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POESIE
DI
FRANCESCA ZAMBUSI DAL LAGO

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Estratto dalla raccolta pubblicata per le Nozze
Taruffi-Scopoli.

[Poesie]

UN EPISODIO DELLA INNONDAZIONE DI LEGNAGO la notte del 14 Ottobre 1868

Ahimè, una notte, un' altra ancora, e forse L' ultima notte a Due misere donne, Cui l' onda dirompente precludeva Alla fuga ogni scampo! Invan le braccia Per lungh' ore stendean fuor dal pertugio Che rischiarava il lor tugurio; invano Mandavan grida dolorose, quali Mai non mandò la disperanza! Ahi, ch' elle Al sonno in preda non udir lo squillo, Che Legnago scotea dal suo letargo! E quando spalancàr le luci, l' onda Tutto avea invaso, e un' intricata rete Di correnti intrecciantisi eran fatte Le popolose vie! Case su case Cadeano rovesciate, e non si udiva Fuor che il murmure orribil dei fuggenti, Che fra i gorghi spumanti apriansi un varco! Or, chi potria ritrar quell' affannoso Spasmo dei cor per una cara vita? Quel chiamare le madri i figli a nome Pietosamente, e la sposa lo sposo, L' affrettarsi l' un l' altro, e quel salire Di tetto in tetto, mentre che più sempre La piena dirompeva onda ruggente? Ma niuno che alle Due volgesse un guardo; Chè sposo non avean, non avean padre; Vedova l' una, e l' altra un' orfanella Da lei raccolta per amarla in loco De' suoi figli perduti! La fanciulla, Cui non fioriro i venti aprili, a facili Lusinghe apriva il cor; ma non la donna, Che coi languidi sguardi già parea Raccoglier della cara il guardo estremo! Mezza una notte, intero un giorno, e omai Novo l' ombre stendean feral lenzuolo Su tante stragi, senza che di speme Le confortasse un raggio! … Quando alfine Venir per l' acqua videro un barchetto, E i rematori aprire a lor le braccia! Ahi, sventura, sventura! … orrido un toufo S' ode dall' imo; d' un vicin tugurio Crollan le mura, e con fracasso orrendo Travolgon seco e i rema tori e il legno! Come colui che perso ha un caro oggetto, E nei sogni il rivede, e gli par vivo, Sì che in deliro amor più a lui si stringe … Quando dal sonno si ridesta, e a quello Le braccia aprendo, abbraccia un' ombra vana: Oh, come il crudo stral dell' abbandono Di quel deluso cor più e più fa strazio! Così il tremendo disinganno oprava Su quelle abbandonate, che or si stanno, Morte a ogni senso, e fino alla paura, L' ultima ad aspettar ora segnata! Ma se di vita in lor tace il desio, Spento non è ne' forti a cui la gloria, Come sul campo è pur fra l' acque, scorta! Ei già risolcan quel mar procelloso; Di ruina in ruina entran pel tetto, Cercan, ricercan finchè lor vien dato Di accor le semivive e trarle in salvo! Oh, v' hanno affetti che nel pianto solo Han la parola: e meglio che sui marmi, Il nome vostro durerà scolpito Nel cor dei cittadini, o benedetti Itali salvatori! E tu, Legnago, Terra opulenta, oggi sepolcro fatta A' tuoi stessi tesor; se l' aspra fame Mendicando errar vedi per le vote Tue vie di sabbia, e stendere a pietade La scarna mano! … oh, non temer, non pere Itala gente in italo paese. A te verranno le città sorelle, Verran portanti il granellin che cresca In fecondo raccolto. E se un di ricca Ti fea lo zelo d' operosi figli, L' accorto trafficar, l' arduo lavoro: Essi della sventura all' alta scola, Più bella e forte ti trarran dai flutti!

Verona l' Ottobre 1868.

A GIANNINA MILLI

Rammento il dì, che al guardo desïoso Prima m' apparve la tua effigie! oh, quale Mi cercava le fibre intimo senso Di meraviglia e reverenza! È questa Questa io dicea l' immago di Colei, Che della crëatrice Idea contanta Virtù ritragge? Il dolce labbro è questo Che in armonia di numeri si espande, Se per l' aule affollate, del suo genio I responsi ascoltando, ella si slancia Di fantasia pei regni interminati, E fiori coglie d' immortal fragranza? Donna, in cui tanto arde di cielo, dimmi, Onde Ti venne quella luce arcana, Che guizza qual balen nel tuo intelletto, E l' ineffabil voluttà del canto, Che mente e cor t' invade e t' angelizza Così, che in più sereno aere delibi Le pure gioje che ne' suoni effondi? Nel tripudio de' carmi è la tua vita: Nell' estasi beate, in quel sublime Volo d' anima grande che s' indía, E va portata dall' eterea piuma, In traccia di mortal contentamento Che al cor divo risponda! Ohimè, se gaudi Ineffabili ha il vate, il genio suo Aspre lotte sostiene, e struggimenti Affannosi, e delirî, e irrequïete Brame, onde fantasia dentro il travaglia Melanconicamente! … Pel poeta, Sono fiamma i pensier, folgor gli affetti! Picciol rivo son io su cui si frange Languido il raggio; vasto mar Tu sei Ove l' italo Sol si ripercote Orgoglïoso; ond' è che di tua mente La fulgida virtù m' abbaglia. Almeno Fammi che del tuo cor la generosa Indol conosca: è ver che al patimento Nacque del vate il mesto core? È vero Ch' impeti ha fieri, amori ed odi ardenti, Ha battaglie, ha vittorie, e ahi pur! sconfitte? Forse che la cocente alma non vale Ai colpi di sventura opporre quella Virtù pacata che ragion consiglia, E il pensier tormentoso fa dell' estro Insterilir la vena, e i chiusi affetti Fremon quai concitate onde in tempesta? … Povero cor, cor di poeta! spesso Deserto langue; ma è felice il giorno Ch' ei s' avvenga in un cor che al suo risponda. Le gagliarde sue fibre allor commosse Palpiteran di nova vita, e vanni Daragli al volo amor! Di fade, e amore Ha bisogno il poeta, e divin cresce, Agli amorosi rapimenti, il canto! Per lui, tutto di dolce estasi è pieno: Più viva al suo desiro hanno favella, Il libero de' campi aere fragrante, Il mormorio del ruscelletto, il cupo Muggir del mare, e delle azzurre vôlte Il padiglion stellato. Amor gl' impara, Dai vaghi oggetti appariscenti, il guardo Portar dell' alme nel più ascoso, e trarne Virtù celate e passïoni. Il genio Di freni schivo, sdegna in ponderato Sillogizzar effondere del core Il libero concetto, e qual torrente Pei vasti campi del sapere irrompe. Il Bello, come in onda in lui si specchia; Assorto in quanto l' intelletto fêre, Ogni immagine accoglie e le dà vita: Patetico usignuol, cigno canoro, Aquila ardita, tortora gemente, Palpita, freme, fulmina, sospira; Per ogni affetto ha suoni temperati Alla lira del core! Ei va pe' cieli, De' cari estinti a ribaciar lo spirto, Mosso da quella Fede che immortale Fa la cetra del vate: ove il suo genio S' appunti in Dio, par grandeggiando agguagli L' altissimo concetto! Nei tumulti Dell' estro, il ver gli splende; il fa profeta L' acceso immaginar; l' eco è fedele Del popol suo; colonna fiammeggiante Sul sentier della gloria; generoso Spirto che d' odio gli oppressor saetta! Perdon, GIANNINA, se l' intensa brama Di libar l' ineffabile armonia Che sgorga dal tuo canto, mi sospinse A seguitare il tuo volo sublime, Sovra gracili penne. Oh, s' io riguardo Le modeste tue grazie, e la severa Virtù onde vai sì onestamente adorna, Ogni altro affetto cede ad una cara Necessità d' amarti! O mia gentile, « Amor che a nullo amato amar perdona » Corrispondenza di amorosi sensi Dall' alma tua dolcissima m' impetri!

Verona il Settembre 1868.

Notes

*) Gli intrepidi Pontonieri giunti da Verona.