A SUA ALTEZZA REALE
AMARILLI ETRUSCA
O magnanimo Prence, che di Cito
I dì rinnovi, or he del Jericho annoso
Reggi con ferma man l'equabil freno;
Io paga sino a quì di quel che un tempo
A me plauso largìa l'Itala Donna,
Allor che d'improvviso a'molli suoni
Iposava il canto, ah! no, Jignor, non mai
Averi calcato il periglioso aringo
Che di Jofocle il Genio a pochi schiuse.
Ma nell' ozio che qiacquel e puo nell' ozio
Agone teatral de' di sè mostra
De' Longobardi la fatal regina.
Te già mi assalse ascosamente e volle
"Con la corta veduta d'una spanna"
Dar suo guidizio un tal, folle! che nacque
E crebbe in ira alle Dircèe Sorelle,
Non mi curo di lui, ma guardo e passo.
Io che si piace la malnata Invidia,
Peste del Mondo e dell' ignavia vizio,
Che amò Febo già tanto in corpo umano,
Storna il folgore alato, all' ombra accolta
Dé Borbonici Gigli, augusto Prence,
E degli auspici TUOI, suoi dardi sfido.
ROSMUNDA vedova di ALBOINO Re de' Longobardi, consorte di
ELMIGISO.
LONGINO Esarco di Ravenna.
IDOBALDO Ambasciatore de' Longobardi.
EUBETE Consigliero dell' Esarco.
GRECI e LONGOBARDI
-- che non parlano.
Scena la Reggia in Ravenna.
LONGINO ED EUBETE.
Mio seguace ti festi, uso ne' cupi
Di questo sen recessi a porre il guardo
E i secreti spiarne, dimmi, alcuno
Cangiamento non vedi in me?
Te in duolo immerso, e la sorgente donde
Parta, ignoro, tuttor. Gravoso fôra
Carco ad ogni altro, è ver, quel che sostieni
Impero qui dove perfidia alligna
E livor chiuso, da che al greco giogo
Piega fremendo l'Italo, non mai
Ma lieve impresa è al senno tuo; non oggi
Popoli impari a raffrenar; arcana
Cura estranea ti preme, e somma cura
Che riserri nell' alma.
Nullo pensiero un dì tenne in me loco
Oltre quel d' appianar sotto i miei passi
La via del soglio. Pieno il feci, e breve
Spazio oggi men separa: Esarco io, solo
Qui regno ... Eppur, benchè a tal giunto meta
Mi vegga, e che in poter niun mi sovrasti,
Tranne Giustin sotto il cui, nome ho scettro,
Pago non son.
Forse qui posto? È ver, nemico al pari
Del fiero Longobardo a noi si mostra
Il popol d'Occidente; ma possenti
Siam, noi: la forza nostro dritto valci
Contro le insidie de'rubelli, e contro
I barbarici sdegni. Amore o tema
Base è del trono: pur, che il fin prefisso
Sortiam felice, qual pur siasi, il mezzo
Util fia sempre ove sia certo.
Il sospetto, il timor cagion soltanto
Del mio cordoglio! Mi compiangi ... fiamma
Fredd' alma ad ogni obbietto un tempo, e calda
D'ambizïose mire, ora in se nutre
Altra diversa assai brama ...
Qui mosse spinta dal sapersi rea,
E scampo e asilo in me trovò, procella
Gittò ostinata nel mio seno: amore,
Sino a quel punto ignoto senso, ahi lasso!
Stupisci, amor della pietà col manto
Me sprovvisto assalì. Ravenna accolse
La profuga Regina, e seco il vile
Di sua vendetta esecutor, colui
Che d' Alboino il talamo tradito
Preme tepido ancor. Quaut' io Rosmunda
Amo, tanto, e più forse, odio Elmigiso.
Ali! questi del mio cor discordi affetti
Forza mi è altrui celar onde non sorga
Il ver riposto a quanti tengon gli occhi
Vigili sovra me, tremante ognora
Che mi tradisca un guardo un cenno un detto.
Qual sia lo stato vïolento, in cui
Vivo io, tel pensa.
Trar tua grand' alma d' affannarsi! e puote
Smarrirsi e palpitar? Emulo tale,
Di lui pensier?
Più che sposa gli fosse, di che avrei
Da confortarmi?
Sotto auspici di sangue unì costoro.
Ella non men dell' altro odia il novello
Laccio fors' anco, e lo sì reca ad onta.
Elmigiso le fosse, oggi vorrei ...
Sepolta a lei svelar.
Accortamente in pria non ti apra il varco,
Troppo avventuri.
Di por modo a se stesso allor che forte
Cupida passion d' amor l' acceca?
Bench' io in guardia di me vegli, Elmigiso
Già mi sospetta, e la Regina vede
Più assai che d' amistà forse in me zelo.
Freno al mio labbro, mi troncò gli accenti
Spesso sul cominciar.
Perchè timido incerto, ad arte è duopo
Altrui celar. Mostra a Rosmunda solo
Che del suo ben sollecito ti rendi,
Perchè pietà rispetto tel consiglia,
Amor non già.
Dappresso a lei qual fia virtù che basti
A simular quel che di me s'indonna
Protervo affetto e mi travia?
Che se debol ti mostri, ella men stretta
Fia a te. Necessità fa la soggetti
Al tuo voler; paventi che tu possa
Di stato alla ragione, e alla comune
Tranquillità tutto donar, ritrarre
La benefica mano, ed in balìa
Lasciarla alfin de' Longobardi ...
Sicuro, io te l'addito. Ambizione,
Più ch' altro affetto, in sen d'altera donna
Alto ragiona. Ella com' è sprovvista
Di soccorso d' amici, all' odio segno
Longobardico, a tal consorte avvinta
Forse gravoso, porre ogni arte debbe
A destarti nel sen genio più caldo
Che di pura amistà, poichè in te posta
È sua salvezza, e in un la non sopita
Brama, in chi regia cuna in sorte ottenne,
Di ricovrar l' antico lustro.
Fôran sue mire, e in me salute e appoggio
Avria pur anco ... Ah così fosse sciolta
Dal fatal laccio d' un indegno imene!
Ma il grado, in cui m'innalzo, invidi molti
Mi fè. Guai se Giustin, che d'Oriente
Libra le sorti, e qui della sua possa
E ministro ed Esarco me trascelse,
Udisse un dì ch' io d' amor cieco indotto
Tradito avessi il consentito ospizio,
Ed immolato il mio rival.
Pria che apparisse agli occhi suoi, ben lungo
Tempo dato ne for a: ma non dessi
Ciò da te oprar, nè espor te stesso, quando
Perder si voglia quei che ti contende
Ogni tuo bene ...
Ella che d' Alboin ...
Mira, sen viene.
Vesti freddezza, nè permetter mai
Ch'ella lo sguardo scrutatore addentri
Sino al tuo cor.
Da lei non visto, ogni suo detto nota.
ROSMUNDA LONGINO EUBETE.
Degli occhi tuoi il seren turbarsi? Sgombra
Perdesti, è vero, e del fulgor che ad esso
Congiunto va, spoglia, qui traggi oscura
Vita, ahi pur troppo! del natal tuo indegna
E dell'alto tuo cor. Ma qui non miri
Turpi obbietti, e portar barbari insulti
Forza non ti è. Rispetto in noi, pietade
Sveglia l' idea di tue sventure.
Se io son, donde ben ne ho. Gente feroce,
Del mio sangue assetata e di vendetta
M' insegue a tergo; fuggitiva inerme,
Come sul mio destin posar tranquilla?
Come sperar che in mia difesa si armi
Il popol tuo, che me già torvo guata
E paventa flagello a queste sponde
Di stragi e guerre?
Romper non oserà la fe che a noi
Lo stringe, e porsi in campo or che nel grido
Non sorge del suo re, nè terror porta
Alle proviucie minacciate.
Tanto egli ardisse, e dell'aperto asilo
A noi mettesse alte lagnanze teco,
E me e il consorte mio chiedesse, allora
Dì, che faresti? ... torci altrove, il guardo?
Del mio rischio favella. Ah! sì: di stato
All'infame politica sovente
Privato ben sacrificare è bello,
Le coorti, che a me Cesare affida,
Regger potessi, che primiero e sacro
Dover fôra per me tentar di guerra
L' incerto evento di perigli a costo,
Onde in soglio riporti! ma soggetto
A geloso Signor, qual mi soli io,
Aperta aita come offrirti senza
Provocare il suo sdegno?
Di tua pìetà, mi lasceresti esposta
Alla rabbia de' miei nemici?
In secreto d'appoggio e dì consiglio
A te non mancherò. Fidati, quanto
È in mia man, tutto impiegherò a far meno
Trista tua sorte . . . ma lontan tuttora
Ciò che paventi io veggio. Il Longobardo
Sin qui si tacque, e pur sa che Ravenna
Ti diè ricetto, e tacerà, lo spero.
Chè, mal fermo il terren che ingombra, e incerta
La fe di lor cui ferreo giogo impose,
Non ardirà di suscitar novelle
Discordie.
L' indol proterva di cotesta iniqua
Gente mal tu discerni! chi la foga
Ti lei contenne allor che all' odio scopo
Si fè Un obbietto sventurato? a prova
Pur troppo il so: grande possente e forte
Era il mio genitor; pur dall' altezza
In che sedea, sotto l' enorme pondo
Cadde di sue sciagure, nè fu paga
L' ostil rabbia sin che l' avito impero,
Ch' ei su' Gepidi avea, dal suol non sparve
Atta a svegliare in te spavento. Ah fosse
Altro Elmigiso pur e quel, eh' hai dritto
D' Insubria al soglio avvalorasse sposo
Dissomigliante da costui, chi mai
Lo scettro d'Alboin varria dì pugno
Oggi a strapparti?
Ordin funesto e d' atri eventi spinta
Mi han dell' abisso all'orlo. Io, sventurata
Figlia di Cunimondo, ad empie nozze
Stretta mi vidi, e quella man. tuttora
Calda e fumante del paterno sangue
Fremendo strinsi: ah infame nodo! in vista
Regina, io schiava d'aborrito sposo
In pianto i dì, le ingrate notti in pianto
Accigliato terribil fero spettro,
Che vendetta chiedea lacero il fianco,
Mi si fea il genitor! pur io non mai,
Forse non mai, del rio Alboin lo stame
Troncato avrei: ma le nefande mense
Ed il nappo feral . . . Ali! dall' istante
Ch' ivi più che licor lacrime bebbi
Giurai sua morte.
Te scolpa, non così però te scolpa
D' averne dato a debil braccio il carco,
E prezzo all' opra la tua destra; sommo
Dono d' invidia degno!
Era ragione udir quand' io null' altro
Pensier pascea che di vendetta? Atroce
Onde scendesse e piena, il fido il caro,
Fra quanti si ebbe A mio tiranno servi,
Ministro volli del mio sdegno. Duro
La virtù d' Elmigiso scontro oppose
Al gran disegno; egli fremea al sol nome
Di parricida e impallidiva: amore
Vinse lui schivo alfine, e nel suo petto
Ogni altro grido soverchiato tacque.
Allor dalle mie furie scorto al fiero
Re Longobardo non attesa morte
Portò nel sonno, e nell' eterna notte
Non che di me, commiso avrei del
mondo Ad esso il fren, che ogni mercé minore
Stimai della prestata opra.
Schiere di te dimentica, del rischio
Che sovrastava a te, mal, consigliata
Fosti dall'ira, e mal tua scelta cadde.
Come potea colui, che d' Alboino
Il talamo occupò tepido ancora,
E suo uccisor, farsi tuo scudo quando
Rabbia infiammava i Longobardi orbati
Di re barbaro sì, ma invitto, a cui
Le fortune di guerra ivan compagne?
Come ... ma ben mel so; sdegno soverchio
Noti mai freddo ragiona, e ne travìa
Dal diritto sentier. Gli andati falli
Riparar non si pon, piangerne è dato
E pentirsene indarno; pur talora
A' tempestosi dì calma insperata
Successe, e lieta da principio infausto
Serie d' eventi ... lo de'tuoi giorni intanto
Veglierò la salvezza: ah sì: a te il serto
Render potessi i oscura donna' abbietta
Ond' esser tu nascesti? che? Rosmunda
Soffrir potrà privato stato, e solo
Tanto terren terrà quanto ne preme?
E' ver che da ogni insidia la tua vita
Giurai campar, ma basta ciò? che vale
Che dall' alto le sorti de' mortali
Invisibil governa, del riposto
Ed incerto avvenir lasciam la cura.
Stornar talora il fin, se a noi funesto,
Sagacemente. Adito ancor rimanti,
Mel credi, onde tener I' antico e sommo
Grado da cui scendesti.
Di puro zelo, e che vorrei te, donna,
Non costretta a mercar straniera aita,
Qual oggi se, purchè Elmigiso in vista
Duce sì faccia di comprate schiere,
Appoggio a voi secreto io mi offro, e spero
Malagevol non sia l' Insubre terra
Da' suoi tiranni liberar. Già seme
Ivi germoglia di rivolta, e l' odio,
Benchè soppresso, a divampar vicino,
Ferve nell' alme; al primo cenno, al primo
Squillar di tromba a lungo atteso, quanti
Popoli a forza di rigor contiene
Il Longobardo, sì vedranno in armi
A danno suo pugnar.
Elmigiso assentisse, e duce in campo
D'assoldate falangi incontro a suoi
Scendesse, credi che di estraneo giogo
L'Italo impaziente il nostro possa
In pace sostener?
re presente sempre abborre,
e sempre Ama il futuro che miglior s'infinge.
Non paventar; sol fa che il tuo consorte
Non ti neghi il suo braccio, indi del resto
Mia la cura sarà,
In sul fiorir la m'al concetta speme
Che or, tua mercede, in me rinasce.
Più di me forse i longobardi egli ama.
A tuo prò posso oprar. Del greco impero
A tuoi nemici imporre, ma conteso
Non mi è, pur che la man celata resti,
Portar lor fatal colpo.
Degg'io alto cor! e all'amistà che . . . .
Che somigliante a quel che il sen mi scalda
Disio non ferva in Elmigiso.
Cred'io, degli error miei tal mi diè sposo
Vindice A cielo alle mie brame sempre
Avverso, e al genio mio sempre discorde
LONGINO E EUBETE.
Elmigiso si mostri e imprender neghi
L'arduo cimento che Rosmunda agogna,
Tratto da patrio amor, agevol fa
Che suo nemico e congiurato il pensi
Tua cognit'arte, nè si lasci nullo
Mezzo qual ei si sia,
Merta il tuo caso . . . . .
Mille e mille disegni intesi tutti
Di Rosmunda l'impero a darmi; incerto
Però tuttora io sto qual mai fra questi
Scegliere io mi abbia o rifiutar: tal uopo
Chiede il consiglio tuo. Mi Eubete.
ELMIGISO ROSMUNDA
De' nostri altari? io vïolar profano
Quanto mi fu sacro sin or?
Ostentar lice a te virtù che riede
Tutta a mio danno!
Dov'è l'Esarco, tu potresti? molto
Ei ti . . . . onora . . . . Per me morte non temo,
Anzi ogni dì più necessaria farsi
La veggo. Tu, consorte mia, di tutti
Mezzi se' spoglia; e chi, qual te, già tenne
Scettro, soggetta esser non soffre. Io sono
Che alla grandezza tua limite impongo.
Questo, in che sculta se', mio cor? ben altro
Volgi in tua mente oggi che dell' Esarco
Al favor sorgi, e in lui tua speme affidi.
Nascondermi, livor geloso. Ahi! queste
Son le dolcezze di che largo sei
A me tua sposa?
Che affannosa per te guerra d' affetti
E di rimorsi porti, ed a me stesso
Venuto sia in orror, ch' oggi pur vuoi
Offrirmi d'arrossir cagion novella?
Crudo fato servir, cercar salute
In chi meno il dovrei, mi è forza: a tale
Varco se' tu che mi conduci. In tuo
Poter oggi afferrar fôra pel crine
Fortuna instabil sempre, e a' tuoi vessilli
Chiamar compre falangi in campo . . . . .
Quanto basta per te non son? mio nome
Suona delitti! qui spietata cruda
In questo cor s' agita pugna. O giorni
Beati, quando non colpevol io
Vedea sovra di me questa, ch' or fuggo,
Palpito l'alma! Ah! se pur tanto pesa
Chi fia che sconsigliato i passi torca
Dal diritto sentier? chi de' rimorsi
Preda farsi vorrà?
Questa tua debolessa, ed ` soverchia
Follia tra noi membrar ciò che assai fôra
Bello il tacer. Ma pur già che mi stringi,
Rampongnandomi sì, dirò che ingiusto
Mi ti mostri ed ingrato: a te l' onore
Di mia vendetta già fidai; ben mille
Ambizïosi cortigiani forse
Presti a' miei cenni io non tenea? perfissa
Dell' empio re la morte era . . . .
Di scelleraggin tanta, or non sarei
In ira al cielo e al suol . . . Ah perchè piacque
Tua beltà a gli occhi miei sino a involarmi
E pace e senno? Il sai; ti vidi spesso
Del mio Signore al fianco, ma pur sempre,
Da rispetto e timor scosso, non mai
Sulla consorte d' Alboin lo sguardo,
Non mai innalzato avrei. Forse in me germe,
Non consapevol io, nudria di questo
Fatale affetto: ma ti amava allora
Soltanto con l' ardor laudevol pio
Ma tu al mio cor, già per sè stesso infermo,
Movesti assalto di lusinghe e vezzi.
Oh scellerata notte sol feconda
Di abbominevol' opre! a me compagno
Gìa il tradimento, e mi scorgean le furie
Di colpevole amor. Rosmunda, ahi quanto
Mi costi, ahi quanto! Il possederti fôra
Ben sommo, se obbliar potessi il modo
Con che ti ottenni, e se a serbarmi il tuo
Affetto novi ecessi a me prescritti
Non mi fosser da te.
Questi lamenti che ritornan tutti
A mia vergogna. Un dì,allor quando intero
Dritto di sposp a te cess' io, qual oggi
Io non t' udia lagnare; e pur non sei
Più reo di quel che fosti il primo istante
Che ne giunse imeneo, nè altra mi sono.
Pur troppo in te trepido affetto loco
Diede a' rimorsi, e noja fa ch' io sembri
Cagion d' ogni tuo mal.
Mi se', qual fosti, di focoso e fermo
Affetto immenso. È ver ch' io, da me in tutto
Diverso, fra i mal compri col delitto
Amplessi ebbro passai più dì; la blenda
Cadde poscia, ma che? non però meno
Amo di me più assai, più, fremo a dirlo,
Dì mia fama pur anco.
Più dì te stesso e di tua fama, esposta
A' rimproveri tuoi sarò mai sempre?
Già il nostro stato è per sé, tristo; incerta
La greca fe, che degli eventi a norma
Cangia, tradir ne può. Sin che l'Esarco
Pende a prò nostro, deh tentiam con le armi
D'Insubria il trono ricovrare, e porre
Tra i Longobardi e noi le Runnich'alpi.
D'uno in un altro error da te condotto,
Degli empi tutte calcherò le vie?
Oh me infelice! a tal son giunto omai
Deplorabil per te stato, che poco
Più, amara è morte. A te non basto fiera
Cupida di regnar voglia t'invade;
E, tutti modi a sorpassar tu presta
Santità dì promesse, amor del retto,
Pietà di cíttadìti vuoi ch'io calpesti?
Troppo il freno al furor; ma tal dovea
Teco destino attendermi; punita
Oggi mi soli da quella mano stessa
Che armai contro, di me.
Funesta e cara donna! ali! si, il confesso:
Siccome a me, grave a te pur mi rendo
Ma il tenor dì mia stella iniqua, il cieco
Impeto, con che amor regge quest' alma,
Sì mi trasforma, e ad oltraggiar mi spinge
Te, che pur tanto intensamente adoro
LONGINO ELMIGISO ROSMUNDA
Del mio consorte l'ostinato ingegno
Piegar co'detti, e de'perigli accorto,
Che noi corriam, rendere a un tempo; indarno
Sin' or preghi e ragioni usai; non mira
Che l'infamia, ingannato, ove che stringa
Contro i suoi l'armi, e non. prevede a quali
Enormi strette noi sarem condotti,
Se il destro istante fugga a noi di porre Fermo in Italia il piè.
Talamo dì Rosmunda debbi in lei
Viver soltanto. Quanto un dì pregiasti
Lice porre in non cale. Odi: consiglio
All'opre de'Monarchi è norma. Raro,
O non mai, timid'alma a meta eccelsa
Poggiar si vide; delle fauste imprese
Chi giudice si fa? niuno; ma sempre
E rigido giudizio e tristi eventi
Paventar dèe colui elle apparir teme
Men uom che re: bella è la colpa quando
Il sovrano poter rassoda . . . . .
Oggi dottrina attonit'odo, e appena
Credo a me stesso Sino a quì virtude
Pensai vanto d'ogni alma; ma, ingannato
Era io, che assai diversa e non vulgare
Virtù s' insegna nelle greche scuole.
Pur io dispero d' erudirmi in questa
Arte sublime; indocil'io, tu indarno
Meco dispenseresti il tempo e l'opra.
Già da quel dì, che abbandonai le rive
Del Ticino, mi elessi viver vita
Oscura scevra, se non d'onta, almeno
Da novelli rimorsi, da te ottenni
Ospizio, e questo sol mi giova: quando
Ciò che a me consentisti non mi neghi
A che per via di torte mire guerra
Destar, che l'alma mia riprova e abborre?
Giammai a tradir, ma posso bene, indotto
Di qui farti sgombrar.
Che dì rupe inaccessa o dì selvaggia
Riva mancare io mi abbia?
Abbietta sorte, può Rosmunda . . . .
Mi ami, regno soggetti e ogni dovizia
Oblierà per me.
Tai bassi sensi in se ravvolga, e pago
Sia dì tornar, non conto, in sen del nulla;
Ma regal alma sopportare in pace
Di menar giorni sconosciuti l'onta
Non mai potrà; di sua vergogna accorta
La, farà ad ogni istante interna voce.
Mai non sarà? meglio è, se a torne basta
Sfrenata ambizion pietà rimorsi,
Non sortir regia cuna, o rio talento
Di altrui signoreggiar: servo qual nacqui
Esser mi eleggo, se comprare un trono
Debbo a prezzo dì sangue e di delitti.
EUBETE E DETTI.
Ambasciador fiero negli atti; chiede
Veder l'Esarco; ch'alto affar lo guida,
Dice, in Ravenna.
Ecco avverato il mio timor.
Si cela? ov'è l'amieo, il sol compagno
Di mia giovane etade? ah! ch' io l'abbracci
Che in lui possa . . . .
Ogni vincol, tra voi quel, ch' oggi assume,
Carco ei di tuo nemico?
Virtudi osservator me più non mira
Che con occhio dì sdegno, e sé condanna
Perchè in pregio mi i tenne un tempo: ahi quante
Cagioni d'arrossire ad ogni passo
Mi offre crudo destin!
Però me di lasciare all'odio esposta
De'barbari che il mio chieggono scempio.
Quest'è l' amor che dici avermi? è questa
L' arra della tua fe? quando il tuo braccio
Potria forse sviar l'atra procella,
Ch'or vieppiù sovra me sì addensa e freme,
Placido spettator del mio periglio
Esser vorresti?
Da te ogni infausto evento, e su me cada
Il suo rigor! ma s'ei volesse irato
Ch'uopo di novi eccessi, onde salvarti
Vi fosse, mia virtù sento a tal prova
Che mal regger potrebbe . . . . .
Conoscer puote? incerto ognor, battuto
D'opposti affetti e vane larve, or sei
Mio tutto, ed or fremi, se avvien tu deggia
Non longobardo altrui mostrarti ... Oh sempre
Avversa nazion! ogni sciagura
Perdei per te, per te tratta in catene
A infami nozze un di mi vidi, ed oggi
Del novello mio sposo in sen ragioni
Alto così, che, ogni altra voce è fioca
Fra il ben di farti a lei sostegno, e l' onta
Di rientrar nella negletta torma
Di barbarico vulgo? onor ti stringe
Suo fato, a seguitar. Protervo genio
Di patria illude la tua mente, e ingrato
E restio al tuo dover ti rende a un tempo.
Mi governa a sua voglia! impeto cieco
Sprone ci a questa alma. Ecco a qual giunto stato
Mi veggo, oimè! . . .
Che sospetti mi son: e tu, che tanto
Poter sovra il mio cor ti arroghi, o donna,
Non n' abusare, e un fuggitivo avanzo
Di mal ferma virtude in. me rispetta.
LONGINO ROSMUNDA EUBETE.
Omai non ti è, Rosmunda, dì te cura
Provvida prendi; a fido core, ad alma
Calda di vivo zel, de' giorni tuoi
E di tua gloria il grati pensier consenti
Di colei che già fu! gli affanni e i tristi
Casi mi oppresser si elle porto in pace
Questo, in che mi vegg' io, stato sembiante
Più a schiavitù che a libertà. L'udisti?
Egli, Elmigiso, ch'io fra'miei vassalli
Degnai chiamar di mia vendetta a parte
Contrasta al mio voler; mi ama, ma quando
Tra i Longobardi e me post'ei si vegga,
Ver d'essi sempre penderà: fia meglio,
Da che sì chiede il mio destin, privata
Vita trar di qui lungi . . . .
Ignota rimaner Rosmunda? e quale
Terra meta al tuo corso esser può mai
Ove non giunga e non ti sfidi a morte
Ti è in guisa oprar da renderti con l' armi
Formidabile ad essi.
Che ricusa Elmigiso, in sè rivolga?
E, non mio sposo, in aspra guerra accenda
Per me, donna straniera, Italia tutta?
Che mi giova il favor che mi offri, quando
Campion non ho che mia ragion difenda,
E del trono la via mi apra contesa
Da'vigili nemici?
Fossi, ripor vorrei l'Italo serto
Sovra il tuo crin, ch'ampio argomento allora
D' imprender pugna mi daria l'augusto
Nome di tuo consorte; ma tu il vedi:
Scusa atta a colorir non ho un'impresa
Che volgeria in mio danno, ove si fesse
Al greco impero perigliosa . . . .
Se l' uopo, il chiederà, vittima io prima
Alla comun salvezza esser mi attendo.
Il sapermi in gran rischio.
Fortuna, e tutto piegherà: su tuoi
Passati eventi mormorar, noli ch' altro
Chi fia che ardisca? Del codardo l' opre
Mal augurate sempre il mondo danna
Ma delle fauste al fin tratte dal forte
Storna confuso ed abbagliato il guardo,
E il secreto livor simula e tace
La figlia tenda ad alto scopo, vinca
Quantunque inciampo può frappor nemico
Destino a' suoi disegni.
Sta forse armi adunare, acciò sovrasti
Ad ogni dritto la ragion del brando?
Io, profuga, proscritta, oggi son fatta
Più che di tema di pietade obbietto
Tutto mi tolse ciel avverso!
Ti lasciò: tua beltà, l' onor degli avi,
Regal alma, alto cor, per cui si accese . . .
Zelo in me d' amistà -- Ciò che a noi porti
Il Longobardo nunzio udiamo; a norma
Dell' inchiesta consiglio, e tal che giovi,
Gli agitati tuoi spirti . . .
Calma da questo preda a gli affanni!
LONGINO EUBETE.
Un lampo annunziator di mie venture:
Mia Rosmunda sarà, me lo promette
Ciò ch'oggi unisce a mio prò sorte.
Oh quanto Opportuna si fa del Longobardo,
Orator la venuta!
Di discordie sospetti e d' odj fonte
Fra la Regina ed Elmigiso .
Ogni industria adoprar, onde sì renda
Colpevole costui; quindi il. mio affetto
Disvelar senza tema a lei che adoro.
Mancar l' evento non potrà; tue brame
Fia presta a secondar Rosmunda stessa.
LONGINO ROSMUNDA ELMIGISO EUBETE
Soldati e Popolo.
Sostegni invitti meco uniti io volli,
Onde ascoltar se amico o avverso mova
Il Longobardo Ambasciadore a noi.
Qual ei si sia sempre farò che il sacro
Scettro, sotto di cui pieghiam sommessi
Se non paventa, a rispettare apprenda.
Libero il varco egli abbia: vanne, Eubete,
De' miei cenni ministro.
Duro cimento, o sposa!
Conflitto è in me. Ne' lumi tuoi traspare
Orror rimorso e di me sdegno. . . .
Perdermi nel tuo cor.
Ecco Idobaldo
Sotto i miei passi, e il mio rossor non cuopre?
IDOBALDO EUBETE seguito dì Longobardi.
Di pace o guerra; per mia bocca tutta
La nazion de' Longobardi chiede
Del tradito suo re giusta vendetta
Sin or l' ire ritenne, e sperar volle
Che, saggio, consentir negassi scampo
A' proscritti nemici suoi, ma in vece
Che li accogliesti e onori non si ignora.
Ove Rosmunda e il suo consorte a noi
Ricusi abbandonar, paventa; il ferro
Di non ripor, se non dopo, che, involto
Nell' eccidio commun. non caggia ancora
Questo asilo che resta all' armi greche.
A vincitor; ma il barbaro linguaggio
Ruvido altero, anzi che sdegno, desta
In me pietà. Non cape in voi pensiero
Che appo noi fassi biasimevol opra
Tradir la fede e l' accordato ospizio?
Al sommo Dio, di cui son smorta immago
I monarchi qui in terra, chi ne uguaglia.
Se l' alma non si schiude al mesto grido
D' oppressa umanità? Colpevol sia
Rosmunda ed Elmigiso, pur sien essi,
Qual dici, parricidi, altro non vedo.
Che le sventure in lor per cui son fatti
Esemplo miserabile a chi fida
Al breve riso di mutabil sorte.
Sino a, sottrarre alla mertata pena
Chi reo si fè: giustizia i dritti suoi
Veglia gelosa, e vuol che ogni altro affetto,
Che ne ragiona in cor, taccia a lei innante.
Giust' è ciò che, a te chieggo: ma se sdegni
Far del nostro voler senno, ti aspetta
di pentirtene un di; valore in campo
Abbiam che rispettar fa i cenni nostri
Ferma ragion sull'Italo retaggio.
Mal sicuri e stranieri voi costretti
A usar forza e tirannide obliaste
Che, dì voi men feroce ma più assai
Prode il Goto nell'armi, anch'ei dì queste
Province usurpator, restò sepolto
Nelle ruine del divelto regno?
Poco non è se sopportiam, che pieghi
Una parte d'Italia, ancor mal doma
A indegno giogo la cervice altera.
Noi Greci, del roman valor vetusto
Eredi, noi sopporteremo, a voglia
D'un popol nato schiavo a noi, noi stessi
E le libere nostre condurre opre?
Forza, stagion fu già frementi a'ceppi
Ne costringea; forza or voi fa, e possente Necessità, soggetti a noi.
Alle ardite tue inchieste appien risponda
I detti frena. Qual di noi si debba
Dir qui Signor decideran gli eventi.
Or solo odi siccome a te favella
Per bocca' mia di Cesare l'offesa
A lungo, maestà: opra, che al Nume
Ne agguaglia in parte, è sollevar gli oppressi,
Elmigiso e Rosmunda di rubelli
Sudditi rivoltosi ed all' insidie
Camparo; io lor proteggo; all'ombra accolti
De'miei vessilli, e degli aperti vanni
Dell'aquila latina che il primiero
Nido ancor guarda, avran salute e regno
Guai per chi rompe quel, che serbo ancora,
Capo silenzio il folgore, che a stento
Sin or ritenni scenderà su gli empi
Noi rubelli, innocenti dir costoro
Tu potessi d'inulto alto delitto.
Ma a cui noto non è che la rea figlia
Di Cunimondo del miglior de'regi
Vedovò il soglio Longobardo? a cui
Che di bugiardi vezzi all'esca trasse
Vil troppo, o troppo perfido, Elmigiso?
Nè da' falli cessò; le opime spoglie,
Nostro frutto al sudor sparto ed al sangue,
Per cui pingui tuttor fuman le glebe
Lung' Adige e Ticin, raccolse, e in questa
Celò tua reggia, e le si tiene immune.
Pure in nostr' alma di ôr sete non cape;
Vostre sien le ricchezze, util verace
Al Longobardo è il ferro
Gli audaci onde punir, trattar sappiamo.
Tuoi scellerati patti. Udisti, o Donna,
Suoi alteri detti, e con qual fronte insulti
Te sua Regina?
Ella di sangue aspersa, e di qual sangue!
Funesta a noi, funesta dote al letto
D' Alboin, d'odio e di vendetta dote
Di sciagure, recavi, o donna; spenta
De' Gepidi la ria gente, e il più reo
Cunimondo sotterra, in te raccolta
L'ira, sparta già in tanti, non fervea?
Alto lagnar: perversa schiatta! donde
Ben avea d' abborrirti; non vid' io
La natia reggia. in fiamme, i sacri templi
Dal ferro profanati, e in un istante
La speme di più secoli recisa?
Pur tali scempi antica al par che infame
Ragion scusava, che su' viati spesso
Feroce vincitor si arroga, ed io
Sofferto avrei non che del regno, forse
Del nostro nome, il miserabil fine.
Ma, immani fiere, voi, dell'aura gonfi
D'instabile fortuna, modo o legge
Non serbaste in que' di: taccio, che stretta
D'ebbra plebe a gl' insulti esposta, innanti
Di Alboin tratta fui; sol dir mi giova
Ch'ei, di me preso, me sua sposa volle
Ma il primo dono marital, che l'empio,
Mi offrì sordo a'miei gemiti, la testa
Non fu del padre mio? quell'alma atroce
Esultava nel sangue, ed era il pianto
Lusinga al suo spietato cor.
Cunimondo per lui restò, dì stato
Ragion lo strinse; e Cunimondo stesso
Non era presto a cospirar delitti?
Premio n'ebb'ei qual sel mertava, e quale.
A te dovea sua complice . . . . Ah pur troppo
Ti adorava Alboin! muto al sospetto,
Dalle lusinghe tue tradito, incauto,
Venefic'aspe accarezzava, e al seno
Il peggior de'nemici in te stringea.
Chi non lesse di noi sulla tua fronte
Il chiuso che nudrivi odio, il rancore
Sepolto si, ma immenso? Il re soltanto
Cieco ogni detto ogni tuo sguardo ogni atto
Ritorcea a sè propizio; ah s'egli meno
Creduto avesse all'ingannar de' sensi,
In vita fôra, e tu, se per lui morta,
Avresti forse ad occhio Longobardo
Usurpato di pianto stilla.
Di barbaro orator l' ardir perdona.
Ei sappia intanto, e il popol suo sel sappia,
Che del rapito al padre mio retaggio
Ciò ch' io ritolsi, a buon diritto il tengo.
Diritto in noi ne rivolgea il possesso.
Pur non ci cal nè fia che chieder ci oda
Quanto involasti te prigione e il tuo
Consorte vuolsi solo, altro non vuolsi.
Loco a pensar ti resta ancor;
Che periglioso fassi imprender guerra
Per ingiusta cagion; combatte il cielo,
Parteggiando con lor cui giusta e santa
Causa la mano armò: spegner la fiamma
Già pronta a divampar potresti, pensa . . . .
Miei sensi in parte udisti; indi qual merta
Barbara inchiesta, ed il cesareo scettro
Ch'io qui sostengo di Giustino a nome,
Orgoglioso orator, risposta avrai.
IDOBALDO ROSMUNDA ELMIGISO.
Di gioja grido, nè giammai sì allegra
Così, come nel dì delle battaglie
A suon di squilla; ma che il greco imbelle
Per difender delitti impugni l'asta
È strano dì pietà di fede esemplo.
Pretenda, onde appagar sua rabbia, ch'altri
A senno suo tradisca i sacri patti
E l'asilo ospital: sposo, tel vedi?
Or, se tu puoi, scolpa costor; non mai
Tigre digiuna sangue agogna al paro.
di questi iniqui, e il nostro braman sangue
Miseri noi, se men l'Esarco in petto
Alma ferma chiudea i d'infanie scure
Morte vil ne avria colti . . . . Ma a vostr' onta
Vive Rosmunda, e a danno vostro spira
Sdegno e vendetta: qual mi sono spoglia
D'impero e d'armi, pur basta il mio nome
A spaventarvi, ed a punirvi io basto.
Non mai come or, mostrare osavi; molto
Nell'Esarco confidi, e assai più forse
Nell'arti tue; ma che Elmigiso soffra,
E ch'ei tuo sposo, il suo rossor . . . .
Ove trascorri? a cui favelli obblii?
E tu muto sopporti . . . .
Tenzon fiera di affetti; ahi questa, questa
Vita può dirsi? e tal trar deggio vita
In odio . . . .
Tu, mio consorte, a pensar alto impara,
E la costanza mia da saggio imita.
ELMIGISO IDOBALDO.
Ah mio Elmigiso! qual ti trovo? Il nunzio
Longobardo parla-va, ora Idobaldo
Favella: in qual cadesti orrido abisso?
Tu nostro vanto, vero Eroe, tu duce
Delle pugne difficili, tu solo
Secondo ad Alboin, ti festi, oh Dio!
Ministro dì empietà? Ah quanto mai
Sul tuo destin si pianse! or se'quel desso
Di modesta virtude esemplo altrui?
Chi traviar ti fè? chi fu ch'estinse
La voce in te d' onor? misero! scherno
D'altera donna, a tal giungesti fallo
Ch'uom commetter può solo uso adelitti
Amor, fonte per te d'alte sciagure
Oggi . . .
Cieco in torto sentier. Sa te gli sguardi
I tuoi compagni han volto, e speran anco
Che ricovrar tu possa la smarrita
Tua virtù . . . .
Sino alla feccia il calice tracanai
Altri a pensar tremendi affetti, a questa
Ministran' alma di mia colpa in pena.
Fra le tenebre avvolta, breve e fioco
Lampo se mia ragion talor rischiara,
È perchè, fatta a me nemica, gridi Vendetta.
Le braccia, il cor per te non mai si chiuse.
Tu piangi? e arretri iniorridito? oh amico i
Che tal mi se' tuttor, oli di mia scelta
Diletto amico puoi ad un punto in parte
Tua fama rintegrare, e de' trascorsi
Tuoi giovenili error lavar la macchia.
De' Longobardi il vôto soglio chiede
Re che il gran carco delle cose e il sommo
Grado sostenga; Peridèo fra ceppi
Cadde, e tutta la rea storia e l' insidie
Di Rosmunda narrava. E dell' estinto
Alboino uccisor diceasi; in prova
Questo adducea . . . .
Qui rimarrà del nostro re, sin tanto
Che altro sangue nol terga.
Consiglio Longobardo non confonde
Chi forza in prima, e poi di amore ebbrezza,
Colpevol fea. Fra noi non vi è chi ignori
E i tuoi rimorsi, e qual dì te governo
Costei sì faccia, da che in grazia venne
Del molle Esarco; freme e per te freme
Il popol nostro, nè quetar può l'ira
Se te non svelle dall'iniquo fianco.
Che lordata la man non abbia in sangue,
Quando sopporto, che Rosmunda e il mondo
Sel creda Peridèo la man prestava
Ed io . . . .
Non ti soffrendo il cor che il tradimento
Compiuto fosse, è noto a noi, che il cenno
Corresti a rivocar, ma invan, chè presti
Gli empi sono a' misfatti; già svenato
Giacea Alboin.
Affetto e la pietà del popol mio,
È castigo per me. Odio sol merto;
Con l' odio vostro parmi ingrato meno
Dirmi io potessi: ma sapermi reo,
E di, pietà dì amor sentirmi indegno,
Quest'è martir che ogni altro avanza . . . .
Farne ti è dato Questa reggia, sede
D' insidie, lascia, a' tuoi compagni riedi.
Già concorde voler te d'Alboino
Richiedea successor, quando ben altri
Volgevan giorni, oggi, pur che ti mostri
E prometti serbar le leggi avite,
Suo re saluteran le schiere . . .
Conscio a me stesso, con qual fronte il soglio
Tener potrei de' Longobardi?
Di gloria immensa, quanto mai tuo nome
Oscurò, a dissipar non basta? in campo
Per la patria pugnando, ogni tua macchia
Sarei se rinnovar per lei potessi
Versato il sangue! ma . . .
Conflitto di quest' alma! onor m' invita
Ma Rosmunda . . .
Abbandonar.
Nato sarò? Come potrei salvezza
Mia privata cercare, e lei, mia donna,
Lasciare esposta . . . e tu, tu mel consigli,
E il può Idobaldo? Che a me compri un trono
Sua morte? Ah! impria il terren sotto i miei piedi
Si spalanchi e m'inghiotta.
Chè, sconsigliato amore in te favella .
Merta ella in ver che a lei l' onor la fama
Sacrifichi e te stesso; chi ti spinse
Nel sentier de'misfatti? Chi ti tolse
Pace virtù innocenza ed oggi un regno?
Cotesta, che tua donna nomi, credi
Rammenta ed il suo fin; usa a' misfatti
Ugnal fato a te serba, e fia l' Esarco
Quel che già fosti al suo consorte . . .
Taci, crudel; tu in cento brani squarci
Quest' alma già per sé lacera troppo.
Non basta che tante abbia avversa sorte
Cure penose a tormentarmi unite,
Che la furia peggior fomenti, e tutto
Il gelido suo tôsco in sen mi versi?
Ah se infida Rosmunda . . . .
Eccoti il ferro.
Terribil troppo!
Di te, di me dono condegno.
La fede i giuramenti?
Rosmunda, e in me rispetta il duol la rabbia
Di che rigonfio ho il cor -- Oh ciel pietoso!
Dammi, se preghi ascolti.,, che mai questo
Reo strumento dì morte usar non debba,
Se non fia che, rivolto in me, disarmi
Il giusto tuo furore
E si perde Oh maInato amore! e tanto
Produr puoi cangiamento in gentil alma?
LONGINO EUBETE.
S' osa tra il vulgo, il s'o, voci maligne
Spargere, e la pietà, sotto il cui velo
Celar tentai il mio amor, non valse altrui
Ad abbagliar. Si vuol che al Longobardo
Ceda Rosmunda ed Elmigiso: questi
Renderei pur non chiesto,, ma non mai
Colei eh' è donna di quest' alma.
Secreto apparve; ed Idobaldo ad arte
Al dubbio già concetto aggiunse prove.
Lo sdegno, con che tu l' udivi, apriva
Adito a mormorar. D' ozio, sol vago
Il soldat' oggi di ragion col manto
Ricopre sua viltà; pronto alle pugne
Giuste sì dice, e questa ingiusta noma.
Di chi in noi fida? e non soffrir che legge
Porta ne venga da cotesta abbietta
Torma di schiavi?
Del Longobardo; né tu laude acquisti
Or che all' armi lo inciti: ciò che un giorno Ascritto fôra a vanto, oggi ritorce
L'invido vulgo a biasmo tuo.
Eubete, io da te chieggo .
Duopo è ferma mostrare alma, rigore
Co' tuoi soggetti, e co' nemici piena
In te fidanza. Fra color, che seme
Di discordia gittar, fa che i più audaci
Spirin sotto la scure; allor vedrai
Ogni fronte chinare, e chi più freme
Obbedir primo .
Sarò, tel vedi, ancor che appieno i nostri
Con la tema io conquida, e in campo armato
I Longobardi . . . Ah che Elmigiso fassi
Inciampo a ciò ch' io agogno! Ove a Rosmunda
Foss' io consorte, a gran ragion potrei
Venen ti manca? E questo unico mezzo.
Giustin potria sdegnarsi, se imprendessi,
Guerra se non che a forza. Ora al tuo amore,
Non men che all' alte tue mire, si debbe
D' Elmigiso la morte .
Costui dagli occhi. Ma Rosmunda temo
Che mi punisca, e l' odio suo . . .
Far dei che al tuo rival ministri il tôsco.
Facil ti fia a ciò trarla, e novell' esca
Aggiungere alla rabbia che in lei bolle.
Già Elmigiso paventa: tu lo pingi
Ingrato traditor; dille che in questo
Loco all' Ambasciador parlar fu visto
E confuso partir. Eccola: ogni arte
Opra onde ceda . . .
ROSMUNDA LONGINO.
Non palpitai com' oggi . . .
O almen secondi quel che in me ragiona
Puro zel d' amistà, salvezza avrai.
Chè udir pavento ciò che duro fôra
A me avverar.
Se ignori il rischio, e all' altrui fe mentita
Fidi i tuoi giorni . . .
Bastava . . . Ah Longobardo iniquo!
Non sol ti move, ma gl' inganni adopra,
E seduce e promette.
Traspar mistero, che tutta m' ingombra
Di paura e terror . . .
Ecco ricordo di amistà .
Egli? . . . gran Dio! Ma no . . .
In lui; donde ne hai ben. Quasi a lui strano
Tradir si faccia. Di Alboin fratello
Pel comun latte egli non era? e sempre
Al regal fianco, che da lui indiviso,
Non mai sofferse il re starsi, qual mai
Favore ei gli negò? qual grazia? largo
Tra le Spoglie di guerra non trascelse
Sempre il miglior per farne ad esso dono?
Pur costui, del fratello, dell' amico
Del suo benefattor nel sangue, tinse
La destra, e gli bastò I' alma ad eccesso
Enorme tanto.
Altra al suo fallo . . . .
Men colpevole ei fu? ei dal momento
Sconoscente infedel: fuggir tuo aspetto
Dovea, nè in sen nudrir l' impura fiamma
Con sacrilega speme .
Fei prova, io lo sedussi, io fui che . . .
Rimanersi ei dovea; ma quando infermo
Scorto si fosse, bello era il morire
Per cagion bella. Ah! credi; ad alta inteso
Era egli meta; in suo pensier si pinse
Che il letto di Alboin grado gli fosse
All' anelato trono; altro imprevvisto
Sortinne evento, ed or con la tua vita
La stia salvezza, patteggiando, merca.
A me ingrato, potrebbe?
Tutto si mostra, e contro i tuoi nemici
Nega il brando impugnar.
Nel cor mi sta! Ma patrio amor fors' anco
In lui favella, onde ricusa . . .
Tu nol farai, nè eh' ei con Idobaldo
Non trami infame tela, e non conspiri
Alla perdita tua.
Disegno mi svelò.
Come? quando l' udia?
Volgesti il piè, tutto ascoltò non visto
Il tuo vile assassin, più che consorte,
Prezzo alla sua ponea tua vita, e in lacci
Darti giurava ad Idobaldo . . . Ah! prendi
Cura di te; che mi varrà dì armati
Cinger la reggia a scampo tuo, se al fianco
Quel solo hai tu, che può tradirti, e impune?
Son già presso a smarrir! . . .
Tuo caso è molto; ma in tua man riposto
Non è che scenda sull' indegno capo
Di chi t' insidia tua vendetta?
Qual mezzo oprare?
Solo mezzo è tôsco
Porto ad esso da te... ma che? tu piangi!
E tanto ami colui?
Dell' ira è il pianto; . . . ogn' altro affetto il cielo
Nel suo cruccio negommi, a me soltanto
Prodigo d' odio e di furor.
Amar senza arrossir potea Rosmunda?
Crudo Alboin, vile Elmigiso, raro,
O non mai con tai merti, in nobil alma
Amor si desta. Niun dì lor, che imene
A te congiunse, niun conobbe a quanta
Saliva altezza in posseder te donna.
Io ti amo . . . e chi vantar sì può nel seno
Il cor muto, serbar, ove che miri
Tua beltà molta? e pur poggiar non oso
Per sino a te, né mi prometter l'alto
Ben di tua destra; sventurato io nacqui,
E a pianger sempre condannato i miei
Dì chiuderò. Mel veggo, intempestivo
È questo del mio cor sfogo; ingannata
Qual se' dal, tuo Consorte, a miglior dritto
Mia fe sospetta esser ti dèe; pur nulla
Son tratto a paventar.
Ciò ch' oggi ascolto dal tuo labbro; parte
Non mai creduto avrei che avesse amore
Degli alti tuoi pensieri.
Ed il solo pensier da che ti vidi.
A Rosmunda, Rosmunda! se col guardo
Scender potessi quì dove scolpita
Tua bella immago sta, secura appieno
Della fe che ti giuro, un solo, istante
Non penderesti fra coluì, che morte
Ti appresta, e me che de' miei giorni a costo
I tuoi salvar vorrei; tu de' miei affetti
Arbitra in tutto, tu mia sposa, ov' io
A te gradissi, chi dì te più lieta?
Allor questo, ch'or provi, interno affanno
Gioja ti fôra rammentar, chè gioja
È il rammentare i corsi rischi e i mali
Nella felicità
Alcun' sì vide ne' misfatti! . . .
Di natura serbar sè stesso. Pensa,
Che se a spegner colui più tardi, ei compie,
Tradirmi, io stessa ministrar gli debbo
Morte? mancar può man venduta ad opra
Che scellerata sia?
Non sempre è fida, nè secura sempre.
A te si dèe giusta vendetta e pronta
Ed è commesso a te del fatal colpo
L' esito certo; indi, quand' io consorte
A te mi faccia, chi oserà oltraggiarti?
A Giustin presso in Oriente avrai
Asilo, intanto eh' io sconfitta appieno
L' oste avversa non abbia, e sul tuo crine
Non riponga il conteso Italo serto
Non ti appigli, a ragion dovresti...
Elmigiso . . .
Suo nome udir dovrò? quella che sentì
Pietà dì lui, quell'inumano, forse,
La sentiva per te? va; ardisci, estingui
D'ingratitudin nera un mostro, sgombra
Dal pondo dì sue colpe il suolo.
Cimento i ali ch' io . . . .
O dar morte, o morir .
Ch'usa prender da te, quando il lavacro
Lascia al cader del sol, farò che asperso
Sia di veneri letal; gliel porgi, ei beva
In esso morte, al suo fallir castigo
Assai minor, se ratta morte scontra,
E per tua mano. Mira, il dì trascorre
Oltre del mezzo, ed ogni indugio è rischio.
Esiti ancora? e tu, di Cunimondo
Figlia, te stessa e cui t' insidia obblii?
Ov'è l' alma sdegnosa? ove l' acceso
Dì vendetta desio, che si ti valse
Contro il crudo Alboin? nemici tutti
Alla tua stirpe i Longobardi, e fiero
Vil mannaja ti attende; è ver che a lungo
Impune ei non andria; ma quando ancora
Mille volte morir potesse, e. mille
Agonizzar con lento strazio, a vita
Forse ti tornerebbe?
E per me pera; in odio mi ha, non oggi
Comincio a dubitar: nel mal represso
Sdegno, ne' sospir tronchi, io già scorgea,
L'alma sua infida, ed a me avversa . . . .
Degna di te favella odo, e ravviso
Rosmunda in te. nella magnanim' ira
Vampo è del tuo, gran cor; guai se pentita
Arretrassi . . . . ma no: quant' uopo il chiede
Per tua salvezza ad eseguire io volo.
O codarda pietà la prova estrema
Tenta su te? Tutti sgombrate, tutti,
Imbelli affetti, da quest'alma; loco
Date alle furie alla vendetta all' odio . . . .
Gelo le membra? il piè vacilla, nebbia
Mi sta sii gli occhi: ah! tanto almen s'eviti
L'aspetto suo, quanto bastar può in calma
I miei a ripor sensi agitati.
ELMIGISO ROSMUNDA.
Mi fuggi tu? dal fianco mio divisa
Oggi dolce col greco fai dimora,
Nè di me calti . . . .
Mi sei . . . .
A me fremere, a me; fa-vola e riso
Altrui son fatto; nè ti basta, ingrata,
Nè paga sei che ognor segno mi vegga,
Fra le smanie e il rimorso, al comun biasmo,
Che alla peggior di tutte, alla gelosa
Cura, che il tôsco suo nel cor mi versa
Mi abbandoni tu in preda?
Te stesso, me non già .
Perché amante dì te troppo . . . .
In ver m'offri d'amore! i Longobardi
Abborri, ed armi in mia difesa il, braccio;
Tanto fido mi sei .
Detti, chè invan su me ritorcer tenti,
Con mendicate accuse, le veraci
Onte che sopportar più a lungo sdegno.
Forse meco consigli ed aprì l'alma?
Consiglier oggi, e de'pensier riposti
Partecipe, non è l'Esarco? io venni
A te quasi stranier, da che in mal punto
Questa ci tenne infausta reggia . . .
Qual dici, ma perchè d' oprar ti toglie
A voglia tua la libertà . . .
Imprender opra, che ritorni in danno
Dì te, poss' io tuo sposo?
Idobaldo, mel so; né udirlo, senza
Oltraggiarmi, potevi.
Tu pur fossi a me fida! . . . ma, fra noi
Discordia insorse e diffidenza. Omai
Tu, perché a Longobardi me propenso
Paventi, ed io, perché stretta all'Esarco
In ainístà più che non lice, credo
Sospettosi guardiamo i nostri passi.
Mia dolce donna, ali! se tuttor rimanti
Avanzo, dell' ardor che un dì beato
Mi rendea, tronca il laccio che tic stringe
A cotesto infedel Greco . . .
Egli infedele? e tu . . . che ostenti tanto
Fervido del mio ben disio, vorresti
Vedermi esposta alla vendetta, all' odio
De miei nemici, priva di quel solo,
Che fallir fa l' insidie e si frappone
Ostacolo a' lor colpi? Tu non osi,
Tanto ti prende orror, scendere in campo
De' tuoi compagni a danno; onde noti mai
Sperar poss' io che di voler tu cangi,
E che a talento mio delle tue leggi,
Che più di tutto al cor ti stanno e prezzi,
Violator ti renda; vuol ragione
A me d' aìta.
Che tu miei dubbi acqueti, acciò non usi
Quel che ho teco di sposo e sposo offeso Incontrastabil sacro dritto . . . trema!
Io stesso dir non so sino a qual segno
Giunger potrei nel mio furor: se è vero
Che colpevol d' amor novella fiamma
Non ti accenda, s'è ver che non ti arresti,
Oltre il timor, qui nullo affetto, vieni;
Queste rive fuggiam. Molto è che in mente
Alla quiete mia questo ravvolgo
Necessario disegno. Tutto io vidi
E prevenni i perigli. Dì oro a prezzo
Difficil non mi fu comprar chi guarda
Le mura e il porto: e poi, quand' anco insorga
Non previsto a noi rischio, io vivo; mai
Dal fianco mio niun non potrà strapparti
Ciò che sì a lungo meditasti . . . senza
Darne a me cenno?
D'ingiusti i miei sospetti a tacciar giunsi,
E in secreto men dolsi; ma i sospetti
Or dì certezza han faccia, nè lo scorno
Sopportar più non vo: sin che te chiamo
E co' Preghi ti stringo, ah non negarti
Che se proterva contrastassi . . . fermo
Son che il novello dì noi non rivegga
Cotesta reggia abbominata! . . . in volto
Smarrisci? gemi?
Spietato io perchè ti amo, e perchè tento
Da queste allontanarti, ahi! troppo a noi
Male augurate sponde? . . . O sposa, o mia
Rosmunda! se a te caro in alcun tempo
Mi fui, se di me è ver che ancor ti caglia,
Deh segui i passi miei: te ne scongiuro
Pe' nostri, sotto inauspicata stella
Tessuti nodi è ver ma però sacri,
Mi segui, donde ma tu chini a terra
Gli occhi turgidi in pianto? omai finisci, . . .
Di trafiggermi; parla; il colino porta
Al disperato mio dolor.
Teco fuggir . . .
Compagni dell' esilio nostro pronti
Per noi a morir saran con noi; ma ancora
Che senza scorta meco t' involassi
Vil tema separò da sposo amante?
Gioco ti prendi,
Ingrata! del martir di che tu sei
Cagion primiera: queste smanie, il fiero
Strazio che di me fa geloso sdegno,
Me disperato amante, e cieco e presto
Ad ogni eccesso non palesa?
Presto pur anco a convertire in calma
Il tuo furore, ove al voler tuo pieghi . . .
Io mi ti arrendo: alfin più dì te stesso
Non ami tu la sposa tua? . . . te vivo,
Chi fia elle mi divella dal tuo fianco?
Se resistessi al tuo pregar, pur anco
Parer potria che questo core in tutto
Innocente uon fosse, ond' or mi è duopo
Strugger, non elle il sospetto, per sin l' ombra
Che la tua mente con sue larve offusca.
Disponi la partita: ovunque i passi
Tu volga, . . . del tuo error fida seguace
Mi avrai.
Ciò che in te scorgo! mendicati a stento
Fosser sinceri, è senza quel ch'io leggo
Sulla tua fronte turbamento, oh come
Mi vedresti esultar di gioja!
Che tranquilla ragioni io che te miro
Caldo d' ira e furor? che da te offesa, . . .
Perchè pensarmi puoi infedel, ne piango?
Non basta ch' io presta a seguirti, presta
Ogni periglio ad incontrar mi dica,
Per richiamare in noi . . . pace? Che brami
Dì più? che attendi?
Che di quì ne allontani .
Di questo dì, che alfin si affretta . . .
Che alcun tradir ci possa . . .
Che noi queste lasciar piagge tentiamo
Or che minaccia il Longobardo: taci
Tu, donna, ricomponi il volto, e nullo
Reca altrui indizio, fia mia cura poi
In salvo trarti, e del furor del mio
Geloso dubitar, fors' anco ingiusto,
L'offesa a' piedi tuoi lavar col pianto.
Manifesta il tuo cor . . . e me, che incerta
Pendea, sospinge a darti . . . ultima prova
Di fermezza.
Angusto troppo il sen! Quant' io mi deggio
Stimar felice, oh quanto! or che i miei voti.
Dolce mia donna, ad appagar ti appresti.
E per tuo danno. Oh come finge scaltro
Mentita gelosia, per far ch'io caggia
Ne' tesi lacci! . . . Io fui più volte, ahi folle!
Presso a tradirmi, e i macchinati inganni
Sul punto a lui di rinfacciar . . . qual fronte
Nullo negli atti in lui reato, e solo
D' amore eccesso . . . Ah se l' Esarco . . . ei greco
Astuto . . . ei mi ama, . . . ed Elmigiso abborre.
Misera! . . . io mi confondo; qual mi è fido
Qual traditor de' duo, dove è chi possa
A me ridir? d' entrambo io temo, . . . spento
Il lume di ragion nebbia mi avvolge,
Che scerner mi contende sin me stessa.
NOTTE
Mi trema il cor! che da pietà da tema
Vinta Rosmunda . . . Ah già trascorsa è l' ora,
E nullo avviso ancor mi giunge; in questa
Incertezza restar? Vadasi; io stesso
Testimonio di ciò . . .
LONGINO EUBETE.
Facesti; e che mi rechi? Parla?
Non visto la Regina ad Elmigiso
A lui da presso ragionava in guisa
Che sospetto in me nacque non cangiato
Avesse il nappo: onde accertarmi, strinsi
Con minacciose inchieste Elisso cui
L' attoscato licore in guardia diedi;
Ma ogni dubbio svanì; dell' abborrito
Longobardo nel seri letal veneno
Serpeggia: Elisso mel giurava, e offria,
Ov' ei mentisse, alla mannaja il capo.
Contrafatta il sembiante! Solo seco
Mi lascia; è duopo che sol io rimanga.
LONGINO ROSMUNDA.
Se' tu, Esarco, se' tu? Verace troppo
Ne' dubbi tuoi!
Quanto ingannata io vissi! . . . Odi, e condanna
Me debol molto: intempestiva in core
Mi sorgeva pietà, tenea sospetto
Tuo avviso, e puro ed innocente e scevro
D'ogni colpa Elmigiso; in due pendea,
Se la pronta mortifera bevanda
Tracannare io dovessi, o a' piedi suoi
Cader prostrata ed accusarmi, e il collo
Nudato offrirgli ond'ei ferisse; quando, . . .
Oh sfrontata empietà! riporsi al fianco,
Che rivestia pur or tolto al lavacro,
Gli veggo di Alboin per I' auree borchie
Il cognito pugnal; . . . orror mi assalse
A quella vista, ed ei copria le gote
Di subito rossor: sì muti alquanto
Restammo entrambo: alfin con un sorriso, . . .
Perfido! ei mi chiedea di quel, che in volto
Mi apparia, turbamento la cagione.
Tacqui all' inchiesta insultatrice e, in vece
Di parole, la tazza a lui porgea
Ministra di vendetta, ed ei securo,
Qual chi di nulla frode ha in cor rimorso,
Nè la paventa, morte bebbe.
In cui fidavi.
Per trafiggermi il diede; appien convinta
Di ciò son io. Preghi minaccie in uso
Non ponea l' inamano, ond' io la fuga
Seco tentassi, chè all' ordito inganno
Color gli offria d' amor gelosa cura?
Tal eh' io sedotta, già me stessa in odio
Avea, te in odio pur, . . . perchè consiglio
Sospetto in te pensai. Ah! se la densa
Benda che mi fe vel, tardava ancora
Da me a sgombrar, a qual sarei condotta
Or duro varco, vittima promessa
Di barbarica gente al furor cieco!
Forza è valor: a danno tuo pur si armi
Il Longobardo e il mondo,. . ma tu gemi;
Oud' è che a stento freni il pianto?
Se in questo cor scender potessi! . . . vile
È questo cor, a fatti atroci basta, . . .
Ma non basta a gioir di sua vendetta.
Tremo, stupisci, ad ogni istante tremo
Udir, che presso a morte sia . . . . colui,
Ch' io non dovea vivo soffrir, ch' io trassi
In tomba . . . . ma di lui chi più serena
Disegnava il mio fin?
D'un tuo pensier, non che del tuo cordoglio,
Chi sì a lungo tradi: tregua a' lamenti;
Meco rimanti .
Visto lo avessi or or che a me si tolse,
Onde ordinar la concertata fuga
E in essa la mia perdita, . . . non mai
Detto lo avresti traditor: oh come
Si dolea da me lungi un breve istante
Di rimaner! ... oh come al sen mi strinse, . . .
E il cor balzogli sotto il mio commosso! . . .
Parto, ei mi disse; ma da te diviso
Indi più non sarò . . . . Perfido! morte
Noi divide per sempre!
Tuoi spirti acqueta; io già d'Ausonia tutta
Ti saluto Regina; in campo poi
Gli alti presagì avvereran gli eventi.
IDOBALDO EUBETE DETTI.
Forzar la soglia a te contesa, e il ferro
Spingermi in petto?
Longobardi e non greci, usiam, non frodi
Non veleni . . . oh rea donna! oli furia, cui
Pari l' inferno in sé non chiude! io volli
Invitarti a sbramar l'avido sguardo
Nel tradito Elmigiso; ombra compagna
Ad Alboin fra poco ci fia, infelice!
E pur ci non yi avea con schive labbra
Forzata a ber di Cunimondo al teschio!
Che mai yi fe'? sol suo delitto amarti
Era, e il punivi.
Incominciò. Paventa; esemplo, farti
Puoi d'Elmigiso. Ch'io l'amai mi avveggo
Pur, da che reo mi apparve, ogni altro affetto
Diè loro all' ira. È vero; in cor profonda
E non sanabil piaga già mi aperse
Di Alboin l'ebbra gioja, allorchè strinse
Me innorridita sbigottita a farmi
Scherno a suoi fidi di vin caldi e stragi;
Ma se il modo m' increbbe, maraviglia
Non mi recò, ch'alma efferrata e dura
Nel Longobardo re sapea aver nido;
Non così in Elmigiso; ei di virtude
Menava fasto, . . . ma virtude alberge
In lui, te amico, aver potea? in scereto,
Quanto te, mi abborriva: a caso il ferro
Non cingea di Alboin . . . .
In te l'avesse, iniqua! Io gliel recava:
Ma, di amor nel delirio, il soglio offerto
Ricusò Longobardo, e sordo al grido
Di ragion di amistà stette: gioisci;
Io non valsi a piegar sua mente, vani
Tornar gli sforzi miei.
Consigliavi misfatti?
Elmigiso a seguirmi, e ad impor fine
All' ignominia in che giacea sepolto.
Te scorgea vergognando, e pur suoi lacci
Spezzar non seppe, nè lavar nel sangue
L'enorme macchia di cui gìa coperto.
Ti accusi, in mia giustizia a scure infame
Io già ti danno. Ah così in te la rea
Longobardica schiatta tutta estinta
Veder potessi!
Me, resta l'odio suo: pagar dovrebbe
Fiumi di sangue e lacrime mia morte.
A presagir su noi stragi e flagelli.
E grave pondo al consumato fallo
Fia se quì, dove Ambasciador già venni,
Il giorno perderò; ma di vendetta
L'Italiche città metteran grido,
E le Noriche rupi scosse al carco
Di armi e di armati; e tu, malnata e rea
Radice d'ogni mal, tu in odio al cielo
Agli uomini, alla terra stanca omai
Di sostenerti, questa iniqua reggia
Vedrai combusta e in cenere conversa
Assai in me stessa inesplicabil porto
Peso di angosce, assai . . . . gran Dio! qual vista
ELMIGISO sostenuto da guardie Longobarde e detti.
Rosmunda io veggo? . . . o agli occhi ottenebrati
Dalla nebbia di morte tende inganno
Il desio del mio cor?
Ah si: ch' è dessa, sventurato!
Io la rinvenni -- vieni, o donna; mira
Com' io son fatto, e per tua mano! Esulta
Di atroce gioja -- quel che ne annodava,
Gravoso a te, laccio si scioglie . . . oh cielo
Dalla tua rotta fe chiudere a lungo
Sonno ferale, e . . . amarti ancora, e ancora
Portare invidia al mio rivale. . ahi duro,
Oh acerbo strazio! . . . più di quel che il tôsco
Opra nelle mie viscere . . . .
Senno in te non farà l' eccesso enorme
Di cui costei rea si confessa? il solo
Conforto, che alleggiar potrebbe il tuo
Agonizzar, fôra il saperti sciolto
Da lei per sempre. Ecco avverati i miei
Tristi presagi: tu non pianto spiri
L' alma, e dove? in terren nemico, in mezzo.
A carnefici tuoi: te non aspetta
Onor di tomba ma di angusta fossa
La scarsa polve che pur grave fia
Al tuo cenere inulto! Ciò, che largo
Altrui consente il ciel, ti si contende.
Oggi consorte non hai tu che, mesta
Fra' singulti, di lacrime le smorte
Guance t' irrighi, e la vital suprema
Aura, presta a esalar, co'baci tardi.
Sposa già avesti, e per tuo mal; sovr'essa
La celest' ira invoca, al cieI fan forza
I voti di chi muore, e muor tradito
Ed innocente.
Ingrati obbietti.
Versar pentita di Elmigiso in seno
L'ultimo mio sospir; ei mi era fido . . .
Perché sotto il mio piè non si spalanca
La terra? perchè un fulmine non scende
A incenerirmi? . . . Sgombra iniquo.
Soffri che tal pur io ti nomi; . . . Oh infausta
Ma innocente cagion de' miei sospetti,
Perdona al mio fallir: sedotta errai
Da fallace apparenza, da smodata
Brama d'impero, e dalle greche frodi.
Ah pera il giorno in cui fermammo il piede
In questo suolo! . . . Con bugiarde accuse
Strumento miserabil tu mi festi
Di perfidia e di morte: io palpitava,
Inorridiva, . . . e spaventata l'alma
Mi tremava nel sen; ma al fianco mi eri
E l' immane attentato, di che sono
Necessaria virtù . . . Sposo; non mi odi?
Son io, che abbraccio i tuoi ginocchi e piango,
Son io . . .
Alto cordoglio il mio penar rattempra . . .
Ma troppo incauta tu, troppo ognor pronta
All' odio ed all'amor, debole e fiera,
E dissimil da te sempre, potresti
Cangiar genio e voler; chi ti sedusse . . .
Sedur ti può novellamente; e allora . . . .
Dimentica di me . . . . sorgi: ti appressa Rosmunda a questo sen: mi abbraccia. . . Ah! prendi
Di disperato amor l' estremo pegno.
M' innonda il sangue! . . .
Alla vendetta di Alboin.
Di spavento! oh Rosmunda! . . .
Vanne, ti scosta, ingannatore . . . Oh sposo!
Io ti precedo . . . il tuo perdon mi giovi
Mie colpe a minorar . . . mi sia tua destra
Pegno di . . . pace . . . oh dio!
Addio Ido . . . bal . . . do.
Io mi rimango, e di Rosmunda privo? . . .
Scellerato, tu resti; in te l'immensa
La, il furor . . .
Il fin degli empi. Per tardar, non mai
La giustizia del ciel fallo perdona.