versarle su di lui, tutte le tenerezze ond'era capace l'assurda potenza dal suo cuore; l'amava come e quanto avrebbe amato suo padre, sua madre, i fratelli, le sorelle, con tutta la somma degli affetti che il passato non aveva mai esatti dal suo cuore, e che vi si eran sempre celati inoperosi. Essenzialmente donna, nel sano rigoglio della sua imperiosa gioventù, ella subiva il fascino di quell'uomo bellissimo, che all'ignoranza sacra della sua profonda verginità morale aveva rivelato il Dio ignoto, quel Dio che alle anime veramente pure si rivela anche con un mistico e singolare corteo di purezze indicibili, di suprema poesia. Milla si sentiva completamente travolta, assorbita nella vita nuova. La Duchessa amava a modo suo, non a modo della prudenza e dell'antiveggenza. Amava coll'inconscia forza di una volontà disarmata, con una doppia cecità di istinti, quella del cuore e.... l'altra. Non era punto santa, e sopratutto non era punto avveduta. Non chiedeva mai a sè stessa: «faccio bene o faccio male ad amare così?» Non chiedeva altro a Dio, se non che continuasse così..., e che ella potesse sempre far felice Giuliano! Certi amori, onesti, virtuosi hanno un carattere bizzarro, bene spesso. Si ha torto di non studiarli; sono anch'essi una curiosa varietà psicologica, hanno profonde e stranissime forme. Si è detto per molto tempo che il matrimonio è la tomba dell'amore; ma quando, per caso, n'è la culla? E peggio ancora, quando è tomba da un lato e culla dall'altro?... quando sulla verde sterilità del cipresso s'innesta un ramo di rosa nel pieno fermento dei suoi primi germogli?...

Il Duca si compiaceva assai, specialmente sulle prime, di quell'adorazione costante, quasi insana. Il suo amor proprio era soddisfatto; qualche volta, in cuor suo, n'era leggermente commosso. Eppure.... accadeva, ogni tanto, ch'egli sentisse uno strano moto d'impazienza. Dio! com'era mai bambina quella cara Milla. Aveva certe fanciullaggini! Il lato sublime di quelle fanciullaggini gli sfuggiva.... non era stato abituato così...; le fantasticherie di sua moglie, certe esagerazioni poetiche del suo amore per lui gli riescivano, ahimè, alquanto stucchevoli! Gli toccava, certe volte, di fingere di capire ciò che Milla gli diceva e questa per il creolo, era una fatica improba! La sua lunga esperienza della donna gli tornava vana di fronte al carattere bizzarramente affettuoso di Milla, davanti a quel completo oblio di sè stessa, che in lei semplificava tutto, ad un punto eccessivo. Ora, la semplicità nella donna, era cosa affatto nuova per Giuliano; egli la confondeva facilmente colla povertà e mentre trovava che l'amore d'una cara e ingenua donnina era pur qualcosa di terribilmente elementare, non gli veniva mai la voglia o la curiosità di studiare le profondità possibili e i probabili congegni di questo sentimento elementare. Egli aveva certamente la pretesa di raffazzonare sua moglie a modo suo, in tutto e per tutto, per questo soltanto l'aveva sposata così giovane e tolta da un convento, ma educare per lui non era sinonimo di studiare ed egli non si sentiva affatto di far la parte odiosa del pedagogo. Egli aveva per principio che colle donne non si discute mai. E però non discuteva neppur con Milla. Le diceva spesso ch'essa era bellina e, qualche volta, che le voleva molto bene. E per una di quelle: qualche volta, per una delle eleganti frasi di affetto ch'egli si lasciava di quando in quando cader dalle labbra, Milla si sarebbe gettata nel fuoco!

La sua premura di fargli piacere, assumeva talvolta le preoccupazioni d'un'angoscia. L'aveva fatto arbitro assoluto d'ogni aver suo, padrone di casa, nel più stretto senso della frase; essa non dava un ordine senza chiedere il suo consenso e provava un acuto senso di gioia, quando le accadeva di poter fare, per lui un sacrificio qualsiasi. E siccome il Duca, con una generosità senza pari, non aveva più parlato dei progettati mutamenti nella famosa camera celeste, Milla, in mezzo alla sua stessa soddisfazione, cominciò a provare la puntura di certi rimorsi. Com'era stata scompiacente, egoista!

Ecco che obbligava suo marito a stare in una camera così male arredata, mentr'egli, con quel suo buon gusto così squisito avrebbe fatto chi sa che meraviglie per procacciare a lei il piacere di avere una stupenda camera da letto. Dio! com'era bello Giuliano! Cento volte più di lei.... s'intende! E com'era buono! che nobile fiducia aveva per lei, non guardava mai nel suo scrittoio, come facevano le monache, laggiù in convento, non leggeva mai le lettere delle sue amiche.... Mentre essa invece, da quell'egoista ch'ell'era l'avrebbe voluto segregar lì, in campagna e quella volta.... là; a Viareggio!...

Il ricordo della scena di Viareggio era per Milla una vera trafittura. Oh! com'era stata sciocca, imprudente, cattiva!

Per una parola, per un nonnulla aveva fatto a Giuliano quella malaugurata scena!... Come se Giuliano fosse stato capace.... Non perdonava a sè stessa l'ingiustizia cieca di quel dubbio.... le pareva che ormai le corresse l'obbligo, per tutta la vita, di farselo perdonare. Chissà quanto ne aveva sofferto, povero Giuliano, senza dirne nulla!

E un giorno, nell'assurdità incredibile del suo povero cuoricino di moglie innamorata, nacque un pensiero. Fu respinto sulle prime, e rinnegato aspramente, tollerato più tardi e finalmente adottato.

Milla aveva ogni tanto il terrore di non essere all'altezza di Giuliano. Egli trattandola sempre coll'indulgenza più o meno paziente che si ha verso una bambina l'aveva facilmente persuasa d'esser tale. E quell'animuccia ardente ed appassionata ne soffriva. Provava ogni tanto un segreto senso d'umiliazione, aveva delle calde aspirazioni verso una posatezza, un'assennatezza da gran dama, da signora calma e sicura del fatto suo.... Diventare come Giuliano, per esempio; egli non s'alterava mai.... Ah! ma quanto era lontana da questo ideale colla sua ignoranza, colle sue sciocche timidità, colle sue continue e tormentose esitanze!

Un giorno, le capitò, a caso, fra le mani, un romanzo inglese. In esso, due coniugi, nati uno per l'altro, fatti per essere costantemente virtuosi e felici, vedevano invece minacciata la loro felicità da un triste malinteso. Un'antica fiamma del marito faceva capolino nel loro presente, e per un momento le cose s'avviavano maluccio. Ma la moglie, col suo senno, colla sua presenza di spirito, con una fortunata audacia di confronti, avvedutamente cercati, con un'illimitat fiducia, dimostrata al marito, riesciva a scongiurare il pericolo, mentre il marito, subito ravveduto, avvertiva in quella lotta stessa e per la prima volta il valore morale di sua moglie. La rivale, vinta e schernita, s'allontanava, e il trionfo della moglie e della morale si affermava incontrastato. Tutto questo era molto gentilmente descritto nella calma sassone d'un nitido volume della Tauchnitz edition.

A vent'anni (tanti ne aveva Milla, Duchessa Lantieri), un libro è bene spesso una voce autorevole, una specie di suggeritore intimo, col quale l'immaginazione fervida non tarda a mettersi in rapporto. Nella sua ingenua ammirazione per l'eroina del libro, la nostra Milla attinse un'ispirazione che le parve un'ammirabile misura preventiva. Nel terrore d'un pericolo, che pure non esisteva al momento, essa trovò il coraggio strano, inverosimile di scendere deliberatamente a incontrarlo. Con un'audacia imprudente, in un accesso di temerario ardire, cagionato da un timore intenso, essa volle, con un colpo solo, tagliar tutte le teste possibili d'una Medusa avvenire, volle conquistare intiero il futuro, improvvisarsi grande, prudente, generosa e invincibile. Volle far vedere a Giuliano che la bambina era una donna. Gli propose d'invitare ad Astianello la Baronessa Olga Dornelli.... la signora della cena di Viareggio.

Giuliano cascò dalle nuvole:

- La Baronessa Olga?... dici sul serio?... la Baronessa Olga?

La voce di Milla non tremava punto mentre essa rispondeva bravamente:

- Sì, la Baronessa Olga.

Giuliano si mise a ridere.

- Non sei più gelosa, dunque?

- Gelosa, io?... ma ti pare.... sono le sciocche, le bambine che sono gelose.... io.... so bene, sai, che tu.... che tu mi ami.

Egli la guardò coll'aria maravigliata di chi si trova a fronte d'un problema divertente e nuovo.

- Cosa ti salta in capo? - le chiese poscia.

Milla era scontenta; avrebbe voluto veder la sua offerta accolta altrimenti.

- Dico sul serio, sai. È una signora gentile.... elegante.... E.... le scriverei oggi stesso.... a meno che tu non voglia....

Si fermò aspettando.... guardandolo negli occhi.

- Io? rispose il Duca.... - anzi, figurati.... sono affatto indifferente...; ma... la conosci così poco....

- Non meno delle altre signore che abbiamo invitate.... - rispose Milla. Ma aveva il cuore pieno di malinconia;... ecco.... egli non s'accorgeva nemmeno....

- Uhm! - disse il Duca, - sai ch'è un'idea curiosa la tua?

- Non vuoi? - chiese impetuosamente Milla. E con un'imprudenza sublime, piena di passione, domandò:

- Hai paura?

Egli prese a dondolarsi tranquillamente sulla seggiola.

- Bambina! - rispose quasi subito, - non vedi che non me ne importa nulla?

Ella gettò un grido di gioia.

- Giuliano!... ah! Giuliano!

Nel silenzio del salotto suonò il rumore dolce d'un bacio. Poi ella scappò via dicendo:

- Vado a scrivere.

Egli s'alzò per tenerle dietro, per dirle: lascia stare, non voglio.... Poi rimase irresoluto, sopra pensiero.

- Puh! - disse poscia, tornando lentamente indietro, - lasciamo correre.... Come la prenderà lei?... Non verrà.... forse.... anzi certo.... non verrà.

Accese un sigaro.

- Sarei curioso, pensò, di vedere cosa dirà.... Dopo tutto, era impossibile che non c'incontrassimo quest'inverno.... E se viene?... Ebbene, vedrà come sono le cose, e che non ho perso nulla.... lasciandola.

Il sigaro non si voleva accendere.

- Curioso - continuò il Duca, parlando sempre tra sè. - Curioso davvero.... Che idea da stordita ha avuta Milla!... Imparerà a vestirsi, ciò le gioverà.... E se non venisse, quell'altra?... Diavolo d'un sigaro, non vuol saperne d'accendersi.... Tout passe, tout casse, tout lasse! Chi sarà ora?... Ancora il Viscontino?... Eh! sapremo!... Quando si dice il caso! Per fortuna che son sicuro di me stesso e che....

Non finì il pensiero. Lo sigaro s'era acceso, ed egli fumava coll'intima delizia d'un esperto.

- Non verrà! - disse risolutamente al fumo azzurro del suo sigaro. - Non verrà!

- Ecco - pensava, dal canto suo, Milla con una specie di gaiezza nervosa. - Ecco l'avvenire sicuro.... - Ma nella gioia del suo trionfo era stanca, agitata.

Oh Milla! se tu avessi avuto tua madre!...


VI.

Quando la disdetta ci si mette, è inutile, non si può vincerla, nè impattarla. La casa era in ordine, gli appartamenti in pieno assetto. Ma il capo di scuderia, quell'inglese antipatico, aveva, laconicamente sì, ma colla più testarda ostinazione, chiesti i suoi otto giorni.

Proprio in quell'epoca! Andava via all'ultimo di settembre, e verso i due o i tre d'ottobre capitavano i conti Garbi, i primi fra gli invitati.

Giuliano era sulle spine. Come supplire lì per lì? E per l'appunto gli premeva immensamente d'avere in quei giorni un servizio elegante, inappuntabile di scuderia. Voleva telegrafare a Parigi, a Londra, a Napoli.

Ma il signor Damelli gli diede un suggerimento più pratico:

- Provi Drollino.

- Drollino! - disse il Duca, attonito e scontento. - Drollino!

Poi, ripensandoci, cominciò a persuadersi.... Dopo tutto.... aveva un personale adatto, quel monello! E, ormai, della sua valentìa non poteva più dubitare.... tutti lo designavano pel più intelligente ed elegante fra i direttori della tenuta.... è vero che era un caratteraccio caparbio, insolente..., ma.... per la circostanza poteva tornar utile; e il Duca non pensava certamente a nutrire rancori verso un palafreniere che per ignoranza, senza dubbio, era stato disobbediente ed ostinato.

Non disse nulla, però, al signor Damelli. Si rivolse invece alla Duchessa.

Milla, lietissima, ringraziò con effusione Giuliano.... per quel pensiero così delicato. E subito mandò a chiamar Drollino.

Quando se lo vide davanti serio, quasi cupo nel sembiante, rimase per un momento imbarazzata, e l'esito della commissione non le parve facile come le era parso un momento prima.

Non gli diede l'ordine di venire - Milla non sapeva dar ordini; - gli spiegò la cosa e il bisogno che avevano di lui, in un modo gentile, esitante..., pregandolo d'accettare, per far piacere al Duca, che aveva sentito a dir tanto bene di lui.

Conviene supporre che l'espressione del viso di Drollino fosse poco incoraggiante, perchè Milla si sentì intimidita, e seguitò, con una voce mite mite, a dar spiegazioni, ad accatastar motivi. Tutto ciò, in fondo, era ridicolo; ma Milla l'aveva proprio quel mal vezzo di profondere con chicchessia quelle sue squisite delicatezze di riguardi. Temeva sempre di urtare qualche suscettibilità, di ferire qualche recondita sensibilità di fibra....

Drollino, sulle prime, ebbe la decisa intenzione di rifiutare. Lui.... al servizio del Duca!... ah!... no, mai!

Ma egli non poteva spiegare a sè stesso cosa accadeva nel segreto dell'animo suo; la resistenza a quel desiderio di Milla pareva farsi sempre più difficile.

Rimase stranamente perplesso per un minuto; ascoltando la voce di Milla, udendo quella sua frase gentile: «e anche a me, sai, farebbe tanto piacere,» ebbe la coscienza d'un potere arcano che lo attirava invincibilmente. Si fece triste, e guardò a lungo, con una espressione quasi smarrita, i fiori variopinti del tappeto. Poi alzò gli occhi e, di sfuggita, guardò lei.

- Verrò.... - disse lentamente, con isforzo, come se una possa arcana, alla quale egli obbediva a malincuore, gli imponesse quella parola d'adesione.

- Oh! bravo, bravo - disse Milla, picchiando le manine una contro l'altra. - Bravo, Drollino, così va bene. Vieni subito. Ora, abbiamo gente - continuò animandosi - e il signor Duca sarà contento.

Egli, freddissimo, s'inchinò ed uscì.

Appena fu sotto al portico, si fermò; subitamente pentito. Cos'aveva fatto? Aveva accettata una nuova forma di schiavitù; ora non potrebbe più battere la pianura in libertà, diventava anch'egli un servitore come gli altri, un servitore del signor Duca. Sentì un impeto d'ira gonfiargli il cuore, e si voltò per tornare indietro, per andar a dire alla Duchessa che, assolutamente, non poteva. Ma quella strada da rifare gli parve difficile, troppo difficile. Fece un gesto d'ira, contro sè stesso. Giunto a casa sua, sellò Mia, e per molte ore del pomeriggio nelle più lontane distese dal pascolo, suonò concitato un galoppo che non s'allentava mai.

Era venuto l'ottobre, e con lui gli ospiti attesi. Astianello diventava una villeggiatura alla moda. Tutti i giorni qualche gita, qualche divertimento; la servitù era sempre in moto, naturalmente.

- Ecco - disse Battista, il cameriere del Duca, accennando una signora a Drollino dalla finestra del tinello - è quella là!

- Ah! - disse Drollino semplicemente.

- Bella donna, perdio! - continuò Battista. - Sett'anni, capisci! Ora naturalmente è finita, ma è curiosa però che sia venuta anche lei, eh?

- Curiosa - ripetè Drollino. - È una bella donna, infatti.

Era una bella donna veramente, sana, forte, attraente. In vece di dignità, la sua fisonomia possedeva un certo fascino pronto, ricco d'infiniti sottintesi d'espressione. Era eccessivamente, fatalmente donna, e sapeva anche esser signora senza pregiudizio d'ogni altra sua prerogativa. Accanto alla semplicità delicata di Milla, pareva ancor più pomposa e stranamente elegante. Nella sua ardita acconciatura da mattino; la sua freschezza matura somigliava alla fioritura opulenta d'un fiore esotico, dal profumo irritante. Aveva una chioma splendidamente fulva, una bocca grande, e un riso sonoro, che scopriva una dentatura irregolare, ma d'un bianco lucente, quasi di smalto.

Olga Dornelli Zorodoff era stata alquanto maravigliata dell'invito di Milla, e l'aveva accettato unicamente perchè l'aveva interpretato come una sfida di Giuliano. Aveva deciso suo marito ad accompagnarla, ed eran venuti. Dopo tutto, erano parenti di casa Lantieri, e la visita poteva assumere una apparenza di plausibità. Ed ora ella si compiaceva di esser venuta. Trovava che Milla non era punto male. Aveva capito subito che l'invito era stato una di quelle sublimi assurdità, delle quali non può esser capace se non la più ignara delle inesperienze, e l'idea d'un cordiale ammaestramento era penetrato nella mente ben disposta della ex-rivale. Il suo programma era benevolo: guadagnare l'animo di quella bambina, indurla a pienamente tradirsi, ridere un poco con lei, e dirle: - Bada, bimba; non va fatto così. Bisogna cangiar tattica. - Ordinariamente; queste educazioni fra donne sono una cosa molto spiccia.

Olga seppe ad Astianello guadagnare tutte le simpatie. Sin dal primo giorno, ebbe gli uomini dalla sua. E le donne, naturalmente, tennero dietro. Ma la Duchessa no. Milla aveva subito provata per la Baronessa una specie di avversione istintiva. La trovava più formidabile di quanto l'entusiasmo della sua determinazione gliel'avesse rappresentata. Vedendola, aveva subito imparata una crudele lezione. Non la temeva precisamente; essa era sicura di Giuliano, oh! sicurissima; ma, nel segreto dell'animo suo, avrebbe dato dieci, vent'anni della sua vita per poter cancellare dal suo passato quel momento d'insana temerità ch'essa, appena compito, aveva cessato di spiegare a sè stessa.

Non già che colla Baronessa fosse sgarbata, o mancasse come che sia ai suoi doveri di padrona di casa. Oh, no; era inappuntabile nel suo contegno, nella sua cortesia. Ma si sforzava ad esserlo, e talvolta, in quell'esattezza così rigorosa, lo sforzo era visibile. Olga cercava invano d'accaparrarsi quell'animuccia di ex-educanda, di cui voleva, moralissimamente, farsi un trastullo, poichè aveva generosamente rinunziato ad un altro genere di divertimento. Ma il suo fascino non la serviva bene in questa occasione. Milla non le era ostile; le era soltanto aliena. S'era bensì provata a trattarla altrimenti, come una amica; non le riusciva. Mentre la Russa l'avvolgeva, con un tatto infinito, nelle apparenze di un'intimità cordiale ed affettuosa, essa invece rifuggiva, quasi per istinto, da ogni dimostrazione d'intrinsichezza. Non sapeva, colla schiettezza ignara dell'animo suo prestarsi ad una commedia che non la persuadeva. Ond'è che agli ospiti in generale, Milla, con quella sua contegnosità enigmatica, riesciva meno simpatica di quella allegra Baronessa, sempre e così schiettamente cordiale. E Olga cominciava a trovare più facili, più piani i rapporti col Duca.

Il loro passato non li imbarazzava punto. Olga, colla sua semplicità sapiente, con quella sua inalterabile uguaglianza d'umore, l'aveva abolito. Con una manovra, d'un'audacia senza pari, aveva fatto punto e da capo. Era convenuto che fra lei e Giuliano non esisteva più se non l'amicizia.

Il Barone, dopo aver accompagnato sua moglie ad Astianello, era partito per certe caccie maremmane, ma promettendo di tornare per riprenderla e condurla poscia nel Mezzogiorno. Anche quello era un matrimonio che andava benissimo.

Si aspettava la colazione in giardino. Olga, seduta in una poltrona americana, si dondolava con una mossa pigra, che le stava bene. Milla, appoggiata alla balaustra del terrazzo, coglieva dei gelsomini; accanto a lei, la Contessa Garbi tentava con molto, ma vano buon volere un acquerello infelice. Più in là, due o tre signore si ostinavano al croket, col concorso degli uomini della brigata. Giuliano solo, postosi dietro la Contessa Garbi, guardava l'acquerello progredire, e pareva approvarne caldamente l'esecuzione; ma ogni tanto il suo grande occhio azzurro si distraeva.

- Mia cara Milla, tu disegni, nevvero? - chiese dolcemente la Baronessa.

- Avevo principiato, ma ora non disegno più, dacchè ho visto quanto è difficile per noi donne.

- Ma col tuo talento.... - fu pronta ad aggiungere la Russa. - Perchè hai un bel negarlo, cara mammoletta, tu hai proprio del talento, e per tutto....

- Trovi? - chiese Milla impetuosamente, dando, senza saper bene perchè, un accento di ironia a quella parola.

La Baronessa ebbe un sorriso indulgente, quasi materno.

- E tu non trovi? - chiese in tono sommesso.

Un silenzio, freddino assai, successe a quella domanda.

- Stupendo, - osservò Giuliano, alludendo al quadretto. Ma il suo sguardo inquieto errava da Milla alla Baronessa.

- Non so, - rispose Milla quasi distrattamente. Vedeva sul viso di Giuliano una specie di malcontento nuovo; e vedeva sul volto di lei un sorriso dolce, pieno di benevolenza, che la turbava profondamente.

Ah!... perchè l'aveva fatta venir lì quella donna così calma, della quale Giuliano ammirava tanto les toilettes!

Olga aveva fatto una confidenza a Milla. Quelle sue famose toilettes non erano mica di Worth! Gliele mandava una sarta modestissima, un vero genio dell'arte, ancora ignoto. Ella sola l'aveva indovinata, e si guarderebbe bene di dar l'indirizzo di quella sua scoperta ad un'altra signora. Per lei però, per Milla, sì, avrebbe fatta una eccezione. Ma Milla, adducendo a scusa l'affezione da lei serbata alla sua vecchia sarta, aveva rifiutato:

- No, grazie.

- Ah! - pensò Olga; E quando udì quel «Trovi?» lo mise da parte assieme al «No, grazie.»

La Garbi s'era alzata per andar a cercare più in disparte un gruppo d'alberi meno difficili a copiare.

Milla si vide sola fra suo marito e la Baronessa. Essi tacevano. La Duchessa provò un timore strano, che tacessero per causa sua. Un orgoglio intimo le morse il cuore, e di subito, cedendo all'impulso primo, che ancor non sapeva nè scrutare, nè dominare, s'allontanò.

I due però continuarono a tacere.

- Mio caro - disse finalmente Olga, - voi siete l'uomo il più fortunato di questo mondo. Vostra moglie è....

- Un angelo, - interruppe placidamente Giuliano.

- Ah! - continuò Olga non meno placidamente - lo sapete?

- Ma l'avete detto tante volte.... sfido io.

- Non mai abbastanza, mio caro. Quando si hanno delle fortune di questa entità, bisogna capacitarsene.

Egli alzò le spalle sorridendo.

- Creolo! - disse la Baronessa.

Giuliano si fe' serio. Non rispose. Guardava laggiù, in fondo, nelle brume della pianura.

Milla camminava diritta pel viale, senza voltarsi.

Olga disse ancora a Giuliano ch'egli aveva una moglie adorabile; glielo disse sei giorni dopo a cena.

Ordinariamente, non si cenava alla villa. Quel giorno, però, una gita lunga e divertentissima aveva ricondotto la comitiva ad ora tarda e s'era sentita la necessità di un gaio: souper.

Alle frutta la Baronessa tornò sull'argomento.

- Adorabile! Guardate come le sta bene quel costume pifferaro...; ecco.... avrebbe bisogno di esser sempre così.... contenta e animata. È di carattere molto calmo, nevvero?...

Sì, - rispose Giuliano. E soggiunse: - Un poco di champagne, Baronessa?

- No, basta; grazie. Voi ne avete già bevuti cinque bicchieri... Veramente, questo è eccellente.

- Non c'è male, infatti; io però preferisco....

- Il Tokay, - suggerì prontamente la Baronessa.

Poi, in modo che si vedesse bene, si morse le labbra. Ah! le era sfuggito....

Egli depose il bicchiere e la guardò.... Ah! si ricordava! Sorrise e bevette. Dopo tutto, che male c'era?

Essa cominciò subito a parlar di tutt'altro. Poi, come se cercasse un rifugio più definitivo, tornò sull'argomento di Milla.

- Vi assicuro che è simpaticissima.

Giuliano si mise a ridere. - Proprio? - chiese. E, con quell'eterno vezzo che hanno tanti a questo mondo di mostrare o di fingere lo sprezzo di tutto ciò che loro appartiene, soggiunse: - Puh! una buona ragazzetta!

- Oh, Giuliano! - insistè la Russa. - Orsù, datemi retta; ascoltate il parere d'una vecchia amica.

- Vecchia?! - interruppe Giuliano, guardando cogli occhi lustri quel viso fresco, forte, sodo, dove la vita rigogliosa imperava.

Si guardarono sorridendo. Essa era sicura del pensiero che quella parola gli andava suscitando nella mente, sicura della parola che avrebbe tenuto dietro a quel pensiero.

E nella fiacca, pigra facilità dell'animo di Giuliano, nella vigliaccheria di quel momento, stranamente foggiato dai ricordi ravvivati dallo sciampagna, quella parola uscì lenta, strascicata sulle sue labbra:

- Vecchia, cioè prima!

- Oh! - rispose lietamente Olga - c'è qualche cosa di meglio dell'esser la prima.

- Cioè? - chiese languidamente Giuliano.

- Esser l'ultima, per esempio.

Egli non rimase soddisfatto. Fece una smorfia bizzarra, grottesca, e questa esprimeva un tale ammasso di contraddizioni intime, involontarie forse, ma così patenti, che la Baronessa non potè trattenere un gaio scoppio di risa.

- Quante sciocchezze! - rispose. - Ora datemi un mandarino, e state zitto.

Mentre sbucciava il mandarino, mandò di sbieco una lunga occhiata verso Milla, che calma, dignitosa, ma un po' pallida, guardava ogni tanto laggiù, verso loro.

«Perchè non hai voluto venir con me nel drag?» pensava la Baronessa. «Guarda ora!»

E si voltò verso Giuliano:

- Vi prego, fatemi fresco.

Gli porse il suo ventaglione di piume d'aquila, ed egli cominciò coscienziosamente a farle fresco.

- Il caffè.... - ordinò bruscamente la Duchessa, - di là.... in sala!


Drollino era capo di scuderia, disponeva e preparava gli attacchi, assegnava il posto ai cocchieri e ai palafrenieri. Egli non saliva mai a cassetto. Pure una volta gli accadde di farlo. E fu così.

La Duchessa voleva andare, sola, ad un certo santuario distante quasi tre miglia da Astianello. Accanto a quel santuario, in un vecchio convento, pochi frati agostiniani esaurivano quietamente l'esistenza propria e quella della casa. Fra essi si trovava il confessore della Duchessa, il buon sacerdote a cui era toccato il facile còmpito di guidare quell'anima innocente e soave. Essa andava a trovarlo ogni tanto, facendosi per lo più accompagnare da una vecchia cameriera. Suo marito, compiacente qual'era, le permetteva queste debolezze, col patto, ben inteso, di non farsene complice.

In quella notte, nella stanza coi parati celesti c'era stato un gran silenzio. Giuliano e Milla, turbati entrambi, avevano finto ognuno un sonno straordinario. Milla stava immota, tutta raccolta al suo posto, cogli occhi spalancati nel buio, colle mani strette tenacemente sul petto. Ora che nessuno poteva vederla, si mordeva le labbra.... Oh, com'era stata imprudente! Non accusava nessuno, no.... ma perchè soffriva tanto.... perchè il ricordo di tanti episodi di quella gita le riesciva intollerabile?.... perchè si rammentava ora tante piccole, piccolissime cose?... perchè le recavano un fastidio così intollerabile?... La sera precedente a quella notte s'era fatta tardi ballando nel gran salone illuminato.... ella li aveva visti più volte assieme... stretti nei giri molli d'una mazurka di Chopin.... Le altre coppie non ballavano a quel modo, pallidi, in silenzio.... Oh! come la martellava quel ricordo così recente! che ansie senza nome le destava in cuore! Si sentì quasi infelice. E pensò alla necessità d'un consiglio.... al conforto d'una parola intima, segreta di consolazione.... Sì, andrebbe al convento da padre Loria, ci andrebbe subito, di gran mattino, mentre le altre signore, stanche, dormirebbero ancora mentre lui.... Giuliano.... sarebbe tuttora addormentato. Il suo dolore senza nome, cullato da quella risoluzione, s'acquietò in una malinconia spossata, che le procurò un po' di sonno.

Giuliano dormì pure assai poco, durante quella notte. Era anch'egli profondamente turbato; nei sensi, nella mente, in quel po' di animo che Dio gli aveva consentito. Sentiva d'essere su una via pericolosa, di subire un fascino che non era meno potente di prima, benchè lo fosse altrimenti. Egli avvertiva bene, in quella specie di falsa amicizia che aveva, senz'avvedersene, stretta colla Baronessa, il fermento dell'antica passione, sentiva l'impero di quella donna ch'egli aveva creduto un momento di poter punire, mortificare, presentandosele in tutta la pompa della sua felicità. E ora, che suono bizzarro aveva quella parola in bocca sua!...

Ebbe anch'egli una brusca, strana consolazione. In fin dei conti, Milla non aveva diritto di lagnarsi di nulla. Egli era tuttora un marito.... fedele.... E lo sarebbe.... diavolo.... non c' era pericolo del contrario.... Ma non si poteva negare che Olga.... perdio, che donna di spirito! E il Viscontino! non era vero niente.... gliel'aveva assicurato lei, positivamente.


La Duchessa s'alzò di buonissima ora, dopo avere, nell'incerta luce del mattino che penetrava dalla porta socchiusa, gettato uno sguardo triste e appassionato verso Giuliano. Egli dormiva ora, bellissimo nella sua attitudine riposata e serena. Essa richiuse la porta, procurando di non far rumore, per non destarlo.

Mentre si pettinava, mandò giù la Carolina, la sua cameriera prediletta, ad avvisare che attaccassero subito la vittoria.

La ragazza, una bella e franca giovanotta, fece la commissione a Drollino. Questi chiese laconicamente:

- Sola?

- Eh! certo! - rispose la giovane, che trovava Drollino un originale mica antipatico - chi vuol l'accompagni al convento a quest'ora? il signor Duca?... forse?...

Quel «forse» biricchino, e illustrato da un sorriso maliziosetto, avrebbe potuto essere un programma di conversazione; ma il capo di scuderia non lo considerò sotto quest'aspetto. Fece un cenno col capo, e s'allontanò.

- Stupido!... - pensò la ragazza mentre, leggermente indispettita, teneva dietro collo sguardo a quell'originale.

Questi se ne andò a dar gli ordini. Ma non accennò al cocchiere che avrebbe dovuto guidare la vittoria. Quando tutto fu pronto, egli stesso salì in serpino. La Duchessa scese verso le otto, vestita semplicissimamente, e seguita dalla Tonia, la vecchia guardarobiera. Il legno aspettava davanti alla scalinata dell'atrio. A cassetta, a fianco del domestico, stava Drollino, colle redini in mano, bellissimo nel suo raglan bianco.

Si misero in via, con un tempaccio malinconico. Una nebbia grigia serrava la campagna circostante, circuendo gli orizzonti in una sfumatura umida e greve. Giunsero finalmente, e la carrozza si fermò sul piazzale del Santuario. La Duchessa scese, e la sua delicata personcina scomparve dietro il portone, ingolfandosi nell'ombra mite e tiepida della chiesa. Drollino, facendo muovere lentamente i cavalli, aspettò un'ora all'incirca sul piazzale deserto, ornato da due filari di tisiche acacie, sulle quali il cadere continuo e minuto della pioggia produceva un lieve strepito cadenzato e susurrante. Finalmente Milla riapparve. Si fermò un istante sulla soglia, guardando il tempo.

Si vedeva che aveva pianto molto, e con quell'effusione ardente che, nei dolori delle anime giovani, diventa bene spesso un trasporto delirante. E doveva aver pregato con una fede intensa, piena di passione e d'angoscia. Il visino aveva pallidissimo, gli occhi gonfi e sbattuti, con un gran cerchio livido. Il labbro serbava ancora un po' di tremito, la mano stringeva sul petto il libro di preghiere, come quella d'un guerriero che preme l'elsa della spada consueta, nel giorno della battaglia.

Drollino vide tutto ciò. Sentì uno strano rimescolìo.... Ah! la padroncina piangeva.... la padroncina pregava.... Ed egli sapeva perchè.... Battista, il cameriere del Duca, aveva detto un giorno, tra due bicchierini di cognac: - La signora ha paura della Russa.... - E aveva ammiccato, in modo che si sapesse, che si capisse, perchè la padrona aveva paura della Russa.... Drollino fece avanzare i cavalli sino a che la vittoria fosse proprio di fianco alla porta; poi, gettate le redini fra le mani del domestico attonito, fu d'un balzo a terra. Rialzò il mantice e abbassò il grembiale di cuoio; porse quindi rispettosamente il gomito alla Duchessa per aiutarla a salire.

Allora soltanto Milla lo ravvisò. Sul suo visino stravolto passò il mesto sforzo d'un sorriso.... essa aveva ancora tanta voglia di piangere!... Ma nel suo sguardo stanco c'era come una inconscia preghiera, un ignaro appello alla compassione e alla simpatia. Essa era tuttora agitatissima; calda ancora del recente slancio religioso, aveva il cuore pieno di quell'entusiasmo profondo della preghiera che, di tutto, fa anima e fraternità! Ci voleva ben poco per maggiormente commoverla. Infatti, la vista di quella persona, ch'ella sapeva essere affezionata a lei, alla memoria del padre suo, le fece in quello strano momento un effetto non meno strano. Nel dolore delle sue inquietudini, del suo isolamento morale, Drollino le parve quasi un amico. Lo guardò con una dolcezza ignara, ma affettuosa, e per un momento, senza saperlo, come una persona stanca che cerchi un appoggio, trattenne la sua mano nuda, tremante, su quella, guantata di camoscio, che Drollino teneva pronta per aiutarla a salire.

Un brivido forte, ma tosto represso, agitò per un secondo la magra persona di Drollino. Un lampo, subito smorzato, passò nei suoi occhi neri; poi egli chinò la testa come un colpevole, e, sorreggendo Milla colla forza del suo pugno d'acciaio, l'aiutò a salire in carrozza. Essa non s'accorse per nulla dell'impressione violenta che Drollino aveva risentito in tutte le fibre dell'esser suo.

Drollino fu d'un salto a cassetta, e via, di trotto serrato, per la strada fangosa. La Duchessa, rannicchiata nel suo plaid, immersa in uno di quegli assoluti abbattimenti d'animo e di corpo che susseguono quasi sempre all'ardore d'un sincero sfogo della mente o del cuore, si abbandonava al rapido moto della carrozza. Il suo sguardo inerte si smarriva nella nebbiosità malinconica, velata di piova, della campagna. E Drollino faceva volare i cavalli. Li sferzava continuamente, eccitandoli con certi ehp! stridenti, che parevano metter loro il diavolo in corpo. Il domestico, intimorito, lo guardava ogni tanto, senza ardire d'interrogarlo. Nell'interno della vittoria la vecchia guardarobiera, sgomentata, ripeteva sommessamente delle innumeri Ave Marie. La Duchessa non avvertiva nulla di quelle preghiere, nè di quel timore. Calcolava quanti giorni dovevano passare, prima che spuntasse quello della partenza di Olga.

Giunsero a casa senza inconvenienti. Milla, nello scendere, s'accorse che a mala pena si reggeva in piedi. Si ricordò che non aveva ancor preso nulla; e perciò, invece di dirigersi verso il proprio appartamento, pensò di fermarsi un momento in sala da pranzo. Questa si trovava in un'altr'ala della villa, dove il rumore della carrozza che giungeva poteva benissimo non essere stato avvertito.

La tavola per la colazione comune non era ancora preparata; ma, in un cantuccio appartato nel vano d'una finestra, un tavolino elegantissimamente apparecchiato, faceva testimonianza di un allegro asciolvere, testè compiuto da due persone. Infatti, il Duca e la Baronessa Olga avevano allora finito di prendere il caffè. Erano soli; nè ospiti, nè servi. Nella stanza vicina però risuonava incessante il clic clac delle palle da bigliardo, urtantisi continuamente sul panno verde, e un incrociarsi non meno insistente di voci mascoline.

Olga era avvolta in un'ampia veste da camera di cachemir rosso cupo, e il suo collo spariva nelle pieghe intralciate d'una grande sciarpa di trina fiamminga. L'energia slava della testa spiccava maravigliosamente su quel piedestallo di trapunto e sullo sfondo di cuoio cesellato della tappezzeria.

La Baronessa sedeva, molto allungata, su una poltrona, con un braccio penzolone. Fumava una sigaretta di tabacco orientale ed un molle sorriso sfiorava, tra le fresche gote carnose, le tumide e rosse sue labbra.

Giuliano le era seduto vicino, a cavalcioni su una sedia, e teneva posata una mano sulla spalliera della poltrona. Aveva chinata la sua faccia, così bionda e regolare, verso di lei, tuffando con visibile piacere il naso armato di pince-nez, nel fumo acremente profumato della sigaretta. Poi d'un tratto, arretrando il naso colla mossa d'un fanciullo che s'allontana dal frutto proibito, mandò un sospiro tra mesto e comico.

- Ahimè! - disse poscia con un accento che anch'esso aveva un po' del burlevole, un po' del patetico. - Sapete cosa mi figuro in questo momento?

Ella lo sapeva benissimo, e non si diede la pena di chiedere cosa fosse. Ed egli, per non lasciar morire il discorso, finì la frase così:

- Mi figuro, il vostro boudoir granata e rosa.

- Sciocchezze.... mio caro; quel ch'è stato è stato. Non è egli convenuto che voi siete per l'appunto il più felice degli uomini? E se mai, in vita vostra, avete fatto delle corbellerie, è giusto....

- Ch'io le sconti, nevvero? - chiese Giuliano con un'amarezza d'accento che voleva esser patetica.

Ella ebbe un maligno sorriso:

- Ma, mio caro creolo, voi siete sempre stato molto indipendente, e avete voluto....

- No.... non fui io, a volerlo - rispose stizzosamente - è stata mia madre.

- Ah! - diss'ella.

E lo guardò sorridendo, con quel sorriso che scopriva tutto quanto il lucido avorio dei suoi denti. In quella giornata grigia, piovosa, nella atmosfera cupa dell'antica sala da pranzo, il suo volto aveva una formidabile espressione di vita, di moto, che aizzava il sangue.... Giuliano si sentiva diventar vile, vile.... vile....

Essa si mise a ridere, ma, nella direzione di quell'occhio azzurro, languido che la guardava ricordando, mandò un po' di fumo, che somigliava a un sospiro inebriante....

- Olga - disse il Duca senza curarsi d'abbassare la voce - ditemi, oh ditemi che non tutte le corbellerie sono irreparabili, e che quella immensa, mastodontica ch'io commisi nel prender moglie....

Olga, con uno dei suoi più chiassosi scoppi di risa, gli troncò la parola in bocca. Aveva veduta la Duchessa, rigida, immobile sulla soglia, di fronte a loro.

Aveva udito? Giudicando dal suo aspetto, c'era poca speranza d'una risposta negativa. Ma Olga pensò che la fortuna arride agli audaci, e con un gesto appena percettibile avvertì Giuliano. Poi, con una disinvoltura superiore ad ogni plauso, s'alzò, e, col più amabile, col più cordiale dei suoi sorrisi, andò ad incontrar la Duchessa.

- Buon giorno, cara, come stai? Sono scesa di buon'ora, nevvero? Le altre dormono ancora.... che pigrone! E così, com'è andata la tua gita misteriosa?

Milla non rispondeva, nè accennava di udire. Ansimava, e, con un gesto nervoso e macchinale, tentava di togliersi i guanti.

- Poverina! - continuava Olga, sempre più premurosa, - si vede che sei molto stanca. Lo credo.... con questo tempaccio.... Stavo appunto dicendo a tuo marito....

- Sicuro.... sicuro - interruppe Giuliano, per secondare la Baronessa. - Giusto.... mi diceva, e io rispondeva che tu facevi malissimo, ch'era una delle tue ubbie solite, e che io permettendolo avevo fatto una corbel....

Ma la Baronessa, che studiava attentamente il viso di Milla, troncò con uno sguardo la trovata del Duca.

- Ti senti male? - chiese alla Duchessa, con un mirabile crescendo di gentilezza.

Milla non rispose; si sentiva la gola serrata da uno spasimo isterico. Eppure voleva parlare.... voleva dirla una parola atta ad esprimere il senso d'indignazione che la padroneggiava. Ma l'agitazione nervosa che scuoteva tutta la sua povera personcina fu più forte di lei. Milla si sentiva smarrire, non ci vedeva quasi più, sentiva nelle orecchie uno scampanio stridente. Vacillava, e, per non cadere, s'appoggiò con ambe le mani a un tavolino lì presso.

Olga le corse vicino, e volle sostenerla. Milla, nel suo smarrimento, avvertì il pericolo di quel contatto, e provò un sentimento così violento di ripulsione e d'orgoglio che per un istante si riebbe, galvanizzata.... Si rizzò, diede un passo addietro, e dalle labbra smorte le uscì un «No» vibrato.... pieno d'odio e di ribellione.

Nella vasta sala da pranzo ci fu un momento di silenzio.... poco piacevole.

Poi, a un tratto, la Duchessa svenne.


VII.

Eran tutte nel salotto rosso, un po' agitate, un po' inquiete.

- Veramente.... Milla si era sentita male?... Oh! poveretta! Ma come.... perchè?... Forse, la stanchezza del ballo....

- Già - osservò la Garbi, - si vedeva, sulla fine, ch'era un po' abbattuta.

- No, - sentenziò una vecchia signora. - Sarà qualche cosa, qualche novità.

- Magari! - risposero in coro il più delle signore, con qualche sorrisetto....

- Davvero?... - osservò Olga, ch'era entrata in quel momento. - -Che bella cosa sarebbe, che felicità per entrambi!...

- Tu eri in sala, nevvero.... quando quella poveretta si sentì male? - chiese la contessina Ghisneri.

- Per l'appunto, mia cara, n'ebbi uno spavento grandissimo. Io ero scesa a déjeuner.... A un tratto, Milla comparisce sulla soglia, pallida come uno spettro. Era stata, Dio sa dove, a far la meditazione.... che so io.... a confessarsi. Sapete, poverina, quanto è pia, quanto è buona! Convien dire che l'umido le avesse fatto male, che si fosse strapazzata.... Poi, è delicatina, nevvero?... Insomma, la vidi annaspare, poi svenne.... lì.... sui due piedi. Corsi subito a sostenerla, gridai.... chiamai; per fortuna, c'era gente nella sala del bigliardo.... Venne subito anche il Duca.... scesero le cameriere; la portammo su.... Si riebbe a poco a poco, e l'ho lasciata or ora, che stava meglio.

- Anderò su a vedere - disse la vecchia dama. - Se vi fossero novità.... scriverei subito alla Duchessa Margherita.

- Dov'è ora quella cara signora? - chiese Olga.

- Oh! sempre a Torino. E come dicevo....

- Mia cara Marchesa, - osservò Olga con voce sommessa e carezzevole - rammento ora che Milla stava per addormentarsi; forse un po' di sonno le gioverebbe meglio d'ogni altro rimedio.

In quella entrò Giuliano, e tutti gli furon d'attorno a chiederle notizie di sua moglie. Oh, era una cosa da nulla.... uno sconcerto passeggiero, cagionato dal freddo.... dalla stanchezza. Milla si era riavuta subito.... mandava a salutare le sue buone amiche; dormirebbe per qualche ora, e scenderebbe senza dubbio a desinare.

Giuliano in cuor suo era di cattivissimo umore. Che bestia era stato! uno scolaretto non ci sarebbe cascato più scioccamente.... E in complesso... per.... nulla. E ora chi sa che scena gli toccherebbe, quanti rimproveri gli rivolgerebbe Milla!

Senonchè, con sua grande sorpresa, Milla non gli aveva rivolti rimproveri di sorta. Quand'egli entrò in camera, prima del pranzo, per chiedere sue notizie, la trovò ancora coricata, immobile. Ella parve non avvertirlo; chiuse gli occhi. Giuliano esitò un momento; poi chiamò dolcemente: - Milla! - Essa aprì gli occhi, con un amarissimo sforzo di sorriso, poi, lentamente, li richiuse.

- Milla! - disse ancora Giuliano.

Ella non rispose...; serrò gli occhi più forte, perchè non lasciassero adito ad una lagrima.

Giuliano aspettò un momento, poi se ne andò; adagio e inquieto. Forse avrebbe preferita la scena.

Condusse le signore a fare una trottata. Tornando, si seppe che la Duchessa non scenderebbe neppure a desinare. Le era sopraggiunta un po' di febbre. Gli ospiti espressero naturalmente il loro rammarico; dopo di che, ognuno andò in camera sua a vestirsi pel pranzo.

Ma in quella mezz'ora affaccendata di pettinature riedificate, di vitine assestate alle persone, di fichus drappeggiati sulle spalle, di baffi incerati ed unghie brillantate, una piccante notizia s'insinuò fra una stanza e l'altra, venne scambiata in fretta nella penombra dei corridoi. Dal tinello dei domestici, d'onde aveva prese le mosse, una frase fece rapidamente il giro del primo piano. Quando suonò la prima campana del pranzo, tutti (meno gl'interessati, s'intende) sapevano il vero motivo dello svenimento di Milla. Certo.... era capitata inattesa, e aveva veduto.... aveva udito.... Cosa?... Questo non si diceva, prima perchè non si sapeva bene, e poi perchè nella reticenza c'era un delizioso sottinteso, un ampio orizzonte di supposizioni. L'avvenimento aveva avuto un testimone inavvertito, il domestico che aveva aperta, per la Duchessa, la porta della sala da pranzo.

Naturalmente, le primizie dei commenti ebbero luogo in cucina. Il passato di Olga e di Giuliano non era mai stato un mistero per la servitù; la rinnovata infatuazione del Duca non era certo sfuggita a nessuno di quegli arghi implacabili che si chiamano: i nostri domestici. Si parlava dell'accaduto, senza ombra di reticenza.

I più compativano Milla, e fra questi erano, naturalmente, i dipendenti nati della casa. Ma un certo nucleo si ostinava a proteggere Olga, una bella donna, perdio, e che, quando montava a cavallo, mostrava d'avere un gran coraggio e un polso d'acciaio!

Qualcuno interpellò Drollino:

- Che te ne pare, eh?...

Ma egli non rispose; disse che aveva altro pel capo.... un certo puledro che gli pareva tendere ad azzoppare. Prese il berretto ed uscì, benchè piovesse che Dio la mandava.

Olga scese a desinare, bellissima nel velluto verde-oliva della sua ricca toilette. Ma alle entrées cominciò a sospettare qualcosa. Sorprese qualche sorrisetto bizzarro, qualche occhiata curiosa, che si fermava un momento addosso a lei e poi fuggiva rapidissimamente.

All'arrosto, era quasi certa; al caffè, non serbava ombra di dubbio. Qualcuna si rivolse a lei per chiederle, con una strana inflessione di voce, le notizie di quella cara Milla.

Olga non si scompose per nulla. Celò a meraviglia la sua viva irritazione, fu più serena, più affettuosa, più amabile che mai. Rispose sempre a tuono, ignorando i sorrisi, ostinandosi a non afferrare nulla più del senso letterale delle varie interrogazioni che le venivano rivolte.

Ma, in fondo al cuore, era furibonda. Con Milla, ben inteso. Cos'era venuto in mente a quella sciocchina d'invitarla ad Astianello per farle poi di quelle scene mute da vittima? E il bello era che lei non se ne curava per nulla di quello stolido di Giuliano, ed era animata delle migliori intenzioni. Lui, si sa, sfido io!

Olga aveva voluto provare, divertirsi un poco, nulla più. L'avevano invitata per far vedere che non la temevano; è naturale ch'essa desse loro una piccola lezione. Ma ora Milla, colle sue imprudenze, la metteva in una posizione falsa, seccante..., e quasi quasi meritava davvero....

Durante tutta la sera, quella valente schermitrice fu impareggiabile. Si mostrò così gentile, così naturalmente calma, seppe talmente manovrare, celando l'apparenza d'ogni manovra, che a poco a poco i più creduli cominciarono a dubitare. E giunta l'ora di separarsi pel riposo notturno, alcune fra le signore chiedevano a sè stesse: - E se non fosse vero? - Molti aspettavano l'indomani per decidere. Bisognava vederle di fronte.... Milla e la Baronessa. Davvero, sarebbe interessante. A domani, dunque. Intanto non ci si annoiava ad Astianello.

Ma l'indomani non fu apportatore della scena desiderata. Milla non si era alzata e la febbriciattola perdurava.

Giuliano era crudelmente imbarazzato. I suoi doveri di padrone di casa lo assorbivano in parte, occupavano buona parte del giorno; ma ogni tanto bisognava pure che salisse a tener compagnia a sua moglie, e quelle brevi soste nella camera azzurra non riescivano punto piacevoli. Eppure Milla continuava ad astenersi dalle scene; essa non gli rivolgeva mai la parola, non lo guardava. Era sfinita, non provava che un immenso disgusto, un imperioso bisogno di assopirsi, d'annientarsi nell'oblio. Oh! se avesse avuto sua madre! Se avesse potuto chinare sul seno d'una vera amica la sua povera testa così greve ed ardente e narrare, piangendo, la sua sventura! Ella, che aveva tanto d'uopo d'amore, di simpatia! Si sentiva, per la prima volta in vita sua, supremamente offesa.... Quando vedeva Giuliano, il suo orgoglio di donna onesta si ribellava, imponeva silenzio all'amore. Essa non poteva parlargli, non poteva guardarlo.... La forza della volontà aveva e serbava alzata una barriera che pareva di ghiaccio. Ma dietro a quella barriera, il povero cuore di donna sanguinava lentamente, in silenzio!...

Il giorno dopo, fu chiamato il medico del villaggio. Era un buon diavolo, onesto e capace. Giudicò, colla sua semplice esperienza, che la Duchessa avesse, più che altro, bisogno di riposo; e, vedendo che le circostanze, il tramestio degli ospiti non si prestavano guari all'attuazione di questo desiderio, pensò di parlarne francamente al Duca. Ma il caso aveva disposto altrimenti. Nello scender le scale, s'imbattè in una vecchia signora, la quale prese a informarsi minutamente della salute di Milla, e finì coll'alludere discretamente alla possibilità d'uno stato interessante.

Povera contessa Nemi, ci teneva allo stato interessante di Milla! Ai suoi tempi, era il solo male che patissero le spose, ed essa non ne intendeva altri. Rimase dunque attonita e quasi scandalizzata quando udì che si trattava invece d'una febbre continua. Oh Dio.... ella che aveva tanta paura delle febbri.... Ma di che sorta di febbre si trattava?... Sperava bene che non fosse infiammatoria.... non attaccaticcia....

- Eh! eh! - disse il dottore, cogliendo la palla al balzo - non so, spero che non sia.... non si può precisar nulla per ora..., ma non vorrei.... che.... certi lontani indizi di tifoidea.... Dio guardi, potrebbero far capolino da un momento all'altro....

La contessa Nemi strisciò frettolosamente una semi-riverenza, e scappò via. Il medico s'allontanò ridendo, senza nessun rimorso pel suo stratagemma. I medici di campagna hanno talvolta delle benefiche audacie di questo genere.

La sera stessa, la Contessa riceveva una lettera del suo notaio, che, per un affare urgentissimo, la richiamava a casa. E, caso singolare, la Garbi aveva notizie non troppo buone di sua madre. Due partenze furono dunque annunziate per l'indomani. Le signore chiedevano col più vivo affetto notizie di Milla, ma nessuna insistè, come avevan fatto tanto gentilmente nei primi tempi, nell'offrirsi a tenerle compagnia. E in capo a due giorni Olga pensò bene di ricevere un telegramma di suo marito, il quale le chiedeva di venire a raggiungerlo, scusandosi di non poter egli stesso recarsi a riprenderla, per affari molto intricati, della cancelleria, s'intende.

Giuliano, quando seppe di questo telegramma, ebbe un momento di viva irritazione. Ecco che se ne andavano tutti e lo lasciavano lì solo.... in faccia a quella donnina smorta, che non gli faceva scene, ma non voleva saperne di alzarsi, nè di guardarlo in viso.

Poi ebbe un sentimento di soddisfazione. Eh, eh..., la cosa prendeva un certo aspetto.... Meglio così.... forse la posizione avrebbe potuto farsi critica, ed egli era tanto.... creolo!


Olga prese a tempo la decisione di partire. Dubbi o non dubbi, la sua fermata ad Astianello non era più indicata: le altre signore formavano un formidabile areopago.

La simpatia per Milla era tornata, alla lontana sì, ma viva assai, avvalorata dall'invidia che, alla lunga, Olga doveva pur destare in un circolo femminile. L'invidia non ha molta strada da fare per diventar censura, e la Russa conosceva molto bene ciò ch'era atto a giovarle, o a recarle danno. Aveva saputo sino ad allora farsi perdonar molto, e non compromettere in nessuna delle sue varie vicende di.... cuore l'invidiabile posto che occupava nella società. C'era rimasta, imponendosi o altrimenti, anche a dispetto della sua lunga avventura con Giuliano..., ma essa sapeva benissimo sino a che punto si può gettare impunemente della polvere negli ocelli. Trovò dunque un effetto di partenza felicissimo; l'onore della ritirata era più che salvo!... Ma in fondo era indispettita, e, all'ultimo momento, un dubbio l'aveva inquietata. Forse la malattia di Milla era un'astuzia di guerra.... la Duchessa si liberava così di lei e delle sue apprensioni.... E, sotto l'impressione di quel sospetto, morse per un secondo le bellissime labbra.

Di Giuliano non le importava affatto; pure seppe così bene simulare presso di lui che, nell'animo di questi, quel po' di rimorso relativo che s'era andato formando a fatica, tacque subitamente per dar luogo ad una specie di vigliacco dispetto! Olga se ne avvide, e, mentre saliva nel legno che doveva condurla alla stazione, mandò in su uno sguardo rapido, ma strano, verso la finestra chiusa della camera di Milla. E lasciò per lei i più affettuosi, i più cordiali saluti, certa di rivederla presto, perfettamente guarita, fresca come una rosa. E frattanto ella stessa era bellissima, forte e formidabile nella pienezza vigorosa delle forme. Era molto attraente così, in abito da viaggio. Le sue pelliccie non l'infagottavano punto come infagottano il più delle signore; parevano avvolgerla come il manto d'una regina selvaggia.

E Giuliano rimase solo coll'ammalata.

Non già un'ammalata grave. Di tifoidea nessun indizio; la febbriciattola non cresceva, e veniva solo ogni tanto. Milla s'era alzata per salutare la vecchia signora, amica di sua suocera, e anche per assicurarla che ora stava propriamente benino. Ma, dopo la partenza degli ultimi ospiti, era tornata a star così così. Non usciva più di camera, mangiava poco o nulla, e ogni tanto si metteva a piangere in silenzio. Con Giuliano non scambiava che qualche rara e indifferente parola. Era esausta di forze, ma resisteva, e in quella lotta, che nessuno avvertiva, la sua energia si consumava. Il suo era uno di quei graduati sfinimenti a cui certi temperamenti femminili si prestano fatalmente. Questo bizzarro genere di malattia non è punto mortale in sè stesso, si può benissimo guarire, solo però quando lo si voglia assolutamente. Se no, si muore, commettendo innocentemente un insensato e crudele suicidio.

Due settimane passarono così. Giuliano incominciava a impensierirsi, e il medico del villaggio a non saper più che dire. Un giorno, uscì a proporre che si chiamasse un altro dottore.... per avere un parere di più.

- Ah! - disse Giuliano.

Si sgomentò. E se veramente la povera Milla.... fosse proprio così malata.... per aver udito quello sciagurato colloquio! Che stupido era mai stato! E Olga lo aveva canzonato bellamente; dopo tutto!.... Mentre invece Milla l'adorava, povera creatura! Oh! sì!... ci voleva proprio un bravo medico, una celebrità. E la celebrità, chiamata telegraficamente da Giuliano, capitò pochi giorni dopo ad Astianello.

Non disse gran cosa, in complesso. Parlò di nervi, di gran simpatico, d'anemia, di debolezza. E mentre faceva queste osservazioni e teneva fra le mani il polso bianco e magro di Milla, guardava attentamente ora Giuliano, ora la faccia rigida della Duchessa.

Finì dunque coll'assicurare che non c'era nulla di grave; ordinò marziali, accennò alla necessità d'una vita molto quieta; e suggerì di passar l'invernata nel Mezzogiorno. Poi se ne andò, > certo in cuor suo che quella donna soffriva crudelmente, senza concedersi uno sfogo. Il celebre dottore non era soltanto celebre, era vecchio, conosceva del pari la donna e la vita.

Nell'andarsene, ebbe una sorpresa. Giungendo alla stazione, vi trovò ad attenderlo un giovinotto bruno, magro, con due occhi assai vivi e profondi, il quale, qualificandosi per un addetto della tenuta d'Astianello, gli chiese semplicemente, ma in modo abbastanza categorico, se la Duchessa fosse ammalata molto, molto?...

Il medico non ricusò di rispondere, ma non si curò di dare al giovanotto nulla più d'una di quelle elementari risposte, ch'egli giudicava sufficienti a soddisfare la curiosità o l'attaccamento ai padroni, da parte d'una persona di servizio.

Ma Drollino non si contentò.

- Potrebbe morire? chiese colla massima calma.

La celebrità medica, impazientita alzò le spalle.

- Caro mio, che andate chiedendo? Perchè dovrebbe morire? Ha un buon temperamento, è giovane. Ha bisogno di quiete e che la lascino stare in pace, ecco tutto.

- Già, disse Drollino.... Ma se invece....

Rimase in silenzio, con un'espressione bizzarra e cupamente inquieta.

- Che ci siano ancora dei servitori affezionati? chiese a sè stesso il celebre medico mentre saliva sul treno, in una bella carrozza di prima classe.


- Ecco qua, borbottava in guardaroba, la vecchia Tonia, è la terza volta che viene oggi, colla scusa di prender le notizie della signora Duchessa.

- Eh, eh! rispose la Teresa, la guardarobiera in secondo, non ha poi tutti i torti; non è il diavolo la Carolina. E lui ha un bel salario ora, e sono tutti e due della tenuta. Sarebbe un bel matrimonio.

La Carolina entrò all'improvviso.

- Che c'è? chiese stizzosa, indovinando che la sua venuta aveva troncato un discorso.

- Niente, niente. Si diceva soltanto di.... Drollino.

- Miracolo! ribattè la giovane.... E sarà per dirne del male, mi figuro! tutti ce l'hanno amara con quel poveretto. E io invece sostengo che....

- Eh! si sa, si sa....

- Cosa si sa?... Non è vero niente, a me non me ne importa niente affatto di colui, non mi dispiace, no, perchè è un buon figliuolo, affezionato alla signora.

- Sfido io, saltò su a dire la Teresa, sono stati beneficati tutti dalla casa, quando c'era il padrone vecchio.

- Bene, bene.... Oh gli altri non sono forse stati beneficati anche loro?... Eppure.... guardate se si rammentano di venire a vedere se la padrona è viva o morta.

- Caspita! susurrò la Tonia, non hanno mica le ragioni che può avere Drollino di venire in guardaroba.

La Carolina arrossì e tentò una smorfia.

- No, no ve l'assicuro, viene proprio soltanto per sapere.... - Ma lo diceva mollemente, con un mezzo sorriso biricchino e un po' ipocrita.

- Non è vero che sia cattivo, proseguì, anzi, ha buonissime maniere. Vien su adagino.... per non far strepito e sta a sentire tutto quello che gli dico.

E gliene diceva, quella buona ragazza.... Si rifaceva con lui delle lunghe ore silenziose che le toccava passare in camera della Duchessa. Gli narrava in disteso come la padrona divenisse ogni giorno più pallida e più magra, e come ella la ritrovasse sempre immobile, cogli occhi chiusi e con certi lagrimoni tanto fatti, sulle guancie. No, no, alla Carolina non la davano a bere e i medici potevano dir nomacci latini quanti ne volevano, ma il male di quella signora era tutta passione, ecco cos'era, le gelosie e le pene che le aveva fatte passare il Duca per quella strega grassa, per quella Russa che rideva sempre.

Drollino ascoltava attentamente questi sfoghi della Carolina, senza dir nulla, senz'avvedersi che la cameriera belloccia e garbata avrebbe forse parlato anche di qualcos'altro. Egli aveva ben poco da fare in quei giorni e però ammazzava il tempo a furia di lunghe, faticose cavalcate, al ritorno delle quali Mia era bene spesso tutta bianca di schiuma.

Qualche volta, in casa o pel viale Drollino si imbatteva col Duca. Giuliano non s'accorgeva sempre della presenza del giovane, ma Drollino avvertiva ogni volta, con una specie d'intuizione, l'appressarsi del padrone e se n'aveva il tempo, evitava l'incontro. Sentiva, vedendolo, uno strano brivido nel sangue, involontariamente digrignava i denti, gli veniva come un'insana voglia d'essere insolente verso quell'uomo, di ribellarsi a lui. Un'acre bestemmia pareva destarglisi in bocca. Ma allora gli veniva in mente la Duchessa, a cui le bestemmie spiacevano tanto, e non ardiva proferirne.... Eppure con quale piacere egli le avrebbe scaraventate in faccia al Duca.

Lo odiava profondamente.... senza scrupoli di sorta. Egli non era persuaso di essere al suo servizio. La sua padrona era Milla. E ora Milla.... forse morrebbe per colui!

Una volta Drollino, capitando in scuderia, ci trovò il Duca, che a passo lento e a capo chino traversava l'andito. Gli tenne dietro con uno sguardo torvo, e un'idea confusa, ma terribile, gli balenò nella mente.

E per salvarsi da quel pensiero, ne evocò un altro, non mai completamente abbandonato per l'addietro, un pensiero che l'aveva agitato sin da bambino, quello di fuggire con Mia, d'andar lontano lontano. Così non saprebbe nulla, non vedrebbe nulla se.... caso mai!...

Lasciò la scuderia, e si diresse verso il suo antico alloggio.

Era una piccola cascina, addossata ad un vasto fabbricato ad uso fienile, e stava proprio dirimpetto alla grande estesa del piano. Un vecchio guardiano dei pascoli vi faceva dimora colla famiglia. L'alloggio di Drollino consisteva in una ex-cucina a terreno; egli vi aveva lasciato il suo letto, due seggiole e una vecchia cassapanca, dove serbava, alla rinfusa, i pochi panni ereditati dal padre, i suoi, non quelli di livrea, e qualche cianfrusaglia. Era un pezzo che non capitava laggiù. La massaia aveva approfittato della sua assenza per ammonticchiare in un canto della stanza l'ultima raccolta delle patate; ampie ragnatele si erano acquartierate fra le travi del soffitto, e l'unica finestrina aveva i vetri rotti.

Aprì la cassapanca, e prese a rovistare nei vecchi panni. A un tratto s'arrestò. Gli era capitato sotto le dita un oggetto pesante, freddo. Con un gesto vivace l'estrasse. Era una vecchia pistola a due canne, ed egli riconobbe subito la solita arma di guardia di suo padre. L'esaminò a lungo; era ancora in discreto stato; cercando bene, trovò pure in un angolo della cassapanca lo scatolino delle cariche.

Drollino non pensò a rimettere in ordine i panni. Guardava fisso fisso, come magnetizzato, quell'arma vecchia, cogli acciai un poco irrugginiti.

Lentamente prese a pulirla, la rimise in assetto, poi la caricò, pensando: - Servirà pel viaggio.

Ma quando la vide lucida, forbita, pronta, col grilletto obbediente, si fermò di nuovo. Aveva il volto acceso, le tempia gli martellavano; ed egli alzava, riabbassava, trattenendolo, il cane, con un gesto che aveva qualcosa di convulso, come se si dibattesse nello stretto di un'intima, formidabile lotta.

Finalmente, su quella faccia stravolta passò il lampo d'un pensiero che vinceva. Drollino cacciò la pistola nella tasca interna della giacca che indossava, poi ricacciò tutti assieme e confusamente i panni nell'interno della cassapanca.

Giunto a casa, chiese della Duchessa. La febbre era aumentata.

L'indomani, cadde la prima neve e seppellì nel bianco silenzio invernale gli orizzonti della splendida villa. una grande malinconia invase al casa. Il Duca non si vedeva quasi più, e Milla, da più giorni non si alzava. Il freddo capitato così improvvisamente, le aveva fatto male. Non già che soffrisse molto; anzi, s'era come adagiata in una grande quiete funesta, le pareva di sentirsi cullata nella progressione lenta, molle d'un'atonia che l'assopiva dolcemente. E se a capo di questa progressione ci fosse anche la fine.... ebbene.... tanto meglio!... Così non si poteva vivere. Umiliarsi, ella?... tanto offesa.... dimenticare? Ah no!... piuttosto morire, morire....

Giuliano era, dal canto suo, profondamente agitato. Un rimorso grave turbava quell'anima impotente. Egli provava il sincero desiderio di salvare quella donna, che alla sconfinata vanità di lui offriva l'olocausto della propria vita. Lungi dall'immediato dominio di Olga, egli tornava in sè, si pentiva d'averla amata ancora, gli pareva d'abborrirla. S'inteneriva sulla sorte di sua moglie, piangeva spesso, uscendo dalla camera azzurra. Avrebbe pur voluto (egli che detestava le scene) cadere ai piedi di Milla, dirle che però, in fondo, non era colpevole come forse ella lo credeva.... implorare cionnullameno il suo perdono... giurarle, e mantenerle poi, una fede sincera e.... assoluta.

Tentò due o tre volte una spiegazione. Ma essa lo guardò con un'alterigia così profonda, così glaciale, ch'egli interruppe subito i preliminari e rimise la spiegazione a.... più tardi.

Un giorno, la Carolina annunziò a Drollino una cosa che le faceva molta pena. La Duchessa aveva mandato a chiamare il padre Loria.

Drollino non disse nulla più che il suo solito «Ah!» ma lo disse con un accento rauco, quasi gutturale.

Allora la Carolina volle rassicurarlo. Oh! oh!... non era già perchè proprio si fosse a questi estremi; ma la signora Duchessa era tanto pia, e poi.... forse....

Drollino rimase serio, cupo, cogli occhi fissi sul tavolone dove si stirava.

Nevicava fitto fitto, a grandi falde, lente e sfioccate, e il padre Loria giunse sotto l'atrio in uno stato proprio compassionevole. Mentre si asciugava davanti al fuoco acceso nel gran camino della stanza da pranzo, il duca venne a incontrarlo. Il colloquio fu breve, riuscì freddo, quasi come la giornata. Il prete e il padrone di casa si studiavano a vicenda, e a vicenda diffidavano l'uno dell'altro.

Giuliano ebbe due o tre frasi un po' contorte; raccomandava di non stancare la Duchessa, già piuttosto deboluccia, poveretta. Il padre Loria ebbe due o tre mosse del capo, che non rassicurarono al tutto il Duca. Ma questo dovette pure mormorare un cortese: - S'accomodi, - sulla soglia della camera azzurra, e ritirarsi adagino, mentre la dolce figura paterna del sacerdote s'accostava lentamente al letto di Milla.

Il padre Loria non fece certamente apposta a inquietare e a stancare la Duchessa Milla, ma certo è che la inquietò e la stancò orribilmente, e il loro colloquio riuscì critico e tempestoso. Fu un vero duello tra l'autorità e la ribellione.

Milla gli narrò ogni cosa con uno sfogo febbrile, con tutto l'impeto del suo risentimento, col bisogno di simpatia che la torturava. Gli narrò, con subita energia, il suo amore pel marito, e il dolore che sentiva roderle la vita, come il verme rode la radice d'un fiore. Oh! essa l'aveva amato tanto.... così ardentemente.... No, la sua mitezza non era stata vigliaccheria, la sua docilità, tenera, inesauribile non era la debolezza d'un'anima inetta al dominio; era stato un volere ragionato, era la sua interpretazione dell'amore, era una insaziabile necessità di sacrifizio, una manìa innamorata di abnegazione! Essa si era fidata.... aveva voluto fargli vedere che si fidava!... Voleva a tutti i costi bastare al cuore di quell'uomo! E tutto ciò non era valso a nulla. Era caduto un'altra volta ai piedi di quella.... E ora?

Il padre Loria la lasciò dire. Ma, quando essa ebbe finito, quando, ancor tutta fremente del suo sfogo, si lasciò ricadere sui guanciali con un gesto risoluto, egli prese a parlare.

Non fece discorsi lunghi.

- La comprendo e la compatisco, - mormorò dolcemente. Poi, mentr'ella lo guardava smarrita cogli occhi grondanti lacrime, ingiunse pacatamente: - Ora bisogna far due cose. La prima: perdonare.

Essa ebbe un lungo brivido. - E poi? - chiese con un'appassionata ironia.

- Bisogna vivere.... - rispose semplicemente il padre Loria.

Un'ora dopo, quando il vecchio prete uscì dalla camera della Duchessa, s'imbattè subito col Duca, il quale, impaziente ed inquieto per il lungo protrarsi del colloquio, camminava a gran passi in su ed in giù nel corritoio. Confessore e marito scambiarono un saluto cortesissimo.... ancor più cortese di quello dell'arrivo.... ma non meno diffidente e pieno di mutua avversione.

Giuliano sentiva qualche cosa nell'aria. La minaccia, per esempio, d'una spiegazione, che ora, suggerita dal prete, gli pareva di nuovo formidabile ad incontrarsi. E fu per lui un vero sollievo quando udì dalla cameriera che la signora, stanchissima, aveva raccomandato la lasciassero riposare.

Milla aveva riposato...; ma ora era spossata.... Quel riposo era stato in realtà una delle più aspre battaglie intime del suo povero cuore offeso e innamorato a un tempo. La religione aveva dato un consiglio; e la natura e la gioventù l'avevano avvalorato, con un assenso segreto...; ma l'orgoglio aveva avuto anch'esso la sua ribelle parola.

Il crepuscolo invernale, prolungato dal bianco riflesso della neve caduta e da quella tuttora cadente, scendeva lento, in una mezza luce grigiastra. Nella progressione graduata della penombra, il letto ampio, coi parati di raso sbiadito spiccava netto. La bianchezza del visino di Milla si confondeva col morbido bianco dei guanciali, pareva quasi assumere l'area sfumatura di contorni d'una larva.

- Comanda la lucerna? - chiese a bassa voce la cameriera.

- No, - rispose Milla, con voce stranamente affievolita. Va pure.... voglio riposare.

La giovane uscì, in punta di piedi.

Il silenzio della stanza era grave e solenne. Giuliano provava un'angoscia inesplicabile, guardava, come affascinato il candore opaco del letto, tentava d'afferrar nettamente, collo sguardo, l'incerto contorno di quel corpicino femminile che giaceva, spossato, sotto alle lenzuola e pareva quasi farsi di nebbia, illanguidire nell'ombra cupa che andava invadendo la stanza. Avrebbe voluto parlare a Milla, udire la sua voce, ne sentiva come un bisogno angoscioso. E mentre pensava come potrebbe rivolgere a Milla una domanda anche indifferente, ma che la obbligasse a rispondere, ecco che per l'appunto quella povera e debole vocetta s'alzò in seno al silenzio pesante e misterioso, pronunziando una parola, che, da tempo non s'era sprigionata dalle labbra di Milla.

- Giuliano!

Egli trasalì e si chinò sul letto, premurosamente, con un terrore indistinto di quell'ora e di quell'accento.

Ella gli porse la sua manina tanto smagrita.

- Giuliano.... - ripetè lentamente, non debbo.... non bisogna che io me ne vada. E per ciò.... sai....

Oh! non la sapeva recitare quella lezione; così sublime e così crudele. Tremava.... si confondeva.

- Sai.... - proseguì con uno sforzo eroico, volevo dirti che.... che io non mi ricorderò più di niente. Ma bisogna che anche tu... se vuoi ch'io....

Egli non la lasciò finire. Si gettò in ginocchio, le afferrò le mani, le chiese perdono, con accento rotto, appassionato, le giurò ch'egli l'adorava, che non era realmente colpevole, che ciò ch'ella aveva udito non era stato che l'espressione d'un momento di delirio passeggero.... un capriccio passeggero, senza base, senza conseguenze.... E iterava proteste, ardenti e sincere, com'era in quel momento, ardente e sincero il suo ravvedimento. E in quella tempestosa reazione, in quel subito rinnovarsi del suo amore per la donna ch'egli temeva di perdere; Giuliano riesciva eloquentissimo e si presentava sotto un aspetto nuovo, l'aspetto cioè ch'egli, nella placida sicurezza del suo dominio su Milla, non si era mai curato d'assumere per lei.

- Ma tu m'ami, dunque, tu m'ami? - chiese l'ammalata, balzata in quel momento in una calda e rapida transazione del suo amore, che le faceva ancora scusare, perdonare, scordar tutto, che la consegnava cieca, sorda, smemorata, in braccio ad una più potente, ad una più salda illusione.

Egli la copriva di baci. Oh! se l'amava! Se aveva sofferto.... Oh la sua Milla! la sua Milla adorata! Non era punto: creolo.... in quel momento!

Allora Milla ebbe un subito e febbrile risveglio delle forze. S'alzò a sedere sul letto, s'avvinghiò colle braccia scarne al collo di Giuliano e gli si strinse convulsa sul petto, con un grido supremo di trionfo e di desiderio: Vivere!... vivere!...


La villa era ancor tutta sottosopra. Poche ore prima il Duca e la Duchessa erano partiti per Napoli, dove li avrebbe raggiunti la vecchia Duchessa Lantieri.

La partenza era recente e l'ardore dei commenti non era pur anche venuto meno. Veramente la signora non era al tutto ristabilita; stava però assai meglio. Ma ne aveva patito del male, poveretta! E che festa per tutti, quando, era scesa a desinare per la prima volta!

Non la scorderebbero così presto, quella sera. Il pranzo era stato preparato, non già nel salone grande, ma in un salottino caldo, caldo, ornato delle più belle camelie della serra! Finito il desinare, la Duchessa, appoggiata al braccio di suo marito, era venuta un momento sotto il portico, per ringraziare quella brava gente che aveva tanto gridato: Evviva! Aveva parlato quasi a tutti, aveva riconosciuta la vecchia portinaia, salutata la fattora, poi aveva osservato che ci erano due guardiani dei pascoli e persino Drollino, il quale, da quel selvaticone che sarebbe sempre, se ne stava mezzo nascosto, dietro uno dei pilastri. Anzi, lo fece chiamare.

- Ho saputo - gli disse soavemente - che tu pure venivi spesso a chieder mie nuove. Ti ringrazio.

Egli la guardava fisso.... come incantato. Com'era bella e pallida.... e com'era diversa dalle altre!

Giuliano, che aveva bevuto del Johannisberg molto vecchio in onore della Duchessa, era di lietissimo umore!

- Certo.... - sclamò benignamente - veniva ogni giorno a chiedere alla Carolina.... eh!... eh!... guarda.... Drollino!

Drollino guardò infatti il Duca, e in modo siffatto che questi, pur continuando a ridere, non proseguì a toccar quel tasto. E un momento dopo, temendo che Milla fosse stanca, la condusse via.

Milla non si oppose; senz'avvedersene, ricadeva invincibilmente nella obbedienza cieca e fiduciosa dell'amor suo.

Partirono adunque sui primi di dicembre, contenti, felici, e in perfetta armonia. In casa rimaneva tuttora parte della servitù, quella che avrebbe più tardi raggiunti i padroni a Napoli, e quella fissa per tutto l'anno ad Astianello.

La sera stessa si trovarono riuniti in cucina, attorno all'allegra fiammata del caminone. Drollino ci andò pure un momento, prima di recarsi a letto.

Nel crocchio si discutevano, naturalmente, gli ultimi avvenimenti di quella fortunosa villeggiatura.

- E la Russa? - chiese a un tratto il paggetto.

Il capo cuoco alzò una mano a livello del mento, e con una vivace smorfia soffiò rapidamente sul palmo.

- Andata! - soggiunse con un'espressione comicissima, come un prestidigitatore che fa scomparire una pallina di sughero.

E fu una risata generale.

Ma il paggetto maligno insistè:

- Per sempre?...

Il cocchiere alzò le spalle con un'aria da filosofo.

- Caro mio, chi sa l'avvenire?... Speriamo di sì! Certo è che, in grazia di quella diavolessa, la nostra povera signora è stata a un brutto rischio.

- Io dico che se le capita un'altra volta.... - prese a sentenziare il maggiordomo.

- Muore, eh, muore davvero? - interrogo premurosamente il paggetto.

- Al diavolo i monelli - rispose stizzosamente il maggiordomo; - che c'entri tu, bardassa, a far cotesti discorsi?

E per fargli vedere che non c'entrava proprio, accennò ad allungargli una pedata.

Ma non l'allungò, e si mise a ridere.

Drollino uscì dalla cucina senza che nessuno se ne accorgesse, e si recò in scuderia.

In quell'ambiente vasto, l'atmosfera aveva un tepore dolce, e l'occhio si riposava in una semioscurità, rotta ad intervalli dal chiarore di certe lampadine appese alle arcate della volta. In fondo, presso alta porta d'uscita, un piccolo lume ad olio ardeva vacillando davanti ad un quadretto di Sant'Antonio e socio. In un box aperto e disoccupato, il sorvegliante di servizio, coricato su di una branda ed avvolto nel suo bigio mantellone, russava saporitamente.

In scuderia non c'erano in quei giorni più di una quindicina di cavalli. Stavano quieti. I più dormivano, alcuni si movevano ogni tanto, con un lieve scalpitio, accusando le proprie mosse col rumore delle palle di legno appese alle cavezze.... che si urtavano contro le pareti esterne delle mangiatoie.

Mia era ultima nel compartimento di destra, e dormiva stesa di fianco sulla paglia; ma quando Drollino, avvicinandosi, la chiamò sommessamente per nome, la povera bestia, destandosi, si rizzò impetuosamente, con quel moto così rapido proprio del cavallo fino che non si vuol lasciar sorprendere in una posa d'inazione. Voltò la testina intelligente, e fissò il padrone coi grandi occhi espressivi.

- Mia! - disse Drollino col tono monotono di chi parla in sogno, e accarezzando la lucida groppa della cavalla. - Mia!... è partita!...

Il riverbero del lumicino di Sant'Antonio accendeva un punto luminoso nella pupilla attenta di Mia.

- Mia! - continuò Drollino collo stesso accento - se lei fosse morta.... io l'avrei ammazzato.... sai?...

Uno dei cavalli vicini diè un forte strappo alla corda, e la palla picchiò rumorosamente contro la barriera.

- Ohe! - borbottò il mozzo, fra il sonno e la veglia.

Una gran quiete regnò in scuderia.


VIII.

Maggio e i suoi fiori, maggio e il suo cielo sereno, le sue nuvole passeggere e i suoi tepori precoci! Maggio che sorride alla villa d'Astianello, e Milla che sorride alle rose di maggio e d'Astianello.

In giardino ce n'è un'infinità, di tutte le qualità, di tutti i colori; ce n'è persino una tutta verde, che non è punto bella, e il cui arbusto costa un occhio del capo.

È una rarità, s'intende. Quella onesta varietà della specie avrebbe il buon senso di non voler nascere a casa nostra, ben sapendo quanto sfiguri in mezzo alle sue splendide sorelline. Ma noi, anzichè saperle grado del suo accorgimento estetico e della sua ritrosia, ne la castighiamo sforzandola invece a crescere stentatamente e a fiorire di mala voglia nei nostri giardini.

Milla è stata china, a guardar la macchia, per un po' di tempo. Finalmente si rizza, e, voltandosi, chiama:

- Giuliano!

Ogni traccia di malattia è scomparsa dal suo visino il quale è ormai più tondeggiante e suffuso d'un lieve incarnato. La personcina è sempre snella e minuta, ma le angolosità d'un tempo si vedono più. Milla veste un'elegantissima matinèe di mussola bianca ricamata, adorna d'un profluvio di fiocchi azzurri e fiorellini rosa.... Sta veramente benino quella gentile creatura; il vento fresco del mattino le ha alquanto scomposta la capigliatura, ed i capelli biondi piovono alla rinfusa sulla fronte, adombrando quei cari occhi castani, pieni di luce, di gioia e d'amore.

- Giuliano! - ripetè a voce più alta, voltandosi verso la finestra d'un salottino a terreno.

Giuliano, obbedendo a quel gaio appello, comparve finalmente nel vano interno della finestra. Il suo busto emergeva nello sfondo bruno del vuoto, e la sua faccia campeggiava bene, così bianca, e con tanto oro di capelli e di barba. Guardandolo, però, pareva un poco invecchiato, e, sotto ai suoi begli occhi azzurri, alcune rughette, appena percettibili, s'eran dato convegno. Aveva anch'egli un'espressione ilare e soddisfatta, ed il profumo del suo biondo sigaro d'Avana giungeva sino alla macchia delle rose, mischiandosi in istrana guisa coi loro forti e vari olezzi.

Milla lasciò la macchia e s'accostò al davanzale. Colla destra teneva sola la famosa rosa verde, colla sinistra serrava un mazzo di stupende rose Gloire de Dijon.

- Sai, Giuliano, non mi piace!

- Cosa?

- Questa rosa.

- E perchè non ti piace?

- Perchè non è una rosa schietta come le altre; ha voluto far l'originale, e ciò non va bene.

- No?...

- No! bisogna aver buon senso, e fare ciò che fanno gli altri. E di ciò son tanto persuasa, che non voglio predicar bene e razzolar male. Non voglio essere come la rosa verde. Dunque, a giugno, andremo ai bagni!

- Ma, mia cara, che bisogno c'è di andare ai bagni, se non ne hai voglia? Potremmo benissimo rimanere qui.

- Sì, che ne ho voglia! E poi è giusto; so che, a lungo andare, la campagna ti annoia. Andremo ai bagni.... dove vorrai tu, ben inteso, e poi.... torneremo qui! Ah, qui si sta così bene, non è vero?

- Certo! - disse allegramente Giuliano; ma un'ombra fuggitiva gli passò sulla fronte.

- Dunque - ricominciò Milla - dove andiamo? a San Moritz?

- Eh! vada per San Moritz.

- O a Recoaro, Lucca, Sorrento, Villa d'Este? Basta, decideremo poi. Già, abbiamo tutto il mese per pensarvi. E quest'inverno, per un mese o due, torneremo a Napoli?

- Certo, dove vuoi! Ammenochè gli affari....

- Oh! gli affari! - disse Milla con un'adorabile smorfietta. - Sai che sei insoffribile con questi affari! Dacchè ti sei messo in capo di rivendicare quei possessi nel Genovesato, ti sei cacciato a capo fitto, nei litigi, nei processi, nei consulti d'avvocati, tanto che mi diventi tu pure un vero leguleio.

Rideva, così dicendo, e cercava invano d'assumere un'aria indispettita; ma in cuor suo era tutt'altro che avversa alle occupazioni di Giuliano. Le avevan detto, e s'era persuasa, che una occupazione indefessa, accaparrante poteva benissimo riescire una salvaguardia.

- Orsù - continuò con una soave ipocrisia di pazienza - speriamo che si possa andare a Napoli. Ti ricordi di Napoli?

- Sì - diss'egli lietamente, rimovendo la cenere dall'estremità dello sigaro.

- Oppure, andremo a Nizza. E di Nizza ti rammenti?

- Sì - disse ancora Giuliano, ma non lo disse lietamente.

- Oh! io mi ricordo, sai! La passeggiata degli Inglesi, il Circolo della Méditerranée, et la place Massena, e il Restaurant français, dove abbiam fatta quella famosa colazione. E il Vallon obscur? E Cannes? E Montecarlo? A proposito, bada che, se andiamo a Nizza, stavolta voglio proprio venire anch'io a Montecarlo.

Egli aggrottò le ciglia e parve scontento.

- Oh, bella! - continuò Milla, sempre più infervorata nei suoi progetti. - Ci vanno tutti, ci voglio andare anch'io. E voglio vedere a giocare; chissà che non m'arrischi io pure; sapessi quanto mi rincrebbe di non poter venir con te il giorno in cui ci andasti! Ti ricordi di quel giorno? Non mi sentivo bene, e rimasi a casa. Non volevo far parere, ma mi struggevo di venir anch'io a Monaco!

Giuliano fece una strana smorfia, e balbettò fra i denti qualche parola.

- Ma stavolta - continuò Milla - questo capriccio me lo voglio levare. Sissignore, giocherò anch'io, e vedremo se la perdita di qualche migliaio di lire farà venire, a me pure, la faccia da scomunicato che avevi tu, la sera, quando tornasti.

Le venne voglia di ridere, e rise infatti, celando il visino nella profumata bianchezza delle rose.

Egli s'era voltato bruscamente; per buttar via lo sigaro.

Una brezza freschina passava di lì, suscitando nell'erba un tremolìo di amoerro, e facendo dimenar le cime alle rose, come se fossero tante testine di piccole fate dubbiose. Milla alzò di nuovo il viso, aspirando con gioia la frescura di quell'arietta.

Girò attorno lo sguardo, vide quella bella villa signorile, così idilica, colla sua verde cintura di arrampicanti. Vide il giardino ridente e il piano maestoso e i colli vicini, e tutto ciò le parve bellissimo. Allora pensò che Giuliano, il suo fedele Giuliano, era pure molto bello. E la vita dunque non era forse bellissima anch'essa?... Chiuse gli occhi, e, paga, col cuore riboccante di gratitudine e di dolcezza gioconda, mormorò sommessamente:

- Oh Giuliano! come sono felice!

Rimase per un istante come raccolta nel pensiero della sua felicità, mentre Giuliano, pallido, tormentava fra le dita paffute, i ciondoli del suo orologio.

Milla schiuse gli occhi e diede un sospiro.

- Che peccato che tu debba sempre andar laggiù, a Genova a conferire con quell'avvocato! Non potrebbe venir qui lui ogni tanto?...

- Impossibile! - rispose recisamente Giuliano, mordendosi le labbra. - Ma sarò assente per pochi giorni, te lo prometto.

- E penserai a me? - chiese timidamente Milla, ridendo, e colla vaga intuizione di dire una gran sciocchezza.

- E tu, penserai a me? - rispose Giuliano, colla coscienza di dir cinque parole orribilmente vane e stonate.

- Uhm! - rispose Milla - secondo.... se avrò tempo. Perchè, - soggiunse con un fare soavemente biricchino - se tu hai delle occupazioni.... può darsi che ne abbia anch'io.... e che siano importanti come le tue.

Egli la guardò, con un'espressione indefinibile.

- Come?... - mormorò - che intendi dire?...

- Sei curioso, eh? Ci ho gusto. Oh bella! perchè non avrei anch'io i miei affari.... come li hai tu?...

- Perchè.... - ripetè Giuliano - perchè?...

- Via, via, non far quegli occhiacci. Sai pure che di affari, propriamente detti, non posso sentir a parlare per cinque minuti consecutivi, senza addormentarmi. Ho piena coscienza che, se me ne immischiassi, non sarei nulla più d'una guastamestieri; e poi non sei forse tu che te ne occupi, che pensi e provvedi a tutto onde risparmiarmi ogni briga?

Un profondo ed amaro turbamento si dipinse per un secondo sul volto di Giuliano.

- Cara Milla!... - sussurrò quasi involontariamente, con voce soffocata.

- Zitto là, Giuliano, e torniamo a bomba. Dicevo dunque che le mie occupazioni, le ho anch'io. Ammetto che non somiglino alle tue, ma ciò non scema la loro importanza, e un giorno o l'altro.... forse.... ne vedrai il risultato.

- Oh! oh! - disse Giuliano, ch'era tornato a rasserenarsi, - e non si può saper niente ora?

- Niente affatto. È una sorpresa; resterai con tanto di naso.

E rideva, allegra come una bambina, assaporando anticipatamente la sorpresa e la soddisfazione di suo marito.

Questi le afferrò una mano, abbandonata sul davanzale.

- Milla! - chiese con accento rotto ed angoscioso - Milla! sei felice, nevvero?

Milla tralasciò di ridere. Sporgendosi colla persona oltre il davanzale, chinò il capo sulla spalla di lui. Egli sentiva il battere concitato di quel vero cuor di donna e il calore di quella fronte, ove piovevano scomposti i ricciolini d'oro.

Drelin, drelin, drelin.... la campanella della colazione!

Si divisero ridendo, movendosi entrambi, l'una al di qua, l'altro al di là della finestra, e riuscirono ad incontrarsi sotto il portico.

- A proposito, - disse Milla a suo marito, - ricordati stavolta, di portarmi il pan douce e i canditi. E quando avrai finiti i tuoi affari, andremo ai bagni. - Non voglio essere la rosa verde, - soggiunse ridendo e appuntandosi sul petto una delle rose bianche.


Giuliano partì il giorno susseguente. Milla tenne dietro, sino oltre il cancello del viale all'elegante phaèton che, guidato dal Duca stesso, s'avviava verso la stazione. Poi tornò indietro, asciugandosi gli occhi un po' rossi. Si fermò a terreno e mandò a chiamar Drollino.

- Senti, Drollino, - gli disse appena se lo vide davanti, serio e muto come al solito, - di devi fare un piacere. Sceglimi in scuderia una bestia buona, sicura, proprio quieta.

- Ci sarebbe Calif, - rispose Drollino, dopo aver pensato alquanto.

Calif, ai suoi giorni, era stato un fiero corridore, ma ora era vecchietto assai e aveva smesso ogni baldanza.

- Bravo! Calif; per l'appunto. Sai cosa voglio fare?... Voglio montare a cavallo.

- Lei! - disse Drollino attonito.

Era noto a tutti, nella tenuta, che quell'angiolo della Duchessa aveva sempre avuto una paura terribile dei cavalli.

- Sicuro.... - continuò Milla. - Il Duca avrebbe tanto caro che imparassi. E ora, capisci, approfittando delle sue assenze, voglio fargli questa sorpresa.

Drollino represse una specie d'amaro sorriso, e stette immobile, ascoltando.

- A Nizza avevamo provato, in maneggio; ma sai, non vi riuscivo bene. Ho paura di non esser molto coraggiosa.... Oppure non sapevano insegnarmi. Ma ora, m'insegnerai tu, nevvero?

- Io? - disse impetuosamente, quasi spaventato, Drollino.

- Tu, sì.... - rispose Milla ridendo - cominciando da oggi. Ho la sella e tutto l'occorrente. Va a far sellare Calif, e aspettami in maneggio. Io mi vestirò frattanto, e fra mezz'ora scenderò.

E così accadde che Drollino divenne ipso facto maestro di equitazione della Duchessa.

Sulle prime, la cosa durò fatica ad avviarsi. Milla era terribilmente impacciata nella sua lunghissima gonnella di amazzone, e non sapeva raccapezzarsi in nulla. Era molto bellina però, e nell'ampiezza del maneggio la sua figurina delicata, acquistava una nuova leggiadria. Il collo pareva veramente finissimo, quasi esile, così stretto nel collettino ritto, fortemente insaldato, o compito alla chiusura da un nodo di cravatta color verde cupo. Il visino tanto giovane e fresco, coi capelli, strettamente raccolti sulla nuca, e adombrato dalla breve falda d'un pioppino inglese, pareva quello d'un giovanotto di primo pelo. Drollino durava fatica talvolta a non distrarsi, guardandola in quell'aspetto nuovo, che tanto armonizzava colle aspirazioni della sua irresistibile vocazione. E per due ore al giorno, sinchè fu assento il Duca, egli si trovò colla Duchessa, così vestita e affidata completamente a lui. Toccò a lui a metterla in sella, a insegnarle il maneggio delle redini, le chiamate, le attitudini. Milla trovava la cosa ancor più seria di quanto s'era immaginata; non andava avanti che a furia di buona volontà, facendo sforzi eroici per vincere la paura. Ma questa ogni tanto ritornava, invincibile, e Milla, nei suoi sgomenti irragionevoli, temendo sempre di cadere, smarrita, soffocando la voglia di gridare, afferrava con mano convulsa il braccio di Drollino. Questi sentiva alla sua volta uno strano rimescolìo, un intimo turbamento lo sconvolgeva tutto. Ma senza fermarsi a chiedere cosa fosse, lo dominava, e, calmo egli stesso, rassicurava la Duchessa, ripetendole, col suo accento vibrato, di non temere, di fidarsi di lui. Le faceva animo; con un sorriso che aveva qualcosa d'imperioso e di supplichevole ad un tempo, con qualche raro: - Brava! - Milla si fidava, e ciò le giovava immensamente. Persisteva nella sua impresa, sostenuta dal pensiero che tutte queste difficoltà le incontrava per Giuliano, per procurargli il piacere di una sorpresa. E nei momenti critici, quando le pareva proprio di non poter più reggersi in sella, guardava intensamente Drollino, attingendo il sangue freddo nella calma scintillante di quello sguardo, certa che, in ogni caso, la mano di lui l'avrebbe sorretta. Ah, sì, Drollino era proprio un buon maestro!

Siccome il tempo era limitato, le lezioni si ripetevano ogni giorno, benchè, a dir vero, quell'esercizio violento, al quale non era abituata, stancasse non poco la Duchessa. Quando scendeva di sella, a mala pena si reggeva in piedi, e bene spesso, per uscir dal maneggio, doveva appoggiarsi al braccio di Drollino. Oh, com'era stanca.... tanto, che s'abbandonava quasi, così spossata com'era, sul saldo braccio del giovane maestro.

Il ritorno del Duca pose fine al primo periodo delle lezioni.

Egli era pallido, sbattuto; ma ne accagionò presso Milla la stanchezza della nottata, trascorsa in ferrovia. Era un po' nervoso, un po' inquieto; gli affari si complicavano, ma egli voleva spuntarla ad ogni costo, e però gli toccherebbe d'assentarsi ancora, forse, più volte. Portò, oltre ai pandouce ed ai canditi, una splendida collana di corallo e una ventina di gingilli in filagrana. Milla ne fu così lieta che si mise a piangere di contentezza, e non rifiniva di ringraziare suo marito. Ma Giuliano non pareva gustare moltissimo quella sfuriata di ringraziamenti, e forse per interromperli chiese d'un tratto:

- E la sorpresa?

- Non ancora - rispose Milla ridendo - sarà per quest'altra volta.

Ma non fu nemmeno per «quest'altra volta,» benchè, appena ripartito Giuliano, la Duchessa ricominciasse di gran lena le lezioni con Drollino. Quando il Duca tornò, non s'era per anco usciti dal maneggio. Stavolta le portò in regalo un anello in brillanti, ma non chiese della sorpresa. E, in capo a quindici giorni, ricevette delle lettere d'affari che l'obbligarono a ripartire.

Milla, che sulle prime, e per la ragione che sappiamo, aveva fatto buon viso alle nuove occupazioni di Giuliano, cominciava a trovarle ora un tantino indiscrete. Ora per l'appunto, quando egli era diventato così dolce, così compiacente, così premuroso per lei, glielo portavano sempre via.... sempre.... quei benedetti affari!

Milla era veramente felice, dimenticava il passato come si dimentica un brutto sogno. Giuliano s'era completamente ravveduto da quella sciagurata sorpresa dello scorso autunno. In fin dei conti, un po' di colpa ce l'aveva avuta anche lei, colla sua imprudenza. No, ora capiva bene com'è l'esistenza. Bisogna esser prudente, fuggire le occasioni, non mettere la paglia accanto al fuoco! Ora non c'era più pericolo di sorta, ed ella ormai era sicura di nuovo, meglio anzi di prima, del cuore di Giuliano!

Il giorno dopo la terza partenza di suo marito, Milla, nello scendere in maneggio, ebbe una sorpresa. Invece di Calif, trovò ad aspettarla Mia, già insellata e tenuta a mano da Drollino.

Esitò un momento, guardando il giovane.

Egli arrossì, ma disse dolcemente:

- Salga, signora Duchessa.

E quando l'ebbe bene adagiata sulla sella, soggiunse a bassa voce:

- Ho pensato che adesso, coi progressi che abbiamo fatto, sarebbe bene di provare un cavallo nuovo.

- Ma non ti rincresce? - chiese Milla ridendo.

- No - rispose Drollino - e lei ci avrà più piacere a cavalcare Mia.

Infatti, era tutt'altra cosa! Mia aveva il boccato straordinariamente fino, le mosse pronte e leggere. Milla a poco a poco smetteva la paura, e prendeva a gustare l'indicibile soddisfazione del cavalcare. Cominciava a tenersi bene in sella, ad acquistare destrezza e disinvoltura; e Drollino provava un grande orgoglio quando vedeva la leggiadra amazzone, franca ormai e sicura, sul dorso di Mia. Gli parevano tutt'e due, nella bellezza aristocratica delle rispettive loro razze, creature privilegiate, incomparabilmente pregevoli. Entrambe in quel momento gli erano soggette, entrambe egli guidava colla voce, col gesto, collo sguardo; sentiva per entrambe come una bizzarra analogia di ammirazione appassionata; per Milla come per Mia, sarebbe stato capace di tutti i sacrifizi. L'ora della lezione era diventata per lui la più bella ora del giorno; l'aspettava ansiosamente, ma pure non senza un certo vago, nuovo timore, che a lui, così impavido, riesciva inesplicabile. Se a Milla, per esempio, succedesse qualcosa?... se cadesse?... se si facesse male?...

Gli accadeva, certe volte, di dover frenare un tremito quasi doloroso, quando serrava sullo stivaletto inglese della Duchessa la fibbia della staffa, o quando, dandole la briglia, le sua dita s'impigliavano fra quelle della signora. Certe volte, gli venivano delle strane idee; nella sua mente si combinavano certe insensate ipotesi. Se, per esempio, i loro cavalli, prendendo subitamente il morso fra i denti, fuggissero di conserva, e così a rompicollo li portassero lontano lontano.... in un sito d'onde non si potesse far ritorno...; se Mia s'impennasse, ed egli potesse salvare la Duchessa.... magari anche, morendo per lei!... Ma tutta queste vacue immaginazioni frullavano solo per un momento, e di rado, in quella testa di 22 anni, o meglio la sfioravano appena, e subito svanivano, di fronte alla logica semplicissima della realtà.

Il bello fu quando si cominciò ad uscire dal maneggio!

La lezione allora aveva luogo per lo spazio infinito dei pascoli. Drollino, nella sua qualità di maestro, cavalcava a pari della Duchessa; e questa, che non era mai stata altiera co' suoi dipendenti, non sdegnava di rivolgergli la parola, parlandogli alla buona, e facendolo parlare, come quando erano bambini. Drollino era fiero di poter condurre la signora per l'ampio verde dei pascoli che le appartenevano; faceva sfilare le mandre davanti a lei, le spiegava le consuetudini dell'allevamento, le insegnava a discernere le qualità che costituivano il pregio dei prodotti. Le impartiva alcune fra le immense cognizioni ch'egli possedeva sull'allevamento, e sapeva porgerle in un modo che non era nè pedante, nè grossolano. Si infervorava, parlandole di quelle cose che per lui erano intimamente collegate alla forza, all'ardore della sua vocazione; i suoi accenti assumevano una specie di schietta e virile energia, in cui vibrava come un'eco lontana di passione invincibile.... La scena era bella, infinita, davanti a loro. Milla respirava a pieni polmoni l'aria calma e libera della pianura, e si compiaceva d'interrogare Drollino su quanto le cadeva sott'occhio.... Altre volte invece la Duchessa non si sentiva disposta a parlare, ed essi percorrevano in silenzio lunghi tratti di via, al galoppo, mentre lo scalpitìo dei loro cavalli risuonava così unito, così uguale sul terreno da parere il ritmo affrettato d'un ritornello senza fine.

Milla aveva preso a voler bene a Mia; le portava dello zuccaro e l'accarezzava di frequente. E a Drollino succedeva qualche volta, dopo aver ricondotta la cavalla in scuderia, di rimanere per lungo tempo immobile, collo sguardo fisso, colla mano posata sulla lucente criniera di Mia, precisamente al posto dov'era scesa per un istante la carezza lieve della Duchessa.


Quando il Duca era in villa, le cose mutavano affatto, e Drollino evitava con ogni sua possa di trovarsi coi padroni. Stava molto in scuderia, e lo si trovava ordinariamente vicino al box di Mia.

In casa era tornato il tempo lieto. Quello delle scene era passato: il padrone s'era radicalmente corretto..., la malattia della Duchessa aveva fatto miracoli. Egli non pensava neppur per idea a lagnarsi della solitudine, non pareva sentir bisogno alcuno di svago, era affettuosissimo per Milla, e le portava ogni volta bellissimi regali. Tutti dicevano ch'era una vera consolazione, e che ormai la signora Duchessa era proprio felice. E per persuadersene non bastava forse vedere il Viso illuminato, raggiante di Milla? Essa metteva in opera certe raffinatezze, certe civetterie a cui per l'addietro non avrebbe certo pensato. Ogni tanto giungevano da Parigi delle toilettes elegantissime, che la giovane signora sfoggiava ad ogni ritorno di Giuliano. Era sempre in moto per casa, nel giardino s'udiva di frequente la sua esile, ma graziosa vocetta tentare qualche strofa di gentili romanze.

Era più che mai soave ed affabile, profondeva ai poveri vistose elemosine, avrebbe voluto poter sollevare tutte le miserie che la cadevano sott'occhio. Colmava costantemente di fiori gl'innumeri vasetti del suo salotto, e si cullava per ore ed ore nell'hamac, sognando, mezza desta, colle labbra semiaperte, in una dolcezza quasi estatica di sorriso.

Ma un giorno chiese impazientemente a Drollino:

- Ora posso andare sola col Duca?

Drollino rimase un momento in silenzio, come se non avesse afferrato bene il senso di quella domanda, ch'era pur tanto semplice:

- Dico - insistè la Duchessa - se posso andare per conto mio.... senza maestro, insomma?

Egli esitò un poco poi, con voce fioca, disse:

- Non ancora.

Milla, scontenta, tormentava la punta del suo frustino.

- Ha ancora bisogno d'impratichirsi un poco.... - soggiunse Drollino dolcemente. - Ma presto potrà andar sola....

Essa fece un gesto annoiato. - Sola! non ho nessuna idea di andar sola.... Va pure - disse poi distrattamente a Drollino.

Drollino s'inchinò e tornò in scuderia. Camminava a passo lento, a capo chino.... come un uomo che ha ricevuto sul collo un colpo di bastone.

Certo.... la cosa era semplicissima; tanto semplice ch'egli chiedeva a sè stesso come mai non l'avesse avuta sempre davanti agli occhi. Sicuro! quella era la conseguenza immediata del suo zelo nell'insegnar l'equitazione alla Duchessa.... metterla in grado d'accompagnare.... anche a cavallo, suo marito.

Ancora qualche giorno, e le lezioni sarebbero finite.... ed egli diventava inutile a Milla.

Ebbene.... tanto meglio!... Egli era stanco di quella vita, ne sentiva talvolta come una specie d'uggia dolorosa, provava da qualche tempo in qua un'irritazione latente, ma incessante. Sentiva, così ad intervalli, un desiderio febbrile d'allontanarsi di lì, di mutar vita.... d'imbattersi in qualche distrazione nuova, potente, che lo togliesse alla vita stupida, inerte che avrebbe condotto ad Astianello quando fossero finite le lezioni dell'arte ch'egli idolatrava!...

L'antica tentazione riprese il suo impero sul cuore di quel giovane impetuoso. Egli si sentiva spostato ad Astianello, sapeva che i suoi compagni non l'avevano caro. In quanto ai padroni.... Del Duca, in fondo, non si poteva lagnare. Perchè, dunque, continuava ad odiarlo?... perchè, quando lo vedeva giungere bello, placido, colla barba d'oro così ben pettinata, si sentiva fremere e ribollire il sangue? Oh, no! non s'era mai potuto avvezzare a vederlo, a saperlo padrone, quell'intruso, quel gaudente, che tutto doveva all'amore d'una donna, e che, per rimeritarla, l'aveva un tempo resa infelice, l'aveva quasi condotta sull'orlo della tomba!... Drollino taceva, mordendosi le labbra, quando sentiva dai suoi compagni, o dai contadini, vantare l'attuale condotta di Giuliano; e quando lo vedeva accanto alla Duchessa, gli venivano degl'impeti violentissimi d'avversione. La diffidenza continuava, acre, spietata, nutrendosi del proprio elemento. Ora che non aveva più una ragione positiva di odiare quell'uomo, Drollino capiva d'odiarlo maggiormente. C'era dei momenti in cui gli veniva come un insano rammarico che Giuliano avesse lasciata la Russa. Pure egli avrebbe data la vita perchè Milla fosse felice.... Cos'era dunque questa contraddizione strana.... questa sensazione? Rimaneva come sbigottito da questa lotta interna, ch'egli non sapeva spiegare a sè stesso, e che lo tormentava. E un bel giorno, così all'improvviso, Drollino prese una decisione.


- Impossibile! - sclamò la Duchessa, quando l'agente venne ad informarla che il capo di scuderia s'era congedato per la fine del mese.

- Impossibile! - ripetè, con vero dispiacere, - Ma perchè vuol andar via Drollino? cos'è accaduto?... che ragioni dà?

- Ragioni, a dir vero, non ne dà nessune, signora Duchessa. È venuto nello studio stamane e ha detto che se n'andava, ecco tutto!

Milla non poteva capacitarsi.

- Provi a mandarlo da me, chissà che io non venga a capo di scoprir qualcosa. Dev'essere un malinteso. E lei, signor Damelli, non ha proprio nessun sentore dei motivi, delle intenzioni di quel giovane?

- Nessuno, signora Duchessa. - A meno che... non so.... m'hanno detto ch'egli avrebbe l'idea di farsi soldato.

- Soldato?... ripetè Milla. Soldato?

Il signor Damelli si congedò e di lì a cinque minuti capitò Drollino.

La Duchessa si trovava in quel tal salotto chinese dove tanti anni addietro, aveva saputo ottenere per Drollino, il dono di Mia e dove aveva dato a questo, per forza, quel memorabile bacio.

Milla avrebbe voluto ora far della diplomazia con Drollino. Ma la diplomazia non era mai stato il forte di quella cara donnina. Si limitò dunque a chiedere impetuosamente al giovane, il quale stava muto, grave dinanzi a lei:

- Oh Drollino! è vero che vuoi andar via?

- È vero, signora Duchessa.

- Ma perchè.... che idea!... ma ti pare?... Ti hanno fatto qualche torto, qualche soverchieria?

- No.... signora Duchessa.

- Di' la verità.... Hai qualche motivo?

- Nessun motivo, signora Duchessa. È così.... una mia idea.

- Vuoi che ti faccia aumentare il salario? vuoi tornare alla tenuta? Se desideri qualcosa, dillo francamente. Lo sai che sono sempre contenta di te e che t'ho sempre voluto bene.

- Lo so, rispose Drollino con voce tremante. E una specie di sorriso, stranamente triste passò sul volto dei giovane.

- E anche mio marito, - proseguì Milla, anche lui, adesso, ti vuol bene.

Il sorriso scomparve in un baleno dal volto di Drollino e gli succedette una lieve contrazione nervosa.

- Sicuro, - continuò Milla, con soave insistenza, avevamo anche fissato di mandarti a Londra, perchè accompagnassi qui i cavalli nuovi, pel tiro a quattro.

Ma la Duchessa dovette accorgersi, studiando la fisonomia inflessibile di Drollino, che neppure quella splendida suggestione, valeva a farlo recedere dal suo proposito.

Non insistette. Quell'ostinazione invincibile la offendeva.

- Allora, - disse con subita alterigia, quand'è così, va pure.

Ma un momento dopo, sentì una lagrima spuntarle sul ciglio. Ella voleva bene ai suoi; a quelli di casa sua. E ne rimanevano pochi ormai ad Astianello. I nuovi servitori, scelti dal Duca, avevano a poco a poco, accaparrati i posti migliori.

E ora.... anche Drollino. Era un altro lembo del passato che scompariva.

Egli vide quella lagrima e rimase inchiodato al suo posto pallido, atterrito.

- Signora Duchessa, - disse con voce tremante; creda.... anch'io.... mi perdoni....

- Oh Drollino! sclamò Milla, smettendo subito il fare risentito, perchè mi dai questo dispiacere?

Egli fece un passo avanti.

- Oh no.... non dica così.... signora Duchessa.... creda.... anzi.... che io....

- Ti assicuro - proseguì Milla, che faresti tanto dispiacere anche al Duca.

Drollino diè un passo indietro, volle parlare, ma non gli venne fatto....

- È impossibile! disse finalmente - bisogna che vada.

Ma il suo viso aveva un'espressione così turbata, che Milla non seppe più adirarsi.

- Dimmi almeno il perchè? - chiese mestamente.

Il giovane scosse il capo.

- Che vuole - signora Duchessa, m'è venuto un desiderio, che so io, una smania di girare il mondo, di veder degli altri siti, delle altre tenute. Ma mi ricorderò sempre sa, di lei.... della sua bontà per me. E forse, di qui a un po' di anni.... chissà che non torni.... già.... a cercare ancora.... i miei cavalli.... qui a Astianello.

Drollino non sapeva più quel che dicesse. Milla, invece, cominciava a persuadersi.

- Ah! Drollino!... mi rincresce tanto. Avevo certe idee.... certi progetti.... Pensa.... andar via ora, dopo che m'avevi insegnato a montar a cavallo.

Il giovane si morse le labbra.

- Sicuro.... - rispose - così adesso si divertirà.... Adesso che può andar sola....

Un momento di silenzio regnò nella sala. Poi Drollino disse timidamente, con uno sforzo terribile:

- Signora Duchessa, vuol tenere Mia?

- Mia!... - esclamò la Duchessa, maravigliata e commossa.

- Sì, signora...; scuserà se mi prendo questa libertà, ma ho visto che vanno così bene loro due.... e son persuaso che la tratterà sempre bene, nevvero?... e così forse.... si ricorderanno qualche volta di me....

- Oh! Drollino - disse intenerita la Duchessa - vuoi proprio lasciarmi Mia?... Ma non ti rincresce.... davvero?

- No, no.... non mi rincresce.... Tanto, non saprei come fare a condurla ora.... e poi è giusto.... perchè, si ricorda?... è stata lei che me l'ha fatta avere....

Gli pareva di compiere un doloroso atto di giustizia. Aveva la mente e gli occhi pieni del ricordo della scena accaduta lì.... in quella stessa sala, tanti anni prima. Si vedeva, bambino, debole, agitato, sentiva ancora sulle labbra un'impressione che gli pareva quella d'un ferro rovente, l'impressione d'un bacio di bambina.

Milla, con un atto inconsulto, gli stese la mano.... Ma subito, memore che non andava fatto, la ritrasse. Ma era indicibilmente commossa, mormorò:

- Oh Drollino, oh Drollino!... - con un accento di gratitudine che valutava e compensava tutto il sacrificio di quel povero ragazzo.

Egli tremava lievemente, e teneva il capo chino come un colpevole.

In quel bizzarro colloquio successe una pausa bizzarra anch'essa.... piena per entrambi d'indefinibili incertezze.

- Senti, Drollino - disse finalmente la padrona - vedo che tu.... hai proprio fissato di andar via.... Ma non farmi il dispiacere di farlo ora, mentre siamo qui. Tanto, fra poco, andiamo ai bagni. - Sperava che in quel tempo si ravvedesse, chi lo sa, che rinunziasse a quel suo assurdo progetto.

Egli rimase scontento, combattuto. Avrebbe preferito andarsene subito. Un segreto istinto gli suggeriva di rifiutare, di lasciare Astianello al più presto. Ma gli occhi castani di Milla, ancora umidi di quella lagrima, erano alzati a guardarlo, senza alterigia di sorta, pieni di benevolenza e di dolcezza. Egli non seppe dir di no.... Fece un cenno d'adesione, e chinò ancora il capo.

- In quanto a Mia - disse Milla affettuosamente - ti ringrazio.... la terrò sempre cara, e non ti dimenticherò mai.

Egli se ne andò colle labbra strette strette, cogli occhi semi-chiusi.

Il Duca, quando riseppe la cosa, non mostrò, a dir vero, tutto il rincrescimento che Milla gli aveva generosamente attribuito. Non gli faceva nè caldo, nè freddo, ora che non c'erano ospiti in villa. Non perdette però quell'occasione di canzonare Milla, pei gusti vagabondi dei suoi protetti. Non si commosse nemmeno pel dono di Mia. Chiese solo a sua moglie quanto aveva avuta la dabbenaggine di pagargliela a colui.

- Pagarla.... sclamò Milla - che cascava dalle nuvole.... pagarla?... Ma t'accerto che non è stato nulla di simile.... Non abbiamo scambiata una parola, su questo proposito.

- Eh! lo so anch'io che con te, non avrà parlato di prezzo. Ma te ne avvedrai quando farai i conti col signor Damelli.

- Credi.... proprio?... E io che m'ero commossa!... Ma pure....

- Per bacco, mia cara, è chiara come il giorno. Voleva liberarsene; non sapeva come, e te l'ha affibbiata; ecco tutto! Ora poi sarei curioso di sapere ciò che pretendi fare di quella bestia, tu che non hai mai voluto saperne di cavalcare.

- Ah! - rispose Milla, lieta del suo mistero. - Non importa, lascia fare a me!... L'attaccherò alla giardiniera, e imparerò a guidare.

- Uhm! - disse il Duca - è troppo forte per la giardiniera, andrebbe meglio col phaèton. È ancora una buona cavalla. Quasi quasi, ora che non è più di quel biricchino, avrei una mezza idea di provarla io stesso. Domani forse....


Drollino era fermo sulla soglia del cancello di fronte al viale. E quivi per l'appunto vide Mia, la sua Mia, attaccata al phaèton e guidata dal Duca.

Non molto ben guidata, a dir vero; Giuliano la conduceva come un dilettante conduce, per lo più, un cavallo che sta provando. Alquanto a casaccio, cioè, tirando indiscretamente i filetti ora a destra, ora a sinistra, tormentandole il morso in bocca, spingendola, con certe mosse intempestive delle redini che dovevano torturare la povera bestia, abituata alla mano salda, mirabilmente esperta, di Drollino.

Questi divenne livido, sentì nell'interno dell'animo come uno schianto. Cogli occhi spalancati, immoto, come impietrito, guardò quello spettacolo, che lo straziava.

Il Duca non s'avvide di lui. S'indispettiva contro Mia che non voleva ubbidirlo, e, in difetto di più persuasivi argomenti, le rovesciò addosso una furia di scudisciate.

Drollino trattenne un grido. Ah! quelle scudisciate! gli parve d'averle ricevute lui, attraverso alla vita! Ebbe un impulso violento e prepotente di spiccare un salto, di precipitarsi verso il phaèton, d'afferrare lui lo scudiscio e di....

Ma si contenne. Si morse a sangue le labbra, e torse lo sguardo. Mia si avviava con un trotto incerto, rotto, pesante, mentre il Duca, con una aria avvezza, dimenava trionfalmente la frusta.

Drollino s'accorse d'esser tutto sudato. Un pensiero crudele gli passò pel capo: - Oh! se Mia potesse impennarsi in quel momento, far cadere colui.... fargli rompere il collo....

Oh, se avesse saputo.... se avesse potuto prevedere.... Egli, che aveva fatto quel supremo sacrifizio per lei.... per la Duchessa.... perchè avesse una buona cavalla e un motivo di ricordarsi.... del passato. Oh! se avesse saputo.... Mia.... la sua Mia!

Un'onda di torbide fantasie gli sconvolse per un momento il cervello; gli parve di smarrire ogni idea che non fosse dolore, ira, rabbia impotente.

No, non poteva far nulla.... ormai.... Certo.... egli era stato un grande imbecille; la colpa era sua. Doveva pur saperlo ciò che il Duca era per Milla. Un idolo a cui tutto era dovuto, persino l'omaggio ultimo.... il dono lasciato a lei, per lei da un povero cavallaro che se ne andava. Non ebbe un pensiero di rimprovero per Milla. Ma la sua avversione per Giuliano prese da quel punto le proporzioni d'una passione tormentosa.

Se ne andò verso il pascolo, e non tornò alla villa se non tre giorni dopo, quando seppe che Giuliano era andato di nuovo per la quarta volta a Genova, onde conferire con quella celebrità d'avvocato che trattava i suoi affari.


Non si doveva risapere, eppure si riseppe. Fu per tutti una gran maraviglia, e se ne parlò molto, sottovoce, con una vera grandine di commenti. Va via per questo, per quest'altro. Non si poteva adottare la versione nuda e semplice dell'affare: un capriccio di Drollino. Ci doveva esser qualche motivo segreto, qualche grossa magagna scoperta di recente.

- Eh! - osservò sghignazzando Battista in un conciliabolo tenuto allo scopo di discutere la questione - avranno scoperto qualche cosa di questo genere. - E fece colle dite aperto il gesto come di chi pizzica le corde dell'arpa. - E siccome è uno della casa, e lo proteggono a spada tratta, avranno accomodato le cose alla chetichella.... e fanno figurare che....

- Non è vero, non è vero niente - urlò inviperita la Carolina, prendendo le difese di Drollino con un calore, con una energia che le valsero addirittura un subisso di allusioni più o meno riguardose; ma tutte dirette a constatare lo stato veramente anormale del suo cuore. Tanto che, sentendosi così accanitamente attaccata, la giovane battè una pronta ritirata, e si rifugiò nei solinghi recessi della guardaroba a piangere le sue speranze perdute, e a disperarsi della partenza di Drollino e dell'insolenza di Battista.

Anche il conciliabolo ebbe un'eco, mentre sarebbe stato assai più desiderabile che non l'avesse avuto. E fu la Carolina stessa che, vantandosi apertamente della sua difesa, disse a Drollino cos'aveva detto di lui quel birbante di Battista. Drollino l'ascoltò in pace, non le fece nè ringraziamenti, nè scuse. Non si indignò delle accuse del cameriere; ebbe un'ombra strana, pallida di sorriso. Forse non si maravigliò; certo è che non accennò d'esser maravigliato. La Carolina rimase scontenta e perplessa. Aveva sperato, senza confessarlo a sè stessa, che Drollino sarebbe rimasto più colpito dal suo generoso intervento e avrebbe data maggior importanza alla sua rivelazione. Ma invece se ne andrebbe quietamente, senza rompere il muso a quella canaglia di Battista.

Poichè, è d'uopo confessarlo, il cameriere del signor Duca non godeva affatto le simpatie dei suoi colleghi. Non si poteva negare la sua valentìa, egli possedeva in tutto e per tutto l'arte del suo mestiere.

Ma la sua onestà non era neppur più problematica ed egli, da qualche tempo in qua, si trascurava non poco. Battista era bene spesso ubbriaco, e s'andava ingolfando in certe avventure rustiche, tutt'altro che perdonabili e pur sempre, se non perdonate, ignorate dall'inesauribile indulgenza del Duca. Ora poi, in assenza del padrone, Battista abusava assolutamente della sua libertà.... al punto di passare quasi tutta la giornata, nonchè parecchie ore della sera, in una botteguccia con spaccio di liquori, situata alla estremità del paese e dove trovava del rhum più forte di quello della dispensa, un'ostessa tarchiata e tre o quattro buoni compagni, ai quali egli insegnava dei bellissimi giuochi di carte di una facilità maravigliosa, e che ogni persona che si rispetta deve aver famigliari. I buoni compagni avevano un'ammirazione illimitata per quel personaggio così ben vestito e colle tasche così ben guarnite.

Drollino non aveva certamente fatto gran caso del riferto della Carolina. Ma nella sua mente, così logica e risoluta, invece della gratitudine, si levava per l'appunto una specie di rammarico e l'idea che la cameriera avesse fatto male a dirgli come fosse andata la cosa. Ora, tornava proprio indispensabile, prima ch'egli lasciasse Astianello, ch'egli si prendesse la briga di cacciar quattro denti in gola, a quella canaglia.

Lasciò passar qualche giorno; poi si decise. Già.... non lo aveva mai potuto soffrire colui; quel protetto del signor Duca!

Andò a cercarlo la sera stessa, nel noto botteghino. Laggiù si giocava molto e sicuri, dietro la complice ombra d'una cortina di cotone verde che separava dalla bottega propriamente un bugigattolo scuro, stretto, sucidissimo. La rustica sirena era andata ad una sagra vicina e in vece sua stava al banco un ragazzotto mezzo addormentato.

Drollino non penetrò nell'antro dove si giocava, stette in bottega aspettando, paziente ed immobile, davanti ad un bicchierino d'anisette.

Dietro la cortina verde, si sentiva un vocìo assordante ed un continuo moto di bicchieri, e ogni tanto lo squillo d'una moneta che risonava sul tavolo. Allora soltanto il ragazzo si riscoteva, destandosi come al suono d'una musica gradita e collo sguardo stupido, ma già vizioso, ammiccava confidenzialmente Drollino.

- È il signor Battista! disse alfine e con voce misteriosa. È proprio lui.... se sapesse.... quanti!...

- Quanti?... Che?... rispose Drollino distrattamente.

- Oh bella? denari. Non sa che lui perde sempre; e sempre paga.

Il bello della cosa, pel ragazzo, era per l'appunto che il perdente pagasse. Drollino invece non esternò nessuna meraviglia. Ma con un susseguirsi, macchinalmente ragionato, di pensieri, egli finiva col chiedere a sè stesso: Come fa?...

Battista aveva un forte salario; questo si sapeva. Ma si sapeva pure che aveva dei vizi, anzi molti vizi, e che a mantenerli tutti, non sarebbero bastate tre di quelle splendide paghe. E ora giocava così rovinosamente e pagava.... pagava....

Di là, si sentivano correre le monete sul tavolo ma eran gli avversari che vincevano. Era facile, ascoltando, tener dietro alle varie fasi del giuoco.

- Come mai? chiedeva ostinatamente Drollino a sè stesso.

Finalmente ebbe termine la partita, ed i giocatori entrarono tutti nel botteghino, che si riempì subito d'un denso fumo di pipe, e dell'eco di grossolane esclamazioni, di parolaccie, di sguaiati scoppi di risa. I vincitori facevano gazzarra, ma il vinto era anch'esso di buonissimo umore e rideva, più rumorosamente degli altri. Anzi volle pagare ancora un bicchiere di vino bianco alla compagnia.

- Diavolo! - urlò al ragazzotto che vedendoli già alticci, esitava a servirli, hai capito di stappare? Hai paura, forse, che non ti si paghi? Sappi, brutta faccia di pagnotta, che dove c'è Battista, la miseria non ci può stare e che a casa mia quando non ce n'è più, ce n'è ancora.

Scoccava già la mezzanotte, quando la comitiva si sciolse.

Battista uscì ultimo, e Drollino, il quale lo aveva sempre aspettato in silenzio e senza unirsi ai buoni compagni, gli tenne dietro. Lo lasciò andare avanti finchè non ebbe oltrepassato il villaggio. Non voleva provocar chiassi e baruffe in vicinanza dell'abitato. Le ragioni che aveva da dirgli gliele direbbe all'aperto, sulla strada maestra.

Senonchè, quando furono usciti dall'ombra delle case, egli s'accorse che colui aveva un modo bizzarro di camminare, tutto a sbalzi e a zig-zag.

- Ho capito, pensò Drollino; è ubbriaco.

Non volle profittare di quella circostanza, cimentandosi con un uomo che non avrebbe potuto tenergli testa.

- Sarà per un'altra volta! mormorò fra sè e sè.

E si pose a camminare frettolosamente, senza altro intendimento che di far pronto ritorno alla villa.

Ma, oltrepassando il cameriere, s'avvide che questi era affatto incapace di raccapezzare dove metteva i piedi. Era uno sconcio spettacolo quell'uomo che camminava barcollando sulla strada, battuta dal lume di luna, in vicinanza della villa... Bell'onore per la casa.... se qualcuno lo vedeva.

E, sotto l'impero di questo timore, Drollino risolse di ricondurre egli stesso Battista per evitare, se si poteva, ogni scandalo. Gli s'accostò e lo chiamò forte per nome.

- Ah! - rispose l'altro fermandosi.... - sei tu, Drollino?... Bel nome davvero.... E un bel giovanotto, anche.... ma allegro come un martôro. E dunque eh! ho sentito che te ne vai.... Fai bene, perdio.... Si vegeta in questa baracca, in questo nido di.... colombini.

E strizzava gli occhi sorridendo sguaiatamente, con un'espressione che tentava d'essere ironica.

- Bisogna vedere il mondo.... ragazzo mio.... Andare di qua, di là..., a Parigi.... a Londra.... fare come ho fatto io col signor Duca.... Ah! allora però.... non erano i tempi buoni come adesso!... Denari, ora, denari come terra.... Il signor Duca.... non dice mai di no.... quel briccone! Sfido io, sfi....

Ora si trattava di mettersi pel viale, e c'era da passare la porticina. Fu una vera impresa che Drollino condusse a buon fine, impiegandovi però più d'un quarto d'ora. Poi dovette aiutare colui a percorrere il viale, evitando di urtare i tronchi degl'ippocastani, in quell'ombra fitta che Battista faceva risonare delle sue frasi sempre più sconnesse d'ubbriaco di buon umore. Ma, come Dio volle, giunsero sulla spianata.

Erano scoccate le dodici; la villa dormiva quietamente, con tutte le finestre chiuse, nel silenzio della notte.

Battista continuava a parlare, consigliando fervorosamente Drollino a imitarlo, a star allegro, ad assicurarsi.... le bontà del padrone. Gl'insegnava che i padroni vanno tenuti per il collo, vanno! E non bisognava star ingrognati, bisognava essere come lui, allegri, sollazzevoli.

E subito, colla voce avvinazzata, si pose improvvisamente a cantare le prime strofe d'una canzonaccia.

- Cristo! - sclamò a bassa voce Drollino, tappandogli la bocca colle mani, - taci, mascalzone; potresti destar la signora Duchessa!

- Ah! - rispose impermalito l'ubbriaco - che maniere!... va al diavolo tu e la Duchessa!... Me ne importa tanto di quella faccia di carta!

Ma di subito cangiò parere.

- A proposito, - disse con somma confidenza a Drollino - se vuoi venir qui.... ho una cosa da dirle.... alla signora Duchessa. Ho da dirle....

E alzava la voce. Drollino, fremendo, lo interrompeva, cercava di condurlo via in fretta, ma Battista, incaponito in un'ideaccia tutta sua, non voleva muoversi, e seguitava a parlar forte.

Drollino stava per afferrarlo alla vita, portarlo via a forza, e quindi gettarlo in un angolo remoto del giardino a smaltire il suo vino; ma invece rimase immobile come impietrito, guardando l'ubbriaco con uno sguardo spaventato. Una, fra le insensate frasi dello sciagurato cameriere l'aveva colpito. - -Valla a chiamare.... voglio dirle la verità.... di Genova e del signor Duca.

- Il signor Duca?... - chiese cautamente Drollino, chinandosi verso Battista. - Genova?...

- Sì, sì - ripeteva con voce gorgogliante l'ubbriaco - tanto bisogna che lo sappia.... un giorno o l'altro.... che la Russa.... E l'avvocato.... ah! l'avvocato!...

L'occhio di Drollino ebbe un lampo di feroce ansietà. Egli si chinò ancora di più sull'ubbriaco, che seguitava:

- L'avvocato! l'ho visto io, l'avvocato!... Eh uno strascico lungo lungo di seta e tanti bei ricciolini, e quelle spalle bianche. Per Dio, ha ragione il Duca.... è bella quella Russa....

Di subito l'ubbriaco si fece malinconico.

- Poverina! - disse, tentando di accennare le finestre della facciata - poverina, povera donnina, mi fa pena.... se sapesse?...

E si mise a piagnucolare: l'ubbriachezza in lui si faceva tenera, sentimentale! E nell'iterarsi di grotteschi singhiozzi, in quel lagrimare ributtante, le frasi riuscivano smozzicate, e le parole, rotte, non avevan più senso.

Drollino rimase un momento in forse: - Vino o verità? - chiese angosciosamente a sè stesso, guardando Battista, che, colpito improvvisamente dal sonno plumbeo dell'ebbrezza, s'era buttato sull'erba e pareva già addormentato.

- Bisogna saperlo.... ad ogni costo - mormorò sotto voce Drollino. - E se è vero!...

Nel vivo lume della luna, una mano bruna, nervosa si protese con un gesto di minaccia implacabile.

Poi Drollino afferrò l'ubbriaco, inetto ormai ad opporgli la minima resistenza; se lo cacciò sulle spalle come un sacco di biada, e, passando dalla scala interna di servizio, lo portò nella propria cameretta, quella che occupava attualmente al terzo piano della villa. Lo gettò sul letto in modo abbastanza ruvido; ma il sonno dell'ubbriaco era ormai così profondo ch'egli non se ne risentì per nulla.

Drollino sedette appiè del letto, e rimase desto per tutta la notte, vegliando Battista.

Era giorno fatto quando il cameriere si risentì; girò attorno gli sguardi, attonito di trovarsi lì, in camera di Drollino.

- Cosa diamine? - chiese.

- Nulla, mio caro.... Ti ho trovato per via e t'ho portato qui.

- Oh! - rispose Battista confuso, ma tentando un risolino. - Ho capito. Eh, son traditori questi vostri vinetti leggieri; e poi un po' di rhum.... sicuro.

Non era più brillo, ma aveva ancora la testa balorda, lo stomaco sconvolto, o parlava con un fare melenso.

- Sicchè - continuò, alquanto impacciato - m'hai proprio trovato per via? Sarà, sarà.... non mi ricordo più! E dormivo, eh?

- No, allora non dormivi; non facevi che strillare e chiacchierare.

- Ah! sì, chiacchieravo? - E divenuto subitamente inquieto, soggiunse in tono negligente: - Oh bella, chiacchieravo? e, così per curiosità.... cosa dicevo?

Drollino alzò le spalle, e si sforzò a sorridere. L'altro non ardiva insistere, ma lo guardava, dubbioso.

- Mio caro - continuò Drollino - sta tranquillo. Hai detto un monte di bestialità. Per fortuna che c'ero soltanto io a udirti, e ciò che tu dicevi lo sapevo da un pezzo.

- Tu...! - sclamò Battista con vivo malcontento. - Sapevi già.... cosa?

- Ma certo! - continuò freddamente Drollino. - Credevi d'esser tu solo a possedere il segreto del signor Duca?

- Ma come diavolo hai fatto a sapere?

- Ch'egli si reca là a Genova.... - ed esitò ammiccando.

- Sì, per trovarsi con lei! - finì brutalmente Battista - con la Russa. Capirai, tutte questo reticenze, che sugo hanno adesso? Il diavolo ci porti.

- Questo - rispose pacatamente Drollino - è affar mio e non ti riguarda.

- Ma, allora, perchè non me ne hai mai parlato?

- Perchè? Perchè non m'accomodava. Cosa c'entro io con questo cose? Io me ne vado fra poco, e buona notte. E può essere che, per tacere, avessi anch'io delle buone ragioni come le hai tu.

Battista non arrossì, e si pose vivamente le mani in tasca.

- Non ce n'è quasi più - disse, facendo ballare fra le dita due o tre monete. - Io però le godo e sto allegro, e fo star allegri gli altri, mentre tu.... Che bocca amara m'è rimasta!... A dir vero, il Duca fa le cose bene.... da gran signore, non è vero?

Drollino assentì. Certo; il Duca pagava bene il loro silenzio.

- Eh! - continuò Battista con una risata maligna - non gli conviene a far diversamente. Davvero, si troverebbe in un bell'impiccio se a me saltasse il ticchio.... Perchè, capisci, l'andrà; finchè mi pare, ma se un bel giorno colui mi rompesse proprio le tasche, io vado da lei, e le rifiato tutto quanto; capisci?

- Ah! le rifiati tutto quanto.... Andiamo, via, non sei capace!

- Io non son capace!... L'avresti a vedere. Vado là, franco come uno schioppo, e le conto la storia. Signora Duchessa; succede così e così. Il suo signor marito va a Genova per abboccarsi coll'avvocato.... E l'avvocato, Dio mi danni, è la Russa.... quella Baronessa che.... se l'è tornato a prendere per vendetta.

- Per vendetta? - chiese tranquillamente Drollino, stendendo appiè del letto la sua snella persona.

- Sicuro - continuò Battista, che, passato il primo momento di dispetto, trovava ora un certo gusto a potere finalmente parlar con qualcuno di quella cosa così gustosa e proficua. - Ce l'aveva amara con la Duchessa, perchè qui erano accadute quelle scene, ti ricordi? Bene, dunque, quando noi fummo a Napoli, essa scrisse al padrone. Ma questi aveva ancora la paura che gli morisse la moglie, e non rispose. Allora quella s'impuntigliò, e gli tenne dietro a Nizza. La signora era un po' indisposta e usciva di rado. Un giorno, lui se ne va a Montecarlo, e ci trova la Russa. Stette ancora un poco sul tentennare, poi ci ricascò.... meglio di prima. Ecco qua.... la sapevi tu com'era andata?

- No - confessò umilmente Drollino - non la sapevo così lunga. Sapevo solo che ora.... si ritrovavano a Genova, colla scusa dell'avvocato. Mi figuro che sarà sempre una cosa in grande. Ha cavalli, lei? - chiese poscia con una subita premura di professione.

- No, rimessa.

- Ah! e lui?

- Niente, carrozza d'albergo. Lei sta in un villino, laggiù verso via Carignano. La sera sul tardi escono assieme, vanno all'Acquasola.

Qui diede in un riso sguaiato.

- Una bella coppia.... sai....

- Certo - rispose Drollino, - una bella coppia....

- E la Duchessa? - continuò Battista - se lo sapesse!... Io dico che se lo sa stavolta, gli riprende tutti i soldi che gli ha dato e lo manda al diavolo.... ammenochè.... non si consoli.

- Come?...

- Eh, diamine! facendo altrettanto.

Drollino si drizzò d'un salto, cogli occhi iniettati di sangue, pallido come un morto, e per un momento guardò l'ex-ubbriaco in un modo molto bizzarro e poco rassicurante. Ma subito si calmò, e si mise a ridere.

Si sarebbe detto che, a furia di star sempre così serio, avesse dimenticato come si fa a ridere; certo che il suo ridere non somigliava a quello di nessun altro.

- Ah! vorresti provare.... dici?...

- Sì.... per curiosità. Vorrei provare come la piglia. Certe volte, quando la vedo allegra, contenta, mi viene come una rabbia, una smania di dire la verità a quella povera donna. Almeno non farebbe più la figura d'una bambina, e non si struggerebbe più dietro a quella perla di marito, che va a Genova.... coi denari di sua moglie, beninteso. E a te - domandò ancora Battista con un rimasuglio d'inquietudine - questa voglia non ti vien mai?... dico..., non vorrei che tu m'avessi a prevenire.... sai, perchè potrebbe darsi che lei, per saper bene.... - E fece il gesto di chi snocciola denari.

- No - disse Drollino.... - io non ho nessuna idea di parlare. E ora me ne vado, per cui.... Tanto, questa storia finirà presto.... - soggiunse con molta calma.

- Finirà? - chiese l'altro sbadigliando - credi che finirà?... Per bacco, mi dispiacerebbe.... è un provento che mi garba.... E perchè finirebbe?... sono innamorati cotti! La Russa gli comanda a bacchetta, lo tratta come un imbecille, e lui.... contentone. Perchè avrebbe a finire?

- Perchè finirà - disse con gran pacatezza Drollino.

E scese lentamente; era l'ora del primo pasto dei cavalli.

Battista, rassicurato, si ricacciò sotto le coltri per finir di riposarsi; tanto, lui non aveva nulla da fare.... in casa ora c'era la cuccagna!

Dopo il mezzodì, Drollino si presentò all'agente e gli chiese due giorni di permesso. Voleva andar a vedere i puledri di casa Canossa, prima che partissero per l'Esposizione ippica.

L'agente accordò il congedo. Drollino se ne andò la sera stessa; e in capo a due giorni era di ritorno.

Tutti gli furono attorno a chieder dei puledri. Ma non ne disse gran che, non ne fece maraviglie. Erano così così, come gli altri....

Non era stato alla tenuta Canossa; era stato a Genova e all'Acquasola. Celato dietro una macchia, aveva visto passare, in una carrozza di rimessa, il Duca e la Baronessa.... Era saltato in legnetto di piazza e aveva tenuto dietro al loro equipaggio sino alle prime case di via Carignano.

Nei giorni seguenti diede ancora due o tre lezioni alla Duchessa, e rinunciò a dare la progettata lezione a Battista. Drollino era quieto, calmo assai....

La sera dopo, mentre si distribuiva l'ultima razione di biada, il signor Damelli capitò in scuderia, e diede precisamente quest'ordine:

- Domattina alle dieci l'americana ad un cavallo per andare alla stazione a prendere il signor Duca.

Drollino ch'era poco lungi, udì quell'ordine. Alzò bruscamente il capo, e appoggiò per un secondo la mano sul muro, come se si sentisse minacciato da una vertigine.

Poi disse rispettosamente:

- Sì signore.... ci penso io.


L'indomani, il tempo era splendido. Suonavano le otto del mattino, e sulla spianata della rimessa Drollino si teneva ritto davanti a Mia, già attaccata al phaèton e che, impaziente dell'indugio, allungava ogni tanto il collo e colla lunga coda flagellava i suoi nobili fianchi. Battista, già in livrea, ma colla tunica ancora sbottonata, lisciava col gomito il pelo del cappello a coccarda. Un vecchio mozzo, col capo coperto da una berretta scozzese e colla pipa in bocca, stava poco lungi dal legno e guardava con ammirazione la cavalla che, annoiata dalle mosche, or coll'una e or coll'altra zampa tormentava il terreno.

- Ci siamo? - chiese il cocchiere, infilando i guanti di pelle rossa.

- Un momento, - rispose Drollino, mentre colla mano tremante disponeva sul frontale una ciocca della criniera di Mia.

Il cocchiere salì a cassetta ed afferrò le redini.

Nella corte rustica, vicino alla rimessa, s'udì l'ululato cupo di un cane.

- Cattivo segno, - osservò il mozzo, togliendosi la pipa di bocca. - Pedrolo.... badate un po' ai fatti vostri.

Il cocchiere si mise a ridere, agitando festosamente la frusta.

- Quante bestialità! - rispose con gaio sprezzo. Era contento di guidar Mia, quella famosa Mia, che per tanto tempo era stata così esclusivamente custodita da Drollino.

Drollino passò ancora una volta, con una carezza prolungata e tremante, la mano sulla criniera di Mia.... la guardò per un secondo, con una intensità disperata.... Poi si ritrasse, e senza parlare, con un piccolo gesto, avvisò il cocchiere che poteva partire.

S'udì in breve la sabbia del viale scricchiolare sotto le ruote del leggero equipaggio, mentre il rumore del trotto elegante di Mia si perdeva nella lontananza.

Drollino stava sempre immobile, fissando come trasognato lo spazio dove Mia, un momento prima, aveva alzata, verso lui, la sua fina testina.

- Per bacco! - disse il mozzo con molta simpatia professionale - capisco, sapete. Non c'è che dire, una bestia che non ha l'uguale. Vi rincrescerà, eh?

Drollino diede un guizzo coma se una serpe gli avesse morso il tallone.... Poi chiese impetuosamente:

- Cosa?...

- Oh bella!... che ve l'abbiano portata via. È una cosa curiosa, sapete, che ve ne siate stancato così, mentre, non c'è che dire, è ancora un fior di cavalla! E l'avete proprio voluta cedere al Duca!... Chissà, eh.... che buon affare?...

Uno spasimo passò sulla faccia di Drollino, ma egli rimase muto.

- Eh! si capisce. Se vi è venuto questo capriccio di girar il mondo, vi gioveranno più i denari che la cavalla. E a dirla schietta - continuò il mozzo, che s'era proprio messo in mente di voler consolar Drollino ad ogni costo - la Mia era ormai un po' sul tempo anche lei, come me! E poi il suo piccolo difetto ce l'aveva pure.... quello di non voler sentire gli spari.... E non s'è mai voluta correggere.... eh?...

- No - stridette Drollino - no!

Il vecchio mozzo si mise a ridere.

- Via, via!... non v'arrabbiate a questo modo. Si sa che avete fatto di tutto per toglierle quel vizio. È inutile.... ho provato anch'io. Una volta nella tenuta c'era un alzano che....

Ma la storia dell'alzano non progredì. Drollino, il quale era stato per un momento come sprofondato nelle sue riflessioni, si scosse bruscamente e s'allontanò a rapidi passi.

Il mozzo rimase lì, in asso.

- Cosa diavolo gli piglia a colui? - -disse tenendo dietro collo sguardo a Drollino, il quale pareva quasi fuggire, tanto correva, nella direzione della tenuta.

Non eran cinque minuti che Drollino era scomparso, quando Vincenzo, il cameriere della Duchessa, si presentò sulla spianata.

- Drollino - chiamò - Drollino!

- È andato via or ora - rispose il vecchio mozzo. - Cosa c'è?

- Subito, subito, insellare Mia per la signora Duchessa, e Drollino si prepara ad accompagnarla.

Il mozzo s'alzò.

- Mi dispiace - disse - ma in quanto a Mia la signora è bell'e servita. La cavalla è stata attaccata all'americana ed è già a mezza strada della stazione. E Drollino è andato via per i pascoli, a zonzo.... Dio sa dove!...

Il domestico scomparve, ma tornò subito, dopo cinque minuti, trafelato.

- Sellare Calif; subito al momento, e chiamare Toni per andar dietro alla signora.

Toni era in scuderia e fu subito avvisato.

Dodici minuti dopo, Milla, con un nuovo abito da amazzone, giuntole il giorno avanti da Torino, col volto splendido della gioia misteriosa e biricchina della sua sorpresa, s'avviava al trotto, seguita da Toni, per la strada che dalla villa conduce alla stazione.

Drollino invece si dirigeva verso la sua antica dimora, nel grande cascinale. Camminava a passi concitati stringendo le palme, barcollando ogni tanto come sotto l'influenza d'un principio d'ubbriachezza. Un momento, sentì che non stava più in piedi.... e cercò di reggersi, brancolando, come se fosse al buio.

Un grido soffocato gli uscì dal petto: - Mia! povera Mia!

Sulle sue gote brune, schizzò una lagrima. Ma subito, come sotto un soffio ardente, asciugò.

Si gettò bocconi sull'erba. Era appena fuori del giardino. La villa era bellissima a vedersi, ancora immersa nel bacio mattiniero del sole, cinta di verdura, colle lucide persiane inverniciate di recente.

Egli mordeva l'erba, digrignando i denti furiosamente. Ma a un tratto si calmò. Il suo sguardo fisso, teso, si spingeva nell'interno della camera della Duchessa.

La finestra del terrazzino era aperta, si vedevano passare pel vano le teste delle cameriere in faccende. La brezza entrava curiosa, molle, agitando le vecchie frangie degli addobbi della finestra, enfiando, come fossero lembi di vele, i tessuti leggeri dei cortinaggi, le bianche cortine del letto.

Drollino si fece calmo. Guardò a lungo lassù, come se quella vista gli facesse bene, rinnovasse in lui l'energia dello spirito.

- Per lei! - disse finalmente a bassa voce, agitando la mano nel vuoto, con un gesto pazzo ed appassionato di saluto.

S'alzò rinfrancato, ed in breve fu alla sua antica stanzetta. Vi rimase circa un quarto d'ora. N'uscì senza che nessuno l'avvertisse, vestito dei panni suoi, bianco come un cencio lavato, e colla destra stretta al petto, sopra la tasca del lato ministro. Si mise pei campi, in salita, evitando di por piede sulla strada maestra, e pur costeggiandola.


Egli stava immobile, accasciato dietro il muricciuolo del cimitero, che in un dato punto, rasenta la strada maestra fra Astianello e la stazione.

Era un cimitero piccolissimo, brutto, una vera miseria di cimitero. Apparteneva a un paesucolo vicino, il quale non era nulla più che una frazione di Astianello.

Il luogo era molto triste anche nella giocondità dell'ora mattutina. Aveva un non so che di abbandonato, che dava alla malinconia naturale del sito un carattere speciale.... pareva la dimora dell'oblìo. Quelle povere tombe recavano patenti le traccie dell'intemperie; sulla cappelletta di mezzo una misera immagine a fresco del Redentore, arrossata dal gelo, si scrostava lentamente, trascinando nella sua rovina l'intonaco, che si andava quasi sfarinando. Nel lato settentrionale del recinto l'erba era umidissima, e la rugiada si ostinava a serbar lucido lo zoccolo di pietra dell'unico monumentino che vantasse il cimitero. Qualche aristocratica croce di ferro si notava ancora in quel lembo riservato, ma era tuttora nell'ombra. Nel lato soleggiato era la fossa comune, quella dei poverissimi del comune. Al centro s'alzava una buona croce di legno, forte e poderosa, e bastava per tutti i morti di quella classe.

La porticina pareva chiusa. Drollino, nell'entrare, aveva avuta la precauzione d'accostarla.

Non si moveva punto.... Stava rannicchiato appiè del muricciolo, silenzioso, immobile come le tombe senza nome che lo attorniavano.... Era livido in volto e teneva gli occhi sbarrati, ma sui tratti così alterati, recava, come incisa, l'espressione immutabile d'una selvaggia determinazione.

A un tratto s'alzò, e d'un salto, aggrappandosi alle tegole, sollevò il capo oltre il livello del muricciolo.... scrutando collo sguardo l'aperta campagna.

Aveva scelto bene il suo posto di agguato. La strada maestra passava, scendendo, davanti al piccolo cimitero. Oltrepassandolo d'un trar di sassi, faceva un gomito con una brusca voltata. Dall'altro lato della via, il terreno si rompeva in uno scoscendimento ripido, terminando in un burrone ghiaioso, che ai tempi di piova si mutava in un torrentello. Quello era forse il solo punto della via che richiedesse un po' d'attenzione in chi transitava di là. Anni addietro, un carrettiere ubbriaco s'era ucciso, precipitando col suo mulo da quell'erta traditora. Occhio ci voleva, e stare attenti, specialmente allo svolto.

L'orologio d'un campanile poco lontano suonò le dieci.

- Ancora mezz'ora! - pensò Drollino.

Scese, si terse il sudore che gli rigava le tempie, estrasse di tasca la pistola, la osservò attentamente, e la depose sul terreno accanto a sè, a portata della sua mano destra. Nella macchia vicina i passeri spionciavano senza fine, in lontananza il picchio ripeteva a misurati intervalli la sua barocca canzone, nell'erba del cimitero gl'insetti si movevano, saltavano, si facevano strada, fra gli steli. Attorno alla croce comune, due farfalle, d'un bel giallo chiaro, si inseguivano amorosamente.

Drollino non guardava attorno a sè. Teneva fisso al suolo quel terribile sguardo interno, che l'occhio trova soltanto nei momenti supremi della vita. Ogni tanto, quando sulla strada sottostante udiva avvicinarsi il rumore d'una carrozza, Drollino illividiva, s'alzava, stava in ascolto un momento, poi guardava in giù.

- Non è lui - diceva ogni volta, quasi ad alta voce.

E con una terribile pazienza, tornava a sedere, celato dal muricciuolo.

S'era alzato un po' di vento; l'erbe grasse, ben nutrite del cimitero, ebbero un moto, quasi un fremito di conscio ribrezzo.


Il treno era giunto, in ritardo però di quasi un quarto d'ora, e il Duca Giuliano usciva frettolosamente dalla stazione, cercando qua e là collo sguardo il legno che doveva trovarsi ad aspettare. E non solo vide il legno, la graziosa americana, alla quale era attaccata Mia, ma vide altresì una elegantissima amazzone, che, seguita da un groom in livrea, si avanzava alla sua volta.

- Giuliano! Giuliano! - disse l'amazzone, accostandosi e ridendo lietamente.

Egli rimase di princisbecco.... quando ravvisò sua moglie; e

- Milla! - sclamò con accento schiettamente ammirativo.

- È la mia sorpresa, - continuò Milla, beata del successo del suo segreto. - Sapevo che lo desideravi, e, mentre eri assente, ho imparato. Non te lo dissi che avevo anch'io i miei affari?

Il Duca la contemplava muto e pallido.

- Milla! - esclamò involontariamente, - tu sei un angiolo e io sono un.... - Si fermò un momento, poi finì la frase: - un marito veramente fortunato.

E subito le fece mille complimenti, lodò il suo pensiero, il suo buon gusto. Quell'abito le stava a pennello.... come aveva scelto bene il colore verde bottiglia, e che felice idea quella di quei bottoni larghi, dorati della giacchetta! E che amore di tuba.... Era veramente un'amazzone classica! Ora sì che era contento.... ora andrebbero assieme alla mattina a far delle trottate lunghe, piacevolissime. Ma che brava Milla!

- Ora andiamo a casa, - disse finalmente il Duca; - vuoi che t'accompagni a cavallo?

- Veramente, - rispose Milla - ora che ho fatta la mia figura, preferirei quasi di venir teco. Sono un poco stanca.

- Benissimo! - disse il Duca - Battista e Toni condurranno a casa i cavalli, e io ti farò da automedonte, se non sdegni il mio legnetto da giovanotto.

Milla scosse il capo, scese da cavallo, e salì prontamente sull'americana a fianco del marito.

Era lietissima! - Quanto mi diverte - disse - oh come me la godo.... dobbiamo far la figura di due scapestrati, nevvero, di due scappati da casa!

Quell'idea la divertiva immensamente. Si figurava che i passeri delle siepi l'avrebbero presa per una perversa creatura, in piena rivoluzione contro le convenienze. Diceva mille gentili pazzie, col volto acceso dal piacere, ed era veramente carina sotto l'ombra di quel cappello mascolino.

E Giuliano, guidando Mia, che in quel giorno pareva straordinariamente docile e savia, guardava con vero piacere la Duchessa, che gli pareva molto più bellina del solito, con quel non so che di nuovo, di biricchino, di piccante che s'era messo addosso, in un colla foggia ardita, quasi mascolina, del suo acconciamento. E allora, nell'animo vigliacco del creolo, un'ignobile contentezza si diffuse. Il rimorso si ritrasse davanti alla segreta soddisfazione d'aver così bene organizzato il libro mastro, in partita doppia, della sua esistenza. Ora cominciava ad apprezzar Milla.... si proponeva di crearle un'esistenza veramente beata.

Non era forse uno squisito contrasto quello che l'aspettava di piè fermo, ad ogni suo ritorno da Genova? Nella placida, profonda corruzione dell'animo suo, il gentiluomo aveva poste le basi del modus vivendi per l'avvenire, e si congratulava ignobilmente con sè stesso. Marito ed amante fortunato, egli godeva contemporaneamente gli orgasmi febbrili d'un antico ardore, ravvivato nell'attrattiva suprema d'un secondo adulterio, e le pure, soavi soddisfazioni d'un affetto ingenuo, delicato, gentile.... quasi abbastanza attraente per dare una certa poesia persino alla noiosa prosa dell'amore legittimo.

Egli pensava così, e sul suo capo il cielo azzurreggiava intensamente, il sole irradiava la sua strada, la campagna amena, sorridente lo accompagnava colle sue verdi, infinite giocondità.

Per un po' quei due scappati da casa chiacchierarono allegramente. Ma, quando furono al principio della discesa, Giuliano disse a Milla:

- Ora, carina, fammi il piacere di star quieta per un momento; siamo vicini ad una certa voltata alla quale bisogna star attenti. Ci vuol occhio e un cavallo sodo.

- Oh! Mia è una perla - rispose Milla, crogiolandosi nel suo cantuccio e imitando scherzosamente la posa classica d'un groom a cassetto.

Giuliano serrò il freno della meccanica, e, benchè la discesa non fosse ancora principiata, mise Mia al passo.

Drollino, dietro al muro del cimitero, aveva udito da lungi il passo di Mia. Oh! quel passo della sua cavalla!... l'avrebbe riconosciuto fra mille. Sentì nel cuore un gran schianto, una ribellione tremenda. Ma non cedette. Solo per esser più sicuro, guardò ancora una volta oltre il sommo del muricciuolo.

No, non s'era ingannato. Sulla strada il sole batteva splendidamente suscitando dei riflessi abbaglianti nei cristalli dei fanali. Ma ciò non gli impedì di ravvisare Mia, l'americana, la barba bionda del Duca, e accanto a lui l'uniforme verde coi bottoni dorati di Battista. Ecco, il momento era venuto.

Scese, armò il cane della pistola, e, nicchiato dietro il muro, aspettò che la carrozza passasse precisamente di lì. Mormorò due nomi: - Mia e Milla! - Sì, egli liberava entrambe da un ignobile giogo! Esse non lo sapevano, ma egli le vendicava in un punto solo, Mia e Milla!

No! la Duchessa non doveva correre il rischio delle rivelazioni d'un mascalzone! E se moriva anche lui, questo mascalzone; ebbene, meglio così, il segreto che, svelato, potrebbe uccidere la Duchessa, morrebbe con lui e col Duca, laggiù, in quel burrone.

Mia giungeva in quel momento, al passo, davanti al muro del cimitero.

Drollino cessò di pensare. Sorrise, alzò la pistola e sparò.

Fu un tonfo terribile.

Subito, in strada, s'udì un galoppo sfrenato, poi un grido di donna disperato, acutissimo.

Drollino balzò in piedi, s'avventò al vertice del muricciuolo e guardò in giù.

Mia, furente, fuggiva a precipizio per la discesa con degli sbalzi violentissimi. Il Duca, stravolto in viso, tirava le redini a dritta e a sinistra con tutta la forza dei polsi; accanto a lui, invece di Battista, c'era una donna.

Teneva il capo rovesciato all'indietro, il cappello le era caduto, e Drollino ravvisò la Duchessa.

Rimase un secondo come fulminato. Poi urlò - Cristo! - s'avventò all'altro lato del muricciuolo, spiccò un salto e cadde sulla via. Si rizzò colle mani insanguinate. Mia, in preda al suo parossismo di terrore, precipitando per la china giungeva in quel momento. Faceva scarti violenti che sconquassavano l'americana, aveva la criniera al vento, le nari fumanti.

Il Duca, cogli occhi smisuratamente aperti, gridava: aiuto! Era pazzo di terrore, fissava il burrone verso cui si sentiva irresistibilmente trascinato. Gettò un urlo e chiuse gli occhi.

Milla era svenuta.

Drollino, con un salto da pantera, s'era gettato sulla cavalla, avvinghiandosele al morso, opponendo all'impeto delirante della corsa sfrenata la forza d'una resistenza quasi sovrumana. L'uomo ed il cavallo lottarono un momento, poi s'udì un nitrito di dolore, uno schianto di legnami che si spezzano, poi, in un nuvolo di polvere, si vide a pochi passi dal ciglio del burrone un informe gruppo di membra umane e cavalline, che dibattendosi e rotolando, cadevano assieme. La carrozza, con un ultimo violento sobbalzo, si fermò, mentre quell'ammasso s'agitava sul terreno con una serie di moti convulsi, che s'andarono gradatamente quietando. Tutto ciò era accaduto in pochi secondi. Il Duca aprì gli occhi, si vide salvo, e vide che Milla era soltanto svenuta. La sollevò fra le braccia e l'adagiò sull'erba, al sicuro. Poi si accostò di nuovo al legno spezzato. Vide Mia, distesa per terra, che dava gli ultimi tratti, e, sotto al fianco palpitante della cavalla, vide colui che con atto di auducia disperata era giunto in suo aiuto, in quel supremo istante di pericolo. Si chinò a guardare, e in quell'uomo, immobile, morto forse o privo di sensi, ravvisò Drollino.

Il rimbombo dello sparo aveva chiamata gente. La Duchessa, che cominciava a riaversi, fu sopra una barella improvvisata ricondotta alla villa. Il Duca, rassicurato sul conto di sua moglie, volle tornare sul luogo del disastro dove i sopraggiunti finivano allora allora di liberare Drollino.

L'infelice giovane era ancor vivo, ma il suo stato metteva raccapriccio. Nella sua lotta disperata colla cavalla aveva ricevuto da questa un violento calcio nel petto; un braccio era spezzato, e al disopra dell'occhio destro il sangue generoso del giovane, spicciava abbondante da una ampia ferita.

Il medico del villaggio, chiamato in fretta e furia, visitò sul luogo stesso Drollino, che i contadini avevano adagiato sui cuscini della carrozza.

Pareva ancora svenuto. Il dottore, dopo averlo attentamente esaminato, si lasciò sfuggire un ehm che non prometteva nulla di buono. Il Duca lo interrogò ansiosamente.

- Mi spiace - rispose il dottore, - ma temo che i polmoni siano in isconquasso. È un uomo andato.... questione di giorni..., capisce?

Drollino ebbe un moto ed un gemito. Era tornato in sè.... aveva udita la sua condanna?

Chi potrebbe dirlo? Sul suo volto macchiato di sangue e di polvere l'espressione era illeggibile.

Lo trasportarono, semivivo, nella sua antica stanzetta della cascina, al limitare dei pascoli.


La Duchessa s'era addormentata, e Giuliano, ritto a piè del letto, guardava la bella testina serena, adagiata mollemente sul guanciale. Egli aveva voluto, per eccesso di precauzione, che Milla rimanesse a letto durante i primi tre giorni susseguiti al terribile avvenimento. Ma la giovane signora s'era prontamente riavuta. D'altronde, la scossa non era stata eccessiva, neppur per il suo delicato organismo. Svenuta sui primordii del pericolo, ella non aveva assistito a tutte le fasi del disastro: ritrovatasi incolume a casa, e vedendo illeso Giuliano, non aveva pensato che a ringraziare fervorosamente Iddio. Le avevan detto che la carrozza s'era fermata a tempo.

Il Duca, per non arrecarle dispiacere, aveva espressamente proibito che le si parlasse di Drollino. Milla ignorava quella coraggiosa intervenzione e le sue fatali conseguenze. Sempre allo scopo di non affliggerla, non le tennero neppur parola della morte di Mia. Giuliano le asseverò essere lo sparo fatale, che tanto aveva spaventata la cavalla, nulla più che l'opera d'un cacciatore di passere. Milla accettò, senza discuterla, la versione di Giuliano; si calmò gradatamente, tornò lieta e serena. Non era forse Giuliano il suo profeta infallibile e adorato? perchè non gli crederebbe quando per l'appunto egli diceva così? Ecco, per esempio, egli le aveva detto or ora: - Sii buona, e provati a dormire, hai bisogno davvero d'una dormitina. - Ella non sentiva affatto il bisogno della dormitina; pure, a furia di star quieta e immobile, il sonno era venuto. Dormiva ora placidamente, con un abbandono dolce e sicuro, con una mano ancora serrata fra quelle di Giuliano. E così noi, nella calma fiduciosa del suo sonno sereno, vediamo per l'ultima volta la nostra eroina, la Duchessa Milla Lantieri dei Principi d'Astianello.

Giuliano districò pianamente le proprie dita dalle dita di sua moglie, depose con delicata cura la mano di Milla sulla rimboccatura del lenzuolo, poi quasi furtivamente, in punta di piedi, uscì dalla stanza.

Era profondamente turbato.... il corso pericolo, quel vedersi, sentirsi di fronte a una morte terribile, e, diciamo pure, anche il pensiero della sorte che aveva minacciata la Duchessa, avevano lasciato nell'animo suo un'impressione grave. Il creolo era stato fortemente scosso; non poteva sopportare il ricordo di quel momento, ma il ricordo implacabile non lo abbandonava mai. La sua riconoscenza per Drollino era infinita, e l'idea che quell'infelice morisse, così, per loro, gli era penosissima. E, come se non bastasse, gli era giunta all'orecchio una strana diceria, che aboliva intieramente il cacciatore di passere, ed evocava in sua vece un nemico ignoto, implacabile, il quale, edotto del difetto di Mia, ne aveva calcolate le conseguenze, e s'era valso d'un mezzo che non lasciava traccie, e avrebbe infallibilmente sortito i più funesti effetti, se Drollino, per un'inesplicabile, quasi miracolosa circostanza del caso, non si fosse trovato lì per l'appunto in quell'istante fatale. Ma come scoprirlo questo strano nemico, come garantirsene in avvenire.... a chi chiedere?... Drollino solo forse avrebbe potuto dir qualche cosa. Ma Drollino, poveretto, non era certo in grado di fornir ragguagli: le lesioni interne erano così gravi da non lasciar la benchè minima speranza: s'indeboliva gradatamente, aveva continui sbocchi di sangue, ed ogni parola che pronunziasse equivaleva ad un agitare della clessidra, quando gli ultimi granelli di sabbia stanno per cadere lungo la strettissima gola del cristallo.

In villa e per tutta quanta la tenuta la relazione dell'avvenimento aveva suscitate forti emozioni, ammirazione illimitata per Drollino, e dubbi gravi assai. Da tutti si compiangeva il giovane capo di scuderia, si vantava il suo atto eroico di abnegazione, gli si perdonava ora, in grazia dell'accaduto, il suo carattere aspro e orgoglioso, le bizze, l'indipendenza un po' selvatica del suo passato. Il primo giorno, alla cascina, c'era stata una vera processione dei camerati della tenuta; ma ora il medico, d'accordo con Drollino stesso, aveva rigorosamente proibite le visite; eccettuate, ben inteso, quelle del Duca.

Il Duca si mostrava angustiato dallo stato di Drollino. Veniva spesso a vederlo, e inquieto del rapido progresso del male, si recava alla cascina ogni qualvolta poteva allontanarsi dalla villa senza dar sospetto a sua moglie. E anche stavolta, non appena vide Milla addormentata, uscì in fretta, dirigendosi verso la cascina. Nel cortile, all'ombra d'un vecchio fico, stava riunito un gruppo di contadini, inquilini del cascinale. Al giunger del Duca, s'alzaron tutti, salutando rispettosamente.

Giuliano si fermò a chieder loro notizie dell'ammalato.

Un vecchietto rubizzo rispose subito e per tutti:

- Male, male assai, signor padrone. Stamane è venuto il prevosto, e gli ha fatto fare le sue divozioni; e il dottore ha detto che sarà un miracolo se passa la notte.

Il Duca mise un sospiro profondo e sincero.

- Vuole andar su? - chiese premurosamente una donnetta attempata, ch'era allora allora sbucata da una prossima cucina. - Vedrà che cosa da far pena! Son io che lo veglio, quel poveretto, e da tre notti non chiudo occhio.

E così parlando, precedeva il Duca su una scaletta di legno, e poscia per un andito scuro che faceva capo alla camera di Drollino. Entrarono entrambi in punta di piedi.

La stanza era pulita; le patate c'eran tuttora, ma ammonticchiate accuratamente in un canto, e non davan noia. La finestrina era chiusa, e alla rottura dei vetri s'era riparato apponendo sulla intelaiatura qualche spesso foglio di carta, attraverso il quale giungeva affiochita la luce dall'esterno. Drollino sedeva sul letto, appoggiandosi ad un ammasso di cuscini, e si sentiva sin dall'uscio lo sforzo penoso del suo alitare. Il braccio rotto stava inerte e stecchito nella sua fasciatura appeso al collo con un foulard rosso, colla mano libera; il giovane portava ogni tanto alle labbra un fazzoletto bianco, e lo ritraeva quindi macchiato di sangue. Una benda bianca gli serrava di sbieco la fronte, e lasciava vedere soltanto l'occhio sinistro stranamente quieto e profondo, d'una luminosità quasi paurosa. Qualche chiazza di sangue qua e là sulle lenzuola.

Il Duca, col cuore stretto da un'angoscia profonda, sedette appiè del letto, su una seggiola che la vecchia gli aveva premurosamente recata. Salutò l'ammalato, e cercò d'intavolare qualche frase di conforto e di speranza. Ma non proseguì. L'occhio di Drollino s'era repentinamente fissato su di lui con una forza così intensa di divieto che il Duca smarrì il filo del discorso, e tacque.

Drollino alzò la mano che reggeva il fazzoletto, guardò la vecchia, e, con quel cencio insanguinato, le accennò la porta.

La vecchia allibì, rimase un momento in forse; poi, completamente dominata, uscì senza far rumore.

Al Duca parve che nella camera fosse piombata in quell'istante un'ombra nuova ed arcana. E stava fermo, inchiodato sulla seggiola da una possa misteriosa, ch'egli subiva suo malgrado.

Drollino continuava a fissarlo col suo occhio da ciclope, acceso dall'ardor della febbre. Il silenzio continuava oppressivo, pesante.

Finalmente il Duca, tormentato, chiese a Drollino se avesse qualche cosa da dirgli.

- Sì, - rispose Drollino.

La voce di Drollino era orribile a udirsi: roca, sibilante, con un suono alterato, gutturale, come il congegno d'una macchina che, spazzata, stride sotto la mano di chi lo tenta.

Il Duca dominò un brivido, e continuò:

- Forse, nevvero, vuoi parlarmi dell'accidente in cui la tua generosa audacia.... Sapresti.... potresti dirmi chi?... Si dice che sia stato un attentato. E tu sai...?

- Lo so!

- Oh, te se prego.... parla.... Capisci bene, è necessario.... perchè possa premunirmi.... per l'avvenire.

Drollino ebbe una specie di sorriso, e le sue labbra si contrassero con un'espressione d'ironia.

- Non c'è più bisogno di precauzioni! egli non può più farle del male. Guardi....

E col fazzoletto indicò sè stesso.

Giuliano non poteva, non voleva capire. Gettò un grido.

- Tu? - disse finalmente, balzando indietro e tremando.

- Io.

- Tu.... sciagurato!... apposta?... apposta?... perchè rimanessimo uccisi?

Drollino scosse il capo.

- Non loro due.... io non sapevo che ci fosse anche la signora.... Volevo.... solamente lei....

Sulle tempie del Duca scorrevano grosse goccie di sudore.

- Tu - sclamò ancora - tu? ma perchè? cosa t'ho fatto?

- A me.... nulla - rispose Drollino fra due sibili. - Ma perchè guidava Mia? e perchè voleva far morire la nostra.... signora?

- Io? - gridò inorridito il Duca; - ma tu sei impazzito?

- No, - rispose Drollino, - l'ha detto il dottore.... e non era giusto ch'ella morisse.... per causa sua.... Si ricordi.... l'autunno scorso....

Il Duca cominciava a capire. Si fece pallidissimo; cercò invano, con uno sforzo disperato, una parola di diniego, di scusa da gettare in faccia a quel morente. Ma non la trovò, e non poteva mentire davanti a quell'occhio unico che lo guardava immobile.

Drollino gli accennò d'avvicinarsi.

- Non abbia paura, - continuò, serbando sempre quel funebre simulacro di sorriso - ora, ora.... vede bene.... è finita.

Si fermò, la voce gli venne meno in uno schianto di tosse, che gli empi la bocca d'una salivazione sanguigna.

Giuliano aspettò, tremando verga a verga; poi:

- Ma ora.... ora.... - tentò di mormorare.

- Ora.... - rispose con uno stridore soffocato Drollino. E avventò, ergendo il capo, una sola parola: - Genova!

Atterrito, annientato, il Duca chinò la testa. Vacillava come un giunco mosso dal vento.

Drollino, passato l'accesso, continuava:

- Ora, sarebbe morta, forse.... quando lo avesse saputo.... E lei, signor Duca.... ha preso Mia.... Allora mi sono ricordato, e volevo che Mia fosse la causa.... Ma ho visto la Duchessa, e sono venuto....

Non potè proseguire; un secondo impeto di tosse gli mozzava quell'aspro filo di voce. Allora, nell'accesso stesso sbattuto dallo sforzo dello schianto rantoloso della tosse, ma tenendo sempre Giuliano sotto il fascino spietato del suo sguardo, Drollino lasciò andare il fazzoletto, e sollevando la mano, come un giudice che condanna inesorabilmente, alzò un dito.

Nel silenzio della stanza si sentiva l'affanno ormai, quasi parimenti angoscioso, di due aliti oppressi.

Un gorgoglio s'affoltò nella gola di Drollino. Ma egli, con uno sforzo supremo, mormorò ancora una parola:

- Si ricordi!...

Poi tacque, cessò di guardar Giuliano, e adagiò il capo sui guanciali.

Passò un minuto prima che il Duca trovasse la forza di uscire.

Sulla soglia della cascina s'imbattè col dottore.

- Sta male, eh! quel poveraccio? - chiese il medico, vedendo il viso alterato di Giuliano.

- Sì.... - balbettò il Duca - temo che....

- Per bacco!... l'ho detto subito che era affar di pochi giorni. Ma lei non ci venga più qui. Vada via, che questi non sono spettacoli per lor signori; e tanto, ormai è finita. Vada via, le dico, e mi cambi subito quella brutta cera, che, se no, son capace di farle un salasso qui sui due piedi.

Giuliano rispose con un tentativo di sorriso agli scherzi e ai consigli del medico; poi s'allontanò adagio adagio, perchè dal cascinale non si avvedessero ch'egli si reggeva a stento sulle gambe. E solo quando fu lontano sulla via, lungi da ogni sguardo, nell'ombra discreta d'una macchia, allora soltanto si lasciò andare. Cadde a sedere su un tronco d'albero.... brancolando.... cercando un appoggio, come una donna che vien meno.

Il Duca era vinto.... la scena era stata troppo forte per lui. Sulla sua fronte pallida il sudore si rinnovava ogni momento. Balbettava sconnesse parole.... batteva i denti.... rabbrividiva, smentendo, nel codardo abbandono di quel momento, tutta la sua calma di gentiluomo, la sua placidità di uomo forte, la sua stupenda indifferenza di creolo. Ebbe uno scoppio di pianto nervoso, quasi isterico, e non cercò di frenarlo: chi lo vedeva colà, chi lo udiva?... Milla non era in presenza del suo idolo. Olga era a Genova, lungi dal suo schiavo gran signore! E i passeri della macchia non si curavano punto di quel Duca in lagrime, buttato là come un cencio.... scosso da quei singhiozzi spasmodici.... che non erano forse nè tutta paura, nè tutto rimorso!...


La camera di Drollino era quasi buia. Per terra, in un angolo, ardeva un lumicino d'olio, e la sua poca luce era attenuata da una specie di paralume improvvisato. Dietro ai vetri e alla carta della finestrina, s'urtava un raggio di luna che cercava d'insinuarsi all'interno disegnando sull'ammattonato e sulle pareti lunghe striscie bianche, d'uno splendore freddo ed immobile. Nel camino ardevano lentamente alcuni rimasugli di legna umida, e una vecchietta, adagiata in un rustico seggiolone impagliato, lottava ostinatamente col sonno. Un gentile odore d'erba secca veniva dal vicino fienile, e nel silenzio della stanza giungeva ancora dal prossimo piano uno stridore ritmico e incessante di grilli, cui teneva bordone una voce più immediata, uscita dal focolare stesso del camino. E, a lunghi intervalli, qualche nitrito affievolito dalla distanza.... qualche lontano interrotto canto di rossignolo.... le voci solitarie dei pascoli, che si stendevano addormentati ora e ravvolti nell'ombra notturna e infinita del piano.

La donna non ne poteva più. Lo aveva detto al Duca; eran tre notti che non chiudeva gli occhi! E ora quei poveri occhi stanchi si chiudevano irresistibilmente. Il rumore affannoso, sibilante che Drollino faceva respirando, non bastava più a tenerla desta. E i grilli, nell'interminabile monotonia del loro coro, non parevano modulare che una sola parola: dormire, dormire!

A dir vero, Drollino pareva molto più quieto adesso; il rumore dei suoi rantoli affaticati pareva diminuire. Ora invece vaneggiava.

Sulle prime, essa aveva voluto dar retta alle parole, alle frasi interrotte di quel quieto delirio. Ma poi se n'era stancata; eran tutte frasi del suo mestiere, e non si capiva nulla. Piuttosto, per tenersi desta, ricorse al rosario. Ma nemmen questo valeva: essa pronunciava affatto macchinalmente quelle note e sacre parole; la mente le si intorpidiva nel sonno.

- Mia! sta quieta, - diceva dolcemente Drollino. - No, no, non va bene così! più ritta.... Avanzi il ginocchio.... ora terrò la staffa.... tiri a destra.

La vecchia provò a cambiare. Salve regina, vita dulcedo, spes nostra....

Drollino continuava sempre più sommessamente: - Volti, ora; aspetti.... poggi sul fianco, niente paura..., più alta la briglia. Non abbia paura..., non si farà male.... son qua io....

In quegli accenti spezzati si sentiva una modulazione quasi carezzevole, qualche cosa di indicibilmente sentito e profondo. La vecchia si destò con un sobbalzo, e continuò: in hac.... lacrimarum valle....

Di repente sul volto di Drollino si operò un mutamento. I tratti s'affilarono, informandosi sulle ossa, che parvero avanzarsi sotto la pelle e sporgersi con un più marcato rilievo. Il volto assunse una tinta grigiastra, d'una trasparenza perlacea, e sotto alla quale s'accusava, sotto un lividore quasi violaceo, il colore di un frutto troppo maturo che, toccato, si ammacca.

La vecchia s'era addormentata. Russava ora ella stessa, colla corona abbandonata sulle scarne nocche delle dita. La lucernetta, in cui l'olio veniva meno, mandava una luce vacillante, che si esauriva lottando ad un tempo contro l'ombra della stanza e il chiarore incerto del lume di luna.

Allora, nell'agonia solitaria di Drollino, cominciò la splendida gloria d'un sogno. L'ordine della sua esistenza si capovolse negli ultimi sforzi della memoria: presso alla fine, egli rivisse, l'estasi suprema di un'ora della sua prima gioventù.

- Dagli un bacio, - diceva il Principe ridendo. E la testolina bruna della bambina si chinava verso di lui; due labbruzze strette, allungate cercavano le sue; una vocina festosa ripeteva: - Prendi, Drollino, prendi!

Egli non si tirò in là, non ricusò. Mosso il braccio, brancolando nel buio, come se volesse stringere.... afferrare.

Poi, con un'ospressione di supremo trionfo, gridò: - Mia!

La vecchia si destò di botto.... Gesù Maria!... parlava sempre quel poveretto, non si chetava mai! Ecco che adesso chiamava la sua cavalla.


Stette ancora in ascolto, ma non sentì più nulla. Le parve anzi che il rantolo fosse cessato.... a un tratto. Inquieta, s'alzò, attizzò il lucignolo della lucerna e s'accostò al letto!

E subito, spaventata, si ritrasse per chiamar gente.

La camera s'empì in breve di contadini. Ma nessuno ormai, nulla al mondo poteva turbare l'ultimo sogno di Drollino. Lo spirito, all'estremo, s'era rifugiato in quel sogno, e aveva varcato il confine.


FINE.